Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Bolle di sapone
Bolle di sapone
Bolle di sapone
E-book253 pagine3 ore

Bolle di sapone

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Genere sentimentale, giovanile, psicologico

Mauro è un ragazzo con grossi problemi comportamentali, con la passione per la musica e per la Fisica, accudito da una mamma iperprotettiva che diviene ancor più ossessiva quando il padre li abbandona. Nel momento più bello per un adolescente Mauro si chiude in se stesso e vive di fantasia, anche quando gli amici frequentano l'altro sesso. Ma il ragazzo, suo malgrato, si trova sempre coinvolto in situazioni dove l'amore lo inebria e lo rapisce, esaltando ancor di più i problemi interni che lo travagliano in continuazione. Tutto ciò lo confonde, gettandolo sempre più in un profondo risentimento, convincendolo alla fine a dedicarsi allo studio e a lasciar perdere i sentimenti, sicuro di non poter donare, e riceve, amore. Ma non tutto è scontato nella vita.
LinguaItaliano
Data di uscita25 lug 2014
ISBN9786050314830
Bolle di sapone

Leggi altro di Cosimo Vitiello

Correlato a Bolle di sapone

Ebook correlati

Narrativa psicologica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Bolle di sapone

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Bolle di sapone - Cosimo Vitiello

    significa

    "Esistono degli angoletti piuttosto strani. In quei posti è come se non facesse capolino lo stesso sole che brilla per tutti, ma ne facesse capolino un altro, nuovo, come fosse stato richiesto apposta per quegli angoli, e brilla su tutto con un’altra luce, particolare.

    In quegli angoli è come se si vivesse una vita completamente diversa, per nulla simile a quella che ferve intorno a noi, una vita come potrebbe essere in un regno ai confini del mondo. In quegli angoli vivono strane persone: i sognatori!"

    …scriveva Dostoevskij

    Prologo

    Siamo nel 1997, fine del quinto anno scolastico. Fuori la scuola, tra il poderoso portone di legno scuro e l’incrocio della via che con garbo scende fino alla fermata dei pullman, si allarga un ampio spazio interamente occupato da ragazzi che schiamazzano sul basolato lucido. Gli antichi palazzi di inizio secolo che incorniciano la piazza lasciano brillare il sole riflesso sulle vetrate, tenute chiuse per tener confinato quel ribollire di vita che nell’ultimo giorno di scuola era ancor più vivace del solito.

    La storia comincia da questo momento, da quando tutto ebbe inizio, da quando cioè il sognatore introverso finalmente si desta dalla sua apatia di bambino, i sensi si acutizzano, rendono palese le bellezze e le cattiverie della vita. Antipodi necessari l’un l’altro, ma non per questo si mitigano i loro effetti.

    Il momento coincide con la fine del diploma, per il ragazzo, il punto dove i suoi sogni si avverano ostacolati però da un grande pericolo: la scoperta di possedere un cuore che può battere per un’altra persona.

    Carlo Laberino

    Mi sono incantato a guardare una del quarto, una favola, non l’avevo mai vista, stretta in un jeans scolorito da far paura. Per un attimo ho perso di vista Mauro, ma solo un attimo. Quando mi sono voltato di lui nessuna traccia: immaginai come l’avrebbe presa. Tanto valeva allora lustrarmi ancora gli occhi con la tipa tutta sorriso. Si era fermata a chiacchierare con altre due ragazze, ma a me interessava solo lei. Aveva dei capelli bellissimi, castano chiari, lunghi, si muovevano docili nella leggera brezza che risaliva costante su per la strada principale. Pareva risucchiare tutta la luce di quella splendida giornata.

    La calca dei ragazzi scemò velocemente e il gruppo di ragazze si ritrovò in mezzo alla strada, incurante del resto del mondo. La mia bella continuava a discutere sorridendo a occhi lucidi, nascondendo i denti dietro le mani adorne. A dirla tutta, anche io me ne stavo come uno stupido per strada, impalato a fissarla, tanto da non accorgermi di Mauro che mi chiamava. Quando mi agitò una mano davanti agli occhi a momenti saltavo.

    «Che fine hai fatto» dissi, tentando di giocare d’anticipo, lui continuava a sistemarsi il correggiolo della borsa sulle spalle. Con un occhio tenevo sotto mira il gruppo che ora si era spostato sul marciapiede.

    «Mi ha fermato l’aiutante di elettronica. Non ci crederai Carlo: mi ha fatto una proposta per affiancarlo in misure. C’è un posto vacante, così si è giustificato.»

    «Ma tu gli hai detto che andrai all’università?»

    «Certo. Ha risposto che potevo farlo ugualmente, tanto misure elettriche è solo il giovedì pomeriggio.»

    «E tu?»

    «E io niente, gli ho fischiato. Ho intenzione di non perdere nemmeno un giorno di lezione all’università, e di pomeriggio, se non sbaglio, si fa pratica in laboratorio. Non esiste proprio. Non ho nessuna voglia di andare avanti e indietro tra Napoli, Caserta e qui. Chissà che gli dice il cervello.»

    «Secondo me quel cretino si è fissato per te.»

    «Ancora con questa storia… Ma chi stai guardando?» Mauro si accorse che scrutavo oltre la sua spalla e si volse nella stessa direzione.

    Io feci un cenno con la testa.

    «La vedi quella coi capelli lunghi? con il pantalone attillato. È una del quarto. Mi piace proprio.»

    «Ah» si limitò a rispondere. Come se stesse osservando una mucca che pascola. «La conosci?» chiese.

    «Stavo a parlare qui con te se la conoscevo» dissi con tono ostentato. Per un breve istante mi allontanai con la mente.

    «Bell’amico che sei» rispose lui. Poi mi sbalordì dicendo: «E comunque non è del quarto, sta al linguistico. Vieni scemo, te la presento. Federica!»

    L’incontro

    L’estate aveva appena fatto la sua comparsa ma il sole mordeva come se fosse ferragosto. In alto una nuvola infiammata macchiava di bianco la volta colorata di un azzurro pallido, avanzava placida con rassicurante monotonia, i palazzoni alti a delimitare il Corso rimandavano il riflesso del caldo pomeridiano. I due ragazzi poltrivano seduti all’ombra di un bar, in attesa che arrivasse l’ora dell’appuntamento, il primo. Sul tavolino, due bicchieri con ancora le tracce della bibita rinfrescante, unico rimedio contro quel pomeriggio asciutto e soffocante. L’ultimo anno di scuola ormai lo avevano abbandonato alle spalle, ma l’ansia provata per l’esame statale faceva ancora parte dei ricordi vividi. Nei giorni seguenti una leggerezza d’anima li aveva avvolti, suadente, liberandoli da un macigno divenuto negli ultimi tempi sempre più gravoso. Ora godevano di quel momento di pace, dell’occhio del ciclone, dell’attimo di stasi e di totale non curanza che di solito segue chi compie un grande sforzo, consci dell’effimera situazione. Ma la mente giovanile non poteva occuparsi del domani, forse Mauro volgeva distrattamente lo sguardo al futuro, ma solo per brevissimi istanti: null’altro li interessava che l’appuntamento.

    Corso Trieste stava iniziando ad affollarsi, ogni tanto passava qualche auto sputando fumo e rumoreggiando sulle basole sconnesse. Il San Marco mostrava i cartelli di Contact, con lo sguardo della Foster perso nell’infinito che aveva davanti. A turno i ragazzi scrutavano in direzione dell’Arco di Trionfo alla ricerca di un indizio, di una figura esile conosciuta che si avvicinasse lungo la strada maestra, invano. Poi consultavano con nervosismo l’orologio, scambiavano un fugace sguardo tra loro, infine agitavano il bicchiere ormai vuoto sospirando.

    Carlo fremeva d’impazienza per l’incontro, aveva atteso quel momento per molto tempo, con molte difficoltà aveva superato il periodo degli esami avendo la mente fuggevole al ricordo di quei meravigliosi capelli al vento. Mauro impaziente anche lui ma per altri motivi, meno nobili dell’amico, che lo vedevano costretto a far niente grazie a una promessa fatta, e della quale se ne stava pentendo con tutto il cuore. Il ragazzo preferiva starsene di gran lunga al fresco in casa della nonna a leggere, anzi rileggere, le vicende del giovane Gray. Aveva ripreso in mano un libro di Wilde dopo la repulsione del periodo scolastico e non vedeva l’ora di ficcare di nuovo il naso tra le pagine.

    «Mi hai detto che abita dalle parti del Rione Vanvitelli» disse Carlo. «Dovrebbe arrivare dall’Arco» fissò di nuovo l’orologio, accertandosi che funzionasse a dovere. «Mi sa che la tua amica ci ha dato buca.»

    «Semmai a te ha dato buca» precisò Mauro. «L’appuntamento è per conoscere te. Io la conosco da una vita. Mi stavo giusto chiedendo che ci faccio qua. Gli ho parlato di te come mi hai chiesto, e ti ho organizzato l’incontro. Ma io che ci sto a fare qua?»

    «E se non si ricorda di me? Ci siamo visti solo quella volta, fuori la scuola. Può darsi che non ricordi più la mia faccia. No, tu devi stare con me.» Carlo parlava con occhi vigili e svelti, osservando con interesse tutte le ragazze che passavano davanti ai tavolini, con l’intento di riconoscere il sorriso sgargiante che tanto lo aveva colpito. «Quando arriva smammi.»

    Mauro lo scrutò accigliato, non lo aveva mai visto così interessato a una ragazza. Federica la conosceva fin dalle elementari, conosceva bene i suoi genitori e a sua volta i genitori di lei conoscevano lui. Con tutto il bene che voleva alla ragazza la riteneva una con poco sale in zucca, una bella bambola di compagnia capace di ridere a ogni scemenza. Quindi proprio non riusciva a capire.

    «Si ricorda di te, non preoccuparti» disse, conoscendo bene i retroscena. «Ma come ti ho già detto in precedenza, non ti fissare troppo per l’aspetto esteriore…»

    «E su cosa dovrei fissarmi?» lo interruppe. L’amico si rizzò sulla sedia allungando lo sguardo verso l’altro capo del Corso; un’ultima speranza. «E poi, quando una ti piace, ti piace e basta. Mica puoi stare lì a domandarti il motivo. Secondo me ti fai troppe seghe al cervello. Come fai tu, non ne troverai mai una che ti vada bene. Sempre a trovare difetti…»

    «Quali difetti?»

    Una voce si intromise alle loro spalle: entrambi i ragazzi si voltarono di scatto.

    Proprio in mezzo ai tavolini che occupavano una buona parte del marciapiede, ferme, diritte, come scoiattoli in ascolto, due fanciulle sorridenti li osservavano con fare interrogatorio, con il sole che brillava nei loro occhi e i denti bianchi in contrasto sulla pelle scura. Rimasero per alcuni istanti a mirarle dal basso della loro posizione, così sorpresi dell’apparizione che davano l’impressione di non essere stati seduti quasi mezz’ora ad aspettarle, ma di stare lì al caldo solo per il gusto di una chiacchierata.

    Mauro fu il primo ad alzarsi, scostò la sedia impacciato e salutò con un bacio sulla guancia l’amica d’infanzia, poi presentò per la seconda volta Carlo a Federica. I due scambiarono una stretta di mano e uno sguardo che fermò il tempo per alcuni secondi, durante i quali il povero Mauro si sentì estraniato. Allora volse lo sguardo per la prima volta sulla ragazza al fianco di Federica: occhi profondi e scuri, capelli corvini che si gonfiavano fino alle spalle. Indossava una camicetta bianca, che metteva in risalto la sua prosperosità, intonata con la faccia florida e le guance rosee. Il naso piccolo si abbassava con grazia in punta, donandole quel tocco d’imperfezione che l’attento studio di Mauro non esitò a definire divino. Il ragazzo rimase pietrificato, la sua congenita timidezza lo costrinse ad abbassare lo sguardo anche se desiderava inchiodarlo negli occhi di lei. Fissò l’immagine nella mente continuando a rivedere la bellezza che irradiava dalla sua figura, l’immaginazione le donò ancora più luminosità vedendola sorridere con quegli occhi scuri e brillanti.

    Mauro osservò distratto le presentazioni tra Carlo e l’altra ragazza, uno scambio di mani veloce e senza calore. Non ebbe difficoltà a intuire che doveva fare qualcosa, si stava comportando da stupido e avrebbe fatto una pessima figura. Allora rimediò alzando il viso su quello di Federica, sulla quale indugiò senza timore.

    L’amica, che lo conosceva altrettanto bene, lo prese sotto il braccio dicendo: «Lei è Olga. Olga, questo è il mio amico Mauro.»

    Olga Rineri

    Quando Federica mi parlò di Carlo non immaginavo fosse così carino. Forse un po’ troppo magro, ma gli occhi… Un color marrone così intenso non lo avevo mai visto. Comunque le fortune capitano tutte a lei, e lui aveva occhi solo per Federica. Quando mi porse la mano, salutava me ma sorrideva alla mia amica.

    Il contatto con il suo corpo mi procurò un brivido lungo la schiena, me ne innamorai subito, rapì il mio cuore così velocemente che in quel momento provai odio per tutte le cose sulle quali posava lo sguardo. Tranne me, s’intende. Mi colpì molto il suo sorriso, trascinava nella felicità pure gli occhi. In pratica sorrideva tutto il viso, e trasportò anche me in quel momento magico, che non c’entravo niente. Vestiva bene, indossava un Levi Strauss e una polo attillata che delineavano le forme affilate, non potei fare a meno di fissare i suoi bicipiti gonfi per la stretta di mano.

    In che situazione mi stavo cacciando.

    La sfortuna poi quel giorno mi si era accanita contro. Carlo stava con un suo amico, un tipo insipido, ancora più secco di lui, con quei capelli lunghi e unti pareva uscito da una sauna. Il massimo fu quando Federica me lo presentò, mi fissò con la bava alla bocca attraverso le Lozza appannate e mi tese una mano molliccia e sudata: da nausea. Mi disse il suo nome incespicando sulle parole, a stento riuscii a capirlo: Mauro, blaterò. Avevo promesso di rimanere con lei per tutto il tempo, quindi dovetti fare buon viso, ricambiare il saluto e fingere un certo interesse per la cosa, ma il mio pensiero fuggì subito in direzione di Carlo.

    «Pensavamo arrivaste da quella parte.» L’amore della mia vita indicò via Unità Italiana. Feci finta di guardare in quella direzione ma in realtà mi trastullai ammirando quel braccio teso e così forte. Io feci per rispondere ma mi anticipò quella odiosa di Federica.

    «Siamo scese per via San Carlo», agitò una mano dietro di lei, «a quest’ora risulta più in ombra, poi abbiamo imboccato via San Giovanni, ed eccoci qua. Stavate in pensiero?» finì la frase con un tono canzonatorio che da quel giorno iniziò a starmi antipatico.

    Lui si perse negli occhi di lei, senza rispondere per alcuni istanti. Io e l’altro babbeo ci scambiammo uno sguardo di sopportazione, ma solo per un brevissimo istante, non volevo pensasse chissà che cosa. Già mi stava venendo il nervoso al pensiero di passare un’ora con lui, figuriamoci se gli davo corda. Almeno fui fortunata che non chiacchierava, se ne stava con la testa abbassata a guardarsi le scarpe: che tipo!

    «Ci avete fatto una bella sorpresa, eh Mauro?» rispose infine Carlo. Quell’altro si limitò ad assentire con la testa, e ora che ci facevo caso era anche diventato rosso. Ma per quale motivo?

    «Perché non vi sedete un attimo con noi?» aggiunse. «Prendiamo qualcosa di fresco, un gelato. Mauro, prendi qualche sedia, facciamo un po’ di posto per le signorine.»

    Federica rise come una cretina, ma almeno riuscì a rispondere.

    «No, no. Grazie. Ti ringrazio per l’invito, ma… Preferiamo passeggiare. Possiamo andare alla Flora, che ne dite? Lì si dovrebbe stare più freschi.» Poi rivolgendosi al suo amico di sempre disse: «Mauro… così silenzioso. Tutto bene?»

    «In verità pensavamo tu venissi da sola» rispose Carlo. Conoscendo l’amico, intuiva cosa gli passasse per la testa. «Mauro aveva in programma altro per il pomeriggio, e… forse è anche colpa mia, l’ho costretto a seguirmi.»

    Ma che pensavano questi che Federica se ne andasse in giro per la città da sola, a un appuntamento poi. I ragazzi a volte non sanno quello che dicono, credono che siamo ragazze da poco, tipo quelle che escono la sera, da sole! e vanno con chiunque. Carlo sarà pure carino, ma ho paura sia un tantino stupido. L’altro, Mauro, ancora non avevo avuto modo di inquadrarlo a dovere, oltretutto mi toccava anche tenerlo al fianco.

    Prima di uscire Federica mi aveva implorato di lasciarla sola con Carlo, che non mi dovevo affiancare a lei, di stare a una certa distanza. Quando ho acconsentito non potevo immaginare che Mauro fosse così… insignificante. Per le prossime volte, Federica si dovrà trovare un'altra per uscire con Carlo. Piace troppo anche a me, ed è una tortura non poter essere io a stargli vicino.

    Quando ci avviammo verso la Flora iniziò il mio calvario. Federica e Carlo iniziarono subito a parlare, lei rideva sempre a ogni cosa che diceva lui. Mauro, invece, muto e con la testa bassa, dava l’impressione che contasse le pietre a terra. Con un pizzico sulla pancia dovetti accostarmi a lui e il mio sorriso di cortesia andò perso nel nulla, giacché si ostinava a evitare di incontrare il mio sguardo come se avessi la peste. Non sapevo se essere contenta che mi evitasse o arrabbiarmi perché fosse così chiuso a riccio.

    La maledizione

    Sì, per Mauro era una maledizione. Una dannazione che da quando aveva preso coscienza del sesso femminile la portava dentro e non poteva estirparla. Non riusciva a capire per quale motivo a tutti era concesso intrattenere una conversazione in modo tranquillo con le ragazze mentre a lui no, a Mauro Vairetti era negato.

    In realtà i problemi comportamentali non riguardavano solo intrattenere un dialogo con l’altro sesso, ma avere rapporti con chiunque non fosse un familiare. Federica, con la quale aveva condiviso tutto l’asilo e le elementari, era alla stessa stregua di un familiare. Conosciuta da sempre, faceva ormai parte della sua vita: per lui non era una donna, ma un essere vivente con il quale aveva condiviso buona parte dell’esistenza. Quando la pubertà lo liberò dall’ignoranza sessuale, capì all’improvviso che poteva amare come chiunque altro, anzi, avrebbe potuto amare come gli altri. La paura sociale rendeva tutto molto difficile, la donna divenne un ostacolo insormontabile, irraggiungibile. Tutti i suoi problemi si concentrarono in quella direzione, e mentre il resto del mondo ai suoi occhi si dedicava all’intrattenimento più praticato dai giovani – il corteggiamento –, lui, Mauro Vairetti, ergeva dentro di sé il muro che lo avrebbe isolato sempre più.

    Le avvisaglie dei suoi disturbi risalgono ai primi anni di vita, quando si nascondeva dietro le gambe del padre allorché questi si fermava per strada a discutere con un conoscente. Da parte del Mauro bambino quei momenti erano vissuti come una tragedia, cercava in tutti i modi di nascondere la faccia come se l’individuo, lo sconosciuto, potesse in qualche modo trafiggere con una folgore quei suoi occhi nocciola così chiari e limpidi. Valeva anche per i lontani parenti, quando, durante le festività maggiori, amavano ritrovarsi tutti insieme e pareva loro trovar tanta soddisfazione nello stringere e sbaciucchiare le guanciotte purpuree del povero bambino. Sempre il padre, o la madre, doveva tenerlo fermo con forza affinché le torture delle zie si compissero.

    Con l’età Mauro prese a tentare di ostacolare questa sua fobia, facendosi forza, combattendo le sue battaglie in totale solitudine, dentro il suo giovane animo, senza raggiungere grandi risultati. Si offriva sempre per uscire a fare qualche piccolo servizio, come quello di comprare le sigarette al tabaccaio, dove dall’altro lato del bancone la faccia gioviale e paffuta del proprietario lo salutava con cordialità ogni volta. Ma era pur sempre un estraneo, e allora tutte le volte le gambe tremavano, le parole si mischiavano in bocca e il cuore accelerava senza freno. Il grande desiderio di modificare quella sua natura così timida non corrispondeva a un effettivo miglioramento. Per quanto si prodigasse in quella pratica di estroversione tutte le volte era come se fosse stata sempre la prima volta: tremolii e spasmi. La guerra fu persa quando il padre abbandonò la famiglia senza più farsi vedere, circostanza poi mitigata dal trasferimento della madre a Caserta.

    Un riferimento così importante che veniva a mancare non poteva non recar danni nel già tumultuoso animo. Si chiuse allora ancor più in se stesso, prendendo a frequentare solo la nonna materna e la vecchia zia, accompagnandole nei loro spostamenti quotidiani e dando una mano nei momenti liberi. A scuola era uno strazio per il povero Mauro, riuscendo solo a legare con pochi bambini, mentre gli altri non facevano altro che canzonarlo fino allo stremo. Ed è in questi momenti che tutta la sua duplicità si palesava, diventando violento più del normale. Quando infine divenne un ragazzo e

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1