Il lancio del giavellotto
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Anteprima del libro
Il lancio del giavellotto - Giuliano Micelli
amici.
FBK
@ 23 agosto 2017
----Felice di averti ritrovato.
Franco aveva appena aperto Facebook e si era ritrovato sullo schermo questo messaggio. Con gli occhi cercò il profilo del mittente e automatica, immediata e naturale fu la risposta.
@ 23 agosto 2017
----Certo ne è passato di tempo! Eppure non ha scalfito minimamente il mio ricordo della nostra adolescenza spensierata.
****
Pur colto di sorpresa da quella foto di adolescente che il profilo mostrava, il riconoscimento dell’amico Tony fu immediato. Si sentì subito travolto da un’ondata di emozioni confuse ed immagini disordinate.
Prontamente la memoria gli si dispiega come uno schermo che riproduce vivi i momenti trascorsi insieme. Si materializzano quasi i luoghi, il tempo si ricompone e tornano i suoni, i volti, gli oggetti, le risate, le amarezze e le tristezze. Tornano i ricordi!
In paese tutti si conoscevano e tutti si frequentavano. Tante esperienze si sono consumate fugacemente tra persone che poi si sono perse per strada. È nato però anche qualche rapporto che ha legato completamente chi il caso ha messo insieme ed è resistito, perché ha trovato un comune sentire e un’assidua frequenza. Come il rapporto tra Franco, Tony e Peppo.
Franco, detto Franchino dagli amici, in famiglia e dappertutto in paese, il cui vero nome era Giuliano; Antonio, detto Tony all’inglese per il suo stile vagamente dandy, detto Tonio a Carini; Giuseppe, detto Peppo e sempre Peppo dappertutto.
La casa di Franco si trovava alla periferia del paese, quasi in campagna, sulla via per Francavilla, dove si era trasferita la sua numerosa famiglia. Era di sette figli il maschio più grande dopo tre sorelle. Ogni giorno percorreva quella strada fino a piazza Donnolo per poi entrare attraverso la Porta degli Ebrei nel centro antico. Questi luoghi frequentava anche Peppo, perché qui risiedevano suoi parenti. Fu semplice e naturale conoscersi e frequentarsi. Insieme dalla Porta degli Ebrei salivano per le strette vie a scalini su in Piazza Cattedrale e da lì si inerpicavano fino al Castello, per entrare poi nel Parco Montalbano. Dentro c’era il campo da gioco su cui si allenava la squadra di pallacanestro, che giocava nel girone provinciale in quel periodo ed aveva riportato molte vittorie. L’entusiasmo era grande e aveva fatto crescere i sostenitori. Tutti alla partita!
era la parola d’ordine.
Tony abitava in prossimità di Piazza Donnolo nella nuova zona di espansione del paese. In famiglia era il più piccolo, unico maschio dopo due sorelle. Seguiva altre strade quando si recava al campo da gioco per seguire gli allenamenti, dove convergevano anche Franco e Peppo col proposito di entrare nel vivaio giovanile. Si ritrovavano a quell’appuntamento regolarmente e così cominciarono a fare insieme la strada del ritorno verso casa, separandosi in Piazza Donnolo, dove si ritrovavano per risalire il giorno del successivo allenamento.
IL GRANDE LANCIO
Il tepore del primo pomeriggio e la vivida luce dell’azzurro terso del cielo di quel tardo settembre facevano dolce e sognante la sensazione d’ozio che si provava lì, nell’ubertosa campagna di Oria. Cittadina sprofondata nel mezzo del calcagno d’Italia, terra conosciuta meglio come penisola salentina
. Lu salentu
a cui gli indigeni dicevano con orgoglio di appartenere, pur essendo solo appena ai margini settentrionali.
Franco guardava attentamente la canna appoggiata al muro della casetta. Aveva l’aria assorta di chi progettava un piano, o aveva in mente una proposta importante.
--Questa canna è lunga ad occhio e croce due metri e cinquanta. La lunghezza quasi di un giavellotto.
--La usa mio padre per battere le mandorle, quando è tempo di raccolta, gli rispose Tony. Certo, somiglia ad un giavellotto.
--Ha proprio la forma di un giavellotto: slanciata e ben equilibrata. Tony, potremmo usarla come giavellotto e fare qui dei lanci. Il campo è abbastanza grande.
-- Vuoi scommettere che riesco a lanciarla in fondo al campo?
Tony gli aveva risposto prontamente con un leggero sorriso sulle labbra e con lo sguardo sicuro di chi cerca di fare una scommessa.
--La madonna! Vedi che non è facile, e poi bisogna saper lanciare ed essere allenati.
Franco notò il sorriso sulle labbra dell’amico: il sorriso sornione di chi non vuole strafare e non parla a vanvera. Sapeva anche che l’amico quando proponeva qualcosa era in genere prudente e per niente avventato.
Si sarà preparato da qualche parte, pensò. Forse a scuola per i giochi studenteschi della provincia
.
Non poteva certo tirarsi indietro convinto che un lancio simile non era possibile.
--Bè! Vuoi scommettere? Cosa aspetti? Vai in fondo al campo!
--Non vorrai tirarmela addosso!
--Va bene non preoccuparti, non voglio colpirti e se il lancio non arriva in fondo misura comunque la distanza. Non voglio farti certo male, ma la cosa potrebbe sorprenderti.
--Starò guardingo, non vorrei essere infilzato come una mela. Non scherziamo col fuoco, continuava Franco tra l’ironico e il provocatorio.
Tony era atleticamente capace di raggiungere ottimi risultati sempre e in qualsiasi tipo di competizione. Il suo fisico di statura media, ben proporzionato, snello e nello stesso tempo con muscoli sviluppati risultava agile, veloce e forte. Il suo viso con la fronte e le guance e gli zigomi rotondeggianti, gli occhi scuri sul volto generalmente roseo riusciva luminoso e simpatico. La sua era empatia!
Quello che più lo caratterizzava era la sua volitività. Quando decideva di fare una cosa non c’era nessuno e niente capace di smuoverlo.
--Sei pronto? Stai attento.
--Sono pronto, puoi lanciare. Vediamo dove arriva la canna. Che non prenda il volo!
Era questo uno dei tanti giochi, delle tante cose bizzarre che insieme facevano in campagna da Tony.
In quella campagna del padre Cosimo, in contrada Camarda, dove la terra è generosa e ricca di falda freatica, che permette coltivazioni di ogni sorta. Ulivi maestosi e vigneti coprivano la maggior parte del territorio e qua e là canneti verdi e rigogliosi. Tonio aveva trascorso qui tutta l’infanzia insieme con la famiglia, stipata nella casetta di due vani e un annesso, che venivano occupati a partire già da maggio e fino ad ottobre inoltrato. Finché i tempi mantengono
si diceva!
Tutta la contrada e quelle intorno erano disseminate di costruzioni così fatte per accogliere le famiglie e risparmiare loro l’inutile andirivieni dal paese. In agosto anche le case, non poche, dei più ricchi si riempivano di ospiti. Case più grandi, più comode e più belle per villeggianti. Arrivavano dal paese, ma anche da più lontano, per l’estate da trascorrere in questo lembo dell’agro, che a me è parso sempre, come le altre contrade del paese, un paradiso. Pieno di gente al mattino, che andavano e venivano in continuo dal paese
Le serate allora riecheggiavano di voci, di suoni e canti, e le luci sembravano lucciole. Di qua e di là c’erano sagre, feste e processioni di gente.
I due amici la raggiungevano sulle loro biciclette. E lì insieme con Peppo, il terzo uomo così chiamato che spesso si aggregava, trascorrevano i pigri pomeriggi del dolce settembre.
Non sempre raggiungevano direttamente la campagna. Spesso passavano prima per la contrada San Lorenzo, dove salutavano l’amico Francesco. Era solo la scusa per vedere la bella