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Investire perché
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E-book424 pagine5 ore

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Info su questo ebook

In tutto il mondo crescono le somme che i risparmiatori lasciano sui conti correnti. Una non-scelta che non conviene: non ai correntisti insidiati da spese e inflazione, né all'industria del risparmio, né alle banche.
Questo libro esplora motivi e condizioni che hanno creato questo nuovo "materasso", indagando sugli argomenti di chi preferisce la trappola della liquidità agli incerti degli investimenti. Facendo tesoro delle testimonianze dei risparmiatori giunte al programma Due di denari su Radio 24 e chiamando in causa esperti e consulenti del settore.
Per portare tutti i lettori, di qualsiasi età o preparazione finanziaria, a una migliore consapevolezza nella gestione dei propri risparmi.


LinguaItaliano
Data di uscita11 nov 2021
ISBN9788863459173
Investire perché
Autore

Debora Rosciani

Debora Rosciani da Castelfidardo, è dai primi anni Duemila la voce delle Borse e del risparmio su Radio 24. Ha ideato e condotto trasmissioni sempre orientate alla diffusione delle notizie e delle nozioni necessarie ai risparmiatori.

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    Anteprima del libro

    Investire perché - Debora Rosciani

    Capitolo 1

    Non investo perché…

    … i soldi sono miei e ci faccio quello che mi pare

    1.1 La ricchezza immobile

    Tengo i soldi sul conto perché, non avendo un reddito costante, necessito di liquidità immediata. Antonio

    Ho i soldi sul conto perché non ci si può fidare ciecamente dei professionisti delle banche. Gli investimenti richiedono conoscenza e non siamo tutti esperti, ovviamente temo le perdite collegate ad investimenti errati. So che esiste il prodotto adatto alle mie esigenze, ma ho la necessità di avere soldi subito disponibili per eventuali investimenti o necessità. Grazie e siete bravissimi!

    All’inizio hanno preso di mira i clienti con patrimoni importanti. Poi hanno cominciato ad aumentare i canoni di gestione dei conti di tutti i tipi, con ritocchi al rialzo che non si vedevano da anni, perché dai tempi delle lenzuolate di Pier Luigi Bersani del 2006, la tendenza delle spese connesse ai conti correnti era stata costantemente al ribasso. Finché si è arrivati alle sortite della primavera 2021, quando primari gruppi bancari italiani hanno comunicato senza mezzi termini alla clientela, quella troppo liquida e poco o nulla investita, la decisione di riservarsi il diritto di risolvere il contratto nel caso in cui non si decidessero a impiegare diversamente quelle somme.

    Più oltre, in questo stesso capitolo, vedremo qualche dettaglio di questi interventi. I quali però sono il segno, da parte delle banche, di una presa di coscienza forte: niente e nessuno riesce a smuovere i risparmiatori italiani. Che sono, come si sente dire spesso, ottimi risparmiatori e pessimi investitori. O forse dovremmo dire risparmiatori entusiasti, investitori riottosi.

    Così le banche hanno iniziato a scoraggiarli in ogni modo dal tenere i soldi fermi sul conto corrente: a suon di oneri, commissioni, iniziative persino brutali e inedite, mai sperimentate prima. Lasciando sbigottiti molti clienti. Al massimo, quello che in passato poteva succedere era che una banca alzasse il telefono per comunicarti che eri finito in rosso, o che dovevi velocemente rientrare da un fido, oppure (pratica abbastanza diffusa, ahimè, ancora) poteva succedere che l’impiegato allo sportello – a cui ti eri presentato magari per fare un bonifico o eseguire un’altra semplice operazione – ti proponesse un’obbligazione dell’istituto. Certamente non era immaginabile uno scenario in cui la banca ti chiedesse di andartene a causa del… troppo denaro sul conto!

    Si è provato ad indagare in ogni modo sulle ragioni di questa tendenza a non investire e trattenere la liquidità, lasciandola – anche consapevolmente – in balìa dell’inflazione. E c’è da ammettere che il clima di paura ed incertezza generato dalla pandemia e dalla traumatica crisi economica che ne è derivata, accanto ad una sfiducia più o meno manifesta nei confronti dell’industria finanziaria in generale, ha portato una quota crescente di italiani a scegliere di non scegliere.

    Il nostro focus è inevitabilmente italiano, ma a ben guardare tutti i cittadini europei hanno evidenziato lo stesso malessere verso l’investimento e questo era evidente ben prima dello scoppio della pandemia. Già nel novembre del 2019 Vito Lops scriveva sul Sole 24 Ore (sottolineature nostre):

    "Una montagna di liquidità. I conti correnti europei strabordano di contanti, parcheggiati in attesa che l’orizzonte finanziario ispiri più fiducia. Gli ultimi dati dell’European banking authority indicano che i depositi a vista presenti nelle banche dell’Eurozona (sommando famiglie e imprese) hanno superato per la prima volta nella storia la soglia dei 10mila miliardi di euro.

    Considerando che nel 2018 i 19 Paesi che appartengono all’area valutaria hanno generato un Pil di quasi 12mila miliardi (fonte Eurostat), il conto della serva è presto fatto: una somma superiore ai due terzi del Pil è oggi ferma, senza alcuna direzione, in banca. A quanto pare la predisposizione a conservare i soldi sotto il materasso non è un’attitudine esclusivamente italica, come il luogo comune porta a credere (...).

    I depositi a vista degli italiani, in questo momento, superano i 1.400 miliardi e ammontano a circa l’80% del Pil (che nel 2018 si è attestato a 1.753 miliardi) e sono certamente imponenti anche rapportando l’importo alla popolazione. È come se a livello pro capite ogni italiano (neonati inclusi) avesse in banca oltre 23mila euro di liquidi. Nei dintorni ci sono però Paesi che superano l’Italia in questa speciale classifica della liquidità. Prima in valore assoluto è la Germania dove le somme parcheggiate nei conti correnti rasentano i 3mila miliardi e sono vicini al 90% del Pil (3.380 miliardi). Anche l’‘insospettabile’ Francia si rivela più guardinga dell’Italia con 2.200 miliardi di depositi a vista, il 92% del rispettivo Pil. Volando poi fuori dall’Eurozona, colpisce anche il dato secco della Gran Bretagna, terza forza a spingersi oltre la soglia dei 2mila miliardi.

    Andando indietro nel tempo scopriamo che quanto accaduto negli ultimi anni può definirsi una escalation della liquidità, considerando che nel 2005 le somme depositate nelle banche dell’Eurozona si aggiravano intorno ai 5mila miliardi. In meno di 15 anni sono praticamente raddoppiate manifestando una crescita costante che ha subìto un’accelerazione tra il 2008 e il 2009, a cavallo dell’ultima forte recessione globale che poi si è riverberata nell’Eurozona sfociando nella crisi dei debiti sovrani (a partire dal 2010 con la Grecia)"¹.

    I 1.400 miliardi italiani segnalati da Vito Lops a fine 2019 sono diventati, a metà del 2021, quasi 1.800, dei quali 1.300 circa solo in mano alle famiglie. A maggio la Bce ha indicato per l’Italia una crescita dei depositi delle imprese del 17,3% tendenziale, mentre quelli delle famiglie erano aumentati del 6,4 per cento. Una ricchezza immobile sempre più consistente.

    Ma da dove è arrivata tutta questa liquidità? Qualche cosa la sappiamo con certezza. Per mesi, dal febbraio 2020, il mondo si è come paralizzato: miliardi di individui si sono chiusi in casa, aspettando che la bufera passasse, interrompendo ogni azione, ad eccezione del lavoro e dello studio da casa. Niente spostamenti, auto in garage, zero vita sociale, zero consumi, poche spese al di fuori di quelle essenziali: alimentari, cura personale, bollette.

    Milioni di italiani hanno sospeso tasse, prestiti e mutui. Gli stipendi (o gli ammortizzatori sociali) hanno preso ad accumularsi in banca, andando a costruire una sorta di fortino inespugnabile per tutti coloro che o erano finanziariamente impreparati allo scoppio della pandemia (e quindi sono corsi ai ripari nei mesi del lockdown) o erano già sfiduciati prima e con la crisi sanitaria hanno deciso che non era certo il momento ideale per andare in banca o per parlare con un consulente finanziario e smontare la liquidità. Il grafico che presentiamo più oltre mostra bene la tendenza ad accumulare².

    Nel 2020, ha riassunto la Banca d’Italia nella sua Relazione annuale presentata a fine maggio del 2021, a fronte di un’elevata incertezza sull’evoluzione della pandemia e sui tempi della ripresa, le famiglie hanno mostrato cautela nei loro investimenti, privilegiando attività finanziarie liquide. Nel 2020 i depositi sono cresciuti di 85 miliardi, più di due volte la media dei cinque anni precedenti³.

    PAROLA CHIAVE: INFLAZIONE

    Nelle economie di mercato i prezzi di beni e servizi possono subire variazioni in qualsiasi momento: alcuni aumentano, altri diminuiscono. Si parla di inflazione quando si registra un rincaro di ampia portata, che non si limita a singole voci di spesa. In seguito a tale fenomeno un’unità di moneta (1 euro) consente di acquistare una minore quantità di beni e servizi; in altre parole, il valore reale dell’unità di moneta risulta inferiore rispetto al passato.

    Nel calcolo dell’inflazione si tiene conto di tutti i beni e servizi consumati dalle famiglie, fra i quali figurano:

    •generi di uso quotidiano (ad esempio alimentari, giornali, benzina)

    •beni durevoli (ad esempio capi di abbigliamento, computer, lavatrici)

    •servizi (ad esempio affitto dell’abitazione, servizi alla persona, assicurazioni)

    Tutti i beni e i servizi consumati dalle famiglie nel corso dell’anno sono rappresentati dal cosiddetto paniere. Ciascuna voce di spesa contenuta nel paniere ha un prezzo, che può variare nel tempo. Il tasso di inflazione sui 12 mesi corrisponde al prezzo del paniere totale in un determinato mese rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

    L’inflazione al consumo nell’area dell’euro è calcolata mensilmente dall’Eurostat. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC) tiene conto, in media, di circa 700 tipologie di beni e servizi, rispecchiando la spesa media delle famiglie dell’area dell’euro per tale paniere⁵.

    Investire perché

    Dopo oltre un anno di pandemia – ha confermato il secondo rapporto Assogestioni Censis nel settembre 2021 – gli italiani risparmiano di più e hanno più risparmio in portafoglio. Un risparmio che è disegualmente distribuito, visto che a disparità tradizionali, ad esempio tra anziani e giovani, se ne sono aggiunte di nuove, che sono esito ad esempio della crisi pandemica di lavoro autonomo e piccola impresa. Il risparmio degli anziani è stato poi il carburante del welfare intrafamiliare, con genitori e nonni ben patrimonializzati che hanno trasferito risorse a figli e nipoti colpiti dalla crisi: ben il 50,8% dei giovani definisce gli anziani della propria famiglia come il proprio bancomat. In definitiva, Covid-19 ha rilanciato la centralità del risparmio negli stili di vita degli italiani pressati dall’emergenza: ora è urgente metterlo in movimento⁶.

    Gli italiani e il risparmio nel 2021

    Investire perché

    In molti, durante la pandemia, avranno pensato: Visto che avevo ragione io? Con questa crisi ho una bella riserva a cui attingere, se li avessi avuti investiti, chissà?. Eppure, se quel denaro fosse stato investito, avrebbe subìto certamente la sbandata di marzo 2020, ma poi avrebbe vissuto la fase di recupero più poderosa che si sia mai vista. Al 30 giugno 2021 le Borse europee, tanto per fare un esempio, hanno archiviato un semestre di rialzi a due cifre: +18% per Parigi ed Amsterdam, +14% per la Borsa italiana e Francoforte. Per non parlare poi di Wall Street, protagonista di un trend rialzista inarrestabile che ha portato tutti gli indici su livelli mai visti prima.

    Eppure, gran parte dei risparmiatori è incurante di queste dinamiche e la ragione la conosciamo fin troppo bene: per trarre profitto dal mercato occorre navigarlo per un ragionevole periodo di tempo. L’ottica temporale dell’investimento si è allungata ma non è stata accompagnata da un cambio comportamentale da parte dei consumatori che continuano a chiedere risultati di breve termine. Due mondi che non si comprendono: uno cambia (lo scenario finanziario) e l’altro rimane immobile (quello degli individui che risparmiano tanto sempre con la stessa logica).

    Accomunati, però, da scenari che mettono in discussione molte certezze: c’è l’aspetto sociale, con una dinamica demografica che si allunga, c’è una spesa statale per welfare e previdenza che deve assottigliarsi nelle erogazioni ai singoli per poter bastare a tutti, c’è un mercato del lavoro molto più instabile e fluido rispetto al secolo scorso. Purtroppo molti di noi non sembrano rendersene conto. E, incuranti dei bisogni che avranno in futuro, rimangono ancorati al presente e provano a gestirlo in totale autonomia, rinunciando a un possibile guadagno preferendo, alla prospettiva, la sicurezza del momento e della immediata disponibilità.

    1.2 I tempi cambiano

    Per comprendere appieno lo scenario, facciamoci un’altra domanda: per quale motivo le banche, tutte le banche, vedono ora come un problema la nostra scelta di trattenere liquidità sul conto corrente?

    Questo mutato atteggiamento è l’effetto ultimo di iniziative delle banche centrali che derivano da un’ottima e condivisibile ragione: quella di sostenere e incentivare l’afflusso di denaro all’economia reale, non solo dal 2020 in poi a causa della pandemia, ma già da diversi anni addietro, per reagire alla crisi esplosa nel 2008 con il crack Lehman Brothers e poi dilagata come crisi economica ovunque.

    Sostenere l’economia reale significa rendere conveniente l’offerta di prestiti alle imprese per favorire gli investimenti, o di prestiti alle famiglie per l’acquisto della casa o per il credito al consumo. Per puntare a questo obiettivo, le banche centrali hanno utilizzato diversi strumenti: hanno varato misure per ridurre la convenienza a finanziarsi presso di esse, ad esempio portando i tassi di interesse in negativo; hanno aumentato la liquidità in circolazione, riducendo il costo del denaro (il tasso di interesse) e provando con queste iniezioni di liquidità a far salire un poco salari e prezzi, così da ottenere un po’ di buona inflazione cioè contenuta entro il 2%; hanno varato prestiti alle banche a tassi favorevoli purché queste risorse fossero poi indirizzate a imprese e famiglie.

    Negli ultimi anni c’è stata quindi, come riassumeva il sito di Mutui online nel marzo 2020, una "costante discesa del costo del denaro per effetto delle politiche monetarie europee. Si fa riferimento in modo particolare al tasso dei depositi della Banca Centrale Europea (Bce) e al Quantitative Easing (Qe), in italiano alleggerimento/allentamento quantitativo, o anche facilitazione quantitativa:

    •il tasso dei depositi è il tasso che teoricamente la Banca Centrale paga agli istituti bancari dei singoli Stati che decidano di depositare della liquidità a brevissimo termine (overnight) presso l’istituto centrale. Fino al luglio 2012 a fronte di tale deposito veniva riconosciuto un seppur minimo rendimento positivo. Da allora e fino al giugno 2014 il rendimento è stato fissato a zero, e da allora in poi il tasso è diventato addirittura negativo (…);

    •il Quantitative Easing è una politica monetaria espansiva attraverso la quale la Bce ( ma la misura è stata adottata anche dalle altre banche centrali, ndr ) può intervenire sul sistema finanziario ed economico di un Paese o di un intero sistema di Paesi, aumentando la quantità di moneta in circolazione. La Bce immette nuova moneta acquistando titoli di Stato e altre obbligazioni, facendo così salire i loro prezzi e diminuire i loro rendimenti: se tali rendimenti risultano essere legati ai tassi di interesse bancari, anche questi si riducono in misura significativa, fino a scendere sotto lo zero, come è successo negli ultimi anni" ⁷.

    Queste misure, dai fini nobili, hanno avuto però effetti importanti sui bilanci delle banche, che devono comunque far quadrare i conti, a loro e a nostra tutela. Gli istituti bancari pagano lo 0,5% per la liquidità depositata presso la Banca Centrale Europea in eccesso rispetto alle riserve obbligatorie — ha spiegato nella primavera del 2021 al Corriere della Sera Economia Christian Carrese, analista di Intermonte Sim —. Le condizioni di mercato non aiutano, perché la tesoreria viene investita, tipicamente, in titoli di Stato, per evitare rischi eccessivi. E i rendimenti nella zona euro sono in larga parte negativi⁸.

    La situazione è stata riassunta da Marcello Minenna, attuale direttore dell’agenzia delle Dogane e dei Monopoli, sul Sole 24 Ore del 31 gennaio 2021: "Sono passati più di 6 anni da quando la Bce ha adottato i tassi negativi su una fetta consistente delle proprie passività verso il sistema bancario dell’area euro, ossia i depositi delle banche presso la Banca Centrale (deposit facility) e le riserve in eccesso rispetto al requisito minimo (riserva obbligatoria) alle quali si applicava lo stesso tasso vigente sui depositi.

    Il passaggio ad una politica monetaria a tassi negativi (Negative Interest Rate Policy o Nirp) è stato uno degli strumenti usati da Francoforte per disincentivare le banche a tenere la liquidità ferma in Banca Centrale e spronarle a cercare impieghi più proficui, sperabilmente nella forma di un maggiore credito all’economia della nostra area valutaria. Laddove però questo meccanismo non funzioni adeguatamente, i tassi negativi si traducono per le banche in un onere da sopportare per tenere le proprie disponibilità liquide in Bce che, coeteris paribus, è tanto più elevato quanto più negativo è il tasso sui depositi.

    Dati alla mano, si osserva che da giugno 2014 (avvio della Nirp) a luglio 2019, il costo lordo dei tassi negativi per i bilanci bancari è cresciuto sensibilmente per l’effetto combinato del progressivo abbassamento del tasso sui depositi e dell’aumento delle disponibilità liquide (depositi e riserve in eccesso) delle banche presso l’Euro-sistema, sino a stabilizzarsi ben sopra i 7 miliardi di euro su base annualizzata"⁹.

    Andamento dell’onere dei tassi negativi sui bilanci delle banche dell’area euro

    Investire perché

    Ecco come Fineco ha spiegato il contesto ai suoi correntisti, nella lettera datata 18 marzo 2021: "Nel corso del 2020, al fine di sostenere e fornire il giusto stimolo all’economia comunitaria, la Bce ha adottato una politica monetaria espansiva ricorrendo ad un ampio pacchetto di misure di politica economica che hanno prodotto un incremento della liquidità, con conseguente aumento dei livelli di giacenza in conto corrente e un’ulteriore riduzione dei tassi di interesse interbancari come l’Euribor, il tasso utilizzato dalle banche nelle proprie operazioni di finanziamento.

    Nello specifico, nel 2020, la media mensile dell’Euribor 1M (tasso a 1 mese, ndr) ha proseguito la sua discesa toccando a febbraio 2021 il valore di -0,553%, con un differenziale negativo pari a -0,098 % rispetto a ottobre 2019 (Euribor 1M pari a -0,455%). In particolare l’ulteriore riduzione del tasso Euribor 1M, non dipendente dalla sfera decisionale della Banca (Fineco, ndr), e la prospettiva che si mantenga su tali livelli per un periodo di tempo ancora lungo (come da analisi macroeconomiche di Bce) hanno determinato, tra gli altri effetti, un impatto sfavorevole sull’attività di gestione della liquidità, con particolare riferimento a quella depositata dai clienti sul conto corrente (specie se per lunghi periodi), rendendola ancora più onerosa per la Banca. In tale contesto le condizioni di equilibrio stabilite a novembre 2019 in occasione della revisione delle condizioni economiche del conto Fineco vengono meno se l’impatto negativo della riduzione del tasso Euribor sul margine d’interesse della Banca non risulti controbilanciato dai ricavi connessi all’utilizzo da parte dei clienti dei servizi di investimento e di finanziamento offerti dalla Banca"¹⁰.

    Insomma, in poche parole: La Bce ha portato i tassi di interesse in negativo – ha detto Alessandro Foti, amministratore delegato di Fineco – per rendere costosa la liquidità e dunque favorire il suo travaso verso l’economia reale. Ma se il meccanismo si inceppa e la liquidità resta intrappolata sui conti correnti senza finire in consumi e investimenti, allora abbiamo un problema. Ecco il problema, espresso in cifre nella lettera del 18 marzo: A titolo esemplificativo il costo, aggiuntivo rispetto a quello rilevabile a novembre 2019, attualmente sostenuto dalla Banca per la gestione della liquidità di un cliente, che presenti un saldo medio di 100.000 euro sul conto corrente per un periodo di tre mesi, è pari a: 100.000 * 0,098% * 3/12 = 24,5 euro a trimestre.

    Fineco è stata la banca che ha avviato, nella primavera del 2021, l’iniziativa forse più nota di contrasto all’eccesso di liquidità sul conto e alla ricchezza immobile. Ma tutti gli istituti hanno azioni indirizzate allo stesso obiettivo: c’è chi agevola gli investimenti in fondi monetari senza commissioni, chi spinge su strumenti di risparmio gestito con strategie di accumulo nel tempo, chi impone commissioni di liquidità più elevate a imprese e partite Iva che oltrepassano certe giacenze. Diverse banche hanno commissioni anche importanti, fino a importi per migliaia di euro, quando gli estratti conto hanno saldi oltre il milione.

    In altri Paesi la banca può trasferire questi costi sul cliente utilizzando tassi di interesse negativi per le giacenze sul conto corrente, ma questo intervento non è possibile in Italia. E questo è l’ultimo motivo che ha innescato quella grandinata di oneri, commissioni, aggravi contro la liquidità sui conti correnti, evocata all’inizio di questo capitolo. Ad esempio, la strategia scelta da Fineco per invitare a movimentare le somme è stata quella di riservarsi la facoltà di non mantenere i conti con giacenze oltre 100mila euro, se privi di forme di finanziamento o di investimento in essere.

    TESTIMONI – Sabrina Pellegrini, psicologa del denaro¹¹

    SPENDERE E INVESTIRE IN MODO NUTRIENTE

    Abbiamo bisogno della psicologia per comprendere la crescita enorme della liquidità?

    Sì, perché parlare della troppa liquidità ferma sui conti senza vedere la cornice di riferimento psicologica è un grave errore. Bisogna considerare, in primo luogo, che è cambiato ciò che le persone reputano legato alla sfera intima e immateriale. Le stesse persone che non hanno problemi nel raccontare alle amiche la gita alle terme con l’amante o nel postare sui social il selfie della moglie in accappatoio, arrossiscono nel parlare del proprio stipendio mensile e si scandalizzano di fronte a domande dirette sull’entità del proprio patrimonio netto o sul reddito.

    Dobbiamo allora comprendere la relazione dei consumatori con il denaro e accettare il fatto che la maggior parte dei risparmiatori italiani tratta come fenomeni intimi problemi legati alla sfera finanziaria (quando in realtà la moneta è stata creata come semplice strumento di misura per agevolare gli scambi materiali) e traduce gli affetti in cose concrete. La macchina nuova, le bollette, il saldo a fine mese – oggetti concreti – vengono investiti affettivamente, legati al senso di sicurezza, stima di sé o alla felicità. In questo modo affrontare domande legate al proprio bilancio diventa molto complicato. Pensate a chi è impegnato per ottenere una promozione che stenta ad arrivare o a chi si dedica da mesi alla ricerca di un lavoro più soddisfacente, mentre il budget mensile richiede continue rinunce e bisogna onorare gli impegni già presi: rate della macchina, mutuo per la casa, rette universitarie, vacanze ecc. Per queste persone parlare di investimenti è intimamente doloroso, anche se sono proprio quelli che guadagnano, risparmiano e con quel che resta decidono in cosa e dove spendere.

    Pianificare gli investimenti, allora, significa occuparsi intenzionalmente di elementi tanto preziosi dal punto di vista sia materiale sia immateriale: la relazione con il denaro poggia su entrambi, ma non vanno confusi. La pianificazione finanziaria è il delicato strumento che mette in relazione il materiale con l’immateriale, senza perdersi. È impegnativa, poiché costringe a fare il punto su come stiamo amministrando la nostra vita e ci confronta su elementi scomodi, ci chiede: A che punto sei nella tua vita?.

    Come imparare a pianificare? Come rapportarsi correttamente con il denaro?

    La maggior parte di noi impara per prove ed errori a gestire le proprie finanze e di solito apprende i comportamenti secondo uno schema che possiamo descrivere in tre fasi, in ognuna delle quali individuiamo tre passaggi. In un primo momento, per puro spirito di sopravvivenza, cerchiamo di: 1. bilanciare l’afflusso e il deflusso con la creazione di un budget; 2. spendere in un modo che possiamo definire nutriente; 3. guadagnare e scoprire il nostro valore all’esterno.

    Solo dopo questi tre passaggi siamo più liberi di cercare un senso più profondo: 4. dando senso al denaro, rimanendo collegati a ciò che è importante per noi; 5. sviluppando cultura finanziaria per comprendere dove vale la pena impegnarsi; 6. gestendo il rischio per cogliere le possibilità più vantaggiose.

    Infine, come ultima fase, siamo spinti dall’esigenza di avere soddisfazione e quindi impariamo a: 7. investire in modo oculato; 8. sperimentare ricchezza trasmettendo ad altri il patrimonio; 9. collegare le nostre azioni alla ricchezza interna per vivere in equilibrio.

    Quindi la capacità di investire arriva solo in una fase avanzata del nostro rapporto con il denaro.

    Sì. E non è semplice né automatico attraversare i vari passaggi e le fasi. Rispettare un budget può sembrare scontato ma molti non amano stabilire un budget mensile. Determinare un budget significa raccogliere dati (estratti conto bancari, ricevute, buste paga, versamenti ecc.) e costringe a confrontarsi con la domanda quale stile di vita possiamo permetterci?. Alcuni risparmiatori si rapportano ai consumi in modo spontaneo, senza fare calcoli, ma così non si diventerà mai investitori. Per di più, agire senza budget provoca sensazioni spiacevoli, come sentirsi colpevoli o disorientati, poiché avvertiamo che non ci stiamo prendendo seriamente cura di noi. Mentre vedere che certe spese sono sottodimensionate può renderci visibile il fatto che il reddito non è destinato alle dovute priorità.

    Cosa intende con spendere in modo nutriente?

    Cominciamo con il monitorare le spese per categoria, destinatario, forma di pagamento (questo già dice molto sui valori e sulle priorità di una persona) e proviamo a risalire alle motivazioni delle spese: alcuni si fanno trascinare dalle mode, altri fanno spese significative perché cercano rivalsa oppure consolazione, oppure sicurezza. E quanti pensano di poter ottenere affetto in cambio di un regalo?

    Dobbiamo invece capire che spendere bene, saper spendere è una sfida. Se pensiamo al dover rimandare un acquisto come a una mancanza di gioia, soddisfazione, accettazione, rispetto sarà difficile pensare serenamente alle spese e, se non diamo peso alla possibilità di soddisfare questi bisogni in modo appropriato, continueremo a cercare di soddisfare i nostri bisogni immateriali con beni materiali. Se non possiamo essere onesti sui nostri bisogni e affrontarli direttamente, rimarremo affamati, frustrati, pieni di risentimento e la liquidità servirà a lenire tutto ciò.

    Dobbiamo invece prendere il tempo per capire cosa ci nutre davvero. La maggior parte delle cose che fanno sentire di essere vivi, provare felicità, sentirsi appagati, non è legata al denaro. Chiedere a se stessi: Cosa desidero veramente? permette di ascoltare le nostre reali esigenze. E fare il secondo passo verso sentimenti di vera ricchezza e guardare in modo diverso alla liquidità, gestire il nostro conto prevalentemente per le spese correnti. Quando guidiamo un’automobile sappiamo bene che è solo un mezzo che ci porta al mare o in montagna, a giocare sulla spiaggia o a godere di un panorama mozzafiato una volta arrivati. Negli investimenti, questo significa imparare ad ascoltare le proprie reali necessità.

    Nel percorso che ha descritto, il riferimento al lavoro e al guadagno è allora da intendere non solo come ricerca di autonomia economica ma anche come bisogno profondo di sentirsi utili, preziosi, riconosciuti. E i tre passaggi successivi – dar senso al denaro, sviluppare cultura finanziaria e gestire il rischio – saranno via via conquiste connesse a quanto appreso in precedenza. Ma che significa saper investire?

    Investire può sembrare legato alla capacità di lasciare che i soldi lavorino per noi, rendendo la nostra vita più comoda. In realtà, la pianificazione degli investimenti va molto oltre, poiché riguarda la nostra visione: quel che crediamo sia possibile ottenere con quei soldi. Solo se conosci ciò a cui tieni sei disposto a reggere l’impegno, fare piani convincenti e tenere la direzione.

    Per pianificare bisogna visualizzare le infinite possibilità, sognare come possiamo vivere una vita diversa, appagante, soddisfacente (se non riusciamo a vederlo, non possiamo farlo accadere); poi tradurre questo in intenzioni, entrare talmente nel dettaglio, passare dalle infinite possibilità a un obiettivo chiaro collocato nel tempo; infine progettare la strategia, cioè generare chiari obiettivi e realizzare un piano d’azione.

    A molti il futuro sembra troppo lontano, imponderabile (essere reattivi è più facile) e la pianificazione appare inutile, visto che le variabili in gioco sono tantissime. Molti hanno difficoltà a stabilire degli obiettivi finanziari, hanno paura di rimanere bloccati, trovano più eccitante non sapere e vivere alla giornata. Investire, invece, è guardare al miglioramento della propria vita, nonostante le numerose incognite, visualizzare possibili azioni nel futuro, senza farsi ostacolare dalla paura: paura di soffrire, di fallire, di mostrarsi ridicoli eccetera.

    Sono paure come queste ad alimentare la liquidità sui conti. Perché tradurre un obiettivo in qualcosa di più concreto richiede concentrazione, disciplina e impegno, mentre molti di noi trovano più semplice reagire alle cose nel momento in cui si presentano. Ma ci è stata data la capacità di pianificare in modo da poter dare senso e, al livello più profondo, la pianificazione richiede la volontà di partecipare alla vita e occuparsi di come si potrebbe svolgere.

    Attenzione: non è il raggiungimento dell’obiettivo a generare appagamento e soddisfazione. La soddisfazione deriva dall’aver provato, e pianificare vuol dire abbracciare le possibilità. Alcuni pensano che la pianificazione distolga dal presente, quando invece pianificare e vivere sono le due facce della stessa medaglia. Quando in un momento di consapevolezza pianifichiamo

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