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Spy in Love Series
Spy in Love Series
Spy in Love Series
E-book624 pagine14 ore

Spy in Love Series

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Info su questo ebook

                                                                 TRAMA
                                                  PASSIONE E TORMENTO

Può la passione sottometterti al desiderio più sfrenato con un solo sguardo, il tocco delle sue mani o un bacio farti fremere dal piacere, trascinandoti nell’oblio?
È quello che accade a Valerie Butler quando si accorge che i sentimenti per il suo migliore amico Gabriel Ross sono cambiati. Un sublime inferno di piacere che alla luce del sole deve reprimere.
Anche Gabriel è cambiato, la desidera così tanto che a volte durante le missioni si accorge di pensarla, annullando il suo ferreo controllo che da sempre lo distingue come un uomo freddo e determinato.
Solo quando noterà la minaccia di un altro uomo che potrebbe insinuarsi fra loro e successivamente quando lei si troverà in pericolo, dovrà fare un passo indietro.


                                                                  TRAMA
                                                  TENTAZIONI PERICOLOSE

Jack Foster lavora come spia del governo e non ha mai badato ai sentimenti. Ha sempre preso quello che ha voluto dalle donne, senza guardarsi indietro, finché una sera i suoi occhi si posano su Helen Wood e ne rimane intrigato.
Complice un bacio, il desiderio diventa irresistibile: tormentato, ammaliatore, sfocia tutto in un gioco di seduzione.
Come un diavolo tentatore che ti seduce e capovolge il tuo modo di essere, il desiderio crescerà inarrestabile. Ma quanto può essere grande e cosa può comportare una passione così forte e travolgente?
Potrebbe riuscire a non far notare occhi pericolosi che seguono i due amanti e tramano per vendetta contro Jack, mettendo anche Helen in una situazione estrema di pericolo.


I primi due capitoli della serie Spy in Love in un unico ed impredibile volume.
 
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2016
ISBN9786050467420
Spy in Love Series

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    Anteprima del libro

    Spy in Love Series - Ester Ashton

    Ester Ashton

    Spy in love

    UUID: a3e149fa-3c7b-11e6-b4d9-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice dei contenuti

    ESTER ASHTON

    CREDITS

    TRAMA

    DEDICA

    CITAZIONE

    I Capitolo

    II Capitolo

    III Capitolo

    IV Capitolo

    V Capitolo

    VI Capitolo

    VII Capitolo

    VIII Capitolo

    IX Capitolo

    X Capitolo

    XI Capitolo

    XII Capitolo

    XIII Capitolo

    XIV Capitolo

    XV Capitolo

    XVI Capitolo

    XVII Capitolo

    XVIII Capitolo

    XIX Capitolo

    RINGRAZIAMENTI

    ESTER ASHTON

    CREDITS

    TRAMA

    DEDICA

    CITAZIONE

    1.

    2.

    3.

    4.

    5.

    6.

    7.

    8.

    9.

    10.

    11.

    12.

    13.

    14.

    15.

    16.

    17.

    18.

    19.

    20.

    21.

    22.

    23.

    24.

    25.

    26.

    27.

    28.

    EPILOGO

    RINGRAZIAMENTI

    ESTER ASHTON

    PASSIONE E TORMENTO

    CREDITS

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o utilizzata in alcuna forma o in qualunque modo.

    Qualsiasi riferimento a nomi, luoghi, personaggi e avvenimenti sono pura opera di fantasia. Qualunque somiglianza con località, fatti, persone, è del tutto casuale.

    TRAMA

    PASSIONE E TORMENTO

    Può la passione sottometterti al desiderio più sfrenato con un solo sguardo, il tocco delle sue mani o un bacio che ti fa fremere dal piacere , trascinandoti nell’oblio?

    E’ quello che accade a Valerie Butler quando si accorge che i sentimenti per il suo migliore amico Gabriel Ross, sono cambiati al punto che di notte il suo tormentato desiderio che ha per lui, la porta a sognare di averlo. Un sublime inferno di piacere che alla luce del sole deve reprimere.

    Valerie però non sa che anche Gabriel è cambiato , la desidera così tanto che a volte durante le missioni per il governo come spia, si accorge di pensarla, annullando il suo ferreo controllo che da sempre lo distingue come un uomo freddo e determinato.

    Quello che non hanno previsto è che una notte tutto quello che avevano cercato di reprimere esploderà in una passione senza freni, coinvolgendoli entrambi in un desiderio che li lascerà senza respiro . Gabriel seppur coinvolto in sentimenti ed emozioni contrastanti dimostrerà di essere l’uomo spietato e freddo che lo distingue come spia a soldo del governo e lotterà con tutte le sue forze per non cedere all’amore di Valerie , anche a costo di farle credere a causa del suo lavoro, di avere una relazione con un’altra donna. Solo quando noterà la minaccia di un altro uomo che potrebbe insinuarsi fra loro e successivamente quando lei si troverà in pericolo, dovrà fare un passo indietro.

    DEDICA

    Alla mia cara amica Antonella

    CITAZIONE

    Non siamo mai tanto lontani dai nostri desideri,

    come quando c'immaginiamo di possedere

    Johann Wolfgang Goethe - La cosa desiderata.

    Le affinità elettive, 1809

    I Capitolo

    Al tocco della sua mano che risaliva sulla mia gamba nuda, fiamme liquide si riversarono nel mio corpo. Ogni poro della mia pelle al passaggio delle sue dita, assorbiva il calore, stuzzicando i sensi.

    Nel sentirle spostarsi all’interno delle cosce, provai un’ondata di eccitazione che alimentò la mia brama. Il tocco delle sue labbra sulla mia carne bollente, mi fece fremere di desiderio per l’anticipazione di quello che sarebbe seguito.

    La punta della sua lingua sostituì quelle labbra, annientando il mio controllo, mentre mi contorcevo sotto di lui. Percepivo il passaggio della lingua che leccava la mia pelle, spostarsi sempre di più dove il piacere attendeva.

    Aprii le gambe ancora di più, un invito a colmare quel desiderio irrefrenabile. Avvertii il suo respiro caldo soffiare fra le mie pieghe, socchiusi appena le palpebre e vidi i suoi occhi verdi, puri e cristallini come un’immensa distesa di prato verde. Due smeraldi che mi stavano osservando con passione, con lussuria selvaggia e la sua bocca calò sul mio clitoride, mozzandomi il respiro.

    Inarcai la schiena, muovendo il bacino contro quelle labbra che stavano succhiando avidamente e la sua lingua che si muoveva scivolando sulla mia carne fracida e colma dei miei umori.

    Fuoco. Un fuoco irresistibile, difficile da domare, devastante mi trasportava con sé verso l’orlo del baratro, verso il piacere sublime. A ogni leccata mi si contraeva la vagina, accrescendo il mio desiderio.

    Percepii i suoi denti che sfregavano appena sul clitoride e la sua lingua picchiettarlo e lambirlo, un attimo prima che quella bocca che sapeva darmi solo passione irrefrenabile, si chiudesse ancora su questo succhiandolo, quando tutto esplose.

    Un grido riecheggiò a lungo mentre fremiti incontrollabili e scintille di piacere invadevano il mio corpo e al tempo stesso lo sentivo penetrare con le sue dita nella vagina contraendosi alla sua invasione, portandomi a un intenso orgasmo.

    Esausta e ancora vogliosa aprii di scatto gli occhi sedendomi sul letto. I raggi luminosi colpirono le mie iridi, svegliandomi del tutto.

    Ero completamente sudata; scostai una ciocca bagnata dei miei capelli dalla fronte e ricaddi di schiena sul materasso. Le lenzuola erano stropicciate e buttate sull’altro lato del letto, il cuscino a fianco era intatto.

    Sbuffai infastidita per quella mia debolezza. Lo avevo sognato ancora una volta come accadeva spesso negli ultimi tempi. Non riuscivo a comprendere il bisogno del mio corpo, che smaniava di avere l’unico uomo che riusciva a portarmi all’orgasmo.

    Il suono della sveglia, di cui non avevo bisogno, mi diede la forza necessaria per alzarmi. Un fievole gemito fuoriuscì dalla mia bocca quando la seta e il pizzo del corpetto che avvolgeva i miei seni, toccarono i capezzoli ancora sensibili e turgidi, come se fossero stati lambiti per tutta la notte.

    Nell’alzarmi strinsi le cosce, come se quel movimento potesse alleviare la smania del mio desiderio.

    Non potevo soccombere in quel modo, assecondando qualcosa che mai sarebbe potuta accadere. Presi la vestaglia dalla poltrona, aprii la porta e uscii dalla stanza.

    Girai la testa per vedere lungo il corridoio e controllare se la mia migliore amica e assistente fosse ancora in camera. La porta scorrevole che divideva i due appartamenti era aperta e dalla luce del sole che proveniva dalla sua stanza, dedussi che si fosse già alzata.

    A piedi nudi sul parquet color miele, mi recai in cucina non badando a ciò che mi circondava. Di solito bastava che guardassi ogni singolo pezzo di mobilio o oggetto che costituiva l’appartamento in cui abitavamo, per darmi pace.

    Quel giorno invece ero turbata e niente mi avrebbe potuto dare quella sensazione.

    Helen era in piedi dietro il bancone, stava versando del caffè nelle tazze, e sul tavolo era già pronta la colazione.

    «Ti sei appena alzata e sei già esausta» costatò, fissandomi con occhi curiosi. «Hai dormito?»

    «Non proprio» ammisi ricambiando il suo sguardo.

    Il suo volto a volte mi ricordava quello di un angelo per quanto lo considerassi perfetto, con quegli zigomi rosei e appena pronunciati, le ciglia lunghe e nere che contornavano occhi con taglio a mandorla. Il naso era piccolo e leggermente all’insù e le labbra a cuore, perfette e piene, i capelli neri e lunghi con un corpo alto e snello tipico di una fotomodella; era bellissima.

    Al contrario, il mio aspetto era banale, con capelli castani chiari, occhi nocciola così chiari che ricordavano l’ambra, zigomi pronunciati, naso lungo e una bocca carnosa e leggermente più grande in proporzione al resto del volto.

    Nonostante fossi alta un metro e settanta, quel tanto da non scomparire vicino a un uomo più alto, ritenevo il mio corpo troppo formoso, con i fianchi e i seni troppo grossi e pieni.

    Forse potevo non colpire al primo sguardo, ma inevitabilmente attiravo gli uomini, forse anche per la fredda determinazione che leggevano nei miei occhi, per mostrarmi più sicura e sensuale di quanto non lo fossi in loro presenza.

    «Valerie, dove sei?» Helen mi distolse dai miei pensieri.

    «Scusa, pensavo…» risposi prendendo una fetta di pane tostato e iniziai a spalmarlo con marmellata di fragole.

    «Perché non ti prendi una giornata tutta per te?» Propose. «Posso pensare io agli appuntamenti di oggi.»

    «No» replicai, «sto bene, davvero, non sarà certo perché non sono riuscita a dormire tutta la notte che rallenterò il lavoro».

    «Forse dovresti accettare di uscire con Jack.»

    Girai la testa verso di lei, il sorriso e un luccichio malizioso nei suoi occhi mi fecero sorridere. Scossi la testa e mi resi conto che Helen riusciva a capirmi a volte più di me stessa.

    «Jack, eh?» ripetei, appoggiandomi alla spalliera della sedia addentando il toast.

    «Sì» confermò, «hai bisogno di uscire e fare sesso».

    Spalancai gli occhi incredula e sgomenta a quelle parole, mentre lei scoppiava a ridere senza ritegno.

    «Hai delle attitudini che io non conosco?» chiesi riprendendomi in fretta. «Hai per caso una laurea in psicologia con master in sessuologia?»

    «No» affermò posando il toast a metà sul piattino, «ma so riconoscere la frustrazione sessuale quando ti guardo».

    «E la tua soluzione sarebbe buttarmi fra le braccia di Jack?»

    "Non che non fosse bello!" pensai.

    «Almeno saresti appagata e riusciresti a fare una sana dormita» aggiunse Helen. «Ti ho sentito urlare e quello, amica mia, non era un grido di orrore, ma l’urlo appagato di chi ha raggiunto un orgasmo da favola».

    «Helen!» esclamai sbalordita.

    «Dovresti raccontarmi cosa ti faceva nel sogno» ribatté, ignorando il mio richiamo. «Chissà, potrei prendere spunto se porta a quel piacere».

    Stavo per ribattere quando sentii bussare alla porta. Lanciandole un’occhiataccia, facendole intendere che la discussione non era finita lì, mi alzai e andai ad aprire spalancandola senza neanche guardare dallo spioncino.

    Le gambe traballarono ma con il sostegno della maniglia, riuscii a mantenere l’equilibrio quando vidi che sulla soglia sostava il mio amico Gabriel Ross, la persona che riusciva a mandarmi completamente in tilt con un sorriso da schianto, da mozzarmi il respiro.

    Gabriel: la mia passione... il mio tormento... il mio inferno.

    «Ciao, Valerie» la voce roca e sensuale penetrò all’istante nei miei sensi infiammandoli, mentre il suo sguardo vagava sul mio corpo, che in quel momento non celava nulla ai suoi occhi.

    Un brivido incandescente mi serpeggiò lungo la schiena, il corpo traditore sembrava volesse tendersi verso di lui.

    Sentii i seni farsi più pesanti e i capezzoli già turgidi per il sogno spingersi contro il pizzo.

    Inghiottii a vuoto, tentando di recuperare il controllo, nella speranza che lui non avesse letto sul viso ciò che la sua sola presenza mi procurava.

    «Ciao, Gabriel» lo salutai spostandomi di lato per farlo entrare.

    Lui entrò senza distogliere lo sguardo dal mio e trattenni il respiro quando lo vidi piegarsi e avvicinarsi pericolosamente, per poi andare a posarmi un bacio all’angolo della bocca, lasciandomi inebetita.

    Percepii il suo profumo e lo inalai a fondo, e subito un’ondata di calore m’investì, rammentando che quell’odore di sandalo ed essenza di limone, lo avvertivo sempre anche quando lo sognavo. Mi riscossi, chiusi la porta e mi girai.

    Lui stava salutando Helen, mentre i miei occhi non riuscivano a fare a meno di divorare ogni più piccolo dettaglio del suo corpo, come se potesse essere avvenuto qualche cambiamento all’ultima volta in cui l’avevo visto.

    Era un uomo di trentacinque anni, due più dei miei, un metro e novantacinque di muscoli che gli disegnavano il corpo snello e muscoloso, senza un filo di grasso. Muscoli che avrei voluto sentire sotto le mani.

    Ripensavo a quando l’avevo conosciuto da adolescente, già molto bello e circondato da ragazze cui inevitabilmente spezzava i cuori, ma niente mi aveva preparato a quello che con i passare degli anni sarebbe diventato.

    La maglietta azzurra a maniche corte che portava, era aderente e non nascondeva il suo petto scolpito, l’addome piatto e i bicipiti. E immaginai quelle stesse braccia stringermi con ardore.

    I jeans aderenti gli fasciano le gambe muscolose, come una seconda pelle. I miei occhi scivolarono sulla chiusura della cerniera e notai che non lasciava nulla all’immaginazione con il rigonfiamento che potevo vedere. Eccitato, doveva superare qualsiasi fantasia nei miei sogni.

    I suoi capelli erano neri come le ali di un corvo e gli arrivavano appena sotto il mento, il colore della sua pelle era dorata, e faceva risaltare i suoi occhi verdi e profondi contornati da ciglia lunghissime e anch’esse nere da far invidia a una donna.

    Quando rideva, come stava facendo in quel momento con Helen, gli si formava una fossetta da ciascun lato delle guance, che mi facevano venir voglia di morderle.

    Sospirai guardandogli la bocca dalle labbra piene, che immaginavo sul mio corpo, pronte a darmi piacere. Avrei voluto assaggiarle e assaporarle.

    Era sensuale da morire.

    "Dannazione, perché tutti questi attributi in un solo uomo? Imprecai non poteva averne solo uno o due? aggiunsi andando verso il tavolo con un sorriso sulle labbra per celare il mio tormento.

    ***

    Stavo parlando con Helen ma tutta la mia attenzione era rivolta a Valerie che si stava avvicinando a noi. Si era allacciata la corta vestaglia di seta, ma si notavano i capezzoli eretti che spingevano contro il tessuto e che prima, attraverso il pizzo, avevo visto, grossi e rosati.

    Camminava con una tale sensualità, con quei fianchi formosi che ondeggiavano a ogni passo, che il mio membro si eresse spingendo contro la cerniera del jeans.

    Mi mossi sulla sedia tentando di pensare ad altro che non fossero lei e l’eccitazione che mi procurava. Probabilmente avrei dovuto trovarmi una donna e in fretta, se ero così messo male da sentire un tale bisogno di farla mia su quel tavolo e anche davanti a Helen. Starle lontano più di un mese non aveva alterato il desiderio che avevo per lei e la cosa mi turbava.

    Mi chiedevo ancora quando tutto era cambiato e avevo cominciato a fantasticare sulla mia amica che conoscevo fin dall’adolescenza. Ero un uomo a cui le donne non mancavano mai e il sapere che ce n’era una che volevo avere con tutte le mie forze, e possedere, ma che mi era in un certo senso proibita, aumentava la brama nei suoi confronti.

    Il corpo di Valerie emanava calore, un fuoco che sapeva avvolgermi non appena la vedevo. Socchiusi un attimo gli occhi e la osservai in viso.

    C’era qualcosa che quella mattina la rendeva diversa: osservai meglio e notai che aveva le occhiaie attorno agli occhi, come se non dormisse da giorni. Quando aveva aperto la porta era pallida ma non appena mi aveva visto, un rossore le aveva coperto le guance, illuminando i suoi occhi nocciola così chiari che ricordavano il brandy. In quel momento non mi stava guardando, anzi, evitava di farlo concentrandosi sul toast che aveva davanti e che stava svogliatamente addentando a piccoli morsi con quella bocca carnosa che aveva.

    Quelle labbra erano un sogno a occhi aperti. Un ricordo sovvenne nella mia mente: per caso un giorno che eravamo usciti tutti insieme per prendere un gelato con Jack e Helen e le avevo visto mangiare un cono. La fantasia si era sfrenata pensando a quella bocca che si chiudeva sul mio pene e lo succhiava con vigore e al solo pensiero ero stato capace di eccitarmi fino a sentire dolore.

    «Dove sei stato, Gabriel?» Chiese Helen.

    La sua domanda mi distolse dai quei pensieri lussuriosi sulla mia amica Valerie.

    Girai la testa verso di lei. «A Los Angeles per lavoro» risposi, «sono tornato due giorni fa».

    «Sei stato via per parecchio tempo» aggiunse Helen.

    «In realtà avevo diversi appuntamenti» le spiegai, «e sarebbe stato inutile tornare qui a New York per poi ripartire».

    «Concordo con te.»

    ***

    Avevo seguito il discorso tra Helen e Gabriel, sulla sua assenza per lavoro e spesso mi ero chiesta se non ci fosse qualcosa di più di quello che ci diceva. Aveva una società con il suo amico Jack Freeman, che trattava installazioni di telecamere e allarmi sia per privati sia per luoghi pubblici. Era sfacciatamente ricco, sapevo che ultimamente voleva trasferirsi dall’attico in cui viveva in una villa. Tuttavia quel dubbio persisteva quando spariva a causa del lavoro per settimane o addirittura mesi, per poi ricomparire come se niente fosse. La loro società andava più che bene, erano chiamati spesso da altre città per i loro servizi, eppure c’era quel tarlo, qualcosa d’ignoto e misterioso quando partiva, sul quale non riuscivo a fare a meno di fantasticare.

    Su una cosa non avevo alcun dubbio: le donne. Ne era circondato e spudoratamente le esibiva mentre io mi rodevo il fegato alla vista di queste donne perfette, modelle, hostess o anche attrici.

    Sollevai la testa e vidi che Helen si era alzata dalla tavola e mi fissava.

    «Vado a fare una doccia» ci comunicò spostando il suo sguardo; il sorriso rivolto a Gabriel malizioso, «ci vediamo una di queste sere, magari usciamo e andiamo a ballare».

    «Basta che mi fai sapere quale sera e Jack ed io saremo pronti» acconsentì Gabriel.

    Helen, non vista da lui, mi fece un occhiolino e uscì dalla cucina.

    "Giuro, più tardi le torco il collo!"

    In quel momento l’imbarazzo per quello che lui mi suscitava mi fece balzare in piedi per portare le tazze nel lavello, pur di non essere scrutata da quegli occhi verdi.

    Avevo il timore che lui potesse leggermi dentro e rovinare nella nostra amicizia. Se non potevo averlo come volevo e capire se in fondo ci fosse ben altro, almeno ne avrei goduto come amico.

    Ero così assorta nei miei pensieri che non mi accorsi che Gabriel si era avvicinato: fu il mio corpo a reagire, facendomi irrigidire quando mi posò le mani sulle spalle.

    «Valerie, stai bene?» Mi chiese.

    La sua voce era preoccupata, ma io mi ero fermata al tono melodioso che quel suono riusciva a scuotermi sin nel profondo.

    «Sì» tentai di rassicurarlo continuando a sciacquare le tazze senza voltarmi. «Non ho dormito molto bene stanotte».

    «Problemi di lavoro?» Incalzò, evidentemente non convinto del tutto della mia risposta. «Hanno montato le telecamere in laboratorio e negli uffici?»

    «Non più del solito» replicai, cercando di moderare la mia respirazione. «E, sì, stamattina Jack verrà a controllare che sia tutto a posto».

    Chiusi l’acqua nel lavello e nel spostarmi vicino al bancone con la scusa di asciugarmi le mani, percepii il suo respiro sfiorarmi la nuca, facendomi rabbrividire.

    «Valerie» mormorò con voce suadente e bassa facendomi ruotare su me stessa.

    "Dio, Gabriel non chiamarmi in questo modo!" lo supplicai.

    Gabriel aveva tolto le mani dalle mie spalle e le aveva posate ai lati del mio corpo, imprigionandomi contro il bordo del bancone. Il suo viso era molto più vicino di quanto pensassi, bastava che inclinassi la mia testa in avanti e avrei potuto posare la bocca sulla sua, appoggiare le mani sul suo petto e accarezzarlo. Volevo sentirlo sotto le mie dita ma mi rassegnai a sostenere quello sguardo smeraldino, cercando di non far vedere quanto il battito del mio cuore fosse accelerato, pur di non essere scoperta e rifiutata. Perché per quanto lui mi suscitasse sensazioni ed emozioni che fino a qualche tempo prima erano a me ignare, sapevo che lui non mi avrebbe visto in nessun altro modo se non come un’amica.

    «So che c’è qualcosa che non va» asserì, «perché non me ne parli?»

    La donna determinata che era in me, che sulle questioni di lavoro non si faceva irretire e che teneva testa a chiunque per far valere le sue ragioni, prevalse su quella insicura.

    Sollevai il mento in segno di sfida e risposi: «Sono seria, Gabriel, va tutto bene».

    Lui inclinò ancora di più il busto quasi sfiorandomi il petto. «Stai mentendo, Valerie» affermò. Il tono di voce ora era cambiato più tagliente. «E vorrei capire perché».

    «Gabriel, stai pensando a qualcosa che non esiste» dichiarai risoluta.

    ***

    Valerie stava fingendo, ne ero più che sicuro anche se non sapevo da dove uscisse questa sicurezza: forse era il suo corpo a rivelarmelo o forse il fatto che era agitata ma sapere che lei non volesse confidarsi con me come aveva sempre fatto in passato, relegandomi a un semplice conoscente, mi faceva infuriare.

    «Perché ti conosco bene e sei nervosa» ribattei.

    ***

    Nell’udire la replica di Gabriel, sentii nascere in me un sentimento di rabbia. Non compresi da cosa fosse dovuto, ma la sentii crescere e scorrere nelle vene.

    «Mi conosci?» ripetei con una risata sarcastica. «Tu presupponi di conoscermi, invece non sai proprio nulla di me!» ripresi fiato e continuai, piantandogli un dito nello stomaco con l’intento di farlo allontanare da me.

    Riuscii a sottrarmi e sgusciai via, con l’intenzione di piantarlo in cucina e di andare nella mia stanza. Ancora non mi capacitavo di essermi infuriata così con lui: com’ero arrivata a quel punto? Mai avevo alzato la voce con lui, anche quando eravamo stati in disaccordo su qualcosa, e questo mi preoccupava.

    Non avevo fatto neanche due passi quando mi sentii afferrare da un polso e tirare indietro e mi scontrai con il suo petto duro.

    Lo shock m’immobilizzò per un attimo e questo diede l’opportunità a lui di stringermi fra le sue braccia per tenermi ferma.

    ***

    Tirai a me Valerie, sconcertato dal suo sfogo rabbioso e dall’aver messo in dubbio tutti gli anni della nostra amicizia con una sola parola. Se in un primo momento ero rimasto meravigliato, quell’accusa nei miei confronti riuscì a farmi arrabbiare.

    La fissai negli occhi, scrutandola attentamente, ignorando volutamente il suo corpo stretto al mio, ai seni pieni che spingevano sul mio petto e il ventre a contatto col mio.

    «Che diavolo stai blaterando Valerie?» Chiesi cercando di controllarmi. «Stai mettendo in discussione la nostra amicizia e non capisco il perché».

    «Lasciami andare» mi ordinò con un tono alterato, i suoi occhi freddi privi del loro solito calore.

    Avevo visto spesso quello sguardo rivolto a qualcuno che tentava un approccio non gradito o nel suo lavoro di disegnatrice di gioielli, quando qualche cliente metteva in dubbio qualche sua creazione estrosa. E ora vederlo su di me non mi piaceva per niente.

    «No, non lo farò» replicai ostinato quanto lei, stringendola ancora di più, perché stava tentando di liberarsi, «stai deliberatamente creando una lite e ora mi dirai per quale ragione».

    «Certo, mi conosci così bene!» Ancora quel tono saccente e sarcastico che mi stava mandando in bestia.

    «Non so cosa ti passa per la testa» affermai, ormai infuriato. «Ma ti avverto che stai giocando con il fuoco Valerie, non tirare troppo la corda».

    «Io non sto facendo un bel niente!» ribatté riuscendo a infilare le sue mani tra di noi posandole sul mio petto e spingendomi affinché la liberassi «sei tu che ti sei arrogato dei diritti che non hai».

    «Valerie» sibilai.

    ***

    Il tono minaccioso di Gabriel non mi ridusse al silenzio: sembrava che ci fossero due Valerie dentro di me e in quel momento prevaleva quella provocatoria e ribelle, sopraffacendo l’altra più ragionevole. E tutto per qualcosa che non riuscivo a capire nemmeno.

    «La tua arroganza non ha limiti» le parole fluirono dalla mia bocca ignorando il suo avvertimento. «Tu sai tutto di me, vero?»

    Con una spinta più forte sul suo petto, riuscii a farmi lasciare e porre una certa distanza fra noi.

    «È assurdo ciò che dici» lui m’interruppe, scuotendo la testa.

    «Davvero, Gabriel?» aggiunsi incrociando le braccia sotto il mio seno.

    «Sì, sei strana» avanzò di un passo, «stai dicendo cose senza senso e non è da te. Non mi lascerò trascinare in qualcosa d’insidioso che a quanto pare vedi solo tu.»

    Mi guardò per un lunghissimo istante negli occhi e poi si allontanò del tutto andando verso la porta, e si fermò.

    «Mi rammarico per questa situazione che si è venuta a creare» lo udii inspirare a fondo. «Ti rendi conto che ciò che hai appena scatenato rimarrà qualcosa d’insoluto fra noi? E tutto perché mi sono preoccupato per te» volse la testa verso di me. «Dimmi una cosa: sono stato il tuo bersaglio a caso o aspettavi l’occasione giusta per farlo, per creare un’incrinatura nella nostra amicizia o per troncarla del tutto?»

    Sussultai a quell’accusa e rimasi in silenzio, non potendo certo dirgli che neanche io capivo il motivo per cui mi ero comportata in quel modo nei suoi confronti. Nessuna giustificazione.

    «Noto che nemmeno questa domanda» mormorò freddamente. «T’induce a dirmi che mi sbaglio. Sei sempre stata ostinata nelle tue ragioni.»

    Gabriel aprì la porta e, mentre stava per uscire, aggiunse: «Quando avrai fatto i conti con te stessa, chiamami, ma non ti assicuro che sarò disposto ad ascoltarti».

    ***

    Non appena richiusi quella benedetta porta dietro di me, così lentamente invece di sbatterla fino a far tremare i vetri e i muri, mi girai per guardarla non riuscendo a crederci ancora.

    "Che diavolo è successo lì dentro?" pensai.

    Per me era qualcosa d’incomprensibile tutta la discussione ma se lei era testarda io, lo ero ancora di più. Le avevo dato un’occasione per spiegarmi cosa avesse, non gliene avrei dato un’altra. Era da qualche tempo che avevo notato quanto si fosse chiusa in se stessa, tagliandomi fuori dalla sua vita, ponendo una barriera che a quanto sembrava, era invalicabile.

    Avevo fatto finta di nulla, le ero stato accanto lo stesso, ma a giudicare dalla sua reazione di quella mattina la distanza tra noi era invalicabile e aveva sostituito quello che c’era prima.

    Ero così infuriato con lei, che avevo una voglia d’infliggerle una punizione esemplare: l’avrei volentieri messa sulle mie ginocchia e sculacciata fino a quando non mi avesse chiesto pietà. Nonostante questo, però, averla tenuta fra le braccia anche se solo per pochi minuti, aveva acceso sensazioni intense.

    Mi rendevo conto che anch’io non le avevo proprio detto cosa facevo quando le mie assenze erano così prolungate. Non era proprio mentire, ma solo un’omissione, non potevo certo confessarle che ero una spia che lavorava per il governo e che la società con Jack serviva anche a coprire i viaggi che facevo. Per la sua sicurezza e quella dei miei amici, era meglio che non ne fossero a conoscenza.

    L’unica cosa su cui invece avevo mentivo prima a Helen era stato quando le avevo detto che ero tornato da due giorni. In realtà ero rientrato solo la sera prima e quella mattina non avevo resistito ed ero andato da lei per vederla.

    Dopo più di un mese mi era apparsa ancora più bella, nonostante le occhiaie che il suo volto mostrava. Lei nemmeno si rendeva conto di quanto in quei momenti risvegliasse il costante desiderio che avevo di lei.

    Lei mi tormentava con la sua sensualità, l’avevo appurato durante il corso degli anni, ma solo nell’ultimo anno mi ero accorto di quanto la desiderassi e quanto tutto ciò minasse il mio controllo.

    Dio solo sapeva come fossi riuscito prima a controllarmi vedendola infuriarsi, e per un attimo fugace mi ero anche chiesto se baciandola avrei potuto scatenare o meno un’infuocata passione. A volte mi capitava di scorgerla nei suoi occhi, trascinandomi in quel calore, irretendomi per poi scomparire.

    Infilai gli occhiali non appena uscì dal garage sotterraneo, immettendomi nel traffico, mentre cambiavo posizione sul sedile per dare sollievo al mio membro in erezione solo al suo pensiero.

    "Dannazione !" imprecai.

    Come potevo eccitarmi e ossessionandomi in quel modo? Forse se l’avessi avuta solo per una notte, avrei placato la smania che avevo di Valerie, la voglia di possederla, di assaporare ogni punto del suo corpo e di affondare dentro di lei, fino a lenire quel fuoco che riusciva a farmi ribollire il sangue nelle vene.

    E al diavolo la nostra amicizia.

    "Arrogante, eh?" mi ripetei mentalmente, ricordando quello che mi aveva detto.

    "Non immagini neanche lontanamente quanto possa essere un bastardo figlio di puttana, Valerie. E non credo che ti convenga scoprirlo."

    Lo squillo del cellulare mi distolse dai miei pensieri. La tentazione di ignorarlo era prepotente ma non potevo farlo, per cui lo presi dalla tasca dei jeans, guardai il display e sorrisi.

    Spinsi il tasto e salutai il mio amico. «Jack, vecchio mio!»

    «Sì, mi farai diventare vecchio, socio» affermò, «ti aspettavo mezz’ora fa, cosa ti ha trattenuto?»

    «Sono andato a trovare Valerie e Helen» ammisi fermandomi al semaforo.

    Le hai buttate giù dal letto?

    «No» risposi senza dire altro.

    Tutto qui? Mmm… perché ho la sensazione che ci sia ben altro?

    «Tu e la tua psicologia da quattro soldi» mormorai sarcastico.

    «No, perché conosco ogni più piccola sfumatura di te» replicò ridendo.

    Sollevai gli occhi al cielo: era l’unico che non avesse bisogno che aprissi bocca per capirmi al volo. Lavoravamo insieme da tanto tempo e lui era quello che mi aiutava quando ne avevo bisogno, quando andavo in missione, a volte non mi capacitavo di come riuscisse ad anticipare le mie mosse. Eravamo stati addestrati insieme, lui era anche i miei occhi quando io mi trovavo in un vicolo cieco.

    «Jack, arriverò più tardi, più o meno fra un’ora e mezza» lo informai decidendo all’improvviso di fare un salto da una mia vecchia conoscenza che mi avrebbe accolto a braccia aperte.

    «Ti basterà per placare la tua lussuria selvaggia, che hai stamattina?»

    «Davvero, Jack, alle volte il tuo intuito è preoccupante» affermai, ridendo a mia volta. «Ci vediamo dopo».

    Chiusi la chiamata e con l’auto percorsi il viale in Richmond Hill, dove abitava Adrienne una fotomodella che avevo conosciuto mesi prima e con cui avevo passato serate particolari di sesso sfrenato. In quel momento lei era l’unica che potesse alleviare la smania di desiderio che sentivo scorrere nelle vene.

    II Capitolo

    Rimasi immobile a guardare Gabriel uscire dalla porta, le sue ultime parole furono come una stilettata al cuore, anche se meritate.

    Il lieve suono che produsse la serratura, mi diede la sensazione di qualcosa di definitivo che si rompeva. Mi sentii defraudata di quel bel rapporto di amicizia che sino a un mese prima avevamo e che durava da anni, e dai sentimenti confusi che albergavano in me. E la vecchia e saggia Valerie prevalse su quella ribelle che aveva condotto quel gioco pericoloso.

    «Dio mio, cosa ho fatto?» sussurrai a me stessa.

    Sedetti affranta sulla sedia e mi coprii gli occhi con le mani, la mia mente frastornata per quello che avevo causato.

    «Per cosa lo vuoi punire?»

    Sussultai sulla sedia. La voce di Helen risuonò forte nella stanza silenziosa.

    «È perché non si è accorto ciò che provi per lui?»

    Tolsi le mani dal viso e la vidi davanti a me dalla parte opposta del tavolo, con le braccia incrociate sul suo petto.

    «Hai sentito...» mormorai.

    «Difficile non farlo, quando si alza la voce» ammise Helen. «Non avevo certo intenzione di origliare, ma sono tornata indietro per dirti una cosa e non ho potuto fare a meno di udire. Il vostro tono era alquanto alterato.»

    «Helen, davvero non so cosa mi sia accaduto» ribattei incapace in quell’istante di pensarci.

    «Valerie, era preoccupato per te.»

    «Lo so» sospirai. «Ma…»

    «Perché non glielo hai detto?» Insistette Helen.

    «Cosa?» Feci finta di non capire.

    «Non ci girare intorno, Valerie» mi ammonì. «Tu provi qualcosa per Gabriel, lo adori sin da quando l’abbiamo conosciuto. E lui ricambia allo stesso modo. Quel sentimento è cresciuto insieme con te, fino a sconfinare in altri più forti. Avresti dovuto dirgli cosa ti angoscia, cosa non ti fa dormire la notte. Potresti rimanere sorpresa dalla sua risposta sai?» sorrise. «Tu lo ami.»

    Scossi la testa. «No! Io lo odio!»

    Helen ridacchiò. «Lo sai che dall’odio all’amore il passo è breve?» mi canzonò e girando intorno al tavolo si avvicinò. «No, non lo odi tesoro».

    «Oh sì, invece» mi alzai dalla sedia incapace di stare ancora seduta. «Odio il modo in cui mi fa sentire vulnerabile. Odio il suo aspetto virile, seducente e sexy che mi toglie il respiro quando posa i suoi occhi su di me. Dio mio perché ho aperto gli occhi?» blaterai alzando la voce.

    «Tesoro era inevitabile» mi consolò Helen. «Pensi che anch’io non l’ho guardato? Forse non allo stesso modo in cui lo hai fatto tu, ma credimi Gabriel è un uomo difficile da ignorare».

    «Una mattina mi sono svegliata» continuai come se lei non avesse parlato, «e nel momento in cui lui è entrato da quella maledetta porta, camminando verso di me e mi ha fissato con quei suoi occhi verdi ammaliatori, non mi sono sentita più sicura di me stessa».

    Mi passai una mano fra i miei capelli alzandoli sulla nuca, sentivo improvvisamente caldo nel ricordare quel giorno.

    «Ho cercato di non badare alle sensazioni che provavo» aggiunsi, «ho ignorato ogni mia emozione in sua presenza e l’ho soffocato dentro di me, tanto che sono arrivata a sognarlo, come realmente vorrei che si comportasse».

    «Penso che non sia stata una buona idea» costatò Helen. «Non hai fatto altro che alimentare ciò che desideri e oggi hai superato quel limite per una semplice domanda. L’hai provocato e accusato seppur velatamente. E alla fine ti sei infuriata perché lui ha detto che ti conosce bene».

    «No, per niente» sibilai.

    «Ragiona, Valerie» tentò di calmarmi, «non puoi dire che non è vero solo perché lui non si è accorto di quello che provi e tu glielo nascondi molto bene!»

    «E continuerò a farlo» dichiarai risoluta.

    «Ne sei proprio convinta?» Mi chiese sollevando una delle sue sopracciglia, «ho visto come ti teneva stretta a sé per quanto fosse infuriato per le tue accuse insensate. Dal suo sguardo direi che anche tu gli hai fatto un certo effetto. Per un attimo ha trattenuto il respiro».

    «Helen credo tu abbia bisogno di un paio di occhiali» obiettai.

    «So quello che ho visto» asserì, «puoi crederci o no. Ora cosa farai?»

    «Non lo so.»

    Davvero non sapevo cosa avrei potuto fare per recuperare l’amicizia di Gabriel. Al solo pensiero di vederlo ancora meno di quanto capitava negli ultimi tempi, non sentirlo ridere delle mie battute, parlare di tanti argomenti che ci accomunavano, i pranzi improvvisati nel parco, le passeggiate che spesso m’imponeva quando arrivava senza preavviso in laboratorio e mi vedeva nervosa, mi angosciava.

    Avevo il timore che lui ponesse una certa distanza, dopo la discussione di quella mattina, anche se avessimo continuato a vederci e non volevo una cosa del genere.

    «Dovresti chiamarlo» mi suggerì Helen.

    Annuii «E se lui non fosse disposto ad ascoltarmi ?».

    «Troverai il modo no?» replicò ridacchiando. «Oppure…»

    «Cosa?»

    «Puoi sempre andare da lui e dichiarargli la verità» mi consigliò. «E chissà cosa potrebbe accadere dopo il racconto di uno dei tuoi sogni. Per un uomo come lui ne sarebbe non solo intrigato. Darei qualunque cosa per vedere il suo viso mentre glielo racconti!»

    «Tu sei pazza non posso fare una cosa simile!»

    Helen sospirò. «Ascolta, Valerie» disse. «Non hai scelta o lo chiami e trovi una scusa per quello che hai combinato, o gli dici la verità. Ti consiglio una cosa, però, tesoro, dovresti uscire con qualcun altro che non sia Gabriel. Hai bisogno di sentirti una donna amata, vezzeggiata e coccolata, ci sono tanti uomini lì fuori che potrebbero darti tutto questo e credo che dovresti pensare anche a Jack. Accetta di uscire una sera con lui, non ti sto dicendo di fare sesso, ma solo di passare una serata diversa con qualcuno che non sia Gabriel. Pensaci».

    «Ci penserò, promesso.»

    «Bene» annuì soddisfatta, «che ne dici ora di vestirci e andare al lavoro?»

    Le sorrisi e la seguii andando nella mia camera. Sotto la doccia non potei fare a meno di pensare a Gabriel. In tutto quel tempo non avevo ancora pensato alle sensazioni che mi aveva suscitato quando a sorpresa mi aveva stretto fra le braccia, finendo contro il suo petto. Ancora adesso sentivo il suo profumo addosso, nonostante il bagnoschiuma che ricopriva il mio corpo. E mentre lo passavo con le mani sulla pelle, immaginavo che fossero le sue che mi accarezzavano, esplorando ogni punto della mia pelle mentre sostenevo il suo sguardo ebbro di eccitazione, desiderio e passione.

    Il solo pensarlo mi portava a un livello di ardore che nessun altro uomo era mai riuscito a suscitare. Sospirai sostando solo per qualche attimo ancora sotto il getto dell’acqua, fino a quando non tolsi fino all’ultima goccia di bagnoschiuma e uscii dal box doccia.

    Ritornai in camera per vestirmi e pensai a quello che mi aveva consigliato Helen, ma come potevo guardarlo in volto e dirgli quanto lo sognavo e che da più di un anno lo desideravo con tutta me stessa? Che ogni momento in cui passavano insieme se solo mi sfiorava accidentalmente mi faceva fremere di eccitazione, che lo bramavo con tutta me stessa? Mi sarei vergognata da morire e avrei ucciso definitivamente la nostra amicizia, sempre se non lo avessi già fatto con ciò che era accaduto quel giorno. Infilai un vestito rosa e nero, molto semplice che aderiva alle mie curve, calzai un paio di sandali neri, spazzolai i miei capelli lunghi, presi la borsa e uscii dalla stanza senza mettere alcun gioiello. Lo avrei fatto non appena sarei arrivata in laboratorio, era importante che indossassi qualche nostra creazione quando ricevevo dei clienti.

    Raggiunsi Helen. «Sono in ritardo» dissi.

    «Non affannarti» replicò, «abbiamo degli assistenti, servono a questo no?»

    «Hai ragione» concordai, «oggi, però ci aspetta una giornata alquanto impegnativa, lo sai».

    «Verrà anche Jack» mi ricordò infilandosi gli occhiali da sole mentre si aprivano le porte dell’ascensore .

    Sollevai gli occhi al cielo. «Sei tremenda, lo sai?»

    «Sì» rispose ridendo.

    ***

    Con un cenno della testa salutai James che stava dietro il bancone nell’edificio in cui avevamo la nostra società F&R Agency.

    In realtà nessuno sospettava che anche lui fosse un’agente e che si alternava con Jason per la sorveglianza. Non che ci aspettassimo qualcosa, la copertura era solida, avevamo il nostro lavoro e in più eravamo della CIA, e questo ci dava opportunità maggiori per lavorare al meglio.

    Guardai l’orologio e notai che ero in ritardo solo di una decina di minuti, rispetto l’ora che avevo dato prima a Jack.

    Nonostante Adrienne mi avesse accolto a braccia aperte rispondendo alla mia eccitazione con uguale trasporto e ardore, il mio desiderio non si era placato. E come avrebbe potuto se per tutto il tempo non avevo fatto altro che immaginare Valerie al suo posto?

    Tenerla fra le braccia e toccare, seppur in maniera fugace, il suo corpo attraverso la seta impalpabile e inconsistente della sua vestaglia, mi aveva portato immediatamente a un livello di eccitazione che ancora adesso, dopo più di un’ora di sesso sfrenato, non mi era bastato.

    Per tutto il tempo non avevo fatto altro che confronti. Adrienne non aveva un seno grosso e pieno come Valerie, e toccandolo in realtà avevo pensato di accarezzare quello della mia amica, di colmare le mie mani con i suoi globi e di succhiare i capezzoli grossi e rosa che avevo intravisto quella mattina.

    L’ondata di piacere che ne era seguita mi aveva lasciato senza fiato e nel momento in cui Adrienne aveva esplorato il mio corpo con la sua bocca, un’altra nella mia mente l’aveva sostituita con quelle labbra carnose che si chiudevano sulla punta grossa e gonfia del mio pene e lo lambivano fino a risucchiarmi l’anima.

    L’orgasmo travolgente e devastante aveva colto di sorpresa non solo me, ma anche Adrienne che non sapendo quello che stavo immaginando, si era meravigliata per quell’effetto che lei aveva avuto su di me, per la prima volta.

    E questo era bastato? No, il mio cazzo era rimasto così duro da farmi sentire dolore e quando mi ero reso conto che non sarebbe cambiato nulla, avevo trovato una scusa e me ne ero andato. Controllo zero e con gli ormoni impazziti.

    " Dannazione!" imprecai, perché dovevo fare certi pensieri sulla mia migliore amica?

    Il litigio non aveva fatto altro che alimentare quello che volevo da diverso tempo e che mi tormentava. Un chiodo fisso nella mia mente, a volte così persistente che temevo di fare qualche passo falso anche durante le missioni, cui dovevo avere la concentrazione al massimo.

    Anche in quel momento il pene era in piena erezione, duro come il marmo che spingeva contro la cerniera del jeans, cercando un sollievo che non avrebbe avuto.

    Se Jack mi avesse visto in quelle condizioni, mi avrebbe preso in giro in eterno. Richiamai alla mia mente le situazioni e disastri più sgradevoli e sospirai di sollievo, quando riuscii a riprendere il controllo.

    Sentii vibrare il cellulare nella tasca posteriore dei jeans: uscito da casa di Adrienne avevo dimenticato del tutto di rimettere la suoneria.

    Guardai il display mentre uscivo dall’ascensore e mi accorsi che era Valerie che mi stava chiamando. Fissai lo schermo che illuminava il suo nome senza rispondere, non mi sentivo ancora pronto per parlare con lei.

    Rimisi in tasca il cellulare bandendo ogni mio pensiero su di lei e aprii la porta della nostra agenzia. Il rumore del fax e di Tracy, la nostra segretaria, che stava dando disposizioni al telefono mi accolse mentre camminavo lungo il corridoio per raggiungere il mio ufficio. Vidi Jack uscire da una stanza poco distante e avvicinarsi.

    «Bentornato, straniero» mi salutò Jack.

    Mi fissò per un attimo e il suo sguardo scrutatore non impiegò molto a capire cosa avessi.

    «Non ti azzardare a dire una sola parola» lo minacciai togliendomi gli occhiali ed entrando nell’ufficio.

    «Sarò muto come un pesce» mi canzonò.

    Sollevai gli occhi al cielo. «Oh, smettila, Jack!» sbottai esasperato sedendomi nella poltrona dietro alla scrivania, «ci sono novità?»

    «Sì» confermò, «da alcune nostre fonti abbiamo saputo che una grossa partita di diamanti purissimi provenienti dalla Russia, stanno per entrare nel nostro paese illegalmente.»

    Mi appoggiai allo schienale della poltrona. «Quanto grossa?» Chiesi.

    «Si parla circa di un miliardo di dollari».

    Lanciai un fischio. «Cifra grossa, potrebbero usarli come pagamento per le armi» ipotizzai, «o per finanziare qualche colpo di stato o chissà che altro».

    Jack annuì. «La cosa che mi lascia un po’ perplesso» replicò, «è che questo carico a quanto si sa, è stato diviso in tanti lotti, forse per non destare sospetti».

    «Mmm... in quel caso chiunque comprerebbe un lotto di quei diamanti» costatai, «si penserebbe a una normale transazione d’affari, una routine per allontanare sospetti e muoversi alla luce del sole.»

    «Infatti» concordò Jack. «Quindi dobbiamo nel più breve tempo possibile riuscire a sapere, chi acquisterà questi diamanti».

    «Dovremo calcolare laboratori che ne fanno richiesta e trattano gemme preziose» aggiunsi, «anche se di solito li acquistano sempre dalla stessa persona, gioiellieri e aggiungerei, anche la malavita locale».

    «Ho avvisato Greyson» m’informò Jack. «Stasera incontreremo Tegan e Lisa al solito posto».

    «Dobbiamo proprio andare in quella discoteca?» Brontolai, non avevo alcuna intenzione di stare in mezzo a quella confusione.

    «Lo sai il perché, no?»

    «Va bene, come non detto» replicai lasciando stare, «inizierò a fare un giro di ricerche nel frattempo».

    «Ora vado da Valerie» mormorò Jack, «devo controllare che abbiano montato tutto, te la saluto?»

    Stavo per ribattere quando fui interrotto dallo squillo del telefono, gli lanciai un’occhiataccia mentre lui, ridendo, uscì dalla stanza.

    «Ross» borbottai con voce rabbiosa.

    «Gabriel…»

    La voce di Valerie mi fece irrigidire non aspettandomi che lei insistesse dopo che non le avevo risposto chiamandomi in ufficio.

    «Valerie» mormorai con un tono più tagliente di quanto volessi.

    «Mi dispiace» sussurrò.

    Chiusi gli occhi un attimo a quella parola, ancora non mi capacitavo che quella mattina avevamo litigato.

    «Non avrei mai voluto dirti quelle cose» si affrettò ad aggiungere quando notò che rimanevo in silenzio. «Stamattina ero intrattabile dopo una notte insonne e mi dispiace davvero di essermela presa con te».

    Rimasi ancora in silenzio, per me quella non era una vera giustificazione, al contrario rendeva ancora più evidente che qualcosa la angustiava sin nel profondo, visto che aveva agito in quel modo. La conoscevo da tanto e sapevo che non

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