I gabbiani non volano da soli
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Anteprima del libro
I gabbiani non volano da soli - Giuliano Micelli
Aroma di caffè
La baciava lungo il collo sulla candida pelle, ormai chiara per aver perso l’abbronzatura, calda del tepore appreso sotto le lenzuola, odorosa di corpi stretti dentro quel giaciglio di amanti. Fremeva Eleonora in tutto il corpo, mentre Peter le baciava le guance e poi le succhiava dolcemente il morbido lobo. Difficile per i due svincolarsi dall’abbraccio che li serrava, tenendoli sospesi in uno stato felice fuori dalla realtà, mentre i pensieri correvano sui ricordi di ieri e già inseguivano i propositi del domani.
Era capitato per caso quell’incontro, sì proprio per caso. Forse tutti e due lo cercavano, seppure senza troppa convinzione: poteva essere un’occasione per dimenticare una storia finita male per Eleonora, e per Peter un modo per ravvivare un momento della propria vita non troppo allegro.
Quando i loro sguardi si incrociavano, pareva che chiedessero come mai e perché si trovassero lì. Cosa li aveva attratti e condotti in quella soffitta, che Peter usava come studio e abitazione? Nel largo letto formato King si sentivano ormai intimi e le curiosità sorgevano spontanee.
«Ho notato subito che mi guardavi. Ho capito subito che eri preso da me. Mi sono chiesta perché, e subito ho provato una grande confusione.»
«Mi ha colpito come guardavi il mare e sorseggiavi il caffè dalla tazzina che avevi in una mano, mentre con l’altra spingevi disinvolta la bici. Mi sembravi incantata.»
Eleonora aveva preso l’abitudine di fare ogni mattina una lunga passeggiata sul lungomare di Nezio per respirare l’aria fresca e profumata di alghe. Odore tipico di quel tratto di mare per la presenza sui fondali dell’attinia, un’alga che cresce bene in quelle acque e che nel periodo di fine estate, in ottobre inoltrato, va in putrefazione e rilascia quel caratteristico odore. Per i nativi un profumo straordinario, introvabile altrove.
Quel profumo la riportava all’adolescenza e alla spensierata giovinezza, quando con le amiche veniva a bagnarsi qui, dove aveva consumato i suoi primi amori.
Nelle terse giornate di ottobre il mare azzurro e il sole caldo, le rare nuvole sospese e i gabbiani, che agili ed eleganti volteggiano all’orizzonte, creano un’atmosfera magica.
Ogni mattina ripercorreva quel tragitto e ritrovava quelle sensazioni che la lunga assenza le aveva fatto dimenticare del tutto.
Se ne andava sulla sua vecchia graziella
, conservata per anni nella cantina della casa paterna, lungo la pista ciclabile che si snodava per tutto il lungomare della città, fiera del fatto che Nezio offrisse un lungomare così bello, e per giunta ciclabile.
Era contenta di incontrare vecchie conoscenze, con cui si intratteneva a parlare dei momenti passati. Era felice di consumare insieme un caffè e di consumare coi ricordi allegre risate. Ritrovava ora questo ora quel bar, dove era solita fermarsi con amici le sere d’estate, e poi il chiosco, dove il gelato al limone era la meraviglia.
Seduta al bar del porto, quella mattina, poteva vedere il mare e ammirare il Duomo, un edificio che sempre le era piaciuto per lo stile architettonico e per la storia. Si commuoveva quasi a guardarlo, perché le tornavano in mente le immagini della madre, di questa chiesa particolarmente devota, e di lei bambina che partecipavano alla funzione della sera.
Fu attratta dall’edificio, che risplendeva di strana luce al sole della calda giornata e decise di avviarsi sul lungomare per meglio ammirarlo. Prese la tazzina di caffè fumante, che le era stato servito sul tavolino, e si diresse sul lungomare verso il Duomo.
Lentamente spingeva la bici con una mano, mentre con l’altra sorseggiava il caffè, e guardava incantata il mare. Veniva inebriata e trasportata dalla fragranza che la mistura dell’aroma del caffè col profumo di alghe produceva, e che le risaliva attraverso le narici fin nel cervello, diffondendosi poi in tutti suoi sensi, che lei avvertiva scossi da un indefinibile piacere.
«Hai notato tutto questo?» esclamò Eleonora sorpresa e sulla difensiva, quasi l’avesse spiata nei suoi pensieri più intimi.
«È stata l’espressione sul tuo volto che mi ha incuriosito: l’incanto che vi leggevo e che ho attribuito al colore e al profumo del mare, e la voluttà che traevi dall’aroma del caffè e si trasmetteva di sicuro ai tuoi pensieri.»
«Detto così mi sento spogliata della mia intimità. Mi sento più nuda di quanto non lo sia già con te sotto queste lenzuola.»
«In quel momento ho provato un forte desiderio di te.»
«Anche per me è successa la stessa cosa» disse Eleonora col tono di chi vuol confessare una trasgressione, «mi sono sentita investita da un’onda che sconvolgeva i miei pensieri.»
«Ho capito subito che volevo fare l’amore con te.»
«E io ho capito che non potevo resistere.»
Mentre camminava assorta, Eleonora non si era accorta che un tale le veniva incontro e che non ormai gli stava addosso, a Peter, e che non poteva più evitarlo. Era Peter che rapito dalla figura di quella bella e interessante sconosciuta non scansò la bici che gli rovinava addosso. La tazzina di caffè le scivolò di mano e si ritrovò a contatto con l’uomo nel tentativo di acchiapparla con l’altra; le sfuggì anche la bici e il caffè inevitabilmente macchiò la sua camicetta candida. Peter ebbe la prontezza di reggerla giusto in tempo per evitare che il suo viso sbattesse sulla faccia di lei, e accolse nelle braccia il suo corpo caldo e il suo respiro affannoso, come una leggera carezza.
I loro visi si fecero rossi, quando furono vicini, troppo vicini per non avvertire nell’alito che si confondeva i sensi che si risvegliavano istintivamente e venivano scossi dal desiderio.
«Sai, se tra due persone non c’è chimica non ci si può far niente.»
«Ma se c’è non è possibile sottrarsi ai suoi effetti» continuò Peter, baciandola sulla fronte e poi sulla bocca.
«La chimica…» lei sospirò.
Eleonora sentì nuovamente il richiamo