Un ingannevole dubbio
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[...] Mi rannicchiai come un bimbo lì, in un angolo, proprio vicino alla cornetta che pendeva e vomitava la sua litania. Appoggiai la fronte sul dorso delle mani e sentii il sudore bagnarmi. Un freddo improvviso mi fece rabbrividire.
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Anteprima del libro
Un ingannevole dubbio - Luca Francioso
Narrativa
Dello stesso autore:
La retta è un cerchio che non si chiude mai
A un passo
The show
Un ingannevole dubbio
Uomini di confine
12 birre
Il sasso nell’acqua
Luca Francioso è un artista poliedrico: suona la chitarra acustica, compone e insegna musica, scrive romanzi, racconti e poesie, disegna e si occupa di grafica e web design. Ha una prolifica produzione artistica e un’intensa attività concertistica, in Italia e all’estero.
Luca Francioso
UN INGANNEVOLE DUBBIO
Thriller
fingerpicking.net
Sebbene l’ambientazione e i personaggi di questa storia siano liberamente ispirati a luoghi reali e persone realmente esistite, tutti gli accadimenti narrati nel libro sono frutto di fantasia e non sono riconducibili alla vita di nessuno, né dell’autore né di nessun’altra persona, in nessun modo.
Luca Francioso
www.lucafrancioso.com
© 2018 Fingerpicking.net
www.fingerpicking.net
I edizione novembre 2008
II edizione novembre 2018
ISBN eBook: 978-88-99405-88-5
Codice: FNAR004E
Tutti i diritti riservati
Foto di copertina: Silvia Pasquetto
Artwork: Luca Francioso
Il criminale, nel momento in compie il delitto, è sempre un malato.
Fëder Dostoevskij
Delitto e castigo
Prologo
Le due guardie carcerarie se ne stavano sedute dietro a un tavolo pieno zeppo di scartoffie, poco prima del lungo corridoio che conduceva alle celle. Chiacchieravano a tratti e poco convinti, giusto per vincere la noia. Dopo un po’ di silenzio, quello più grosso chiese all’altro:
«Hai sentito di quel serial killer?».
Privo di espressione dietro gli occhiali e senza smettere di sfogliare una rivista, il collega rispose distratto e annoiato.
«Sì. Infermità mentale. Lo manderanno in uno di quegli istituti psichiatrici».
Il ciccione si alterò, sventolando le mani.
«Ma che istituti psichiatrici, quelli sono hotel a cinque stelle».
Mentre girava pagina, l’occhialuto chiese:
«Cioè? Che vuoi dire?».
«Che ci prendono per il culo, te lo dico io».
Al ciccione scappò un’occhiata sulla fotografia di una soubrette in topless, nella rivista sfogliata dal collega. Sognandoci sopra, aggiunse:
«Sanno come evitare la galera. Non è perché tuo fratello t’ha mostrato il pisello da piccolo che vai in giro ad ammazzare le persone, come fossero animali».
L’occhialuto, perduto pure lui tra i prominenti seni della tipa, disse sul filo dell’ironia:
«Beh, in effetti potrebbe essere un bel trauma. Sai che schifo il pisello di mio fratello?».
«Non dire cazzate», abbaiò l’altro seccato, «ci provano gusto a uccidere e basta».
«Sì, sì, sono d’accordo. È che una cosa potrebbe non escludere l’altra, no?».
Il ciccione non replicò, distratto com’era dalle immagini piuttosto piccanti che la foto gli evocava. L’occhialuto aggiunse:
«Magari ci provano gusto a uccidere proprio perché in passato hanno subito un trauma».
«Macché», tagliò corto il collega, per nulla convinto da quell’ipotesi, «sono soltanto dei pazzi maniaci. Non hanno certo bisogno di motivi per far fuori qualcuno, te lo dico io».
Entrambi fissarono la tipa della rivista senza dire altro, finché la guardia con gli occhiali non voltò pagina. Un silenzio impertinente s’intrufolò fra loro e li rese di nuovo vittime della noia. Solo dopo che l’occhialuto aveva sfogliato molte pagine, senza che lui né il collega dicessero una parola, il ciccione riprese il discorso, un poco assente.
«Il posto giusto per quei pazzi è qui», disse indicando le celle in fondo al corridoio, «in galera».
Poi, quasi senza prendere fiato, incalzato dai suoi fulminei pensieri, chiese:
«Cosa faresti se te ne trovassi uno di fronte?».
Il collega neppure lo ascoltò, ancora intontito dalla sventola in topless. Ad alta voce gli scappò:
«Però, che tette quella!».
Le due guardie si guardarono un istante e abbozzarono una risata complice.
1
Diedi quattro mandate alla porta di casa. Ero spaventato dall’idea che quelle minacce potessero essere reali e non uno scherzo di cattivo gusto. Iniziai a chiedermi chi potesse essere stato, in piedi davanti al telefono appena riagganciato, indagando irrequieto e confuso.
Fissai il pensiero sul timbro della voce che qualche istante prima mi aveva minacciato e provai a confrontarla con tutte le voci che in quel momento riuscii a ricordare. Nessuna, tuttavia, parve assomigliarle e i miei sommari tentativi fallirono uno dopo l’altro. Alla fine, la mia mente stagnò senza rimedio fra i ricordi di tutte quelle voci, finché diventarono tutte simili tra di loro. Dovetti premere con forza le dita sulle tempie per azzittire quel casino infernale.
Calmo. Mi convinsi che dovevo restare calmo e affrontare la faccenda con lucidità, altrimenti sarei precipitato a peso morto nella paranoia. Chiusi gli occhi, inspirando profondamente, e mi sedetti in cucina, cercando di non pensare a nulla. Quando riuscii a sgombrare la testa da ogni ipotesi, provai a ripensare a quello che era successo e a fare mente locale.
Ero tornato a casa prima del solito dallo studio, anche se al momento non ne ricordavo il motivo. Mi ero seduto in soggiorno, avevo sentito il telefono squillare e mi ero alzato per rispondere. Quando avevo tirato su la cornetta e domandato chi era, però, mi era sembrato che non ci fosse nessuno dall’altra parte. Soltanto dopo qualche secondo di silenzio qualcuno aveva iniziato a parlare, con una voce roca e spaventosa.
«Ti uccido!», aveva detto.
Ricordare quella maledetta telefonata fu come riviverla. Sentii il caldo avvolgermi lentamente e la pelle bagnarsi. Fissai a lungo il telefono, quasi per intimidirlo e impedirgli di squillare nuovamente, ma mentre lo osservavo arcigno mi resi conto di aver commesso l’errore di riattaccare, stordito da un pericolo ancora inconsistente, e che quindi quel tizio, chiunque fosse, avrebbe potuto richiamare da un momento all’altro.
Scattai in avanti e raggiunsi velocemente il telefono. Ne afferrai la cornetta e la feci cadere, lasciando che dondolasse senza una precisa direzione. Il tu tu tu
che si sentiva rimbombare per tutto l’appartamento pareva un timer che sadicamente scandiva il tempo, come se da quell’istante fosse iniziato il