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Il Dono del suono: musica e meditazione nei secoli
Il Dono del suono: musica e meditazione nei secoli
Il Dono del suono: musica e meditazione nei secoli
E-book430 pagine5 ore

Il Dono del suono: musica e meditazione nei secoli

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Info su questo ebook

Ricco di citazioni e di riferimenti culturali, musicali e filosofici, questo testo a carattere didattico e divulgativo ci introduce, attraverso un’analisi approfondita delle più diverse forme di ritualità sacra e cerimoniale del passato e di sperimentazione artistica e musicale del presente, alla conoscenza e allo studio di quella “coscienza risonante” comune che dall’alba dei tempi si è andata manifestando nelle diverse tradizioni religiose della Terra, e che ai nostri giorni si esprime e prende forma attraverso la pratica del canto collettivo dell’Om – il Pranava o Suono Cosmico Primordiale – compiuta mediante le tecniche del canto armonico e della meditazione profonda.
Ci immergeremo così in un viaggio affascinante e coinvolgente attraverso il tempo e lo spazio, per giungere infine ai giorni nostri e gettare da qui un seppur timido sguardo sui possibili sviluppi futuri di un’ipotetica “musica sacra dell’avvenire”, che unisca fra loro passato e presente e li trasformi e sublimi in forme d’arte a carattere collettivo e rituale, i cui contorni sono ancora tutti da definire.
Non siamo infatti che all’alba di una Nuova Era: l’oscurità della notte è passata, adesso non ci resta che attendere.
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2017
ISBN9788864830384
Il Dono del suono: musica e meditazione nei secoli
Autore

Pierluigi Gallo Ziffer

Nato a Roma nel 1961, Pierluigi Gallo Ziffer vive e lavora nella capitale, dove insegna Filosofia e Storia nella scuola secondaria superiore. Si è laureato in Etnomusicologia nel 1986 con Diego Carpitella e Pierluigi Petrobelli, compiendo studi musicologici e musicali con Agostino Ziino, Bonifacio Baroffio, Ermanno Pradella, Susan Hendricks e Roberto Laneri: da quest'ultimo ha appreso le tecniche del canto armonico, successivamente rielaborate attraverso l’impiego di strumenti rituali tradizionali e un utilizzo consapevole delle strutture di massa, e adattate alla pratica della meditazione profonda. Ha svolto viaggi di studio e di ricerca nell’area mediterranea, in Africa e in India, allo scopo di approfondire la conoscenza delle tradizioni musicali e religiose dei vari popoli, curando la stesura di voci etnomusicologiche per l’Enciclopedia Italiana G. Treccani, pubblicando saggi e articoli a carattere musicologico e intervenendo a convegni e trasmissioni radiofoniche specializzate. Ha composto musiche per installazioni sonore e performances multimediali, pubblicando nel 2001 un doppio CD di musiche originali dal titolo Lo Specchio del Tempo (Genesi, 1-9). In seguito all’incontro col padre Mariano Ballester SJ, nel 1990 ha fondato a Roma il Centro Ricerche Musica dal Profondo, allo scopo di approfondire le tematiche relative al rapporto fra musica e spiritualità nelle tradizioni religiose della Terra e nella ricerca artistica contemporanea, promovendo la diffusione del canto collettivo dell’Om e della meditazione attraverso il suono presso associazioni e centri culturali della capitale e di altre città italiane.

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    Anteprima del libro

    Il Dono del suono - Pierluigi Gallo Ziffer

    Prefazione

    Piove a dirotto in questo pomeriggio dell’autunno romano. Piove come solo a Roma succede in autunno. Scendono furiose gocce di pioggia, colpiscono i vetri con tanto impeto da far pensare alla grandine. Ogni tanto il tuono fa vibrare vetri e palazzi. L’insieme ha qualcosa di drastico e inflessibile. Poi sembra che la città abbia una speciale capacità di far risuonare il tuono, specialmente il tuono d’autunno e di primavera.

    Davanti a me ho aperto un libro e vedo questi versi del poeta sufi Mevlana Jelalu’ddin Rumi:

    Abbandona il tuo scetticismo e mettiti in armonia

    con il suono che viene dal Cielo.

    Allora l’anima tua avrà le rivelazioni dell’Aldilà...

    Alzati al di sopra dell’orizzonte, anima coraggiosa, e ascolta i cantici melodiosi che scendono dal più alto dei cieli.

    In questo momento, che Jung chiamerebbe un attimo sincronico, mi viene spontanea la voce del mio Maestro Gesù, che dice come un ritornello alla fine delle sue parabole: "Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti".

    Quando piove a Roma in questo modo i suoni prevalgono sui rumori. Il chiasso della città sembra attutirsi e retrocedere di fronte alla forza possente dei tuoni e alla furia delle grosse gocce. Allora si sperimenta la chiara differenza tra suono e rumore. L’artificio dei rumori svanisce e resta solo la bellezza del suono. La città tace e soffre stoicamente i colpi dall’alto, come un figlio un po’ scettico che si lascia colpire dal genitore per il momento, ma poi, si sa, continuerà come prima.

    Che si può dire su questo momento magico? Solo che sto facendo qualcosa d’insolito, una specie di paradosso che consiste nel parlare del suono ineffabile. Il suono è un linguaggio a sé stante, diverso dalle lingue parlate dagli uomini. Le lingue umane sono tutte convenzionali, ogni voce è accuratamente emessa e controllata dalle nostre bocche attraverso i secoli e legata a un significato concreto. Così, se non sappiamo il significato convenzionale, bisogna andare all’interprete o al dizionario, complicando sempre più le cose. Il suono invece è pura vibrazione, naturale, spontanea, non controllata dall’uomo, non sottomessa a significati concreti né condizionata da convenzionalismi. Il suono non significa niente oltre a se stesso. Tuttavia apre sicuramente una certa dimensione di coscienza a colui che ha orecchi per ascoltare. È in questo che consiste il dono del suono e la sua meraviglia.

    Penso perciò che il segreto per capire il dono del suono stia nello spirito delle beatitudini proclamate da Cristo. Solo i poveri nello spirito, i limpidi, i mansueti, i silenziosi e i pieni di pace hanno orecchi per capire il dono del suono. Allora spontaneamente sorge tra uomo e uomo un atteggiamento bellissimo: l’armonia. Uomo e uomo si sintonizzano, si mettono nella stessa lunghezza d’onda, ed è questo il momento in cui la rivelazione sorge. Allora suoni e melodie entrano ed escono a loro agio e semplicemente lasciano i loro messaggi segreti, molto al di là delle parole grossolane. Così il suono diventa meditazione. "Se io ti dicessi cosa sono queste dolci melodie, confessa Rumi, perfino i morti uscirebbero dalle loro tombe".

    Il dono del suono nasce dal silenzio e viene accolto dal silenzio. Il silenzio è la più grande limpidezza dell’uomo. Prima il silenzio, dopo il suono. Solo il silenzio può percepire il segreto del suono. Silenzio del cuore, silenzio della testa, silenzio delle forze... E quando il silenzio raggiunge finalmente il centro dell’uomo, allora sorge la più grande rivelazione: "Quando tutte le cose sono immerse nel silenzio, allora scende dall’alto, dal trono regale, la parola segreta".

    Ecco, ora la pioggia è davvero cessata: resta solo il silenzio.

    In verità, due sono i Brahman da meditare,

    Suono e Non Suono:

    ora, il Suono si rivela attraverso il Suono.

    Questa è Immortalità, Unione Suprema e Pace.

    Mandukya Upanishad, VI,22

    padre Mariano Ballester SJ¹


    1. Padre Mariano Ballester, gesuita spagnolo, rappresenta in Italia uno degli esponenti più illustri della cosiddetta nuova coscienza cattolica, la corrente spirituale di frontiera interna alla Chiesa di Roma. Ha compiuto studi di filosofia, teologia e psicologia dell’esperienza spirituale in Italia e Spagna, collaborando con varie riviste di spiritualità in Italia e all’estero, e ha pubblicato numerose opere sulla meditazione cristiana. Da quasi mezzo secolo guida corsi di meditazione profonda, con partecipanti cristiani e non, molto apprezzati e seguiti da ogni parte d’Italia.

    Presentazione

    Concepito inizialmente come semplice manuale a carattere didattico-divulgativo e successivamente trasformatosi, attraverso una lunga e faticosa gestazione, fino a raggiungere il suo definitivo assetto attuale, questo testo si compone di due libri, suddivisi in tre parti progressive ma complementari, in cui viene tracciata una mappa delle principali forme di espressione artistica e spirituale dall’antichità ai giorni nostri, per giungere infine a gettare un timido sguardo, attraverso le riflessioni riportate nella Postfazione, sui possibili sviluppi dell’arte e della spiritualità del futuro.

    La prima e seconda parte rappresentano una sorta di viaggio introduttivo alla conoscenza e allo studio della musica e del canto sacro dei popoli della Terra, organizzato da Oriente a Occidente secondo un percorso geografico e temporale che, dopo aver attraversato le rispettive fasi evolutive di tipo magico e contemplativo della religiosità del passato, giunge fino al termine dell’età medievale, considerata come vero e proprio spartiacque fra la concezione del mondo tradizionale e quella moderna.

    Nella terza parte rivolgiamo invece la nostra attenzione ai giorni nostri, prendendo in considerazione un’ulteriore fase evolutiva della coscienza umana, da noi definita come dimensione cosmica: attraverso l’incontro con le più moderne forme di sperimentazione artistica e musicale del nostro tempo ci affacceremo così sul futuro, per poi cercare di delineare, nella Postfazione conclusiva, le principali caratteristiche di una possibile dimensione rituale dell’arte dell’avvenire e delle forme di spiritualità a essa collegate.

    Al termine di ciascuna di queste tre parti è presentata infine un’esperienza di meditazione profonda abbinata alla musica, tesa a consentire un’immersione diretta nella tematica trattata, culminante nel canto collettivo dell’Om e nella meditazione silenziosa che ne segue: niente più di questo canto può infatti evocare in noi quel profondo senso di comunione con il Divino che è alla base di ogni esperienza religiosa e ne costituisce la più intima essenza, niente più di esso ne rappresenta il cuore, celato e pulsante all’interno di ogni tradizione, di ogni cerimonia, di ogni liturgia.

    Poiché esso è il Suono Cosmico primordiale, il Nome Supremo e, più di ogni altro, il vero Canto di Dio.

    Nel chiedere dunque al lettore di apprezzare e comprendere appieno le ragioni della nostra scelta e di rallegrarsi in cuor suo per questo esempio d’incontro fra spiritualità tradizionale e cultura contemporanea, lo invitiamo a unirsi a noi nella celebrazione interiore dei rituali, delle pratiche e delle cerimonie qui presentate, per ritrovarvi esposti, in mille forme diverse, tutti quegli insegnamenti e quelle testimonianze antiche e moderne che hanno caratterizzato il rapporto fra musica e spiritualità nel corso dei secoli.

    Scopriremo così, una volta di più, l’universalità dei cammini mistici e delle forme d’arte da essi scaturite, che ci descrivono, ognuno a suo modo, la meraviglia dell’anima umana di fronte al mistero della Presenza divina: e ci torneranno alla mente gli insegnamenti dei Padri, e ci riempiremo di gioia nel ricordare quei volti, quei movimenti e quei gesti che sono rimasti impressi in maniera indelebile nella memoria collettiva dell’intera umanità.

    Perché se il mondo sarà salvato dalla bellezza, come diceva il poeta¹, l’esistenza stessa dell’arte, tanto minata dall’incalzante barbarie, potrà avvenire soltanto attraverso la nascita di un mondo diverso, sorto sulle ceneri di un passato scomparso e di un presente attonito e senza futuro: noi ce lo auguriamo davvero, e con questa interiore certezza consegniamo al lettore questo piccolo frutto del nostro lavoro.

    Com’è bello, e come dà gioia,

    che i fratelli stiano insieme.

    È come unguento che

    dal capo discende giù sulla barba di Aronne,

    come unguento che dal capo

    discende giù sugli orli del manto,

    come rugiada che dall’Ermon

    discende giù sui monti di Sion.

    Ci benedice

    il Signore dall’alto,

    e la vita ci dona in eterno.

    Salmo 133

    Pierluigi Gallo Ziffer


    1. F. Dostoevskij, L’idiota (Mosca 1869).

    Prologo

    Fin dagli albori della storia umana l’esperienza acustica e musicale è stata una delle manifestazioni più dirette e suggestive del rapporto dell’uomo con il Divino, celebrato sia attraverso il canto che attraverso il suono degli strumenti musicali.

    Nelle culture primitive e nelle tradizioni extraeuropee il suono viene concepito come espressione delle realtà del profondo e inteso come manifestazione sovrannaturale delle forze nascoste dietro la realtà fenomenica, come vera e propria voce di Dio: esso si esprime attraverso il concento degli elementi naturali (come il tuono, l’acqua, la pioggia, il vento, il canto degli uccelli e degli altri animali) e si sviluppa attraverso l’azione creativa dell’uomo, che partendo dall’imitazione della natura e da una concezione magica del mondo che lo circonda e dell’ignoto giunge allo sviluppo di miti e credenze sempre più elaborati e complessi, che inseriscono l’esperienza musicale all’interno delle grandi leggi che regolano macrocosmo e microcosmo.

    Per poter comprendere profondamente il valore e il significato del suono e della musica, intesi come espressioni dell’anima e della psiche umana, dobbiamo dunque innanzitutto considerare le caratteristiche principali delle diverse tradizioni musicali del passato, alcune delle quali sopravvivono tuttora nella ritualità di popolazioni diverse, sia europee che extraeuropee: dobbiamo infatti conoscere, recuperare e vivere pienamente tutte quelle forme d’arte dimenticate, tutti quei canti, quei rituali e quelle danze che si sono persi nel tempo e nello spazio, la cui memoria sopravvive tuttavia nelle profondità inconsce della psiche collettiva, dalle quali riemerge ciclicamente influenzando a vari livelli le scelte, le motivazioni, i gusti e le tendenze dell’umanità attraverso i secoli.

    Vi sono infatti, dietro le loro apparenti diversità, numerosi aspetti in comune nella ritualità e nella musicalità di tradizioni culturalmente e storicamente diverse, aspetti spesso stupefacenti per la loro profondità e identità, che ci testimoniano l’universalità della vita animica e dell’esperienza interiore, espressa in forme e modi tra loro differenti secondo un processo evolutivo che coinvolge la globalità delle manifestazioni umane.

    Ciò risulta particolarmente evidente quando dall’antichità passiamo ai giorni nostri, in un mondo che cambia e si trasforma in continuazione: nella musica del nostro tempo siamo infatti giunti a un momento di crisi profonda, in cui ci si domanda da più parti se non sia ormai ora di riconsiderare dalle radici non solo l’aspetto stilistico e formale della creazione artistica, ma anche e soprattutto la sua sorgente ispirativa, la fonte stessa dalla quale essa scaturisce. Ciò che del resto è in crisi ai nostri giorni non sono tanto i linguaggi compositivi o gli stili musicali, quanto piuttosto i contenuti, gli scopi e le finalità dell’arte in quanto tale: ed è qui che la ricerca spirituale assume un posto di rilievo e un peso sempre maggiore nella coscienza collettiva dell’umanità, suscitando un rinnovato interesse nei più diversi settori della società.

    Intesa come mezzo per l’interiorizzazione e il contatto con il profondo, la musica viene utilizzata nel nostro tempo come strumento di rilassamento, di purificazione e di meditazione, o adottata come forma di terapia e canale di espressione della creatività e delle realtà psichiche individuali, oppure ancora come manifestazione artistica di simboli e contenuti archetipici collettivi, che sempre più premono per venire alla luce e manifestarsi pienamente alla coscienza dell’umanità.

    Notevole è quindi il peso che la dimensione spirituale dell’arte e l’evoluzione interiore dell’artista hanno assunto nella ricerca musicale contemporanea, e che assumeranno in futuro: da Est a Ovest, da Nord a Sud, vi è tutta una corrente ininterrotta di pensiero, in campo artistico, filosofico e spirituale, che considera ormai inscindibili questi due aspetti, e che lavora instancabilmente per il raggiungimento di una loro piena e definitiva unità.

    Ricollegando dunque le manifestazioni musicali del passato con le più moderne sperimentazioni del presente, cercheremo nelle pagine seguenti di gettare un ponte ideale fra queste diverse età dell’uomo, e insieme a esse fra Oriente e Occidente, per giungere infine a quella che a tutti gli effetti possiamo considerare come l’esperienza centrale dell’intero percorso, cioè il canto collettivo dell’Om e la meditazione profonda che ne segue: ci apparirà così un quadro d’insieme articolato e complesso, all’interno del quale ogni fase evolutiva della coscienza si ricollega alla precedente ed è premessa alla successiva, in un processo ininterrotto di evoluzione e trasformazione che dall’alba dei secoli giunge fino a noi, ci attraversa e ci supera.

    Ciò avverrà con lo studio e la conoscenza di tre possibili dimensioni animiche, che semplificando abbiamo definito come dimensione magica, dimensione mistica e dimensione cosmica, che rappresentano altrettanti stadi evolutivi nello sviluppo della coscienza umana: la conoscenza e il recupero di queste tre dimensioni nella spiritualità e nell’arte del nostro tempo potranno così contribuire, nel loro piccolo, allo sviluppo di nuove forme di ispirazione e di espressione che comprendano la totalità dell’essere umano e che ricerchino l’unità delle manifestazioni del profondo.

    In effetti, non siamo che all’alba di una Nuova Età dello Spirito: l’oscurità della notte è passata, adesso non ci resta che attendere.

    Scosse e sussulti,

    fiamme vulcaniche e violente inondazioni,

    annuncio nel mondo

    della convulsa trasformazione del cuore umano.

    Tempestosamente prorompono,

    scuotendo il globo,

    le urgenze evolutive.

    Tumultuosamente,

    nell’estasi di un’incalzante ondata,

    rintoccano i gong della rivoluzione della vita umana.

    Ebbro di cambiamento,

    danza il nuovo ritmo del tempo,

    salutando il nascere

    dell’Uomo Totale¹.


    1. Baba Bedi, L’Uomo Totale, Età di Urano, Milano 1977, p. 120.

    Libro primo

    CANTI SACRI

    E MANTRA D’ORIENTE E D’OCCIDENTE

    Antiquam exquirite matrem¹

    Virgilio, Eneide III, 96


    1. Cercate l’antica madre.

    Premessa

    La tradizione non consiste nel conservare le ceneri,

    ma nel mantenere viva la fiamma.

    Jean Léon Jaurès

    Prima di procedere oltre con la lettura del nostro testo vogliamo esporre brevemente le ragioni della scelta stilistica da noi adottata, che ci ha portato a suddividere il presente volume in due libri distinti – e nel contempo complementari – rispettivamente dedicati al mondo della Tradizione e a quello della Modernità: ciò è avvenuto per una ragione precisa, di carattere teoretico prima ancora che pratico, volta a evidenziare la frattura, e nel nostro caso anche la continuità, fra questi due mondi antitetici, generalmente considerati come storicamente contrapposti ma da noi intesi invece come dialetticamente collegati, e come tali forieri di una sintesi finale che li oltrepassi entrambi.

    Vista da un punto di vista dualistico e temporale quest’opposizione fra Modernità e Tradizione ci appare, infatti, come radicalmente insanabile e inconciliabile, tali e tante sono le diversità e le antinomie esistenti fra le relative visioni del mondo e i rispettivi sistemi di riferimento: ma considerandola invece secondo un’ottica per così dire verticale e metastorica, questa opposizione si manifesta in realtà per quello che effettivamente è: cioè una tappa transitoria all’interno del più ampio percorso dell’autocoscienza umana, che superando l’apparente dualismo di superficie si rivela e si svolge, se riusciamo a vederlo, attraverso un gigantesco processo dialettico di natura triadica.

    Tutto questo significa, riassumendo e semplificando la relativa concezione hegeliana, che la distruzione dei valori tradizionali operata dal cosiddetto mondo moderno non sarebbe in realtà né irreversibile né definitiva, ma destinata anch’essa a venir superata e dissolta da un’ulteriore fase dialettica, volta a ripristinare – a un livello più alto e al momento del tutto sconosciuto – quegli stessi principi che essa ha voluto precedentemente negare: in quest’ottica, dunque, Tradizione e Rivoluzione sarebbero entrambe destinate a dissolversi in un terzo polo futuro ancora tutto da costruire, da molti individuato e prefigurato in quella sorta di nuova coscienza planetaria che si andrebbe progressivamente affermando, all’alba della cosiddetta Età dell’Acquario, come nuovo paradigma emergente dalle pieghe dell’attuale era della globalizzazione.

    L’intero impianto del nostro lavoro è quindi teso a distinguere, e nel contempo a riunire in un contesto più ampio, questi due mondi così profondamente divisi e separati fra loro, riguardo ai quali la nostra ricerca non si limita dunque semplicemente a considerare l’aspetto estetico, culturale o intellettuale del canto sacro e della musica liturgica e cerimoniale del passato, ma tende invece a confrontare, contrapporre e integrare fra loro i linguaggi, i valori e le strutture mentali delle antiche società tradizionali con quelli della presente età moderna, tanto profondamente e irrimediabilmente distinta e separata da essi.

    Non vogliamo tuttavia considerarci – sia chiaro – come gli eredi nostalgici di un passato scomparso, che la dialettica storica ha eliminato e trasceso, ma non vogliamo nemmeno riempirci la bocca di luoghi comuni e banalità di ogni tipo sulle magnifiche sorti e progressive di una presunta età dell’oro contemporanea, le cui illusioni sono destinate a svanire nel breve volgere di qualche generazione: una terza via si è resa ormai necessaria, fra i poli opposti di Modernità e Tradizione, e compito nostro è scoprire qual è.

    E poiché l’albero si vede dai frutti, ci mettiamo quindi umilmente al lavoro per costruire quell’arca che attraversi il diluvio, e ci consenta di traghettarci indenni oltre le acque agitate del tempo presente: perché non si tratta certo della fine del mondo, ma semplicemente della fine di un mondo, per superare la quale è necessario costruire dei ponti – dei ponti di luce sopra l’abisso.

    Per orientarti nell’infinito

    distinguer devi e poscia unire. [...]

    Nessun essere può annientarsi del tutto,

    l’Eterno si muove in ogni cosa.

    J.W. Goethe, Dio e Mondo, 1827

    Prima parte

    Suono e ritualità nel mondo antico: la dimensione magica

    Introduzione

    Tutto il mio corpo è coperto di occhi.

    Ecco, guardate, non abbiate paura: io vedo tutto intorno a me.

    Canto algonchino dell’Alaska

    Non è possibile compiere un viaggio nel tempo e nello spazio, qual è quello che ci prefiggiamo di fare nel corso di queste pagine, senza risalire il corso dei secoli fino a raggiungere il punto remoto da cui tutto ebbe inizio: cominciamo dunque la nostra ricerca fra le diverse forme di espressione artistica e spirituale dell’umanità partendo dalle manifestazioni musicali dei popoli primitivi, precolombiani ed estremo-orientali, che presentano tutti, pur nelle loro rispettive peculiarità, dei tratti distintivi comuni.

    Nelle tradizioni religiose delle culture primitive dei continenti africano, australiano e americano, e in alcune antiche tradizioni asiatiche come quella estremo-orientale, quella artica e quella mongolo-tibetana, assumono grande importanza alcuni concetti fondamentali la cui comprensione risulta essenziale per capire lo spirito che ne anima rituali e celebrazioni: essi sono il totemismo animista, lo sciamanismo e il concetto di mantra, tutte espressioni queste, seppur fondamentalmente diverse tra loro, di un rapporto con l’ignoto e con il Divino basato sulla ricerca di una dimensione magica.

    Sia alla base del totemismo che dello sciamanismo che della concezione mantrica tibetana stanno, infatti, l’evocazione e il contatto profondi con quelle forze che governano il corso della vita e della morte e sottostanno al divenire degli eventi naturali, allo scopo di ricreare la perduta unità della coscienza originaria: questo contatto viene ricercato in modi diversi a seconda dei casi, ma comune a tutte queste tradizioni è la credenza nel mondo degli spiriti e delle forze, che attraverso l’esperienza magico-religiosa devono essere di volta in volta propiziate, padroneggiate o sottomesse.

    Nelle culture primitive e nelle tradizioni religiose dell’antichità questa componente sovrannaturale dell’esistenza si esprime soprattutto sotto una forma sonora e acustica; essa si manifesta attraverso il suono degli elementi naturali e successivamente attraverso la mediazione creativa dell’uomo, che partendo da una dimensione imitativa della realtà naturale e da una concezione animistica e totemica del mondo che lo circonda e dell’ignoto giunge, attraverso l’evoluzione del senso del sacro e la conoscenza delle grandi leggi cosmiche che regolano macrocosmo e microcosmo, a una dimensione sempre più interiorizzata e complessa, alla ricerca di un contatto con le proprie profondità interiori e in corrispondenza con le realtà spirituali celesti.

    Ciò si riscontra anche, e soprattutto, nelle grandi orchestre rituali e cerimoniali dell’Estremo Oriente, del Tibet e del Sud-Est asiatico, nelle quali le varie entità, forze e spiriti evocati risuonano attraverso la voce umana e il suono degli strumenti musicali, nonché attraverso le maschere e la danza, in una grande rappresentazione cosmica collettiva che ha lo scopo di unire la Terra al Cielo e l’Umano al Divino: in tutte le tradizioni religiose dell’antichità le orchestre rituali svolgono infatti, come vedremo, una funzione non solamente artistica, ma anche religiosa e addirittura politica, in quanto garanti della stabilità sociale e dell’armonia universale.

    Da qui la nascita della scienza musicale sacra nelle civiltà superiori, all’interno della quale si sviluppa il suono magico e rituale del mantra, già presente in forme meno definite ed elaborate anche nelle culture primitive a carattere totemico: da questo grande bacino di esperienze animiche proprie della dimensione magica si svilupperanno quindi, successivamente, le grandi religioni delle civiltà superiori, con la comparsa di una dimensione mistico-contemplativa nella spiritualità e nell’arte, caratterizzata dal passaggio dall’evocazione delle forze della Terra all’invocazione delle entità celesti, della quale l’esperienza musicale sarà testimone fedele accompagnando attraverso i secoli l’anima umana nel suo cammino verso il Divino¹.

    Quelle che presentiamo nelle pagine seguenti sono dunque le tracce di questo percorso.

    Verso casa ora viaggerò,

    verso casa sopra l’arcobaleno;

    verso casa guardami partire,

    verso casa sopra l’arcobaleno.

    Ora guardami, sono arrivato a casa,

    sono arrivato con l’arcobaleno,

    ora guardami, sono arrivato a casa,

    guarda, è qui il Luogo Santo!²


    1. Per un maggiore approfondimento dei concetti di evocazione e invocazione, così come espressi dall’esoterismo acquariano a proposito della cosiddetta arte psichica, rimandiamo il lettore alla nostra Postfazione conclusiva e alle varie pubblicazioni in essa citate.

    2. Canto hozhonijs degli indiani Navaho, in J. Campbell, Le distese interiori del cosmo, TEA, Milano 1996, p. 140-141.

    Il totemismo

    Uomo, Signore della vita terrena che dà forza, guarda su verso Dio:

    la terra ci sostiene, ma Dio è supremo.

    Quando l’uccello beve dell’acqua, guarda in alto e la mostra a Dio:

    poiché la terra ci sostiene, ma Dio è supremo¹.

    Cominciamo dunque il nostro viaggio musicale fra le tradizioni religiose della Terra partendo dal totemismo, considerato come momento iniziale del cammino evolutivo dell’umanità attraverso i secoli, prendendo brevemente in esame le caratteristiche principali di questa fase di civiltà, relativa ai popoli cosiddetti primitivi o di natura.

    La definizione popoli di natura include quelle culture sparse in tutto il mondo che vivono in diretto contatto con le forze della natura e che dalla natura quasi interamente traggono il necessario per vivere, senza interpolazioni di carattere tecnologico.

    La musica, presso queste culture, ha carattere quasi esclusivamente funzionale, cioè serve per scopi magico-rituali a carattere terapeutico e/o propiziatorio. Inoltre serve per sottolineare particolari momenti della vita dell’individuo e della comunità, come la nascita, la morte, la caccia, la guerra ecc. È sottinteso che una musica di tal fatta sia tramandata esclusivamente per via orale, senza alcun riferimento scritto².

    Insieme allo sciamanismo (che analizzeremo meglio nel capitolo successivo) il totemismo è dunque l’espressione magico-religiosa della fase di civiltà primitiva dei popoli cacciatori-raccoglitori, precedente la nascita dell’agricoltura e dell’allevamento, in cui l’individuo e l’intera comunità vivono in simbiosi con l’ambiente che li circonda, e segnatamente con gli animali, veri e propri interlo-

    cutori e compagni di viaggio dell’uomo nel corso della sua esistenza terrena.

    Il totem è la creatura stessa, è il tempio materiale e figurato di un Dio particolare che viene reso operante dall’uomo che ne invoca l’agire, imitando con maschere, colori, movimenti e suoni la creatura corrispondente a quel Dio.

    Nel totem è presente il corpo mistico di un particolare spirito, responsabile dell’esistenza di una specifica creatura, sia essa vivente o animata. Nel suo insieme, il mondo è quindi la creazione di questi spiriti totemici e ogni gruppo sociale assume un totem come protettore e oggetto di culto³.

    In una società a carattere totemico i vari clan posseggono quindi degli antenati mitici dall’aspetto semi-animale o semi-umano, dai quali discendono le varie specie animali a essi collegate, la cui carne è tabù per i membri del gruppo, in quanto da essi considerati parenti, nonché grandi maestri, che insegnano a ciascun clan i segreti del proprio antenato totemico; ogni animale dagli uomini incontrato, sia che voli, che strisci o che corra per la savana o per la giungla, viene dunque considerato un messaggero, una guida o un compagno, che appare all’improvviso per proteggere l’uomo, per guidarlo o per iniziarlo ai Misteri dell’esistenza.

    Nel totemismo il modello supremo dell’esperienza è l’animale. [...] La vita animale viene interamente trasferita nella vita umana, [...] così che non ci si deve stupire che gli animali nella mitologia dei popoli cacciatori siano riveriti come padri spirituali.

    L’enigma del totem (la curiosa figura dualistica, da cui deriva sia la tribù che la specie animale con lo stesso nome, che rappresenta il simbolo-chiave di molte comunità di cacciatori) viene così perfettamente spiegato.

    Infatti, come un padre è un modello per il figlio, così l’animale lo è per il cacciatore, in modo tale che l’intero mondo dell’uomo si lega al mondo dell’animale.

    Nel totem di un luogo, di uno spirito o di un gruppo tribale (dei quali esso rappresenta in un certo senso il simbolo, l’essenza ma soprattutto la presenza) vengono di conseguenza evocate e raffigurate dal pensiero primitivo tutte quelle forze ed entità, protettrici o meno, che vivono nel profondo dell’inconscio collettivo, nel Tempo del Mito e del Sogno, come lo definiscono gli aborigeni australiani; queste entità, queste forze con le quali sono in contatto le anime dei morti e alle quali i vivi si ricollegano secondo il culto degli antenati, possono quindi essere contattate da quegli individui che, fungendo da mediatori tra il regno dei viventi e quello dei defunti, hanno la capacità di unire i due mondi e ricollegare così le due dimensioni.

    Tjambuwal, l’Uomo-Tuono, trasmise nel Tempo del Sogno la legge e le cerimonie sacre alle singole tribù aborigene, mentre si riservò di rivelare le cerimonie nascoste, i canti e le danze segrete solo agli iniziati; egli si serviva per comunicare del suono del tuono e delle trombe marine, e abitava sulla montagna sacra di Tjawulbawui, sul monte Dundas, presso Yirrkala.

    Lì si recavano gli iniziati ai misteri totemici per comunicare con lui, e ciò avveniva attraverso il suono del didjeridu, che ne rappresentava la voce. Essi facevano risuonare il didjeridu nella cavità tra due enormi rocce levigate e sferiche che rappresentavano gli occhi dell’Uomo-Tuono, e nessuno poteva vedere tali cerimonie o udire il suono dello strumento rituale, pena la morte.

    Nelle società primitive a carattere totemico questa funzione viene svolta dagli sciamani, dai sacerdoti e, molto spesso, dai musicisti e dai danzatori: i rituali e le cerimonie religiose dei popoli di natura hanno infatti lo scopo di immergere i celebranti in una realtà separata (parallela a quella ordinaria e quindi inconscia e magica) nella quale ritrovare l’unità con l’anima di gruppo, attraverso un’alterazione e un’espansione delle capacità di percezione individuali e collettive.

    Il mondo è un mistero. Questo che stai guardando non è tutto quello che c’è. Nel mondo c’è molto di più, in effetti, che è senza fine.

    [...] Una delle arti del guerriero consiste nel far crollare il mondo per una ragione specifica e quindi ricondurlo all’ordine, per continuare a vivere.

    Suonare uno strumento totemico significa quindi evocare l’anima o lo spirito di una determinata entità, celata nello strumento stesso; ciò appare in modo più evidente quando al suono degli strumenti musicali vengono affiancati dei danzatori, che impersonificano gli spiriti ancestrali nascosti dietro le maschere rituali (come avviene nelle cerimonie totemiche di molte popolazioni africane) oppure quando gli strumenti stessi vengono considerati voce degli dei (come nei casi più famosi del rombo e del didjeridu australiani)⁷.

    Il ronzio del rombo presiede, in Oceania come in Africa, alle cerimonie di iniziazione: il rombo dei Dogon, ad esempio, viene conservato nella caverna delle maschere (che una volta l’anno vengono indossate nel corso di lunghe e complesse cerimonie totemiche) e rappresenta la voce stessa della gigantesca Madre della maschera, l’entità che presiede al culto e alle cerimonie rituali⁸.

    Quel giorno nel Dreamtime [il mitico Tempo del Mito e del Sogno degli aborigeni australiani]furono rivelati molti segreti importanti, alcuni dei quali troppo segreti per essere scritti qui, che sono noti soltanto ai più anziani e più saggi di una certa tribù.

    Ma il più grande segreto rivelato quel giorno lo conosciamo: è come fare suonare il didjeridu, il cui suono è la voce di Julunggul. Serve a far ricordare alla gente il suo potere e l’importanza delle regole totemiche¹⁰.

    La potenza evocativa di tali cerimonie, espressa attraverso la musica, la danza, i costumi e gli strumenti rituali, è straordinariamente carica di intensità e di mistero, espressione diretta di un contatto primordiale con le più profonde forze della natura; esemplari a questo riguardo, oltre alle già citate musiche e strumenti cerimoniali degli aborigeni australiani, sono le musiche e le danze per percussioni africane, le ormai scomparse cerimonie dei nativi del continente americano oppure ancora l’uso di strumenti rituali come i flauti cerimoniali degli indios amazzonici o le campane di pietra dell’Estremo Oriente, nonché ovviamente tutto il repertorio di canti magici proprio delle popolazioni primitive.

    Appartengono al più antico patrimonio culturale del totemismo anche i canti nei quali si imita un rumore della natura (tuono, mareggiare ecc.) o la voce di un animale che l’anima ancestrale della stirpe, della famiglia o dell’individuo cela in se stessa.

    [...] Le imitazioni di voci di animali si sono mantenute anche nel colmo delle culture superiori e si ritrovano nella tradizione egizia, tibetana e vedica, nelle quali ogni animale occupa un posto ben preciso all’interno della mitologia¹¹.

    Ogni tradizione religiosa a carattere totemico possiede dunque le sue specifiche peculiarità, che la differenziano da tutte le altre, e non deve quindi stupirci l’infinita diversificazione degli stili, dei riti, dei canti e delle cerimonie che troviamo a seconda dei luoghi geografici, cui corrisponde un’analoga diversità dal punto di vista religioso, non

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