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Tocco pranico: e counseling bioenergetico
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Tocco pranico: e counseling bioenergetico
E-book364 pagine5 ore

Tocco pranico: e counseling bioenergetico

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Info su questo ebook

In termini antropologici, usare le mani per aiutare qualcuno è la più ordinaria e antica manifestazione di altruismo umano. Il tocco pranico® è uno di questi momenti. Ogni azione con le mani pone diversi tipi di interrogativi, quelli del tocco pranico® sono: esiste una comunicazione tra esseri umani senza contatto fisico? Quale processo avvia nella persona ricevente quel tocco? Pur concedendo che sia un'espressione tipica della nostra specie, l'efficacia del tocco può variare da persona a persona, così come varia la musicalità vocale e la perizia artigianale? Domande interessanti. Rispondere a esse comporta esplorazioni ad ampio spettro che vanno dalla fisica alla biologia, alla fisiologia e alle neuroscienze. Questo testo però non si limita a presentare solamente una teoria ma offre anche chiare indicazioni pratiche. Il "Metodo Papadia" ha lo scopo di rendere l'imposizione delle mani una tecnica nell'ambito del counseling di riprogrammazione bioenergetica e di offrire una formazione che mira a far scoprire e rafforzare le personali qualità del futuro operatore.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2015
ISBN9788827226391
Tocco pranico: e counseling bioenergetico
Autore

Mario Papadia

psicoterapeuta e counselor, studioso dei campi bioenergetici nelle interazioni umane significative, da trent'anni ha seguito personalmente, accompagnato e formato operatori del prana. Ha ideato il modello del tocco pranico® in una prospettiva evoluzionistica e di riprogrammazione bioenergetica mentale spirituale® nelle relazioni d'aiuto. È direttore dell'Accademia per la riprogrammazione, che ha sede a Roma, e cofondatore dell'Associazione nazionale dei counselor FAIP-Counseling, nella quale ha proposto le tematiche del counseling bioenergetico. Ha pubblicato: Sopravvivere all'evoluzione, La riprogrammazione esistenziale, Il counseling come riprogrammazione, Mediazione e riprogrammazione, Ricordati di rinascere, Psicologia politica del terrorismo.

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    Tocco pranico - Mario Papadia

    Mario Papadia

    Tocco pranico

    e counseling bioenergetico

    ISBN 978-88-272-2639-1

    © Copyright 2015 by Edizioni Mediterranee, Via Flaminia,

    109 – 00196 Roma - Versione digitale realizzata da Volume Edizioni S.r.l.

    Indice

    Introduzione

    1. La relazione d’aiuto in bioenergia

    2. L’uomo bioenergetico

    3. L’uomo e le sue mani

    4. Le relazioni bioenergetiche e la loro chiave

    5. L’energia: da cosa a relazione

    6. Un tortuoso cammino

    7. Antropologia e psicologia del guaritore

    8. Il tocco pranico nel counseling bioenergetico

    9. Il counseling bioenergetico

    10. La lettura bioenergetica

    11. La seduta pranica

    12. Effetti del trattamento con il tocco

    13. Prontuario dei trattamenti del tocco pranico

    14. Tecniche di supporto al counseling bioenergetico

    15. Dizionario dei termini più comuni

    Bibliografia

    Introduzione

    Quando, alla morte di Isaac Newton, gli eredi misero mano agli scritti lasciati dal grande scienziato, rimasero scandalizzati nello scoprire che molte di quelle sue carte trattavano di argomenti esoterici e teologici, e fecero di tutto per occultarle. L’impresa riuscì perfettamente fin quasi ai nostri giorni. Non si voleva svelare che la grande mente, autrice dei Principia mathematica, aveva dedicato una considerevole parte del proprio lavoro intellettuale a ragionare di cabala, profezie e di speculazioni teologiche antitrinitarie. Perciò nessuno si sognò di stampare quegli appunti, per non infangarne così la verginità scientifica e alterarne la presunta santità razionale. Questa manovra di falsificazione di una mente eccelsa è di fatto durata fino ai nostri giorni. Sostanzialmente ancora ignoriamo in quale fantascienza si sia addentrato Newton e non siamo ancora del tutto in grado di seguire i complessi percorsi intellettivi del suo pensiero. Ci si è accaniti a separare in compartimenti stagni le procedure della vita intellettiva newtoniana, come se non fosse stato un tutto unico, in cui poesia ed ebbrezze irrazionali o a-razionali sono maturate insieme con la matematica e le teorie scientifiche (ora in buona parte superate!). Negare quell’unico crogiolo significa precludersi la possibilità di esplorare le leggi che governano le grandi menti.

    Questa lunga premessa per affermare che la vicenda dei manoscritti di Newton mi dà una mano a giustificare a me stesso – lontano anni luce dagli splendori del genio scopritore della legge della gravità – e forse agli occhi dei benpensanti, la lunga passione per la disciplina dell’imposizione delle mani. L’interessamento all’azione dei guaritori e alla loro psicologia non ha mai ostacolato né i miei studi di antropologia evoluzionistica, né la mia elaborazione di un cognitivismo programmatico né infine la mia attività professionale di psicoterapeuta. Anzi, in qualche modo, il contatto con le persone propense a relazionarsi con l’imposizione delle mani (pranoterapia), ha arricchito il mio ambito professionale e questo, a sua volta, mi ha spinto a elaborare ipotesi nel campo. Ho dedicato perciò con grande interesse e molta soddisfazione tempo alla formazione degli operatori e alla scrittura di questo manuale.

    In termini antropologici va detto che usare le mani per aiutare qualcuno è la più ordinaria e antica manifestazione di altruismo umano. Insieme con tantissimi altri modi di operare, questa particolare forma d’impiego delle mani manifesta quanto poliedrico sia divenuto l’ambito della disponibilità degli arti superiori umani in seguito alla nostra erezione dal terreno.

    Il tocco pranicoè uno di questi momenti. Ogni azione con le mani pone diversi tipi di interrogativi, quelli del tocco pranico sono: esiste una comunicazione wireless tra umani, senza contatto fisico? Quale processo avvia nella persona ricevente quel tocco? Pur concedendo che sia un’espressione tipica della nostra specie, l’efficacia del tocco può variare da persona a persona, così come varia la musicalità vocale e la perizia artigianale? Domande interessanti. Rispondere a esse impegna in esplorazioni ad ampio spettro che vanno dalla fisica alla biologia, alla fisiologia e alle neuroscienze.

    In Italia questa pratica si è affermata impropriamente come pranoterapia, condannandola e relegandola al ruolo di stravaganza con pretesa medica e quindi limitandone assai la comprensione, oltre che la fruizione. È compito di questo libro divellere le sbarre delle diatribe mediche e portare il tocco pranico alla sua autentica identità, perché esso è molto oltre la terapia. Esploreremo quanto e in che misura sia una situazione di relazione in cui hanno importanza determinante l’empatia, la compassione e l’altruismo bioenergetici dell’operatore in una condizione pranica, che è uno stato alterato di coscienza guidato dalla respirazione profonda; l’altro termine della relazione, attraverso un continuum spaziotemporale, è un soggetto recettore afflitto da disagio bioenergetico e, al limite, esistenziale. Le mani del primo sfiorano a malapena il corpo del secondo o si pongono (sia in movimento che immobili) a variabile distanza da esso oppure sono poste a lieve contatto epidermico.

    Dovrò inoltre spiegare perché uso l’aggettivo pranico per definire questa pratica.

    Il fenomeno si evidenzia in varie forme sensoriali in ambedue i partecipanti all’azione del tocco, che comunque favorisce la riprogrammazione del benessere del ricevente il trattamento. L’operatore sperimenta una pluralità di sensazioni soggettive quali: alterazione del respiro, percezioni di caldo, freddo, formicolio alle mani, movimenti emotivi come compassione, bisogno di concentrazione, impulso imperativo di spostare le mani da una zona all’altra del corpo, visualizzazioni di organi ecc. La persona destinataria a sua volta vive una serie di alterazioni diverse secondo la tipologia personale: brividi, effluvi di calore o di fresco, afflati di angoscia o sensazioni di liberazione o di svuotamento. Al termine del trattamento operatore e persona hanno infine alcune sensazioni che talvolta sono opposte: l’uno di essere svuotato di vitalità, la seconda di esserne riempita; altre volte invece molto similari, di pienezza e benessere.

    Esplorerò e discuterò le diverse ipotesi di spiegazione del fenomeno, riservandomi di avanzarne una mia, attingendo agli studi di biofisica, biologia e psicologia.

    Non mi sottrarrò alla domanda classica: Operatore del prana si nasce o si diventa?. Persona capace di attivare il proprio prana si nasce come in qualsiasi disciplina umana in cui hanno importanza le tendenze innate; ma si diventa anche perché ogni tendenza va sviluppata, maturata, arricchita, corretta, con una serie di input che usiamo chiamare formazione. La capacità di attivare il prana di un’altra persona tramite l’imposizione delle mani sembra appartenere anche all’evoluzione personale del soggetto attraverso processi di consapevolezza fisiologica o psicologica o di ambedue. Vi sono persone in cui tale capacità può risultare bloccata, come avviene per qualsiasi altra dote umana, quando si verifichino condizioni ambientali non favorevoli. Ecco perché talvolta alcuni soggetti esplodono in tal senso in seguito a particolari eventi, a psicoterapie di carattere bioenergetico, alla pratica di discipline orientali o ad altro ancora.

    Il linguaggio, gli atteggiamenti, l’espressione emotiva dell’operatore del tocco pranico, in modo particolare del naturalmente dotato, danno talvolta l’impressione di un Io dominato dalla propria capacità. L’effetto di riprogrammazione bioenergetica attraverso l’imposizione delle mani viene talvolta vissuto come il frutto di un’azione che trascende la capacità e la comprensione umane.

    Questo libro non si limita a presentare una teoria ma offre anche una pratica, il Metodo Papadia, che ha lo scopo di rendere l’imposizione delle mani una tecnica di riprogrammazione bioenergetica e di offrire una formazione che mira a far scoprire e rafforzare le personali qualità bioenergetiche del futuro operatore. Ciò avviene attraverso tre passaggi:

    1) Il quadro di riferimento culturale , che comprende la visione del tocco pranico come campo bioenergetico e relazionale fra operatore e ricevente; la considerazione neuro-endocrina dei fenomeni all’interno della pratica; la centralità del sistema psico-neuro-endocrino-immunologico.

    2) Il lavoro pratico che consiste nel riappropriarsi delle tecniche tradizionali dell’imposizione delle mani e apprenderne di nuove fondate sulla psicosomatica e la comprensione delle tecniche istintive dell’operatore.

    3) Suggestioni relative alla persona dell’operatore che viene aiutato a scoprire le proprie personali qualità bioenergetiche; ad affinarsi nel decodificare le proprie sensazioni e quelle del ricevente, rendere più professionali le proprie azioni istintive nel trattamento e crescere come operatore della relazione d’aiuto per il benessere consapevole.

    Nel momento in cui l’operatore del prana pone le mani a breve distanza o a contatto del corpo del cliente, ha una percezione spesso indecifrabile ma comunque netta di una condizione alterata. Ne parlerò come risonanza di campo del suo sistema di ascolto rispetto al corrispondente sistema della persona ascoltata, quindi come effetto dell’interazione fra due campi personali, dell’operatore e della persona. Bisognerà esplorare in che modo la risonanza di campo informa l’operatore di quali siano le distorsioni di campo del richiedente e in che modo il primo si adegua al bisogno del secondo.

    Al termine di questo lavoro apparirà evidente che l’imposizione delle mani non è un procedimento magico, ma solo e soltanto un fatto umano, con i suoi pregi e i suoi limiti. E perciò può essere consapevolmente immesso quale parte costituente del più complesso intervento d’aiuto che è il counseling bioenergetico. Proprio perché il tocco pranico agisce anche influenzando la mente e le emozioni della persona, può essere parte di una più vasta metodologia d’aiuto che fornisca strumenti di equilibrio spirituale, chiarezza mentale, motivazione, determinazione per risolvere problemi.

    Giorno dopo giorno, nelle contingenze dell’esistenza, siamo sollecitati a fare scelte, a compiere distacchi e a conquistarci mete desiderate per le quali non sempre ci accorgiamo di avere a disposizione risorse mentali ed energetiche necessarie, senza con ciò ritenerci in una condizione psicopatologica; è in queste situazioni, allo scopo di realizzare i nostri bisogni, che il counseling bioenergetico diventa uno strumento agile ed efficace, grazie anche al contributo di questo libro.

    MARIO PAPADIA

    1. La relazione d’aiuto in bioenergia

    Il significato dell’espressione relazione d’aiutoè evidente di per sé: si tratta di una relazione, cioè di un rapporto tra esseri umani, il cui scopo consiste nel porre in atto un’«opera, materiale o morale, con cui s’interviene a levare un’altra persona (o anche un gruppo di persone, una famiglia, una popolazione, una nazione) da una difficoltà, da uno stato di disagio economico, da una situazione penosa o pericolosa (o, in senso più lieve e trattandosi di persona singola, ad alleviarle la fatica, lo sforzo).»¹ Per qualificare una relazione d’aiuto, perciò, è necessario che vi sia una persona o un gruppo di persone in una condizione di bisogno, che non riescono a risolvere con i propri mezzi, e qualcuno o taluni che si prestano intenzionalmente a soddisfare in tutto o in parte quel bisogno con un proprio intervento.

    Dedicherò questo capitolo a comprendere quali siano le qualità che rendono un essere umano disponibile a prestare una relazione d’aiuto. In mancanza di esse, qualsiasi altra azione, per quanto potente, stupefacente e brillante possa essere, può essere definita in qualsiasi modo, ma non certamente relazione d’aiuto. Solo dopo averle per quanto possibile descritte e comprese, allora sarà lecito chiedersi in che cosa consista una relazione d’aiuto bioenergetica.

    La nostra specie, come si sa, è denominata Homo sapiens e con questa espressione s’intende evidenziare la caratteristica che la contraddistingue rispetto a ogni altra vivente, l’intelligenza. Charles Darwin, è vero, ha dedicato molte pagine del suo Origine delle specie a dimostrare che l’evoluzione è un fluire biologico e psicologico continuo fra specie e specie. E tuttavia ogni specie animale ha particolarmente sviluppato alcune caratteristiche peculiari – fisiologiche e psicologiche – che in qualche modo la contraddistinguono e ne qualificano la diversità: ad esempio i delfini possiedono un sistema di comunicazione intraspecifico assai complesso costituito da squittii, ultrasuoni e sequenze assai variegate di evoluzioni; i bonobo, scimpanzé dalla taglia piuttosto piccola, similmente agli umani di alcune culture più libere, praticano il sesso ricreativo, anche omosessuale, per usufruire di scambi erotici funzionali al puro godimento e al rilassamento delle tensioni sociali; i serpenti sono dotati di un sistema sensoriale grazie al quale captano le radiazioni infrarosse emesse da altri animali sicché li catturano a colpo sicuro perché se ne sono fatta un’immagine termica.

    Da molte qualità è contraddistinta l’umana specie fra le quali emergono l’attitudine alla logica (che si svela nella scienza e nella filosofia), la dotazione immaginativa (da cui la letteratura e le arti visive e rappresentative) e la perizia tecnologica. Con il procedere dei millenni e lo sviluppo cerebrale, il nostro sistema fisiologico e i nostri bisogni hanno assunto sempre più un aspetto culturale e relazionale. La riproduzione, ad esempio, si è ampliata oltre i confini strettamente sessuali, assumendo forme mentali e spirituali, sicché riprodursi è divenuto anche creare legami d’amore e poesia, tramandare la propria realtà economica, sociale e culturale; il legame fra appartenenti allo stesso gruppo genetico si è evoluto in sostegno solidale, comunità, stato, assicurazione, pensione, comunità di idee ecc.; la competizione territoriale in agone politico, concorrenza economica, battaglia culturale, spinta missionaria delle religioni ecc.: «Mentre i primati non umani hanno una qualche comprensione delle relazioni familiari, gli umani assegnano ruoli sociali come sposo e genitore, riconosciuti da tutti e che comportano l’obbligo sociale e giuridico di cooperare in modi precisi – pena la certezza di una sanzione.»² Tuttavia, se l’impulso primordiale a stare insieme e il profondo piacere dell’appartenenza si manifestano spontaneamente verso il proprio gruppo, si rafforza anche la contropartita dell’attitudine all’ostilità verso gli estranei che si tende a considerare pericolosi nella competizione all’accaparramento delle risorse. Quando un estraneo supera, anche involontariamente, il confine del loro territorio gli appartenenti al gruppo diventano ostili. Si sa che alla trasformazione e al superamento di questa propensione degli umani si sono dedicati molti maestri e profeti nel corso della nostra evoluzione culturale e spirituale, promuovendo sentimenti e ragioni legati all’ altruismo e alla compassione. Senza di essi, hanno affermato, l’umanità sarebbe una specie senz’anima

    Sono appunto l’ altruismo e la compassione le qualità – insieme con la razionalità e l’immaginazione – che contraddistinguono la nostra specie e rendono autenticamente tale una relazione d’aiuto. Andrebbe aggiunta anche l’empatia, ma su questa dovrò fare un discorso a parte per certe sue caratteristiche intrinseche, e non solo perché gli studi neuroscientifici sembrano confermare che la condividiamo con gli scimpanzé.

    L’altruismo biologico oltre l’ambito parentale

    La tendenza alla cooperazione, in quanto risultato di processi evolutivi, è da considerarsi innata e connaturata negli umani (e in diverse specie animali). I gruppi caratterizzati da individui altruistici avrebbero avuto maggiori capacità di sopravvivenza e più numerose opportunità di far prevalere il loro pool genico all’interno dell’ambito parentale e quindi sarebbero prevalsi a svantaggio dei gruppi formati da egoisti.⁴ Senza cooperazione non sarebbero state possibili alcune strategie di sopravvivenza molto efficaci, come ad esempio la divisione del lavoro tra maschi e femmine, oppure la mutualità delle tribù, o importanti impegni collettivi quali la caccia, la predazione, la difesa o l’assalto negli scontri con avversari: gusti e nemici in comune possono unire in un patto di comune interesse.

    Nel corso della selezione naturale la cooperazione nacque in ambito parentale e più ampiamente consanguineo. I geni comuni o limitrofi hanno predisposto gli individui a riconoscersi come consanguinei leggendo reciprocamente, anche se inconsapevolmente, i segnali estetici, percependo gli odori e riconoscendo le similitudini comportamentali. Il punto di partenza erano (e sono) gli «atti primitivi che manifestano legami particolarmente prossimi: le coccole di una madre a un figlio, l’abbraccio di due innamorati, la stretta di mano e l’abbraccio fra amici, lo scambio di fluidi corporei nell’allattamento e nel sesso, la condivisione del cibo all’interno di una famiglia e tra amici intimi. […] (Di tutto ciò) una metafora particolarmente potente è: solidarietà è essere fatti della stessa carne⁵ Da tale comunanza è nato un patrimonio cognitivo che si è stabilizzato nel nostro sistema neuroendocrino come patrimonio emozionale e nella mente come insieme di idee.

    Da godimento e sicurezza derivanti dalla vicinanza dei consanguinei la nostra struttura neuropsichica si è andata sempre più caratterizzando come un complesso di propensioni a legami intraspecifici che si manifestano in un’ampia gamma di sentimenti e comportamenti: condivisione di interessi e di costumi, identificazioni emotive e cognitive, valorizzazione delle appartenenze sociali ecc. Il vincolo parentale ha contribuito con la sua atmosfera di reciproca fiducia a facilitare l’apprendimento, il comportamento cooperativo e la promozione del benessere del gruppo. La ricerca ha dimostrato che le persone tendono a stringere amicizia con soggetti che condividono alcuni marcatori genetici e sembrerebbe quindi che i geni tendano a conformare il nostro ambiente sociale, che a sua volta influisce sul nostro comportamento.⁶ Il soddisfacimento del bisogno del legame reciproco spinge a cercare l’intimità e la vicinanza dei consanguinei, degli omologhi e degli amici, attiva la disposizione alla collaborazione per acquisire risorse, istilla un senso di protezione e comporta l’attivazione della serotonina. Il suo fallimento invece causa stress, frustrazione, rabbia, depressione e attivazione noradrenergica.

    Nel mio lavoro Sopravvivere all’evoluzione ho scritto che « La cultura non esisterebbe senza le relazioni sociali e queste a loro volta non esisterebbero senza l’altruismo. Come mai l’altruismo anche nei legami non parentali è risultato vincente nella selezione, prima biologica e poi culturale? Attività e comportamenti che emarginavano e anche escludevano dalla comunità coloro che non accettavano la cooperazione e lo scambio di beni, potrebbero aver esercitato una selezione contro i geni connessi a comportamenti antisociali, e favorito quelli che predisponevano a un comportamento cooperativo. Il tutto avrebbe portato a una coevoluzione della propensione umana a comportamenti di scambio e di cooperazione sociale. I circuiti cerebrali che presiedono alla regolazione degli istinti di sopravvivenza e del benessere individuali si sono evoluti inscindibilmente con la socialità, sicché l’Io si è affermato all’interno del noi: figli, parenti, compagni. Il cervello riconosce queste entità come distinte dal soggetto, ma in collegamento con i circuiti preposti al legame di reciproco attaccamento, in modo da generare una specie di ambito della meità allargata (il mio ambito sociale come parte di me), di cui ci prendiamo cura in modo analogo all’istinto di cura che riserviamo a noi stessi.»

    Il termine altruismo implica una certa ambiguità di significato. In biologiaè un comportamento mutualistico con cui un organismo beneficia un altro di conseguenza beneficiando se stesso, come l’insetto che impollina la pianta, l’uccello che mangia le zecche sul dorso di un mammifero, o perfino i batteri ospiti dell’intestino crasso umano che campano servendo l’organismo con un lavoro di abbattimento chimico dei resti del processo digestivo. Nel contesto antropico, invece, in genere si intende la propensione di qualcuno verso un comportamento in cui agisce a favore di qualcun altro senza attendere un ritorno, né immediato né procrastinato, anche se ciò comportasse un costo, con la disposizione a sostenere il costo medesimo, e con la motivazione di agire per alleviare la condizione di bisogno altrui.

    Tuttavia per molti aspetti l’altruismo biologico e quello antropico sono reciprocamente compatibili. Se la selezione naturale ha favorito forme di altruismo, è perché la reciprocità dei benefici si verificherà a lungo termine in chiave genetica, senza un’attesa di benessere immediato. È quanto avviene, ad esempio, nell’accudimento materno verso la prole infante. Il senso di gratificazione vissuto dalla madre in questo suo operare, anche se in determinate circostanze molto oneroso, non deriva dall’aspettativa di una ricompensa, ma puramente dal soddisfacimento del bisogno di accudire la propria prole. Tale gratificazione scaturisce direttamente dalla programmazione del cervello alla cura della prole che avvia un processo neuroendocrino endorfinico. È tale sensazione di benessere che rafforza un comportamento a vantaggio della specie, non l’attesa di una ricompensa futura per il proprio operato.

    Tuttavia sia l’altruismo biologico che quello antropico non esauriscono il significato della parola. Essi possono non implicare nel soggetto altruista una coscienza di ciò che può sentire il soggetto destinatario della sua azione, ed esplicitarsi quindi esclusivamente per la spinta di una programmazione genetica.⁸ È necessario perciò soffermarsi su un terzo tipo di altruismo che qualificherò come psicologico, anche se l’aggettivo non è del tutto soddisfacente; forse sarebbe più appropriato parlare di altruismo consapevole.

    Senza empatia non c’è altruismo consapevole

    Nella sua ormai famosissima ricerca, il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e il suo gruppo di lavoro hanno dimostrato che le aggregazioni neuronali cosiddette neuroni specchio concorrono al rafforzamento dei legami parentali e determinano l’apprendimento del linguaggio e l’imitazione comportamentale.⁹ La stretta comunanza territoriale e comportamentale – dicono in sostanza questi ricercatori – ha favorito negli umani modificazioni del cervello per cui si è acuita la predisposizione a valutare, prevedere e sentire ciò che altri umani vogliono e sentono, insomma a empatizzare, sicché i primi si rappresentano i secondi come soggetti simili a sé nel provare le medesime sensazioni e intenzioni.

    Ma anche la parola empatiaè ambigua ed è usata in diversi significati. Talvolta con questa parola si intende la sorgente del cosiddetto contagio emotivo, che si verifica quando si sente l’impulso a sbadigliare solo perché qualcuno sta sbadigliando con grande vigoria e soddisfazione davanti a noi, oppure quando la mamma apre la propria bocca mentre avvicina alla bocca del bambino il cucchiaio con l’omogeneizzato, inconsciamente suggestionandolo all’imitazione.

    Altro significato con cui si usa empatiaè quello di assunzione di prospettiva: qualcuno si cala talmente nei panni di un altro individuo da adottare il suo punto di vista e immaginare e sentire com’è essere lui. La si potrebbe definire come la capacità di trasferirsi nella posizione di un’altra persona, di un animale o perfino di un oggetto, e riuscire a sentire la sensazione che si prova nell’essere là. In qualche modo, senza un particolare procedimento se non la percezione, si può giungere a ricostruire nella propria immaginazione l’esperienza di quell’angolo di visuale, senza alcuna particolare valutazione di essa.

    Nella psicologia scientifica per designare l’ assunzione di prospettiva si usano diverse formule, accademicamente ineccepibili, ma limitate nella loro portata concettuale, perché sembrano emarginare gli aspetti sensoriali ed emotivi: lettura della mente, teoria della mente, mentalizzazione con le quali s’intende la capacità di intuire che cosa un’altra persona sta pensando o sentendo in base alle sue espressioni, ai suoi comportamenti o alle circostanze. Tale capacità è compromessa nell’autismo e nella psicopatia, quest’ultima soprattutto in riferimento alle emozioni. Grazie alla lettura della mente, per esempio, siamo in grado di comprendere al volo, anche se una persona non è riuscita a spiegarlo sufficientemente, che cosa può aver provato quando, al momento di pagare alla cassa del supermercato, si è accorta di non avere più il suo portafoglio. La lettura della mente non richiede di aver fatto la stessa esperienza dell’altro, ma solo di comprenderne la condizione.

    Provare empatia in una data situazione, inclina necessariamente a seguirla? L’empatia può essere rifiutata? Si dice che i poliziotti riservisti tedeschi quando per la prima volta spararono agli ebrei a distanza ravvicinata ebbero un violento senso di nausea. L’effetto sarebbe stato un rinculo dell’empatia in persone non ideologizzate nell’odio nazista.¹⁰ Altri dicono che è un mito. Ma vero o no, ben presto si adattarono.¹¹ In realtà la propaganda a tappeto nazista e la notevole tradizione antisemita della Germania avevano preparato quelle persone a compiere il loro lavoro di giustizieri attraverso racconti, vignette, pellicole, articoli di giornali che descrivevano gli ebrei come una specie differente, umani repellenti simili a insetti. In tal modo nell’immaginario della popolazione tedesca ne conseguì uno stato d’animo dis-empatico che la dispose se non altro all’indifferenza verso il loro sterminio. In sostanza è notevole la rilevanza delle convinzioni personali nell’istaurarsi o non dell’empatia.

    L’assunzione di prospettiva, se vissuta intensamente e senza filtro di giudizio o di sovrapposizione dei propri sentimenti, permette all’empatizzante di visualizzare il mondo quale appare dal punto d’osservazione di un altro e perfino di intuire ciò che esso sta pensando e sentendo, si tratti di qualcosa di buono o cattivo, di felice o triste. Contemporaneamente è del tutto irrilevante, rispetto all’assunzione di prospettiva, se per l’empatizzante l’esperienza dell’altro sia piacevole o penosa o indifferente.¹² Avrò modo, nei capitoli seguenti, di illustrare quanto l’operatore del tocco pranico sia aperto a questo tipo di percezioni, nelle sensazioni corporee, nelle emozioni e perfino nelle figurazioni intellettive, al punto che si potrebbe quasi affermare che è il segno distintivo della sua sintonia bioenergetica. Similarmente, gli psicoterapeuti usano questo termine per esprimere un atteggiamento che combina insieme la ricostruzione immaginativa, la valutazione del fatto che la persona in questione soffre e che questa sofferenza è un male. Heinz Kohut con particolare enfasi scrive che «l’essenza della psicoanalisi risiede nell’immersione empatica protratta dell’osservatore scientifico nell’osservato, con lo scopo di raccogliere dati e spiegarli.»¹³

    L’empatia, però, non basta da sola, tanto meno nella relazione d’aiuto. La lettura della mente può essere anche un’arma letale. Dalla cronaca nera e dai casi clinici della criminologia abbiamo appreso che gli psicopatici empatici hanno tanto talento che se ne avvantaggiano per i loro comportamenti criminali: leggono gli stati emotivi altrui per meglio manipolarli. Insomma può essere empatica anche una persona malevola che immagina la situazione di un altro, e prova piacere alle sue pene. Il sadismo verso le persone e gli animali è il caso più noto in cui un soggetto può essere pienamente consapevole dello stato mentale di altre creature, ne approfitta, ma non vive per nulla nei loro confronti un sentimento che gli impedisca di agire in quel modo.

    Infine va segnalata un’ulteriore sfumatura del concetto di empatia, ed è quando designa uno stato d’animo in cui il benessere di un’altra persona è talmente importante per noi da indurci ad aiutarla senza bisogno di nessuna particolare motivazione se non lo stesso stato d’animo. In tal caso si intende qualcosa di simile a un sentire simpatetico, vale a dire lo stato d’animo di qualcuno che «si accorda perfettamente al modo di pensare e di sentire, al carattere e alle inclinazioni di una persona, o alla natura e al carattere di una cosa.»¹⁴ In questo senso in realtà si sta parlando di una condizione comunitaria in cui regna sintonia e magari collaborazione reciproca per un progetto avente un obiettivo condiviso. A questa condizione sintonica si mira in certi workshop sulla risoluzione dei conflitti: si mettono insieme, in ambienti accoglienti, gli avversari, sicché possano conoscersi a vicenda come individui. Si assegna poi l’obiettivo di capire come risolvere il conflitto. Per facilitare una condizione simpatetica si può ricorrere a esercizi in cui i partecipanti assumono ognuno il punto di vista dell’altro.¹⁵

    Senza compassione non basta l’empatia e anche l’altruismo si svuota

    Che cos’è che rende possibile la transizione dell’empatia nella simpateticità? Dopo quanto scritto precedentemente sull’ambiguità del concetto di empatia, è necessario focalizzare il collegamento che permette di sottrarsi a essa connettendo l’empatia con l’altruismo,

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