La paghetta perfetta: Come educare i figli all’uso del denaro su basi scientifiche.
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Le ricerche indicano che la capacità di monitorare entrate e uscite (fare budget), l’autocontrollo, la progressiva autonomia nel guadagno di denaro sono fattori decisamente importanti per costruire le competenze finanziarie dei figli. Molto più della paghetta.
Prefazione di Enrico Bertolino
e
con le domande chiave di Debora Rosciani e Mauro Meazza
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Anteprima del libro
La paghetta perfetta - Emanuela E Rinaldi
Capitolo 1
La paghetta è utile?
Mauro
Iniziamo con un argomento molto dibattuto in famiglia: paghetta sì, paghetta no. Un nostro ascoltatore, Vittorio da Parma, ci ha mandato un vocale: «Mia figlia ha 14 anni e sta diventando sempre più indipendente: esce con le amiche, va a fare shopping in centro, acquista cose online con la nostra carta, è responsabile ma a volte mi pare un po’ spendacciona e a scuola non va un granché bene. Ci ha chiesto una paghetta regolare mensile. Io non sono d’accordo, perché non è giusto che abbia lo stipendio fisso garantito. Bisogna guadagnarsele le cose! Mia moglie invece dice che la paghetta, secondo diversi esperti, è il modo migliore di educare i figli a un buon rapporto con il denaro. È vero?». Emanuela, cosa ne pensi?*
Vittorio, voglio rassicurarti subito: tua moglie ha torto. Dal punto di vista della ricerca scientifica, non esistono in Italia evidenze robuste che dimostrino che la paghetta sia un modo utile a sviluppare competenze finanziarie o una maggiore propensione al risparmio. Quindi, se tua moglie vuole convincerti a dare la paghetta a tua figlia perché gli esperti dicono che è meglio così
, non ti sta dicendo una cosa corretta. In realtà, esistono degli studi in altri Paesi, come l’Olanda¹, che indicano che l’aver ricevuto la paghetta durante l’infanzia aiuta a sviluppare una maggiore propensione al risparmio, ma non in Italia.
Debora
Che cosa intendi per evidenze scientifiche robuste
?
È un’espressione che si utilizza generalmente quando numerosi studi (cinque, sei o possibilmente anche più) svolti da ricercatori diversi e indipendenti tra loro, condotti su un gruppo detto campione statistico
di individui sufficientemente grande e rappresentativo della popolazione italiana (quindi non la classe di mia figlia
o gli amici di mio nipote
), danno come risultato la stessa indicazione. Ad esempio, in Italia più di una quindicina di studi svolti su campioni di adulti diversi indicano che i maschi hanno maggiori competenze finanziarie delle femmine. Ma sulla paghetta, come già detto, diverse ricerche indicano che non c’è un legame con lo sviluppo di competenze finanziarie. Il tema della cultura finanziaria dei bambini, dei preadolescenti e degli adolescenti in Italia è ancora poco studiato rispetto a quanto accade all’estero, probabilmente per la tendenza a pensare che i bambini siano creature lontane dalle logiche del mercato e della circolazione del denaro. Se tuttavia vogliamo basarci sulla ricerca e non su opinioni personali – che comunque sono legittime – dobbiamo dire a Vittorio che si può tranquillamente fare come dice lui. Anche l’ultima edizione di una delle indagini più note a livello internazionale, quella svolta dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico denominata Programme for International Student Assessment (detta comunemente indagine OCSE-PISA
)², che ha coinvolto un campione in Italia di circa 9.000 studenti quindicenni³, indica che non c’è un legame tra paghetta e sviluppo di competenze finanziarie.
Mauro
Ma allora, perché si parla tanto di paghetta?
È una questione di moda, di ideologia
che prevale in un certo periodo storico e in una certa classe sociale o in un certo gruppo di persone che hanno maggiore visibilità mediatica: negli anni Ottanta si preferiva dare soldi su richiesta
e anche molti esperti o pseudo-esperti sostenevano, nelle riviste di costume, in tv, o alla radio, che era meglio non abituare i figli all’idea dello stipendio fisso (non sia mai che diventino come Checco Zalone nel film Quo vado?, scansafatiche attaccato al posto fisso), ma che era più educativo dare i soldi di volta in volta discutendo la richiesta, sfruttando l’occasione per dialogare con i figli sull’uso del denaro («Perché ti servono?», «Ci sono altri modi per ottenere ciò che vuoi?», «È un bisogno o è un capriccio?») e andare incontro alle loro esigenze monitorandole. Poi, invece, in modo inspiegabile (non sono stati trovati studi in merito), la paghetta regolare è tornata in auge, specialmente nelle fasce medie⁴, probabilmente perché riflette un principio di regolarità, controllo e ordine che è molto caro a questa classe sociale. E si è diffusa l’idea che la paghetta aiutasse a controllare gli impulsi agli acquisti senza limiti dei figli, soprattutto durante l’adolescenza (periodo in cui i ragazzi considerano i vestiti o i beni di consumo come strumento per affermare la propria identità), a sviluppare competenze di pianificazione e a impostare un rapporto corretto con il denaro. E quindi oggi sul web si trovano tanti esperti che sottolineano l’importanza della paghetta sulla base di questa ideologia
, ma senza dati scientifici in merito.
Debora
Eppure anche gli stessi professionisti del risparmio, i consulenti finanziari, talvolta sostengono l’importanza della paghetta per costruire un buon rapporto con il denaro e stimolare la propensione al risparmio...
È vero, ne ricordo uno che gestisce una community dove si parla di finanza, una persona competente e preparata, che diceva di non aver ricevuto la paghetta durante l’infanzia, ma raccomandava ai genitori di darla ai figli. Probabilmente altri fattori avevano plasmato il suo rapporto con il denaro e stupisce che, pur avendo una preparazione in campo economico e un interesse verso la finanza, attribuisse proprio alla paghetta che non aveva ricevuto una così grande valenza educativa. Infatti, la nota propensione al risparmio degli Italiani, più accentuata rispetto ad altre nazioni, si è sviluppata attraverso più generazioni tramite processi di socializzazione economica⁵ caratterizzati non tanto dalla paghetta, quanto dal tipo di economia contadina, dalla propensione al sacrificio per la famiglia e dall’avversione all’incertezza che hanno caratterizzato il Belpaese⁶. Cito Luigi Einaudi, economista e Presidente della Repubblica «Quando pensiamo al risparmiatore, istintivamente a che cosa pensiamo? Io stesso, quando ero ragazzo e prendevo qualche buon voto a scuola, ricevevo da papà e mamma cinque lire, e siccome l’abitudine di casa era di non comprare cioccolatini, noi le depositavamo sul libretto della Cassa di risparmio postale, così da potere un po’ per volta lentamente giungere alla cifra di 100 lire, la cifra del biglietto rosso
, che allora aveva in ogni famiglia un significato notevole...» (Luigi Einaudi,