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L’Inganno della Croce: Come la Chiesa Cattolica ha inventato se stessa attraverso menzogne, artifizi e falsi documenti
L’Inganno della Croce: Come la Chiesa Cattolica ha inventato se stessa attraverso menzogne, artifizi e falsi documenti
L’Inganno della Croce: Come la Chiesa Cattolica ha inventato se stessa attraverso menzogne, artifizi e falsi documenti
E-book279 pagine7 ore

L’Inganno della Croce: Come la Chiesa Cattolica ha inventato se stessa attraverso menzogne, artifizi e falsi documenti

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Info su questo ebook

«La Chiesa non si può mandare avanti con le Avemarie!».
Mons. Paul Marcinkus


La Chiesa cattolica, a partire da Paolo di Tarso, ha inventato se stessa un passo dopo l’altro attraverso documenti falsi e spudorate menzogne, sfruttando la fragilità e la credulità popolare per puri scopi di potere travestiti da aneliti spirituali.
Forte di una tradizione fondata sull’inganno, l’istituzione ecclesiastica pretende di controllare ancora oggi una larga parte della popolazione mondiale e di dissanguare l’Italia gravando pesantemente sul bilancio dello Stato.

Con questo libro scoprirai:
  • l’invenzione della risurrezione e del peccato originale
  • da Costantino, a Teodosio: la fabbrica dei falsi e delle menzogne
  • dogmi, concili, bolle, encicliche e devozioni costruite a tavolino, tra feticismo e superstizione
… e molto altro ancora.
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita14 nov 2022
ISBN9791255281214
L’Inganno della Croce: Come la Chiesa Cattolica ha inventato se stessa attraverso menzogne, artifizi e falsi documenti

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    Anteprima del libro

    L’Inganno della Croce - Laura Fezia

    Prefazione

    Si legge questo libro e ci si chiede: come non concordare? O, quanto meno, come non cominciare a dubitare seriamente?

    I contenuti sono accurati, frutto di una ricerca che rispetta le regole di quella scienza che si definisce storiografia: tecnica di composizione di opere storiche, fondata sull’interpretazione critica e sulla rielaborazione scientifico-letteraria dei fatti.

    Questo libro affronta e narra una serie di vicende che della storia hanno fatto scempio; una successione di atti, decisioni, affermazioni, imposizioni che nulla hanno avuto – e hanno – a che vedere con il desiderio di verità così pomposamente proclamato.

    L’autrice inizia a ripercorrere qui – e promette di proseguire – la nascita e l’affermazione di una istituzione che si perpetua con lo scopo precipuo di nutrire se stessa, il suo potere, la sua ricchezza, fondandoli in modo pretestuoso su basi che di storico hanno poco o nulla.

    La falsità creata e posta come base per la creazione di quello che appare come il più duraturo ed efficace sistema di potere mai elaborato e imposto: santaromanachiesa, come la definisce Laura Fezia.

    Bene fa l’autrice a ricordare che il cardinale Paul Marcinkus, braccio destro di Giovanni Paolo II, per rispondere a una domanda sulla sua disinvolta gestione, affermò candidamente: «La Chiesa non si può mandare avanti con le Avemarie!».

    Evviva la sincerità!

    Ma noi ci chiediamo: la Chiesa non dovrebbe essere la prima ad affidarsi in via esclusiva alla Provvidenza, a quella stessa provvidenza che viene spesso ricordata ai poveri e ai sofferenti per far sì che vivano nella speranza di un paradiso in cui trascorreranno la loro eternità con quel Dio che la Chiesa stessa ha inventato?

    Perché i poveri e i sofferenti devono supplire con le Avemarie mentre la Chiesa provvede molto più opportunamente ed efficacemente a sostentare se stessa con la ricchezza?

    L’autrice evidenzia chiaramente che qualcosa non torna:

    «questa non è che una delle contraddizioni talmente evidenti che dovrebbero saltare all’occhio di chiunque, ma i cattolici praticanti e convinti, indottrinati da un’abile, martellante propaganda subliminale, oggi come un tempo preferiscono fingere di non vedere e non sapere, ostinandosi a identificare fede e Chiesa».

    Il dominio sulle coscienze nasce da invenzioni che in una sorta di fabula vengono congegnate e concatenate le une alle altre, appunto come anelli di una catena che imprigiona inesorabilmente chi non vuole, o spesso non può, pensare e agire in conformità a quella autonomia che la nostra struttura intellettuale (presunto dono del presunto Dio) consente o consentirebbe, qualora la si volesse esercitare.

    Le falsità sono tante e Laura Fezia le riporta, evidenzia e sottolinea, con quella determinazione ed efficace capacità di penetrazione analitica che le riconosciamo da sempre.

    Ci ricorda ad esempio che:

    «Di certo, gli evangelisti che ci presenta l’agiografia non sono mai esistiti. L’esigenza di attribuire gli scritti del Nuovo Testamento ad autori precisi, nacque dopo la metà del II secolo, per conferire loro maggiore attendibilità: si andarono allora a pescare dei nomi tra quelli presenti nelle lettere di Paolo e nei Vangeli, si fabbricarono dei falsi, affermando, per esempio, che il Matteo e il Giovanni che erano stati testimoni oculari della vita e della morte di Gesù ne avevano poi compilato personalmente la storia».

    Tra le tante altre bufale – un temine che l’autrice usa nella sua sincera ed efficacissima schiettezza – contenute nei vangeli e che l’autrice esamina con grande capacità di indagine, c’è la prima, fondamento di tutte:

    «la fabula Christi che fu inventata scientemente, da quella parte del popolo ebraico che, staccandosi dall’ossessione messianica, ormai chiaramente fallimentare fin dai tempi di Yahweh e Mosè, decise di cambiare registro e sperimentare un altro sistema per liberarsi dalla schiavitù».

    Una situazione che nasce da lontano, dalla straordinaria invenzione del concetto di peccato originale che consentì alla Chiesa di

    «governare indisturbata le coscienze delle sue pecorelle, sempre più prigioniere di un recinto eretto in maniera tanto astuta da renderle grate al pastore e inconsapevoli della loro schiavitù».

    Una disamina storica attenta, precisa, documentata ed efficace proprio perché non cede alla facile tentazione del sensazionalismo ma intende portare all’attenzione del lettore una situazione di fatto, evidente e per ciò stesso straordinariamente liberatoria.

    Questo libro infatti non è esclusivamente destrutturante, non ha lo scopo precipuo di abbattere, se non nella misura in cui questo è necessario, nella certezza che il nuovo può nascere solo dove le catene del vecchio vengono annullate.

    Dichiara esplicitamente Laura Fezia:

    «Lo scopo del mio lavoro non è quello di distruggere la fede, che rispetto almeno fino a quando non pretende di condizionare le mie libere scelte, ma di spezzare il perverso binomio che la lega indissolubilmente a un’istituzione che ne ha fatto una velenosa pozione con la quale intorpidire le coscienze».

    Chi rimane legato all’idea di un Dio che è stato palesemente inventato si preclude la possibilità di accedere alla ipotetica e agognata conoscenza del vero.

    Con questa convinzione, con questo fine assolutamente positivo e liberatorio va letto – direi anche studiato e poi in seguito magari periodicamente consultato – questo libro che è scritto per chi vuole avere elementi per riflettere in modo autonomo, nella convinzione che, in assenza e nella difficoltà di conseguire la verità assoluta, la riconquista della verità storica rende liberi almeno dalle palesi falsità su cui si basa la stessa struttura socio-culturale in cui vive l’Occidente.

    MAURO BIGLINO

    Introduzione

    Se mai Gesù Cristo – come affermato da molti e in particolare nel Credo della Chiesa cattolica, che pronuncia le testuali parole «E di nuovo verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti» – tornasse oggi in Terra, sarebbe il primo a essere assalito da mille perplessità nel constatare come il suo messaggio sia stato stravolto. Sarebbe anche stupito da un altro dettaglio: scoprirebbe, infatti, che il suo nome completo non è passato alla Storia, ma è stato sostituito con un più frettoloso e latineggiante Gesù.

    Ovviamente supponiamo, in questo contesto, che il rabbi Yehoshua ben Yosef, presumibilmente condannato a morte dai Romani con l’accusa di avere attentato alla sicurezza dell’Impero, sia realmente esistito: a tal proposito, infatti, sono in corso fior di studi da parte di ricercatori di tutto il mondo, le cui conclusioni (certamente provvisorie) propendono ora per il , ora per il no, spesso per un più prudente forse, provocando anche accese discussioni e sterili gare di personalità.

    Lo scopo di questo libro non è quello di stabilire la verità storica dell’uomo crocifisso sul Golgota, ma di analizzare tutto ciò che intorno a lui è stato costruito a sua insaputa.

    Gesù di Nazareth, infatti, era ebreo, discendente – stando a quanto afferma la Bibbia – dalla stirpe di Davide (anche se questo dato è controverso): non ha mai avuto intenzione di fondare né una religione, né una Chiesa, non ha mai affermato di essere venuto per immolarsi allo scopo di riscattare l’umanità dal peccato originale, semplicemente perché non ne aveva mai sentito parlare, non sapeva di essere nato da una vergine per opera dello Spirito Santo e ha continuato a trattare sua madre con il distacco e addirittura l’arroganza riservati alle donne, propri della cultura cui apparteneva; gli erano estranei i concetti di consustanziazione, transustanziazione, Trinità, Immacolata Concezione, infallibilità del papa (che non sapeva neppure chi fosse o cosa potesse rappresentare). Meno che mai avrebbe approvato (perché contravvenivano agli insegnamenti di ciò in cui credeva¹), le schiere di santi, i gadget con la propria immagine, le reliquie, le statue, le chiese e le basiliche ciclopiche.

    Infine, non si sarebbe nemmeno immaginato che, abusando del suo nome, qualcuno avrebbe costruito una holding, che si sarebbe proclamato suo vicario in Terra e imposto come intermediario tra l’uomo e un ipotetico Dio spirituale che non conosceva, fabbricando abilmente e pazientemente una trappola fatta di dogmi, minacce di castigo eterno, sacramenti, gerarchie, precetti, liturgie, indulgenze, ecc.

    Tutto ciò che gli hanno fatto dire nei vangeli e negli Atti degli Apostoli (il libro-propaganda ricavato dai deliri di Paolo di Tarso) è frutto di manipolazioni successive, che comunque l’interessato (già morto da un pezzo) non avrebbe potuto smentire.

    Paolo (o Saulo o Shaul), una volta folgorato sulla via di Damasco, con geniale intuizione, sfruttando la figura di quel giovane rivoluzionario finito male, che affermava di non essere venuto (Matteo 5, 17) «ad abolire la Legge o i profeti, ma per dare compimento» a una promessa (o un contratto…) che riguardava questioni territoriali concrete e non il Regno dei Cieli, come lo avrebbe presentato in seguito chi approfittò di lui, ha gettato le solide basi per la costruzione di tutto il castello, introducendo a forza platonismo e neoplatonismo nella religione che andava fabbricando e insistendo soprattutto sul punto debole delle teorie platoniche, ponendo al primo posto la risurrezione, ossia l’assicurazione che non tutto finisce con la morte fisica, ma che, anzi, è proprio da quel momento che, per i giusti, inizia la vera vita, nella gloria del Padre. Questa conclusione, però, fu un ripiego, cui l’Apostolo delle Genti si trovò costretto quando si rese conto che la parusia – ossia il ritorno di Cristo – tardava e i suoi adepti iniziavano a mostrare segni di malumore e di sfiducia.

    Fu dunque grazie a (o per colpa di) Paolo se il cristianesimo² iniziò il proprio iter e si andò a collocare tra le molte altre religioni dell’epoca, ognuna delle quali viveva tranquillamente senza avanzare pretese di proselitismo coatto. Con l’andare del tempo, invece, la comunità fondata intorno al nome di Gesù divenne un’istituzione e incominciò a mostrare la propria natura intollerante, prevaricatrice, sanguinaria, nascondendo i propri intenti di potere dietro innocenti paraventi spirituali: se in un momento di particolare buonismo facessimo finta di vedere Paolo come un povero invasato affetto da problemi psichiatrici che, in preda a un delirio mistico, credeva nelle storielle che andava predicando e si sforzava ingenuamente di renderle attendibili, non si può affermare la stessa cosa per i suoi successori che– annusato il business – raccolsero il testimone e iniziarono una sistematica, feroce operazione tesa a distruggere ogni concorrenza e a incrementare il loro potere.

    Così è nata e si è sviluppata la Chiesa, inizialmente cristiana, in seguito (dal 1054) cattolica, ricorrendo a falsificazioni, manipolazioni, abusi, accumulando menzogne su menzogne, escogitando trucchi da prestigiatore, stravolgendo a proprio vantaggio le intenzioni di Yehoshua ben Yosef, oltraggiando il suo essere ebreo, commettendo crimini e stragi, servendosi del terrorismo psicologico, calando l’asso vincente dell’inferno e del peccato originale, con i quali seminare la paura e coltivare i sensi di colpa, fomentando ignoranza, feticismo, superstizione e inventandosi lo strumento del dogma per tacitare sul nascere gli eventuali, legittimi dubbi degli adepti. Tutto ciò (e molto altro ancora), sfruttando la sofferenza di quell’uomo torturato e ucciso più di duemila anni fa, a proposito del quale ho spesso l’impressione (che mi accompagna fin dall’infanzia) di avere più rispetto io – laica e sbattezzata – di coloro che pretendono di parlare in suo nome.

    A questa stessa Chiesa, ancora oggi, milioni di fedeli accordano una malriposta e cieca fiducia, riconoscendole, chi per convinzione, chi per consuetudine, il diritto di governare le coscienze, di decidere unilateralmente cosa sia bene e cosa male, di stabilire come ci si debba comportare fin nei più trascurabili dettagli dell’esistenza, di interferire in ogni ambito privato e pubblico, di delinquere impunemente, di evangelizzare con l’inganno, di approfittare della credulità popolare, di condizionare la totalità della società civile. E spesso a nulla vale ricordare come la Chiesa attuale sia nata da una serie di falsi storici accertati, uno più clamoroso dell’altro, grazie ai quali ha dominato (e ancora cerca di dominare) la Storia.

    Come sempre, desidero ricordare che non mi occupo di fede, che rispetto, ma che il mio intento è quello di spezzare il perverso binomio che la associa indissolubilmente alla Chiesa.

    Se ciò accadrà, se questo diabolico circolo vizioso verrà interrotto, ognuno sarà molto più libero di credere serenamente in ciò che preferisce, seguendo la propria sensibilità e la propria coscienza e non i biechi artifizi di un’istituzione il cui unico scopo è quello di accumulare ricchezze, calpestando ancora una volta uno dei precetti attribuiti al suo presunto ispiratore:

    «Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona»³. (Lc 16, 13)

    La Chiesa cattolica apostolica romana ha fatto la sua scelta, che certamente – ed è sotto gli occhi di tutti! – non è il Dio nel quale induce i fedeli a credere; insomma, la vera natura dell’Istituzione è quella che emerse durante un’intervista al famigerato cardinale Paul Marcinkus, braccio destro di Giovanni Paolo II, quando, per rispondere a una domanda sulla sua disinvolta gestione, affermò candidamente: «La Chiesa non si può mandare avanti con le Avemarie⁴.

    1

    Un appuntamento che tarda…

    Di Paolo di Tarso sappiamo poco o niente o, meglio, sappiamo solo ciò che l’interessato ha voluto dirci, poiché è lui stesso a raccontare la propria storia, soprattutto quella della provvidenziale conversione che gli consentì di inventarsi il cristianesimo e – con esso – un lavoro redditizio per sé e per le generazioni future di suoi simili.

    Nemmeno il sito www.santiebeati.it, che in altre occasioni narra con dovizia di particolari vita, morte e miracoli dei personaggi cui è dedicato, si allarga a raccontarne la biografia, limitandosi a scrivere:

    «Paolo, cooptato nel collegio apostolico dal Cristo stesso sulla via di Damasco, strumento eletto per portare il suo nome davanti ai popoli, è il più grande missionario di tutti tempi, l’avvocato dei pagani, l’apostolo delle genti, colui che insieme a Pietro fa risuonare il messaggio evangelico nel mondo mediterraneo. Gli apostoli Pietro e Paolo sigillarono con il martirio a Roma, verso l’anno 67, la loro testimonianza al Maestro».

    Aggiunge, poi, ciò che più gli interessa:

    «Martirologio Romano: Solennità dei santi Pietro e Paolo Apostoli. Simone, figlio di Giona e fratello di Andrea, primo tra i discepoli professò che Gesù era il Cristo, Figlio del Dio vivente, dal quale fu chiamato Pietro. Paolo, Apostolo delle genti, predicò ai Giudei e ai Greci Cristo crocifisso. Entrambi nella fede e nell’amore di Gesù Cristo annunciarono il Vangelo nella città di Roma e morirono martiri sotto l’imperatore Nerone: il primo, come dice la tradizione, crocifisso a testa in giù e sepolto in Vaticano presso la via Trionfale, il secondo trafitto con la spada e sepolto sulla via Ostiense. In questo giorno [29 giugno] tutto il mondo con uguale onore e venerazione celebra il loro trionfo».

    A dare retta a questa autorevole fonte cattolica, sembrerebbe che i due apostoli fossero amici fraterni, accomunati dallo stesso ardente desiderio di diffondere il messaggio di Cristo, infiammati da uguale zelo mistico, mentre invece le cose stanno molto diversamente: Pietro e Paolo non solo non furono mai amici, ma, anzi, acerrimi nemici, che avrebbero fatto volentieri a meno l’uno dell’altro. Fu papa Leone Magno⁵, alla ricerca di sempre nuovi spunti per cristianizzare l’Urbe e cancellare le precedenti, fastidiose figure pagane, ad accomunare i due rivali definendoli «i nuovi gemelli di Roma». Poté così sostituirli senza vergogna alcuna a Romolo e Remo, sorvolando sui dettagli, fingendo di non conoscere la profonda avversione che aveva caratterizzato il loro rapporto.

    Se già la vita di Pietro ci viene raccontata solo dai vangeli⁶, che non possono certamente definirsi fonti storiche, ma almeno sono frutto di una pluralità di mani (lo vedremo in seguito), quella di Paolo è totalmente contenuta negli Atti degli Apostoli – il libro-propaganda a lui dedicato – e soprattutto nelle sue lettere⁷, dove viene anche narrata la famosa folgorazione sulla via di Damasco, che non ebbe testimoni al di fuori dell’interessato e di anonimi «uomini che facevano il cammino con lui». Sembra superfluo far notare come l’attendibilità del racconto sia quanto meno sospetta: però, per il momento, voglio attenermi alla versione ufficiale, ratificata da santaromanachiesa.

    Saulo (solo successivamente Paolo) nacque in un periodo collocato tra il 5 e il 10 d.C., presumibilmente nel 7, da un’agiata famiglia di ebrei appartenente alla tribù di Beniamino, farisea⁸, che godeva della cittadinanza romana. È molto importante il luogo dove vide la luce, da lui stesso dichiarato al momento del suo arresto a Gerusalemme: «Sono un ebreo di Tarso, in Cilicia», informazione che ripeterà più volte come biglietto da visita. La Cilicia corrispondeva all’attuale Turchia e Tarso ne era una delle città più importanti, crocevia cosmopolita tra Oriente e Occidente, dove la cultura e la mentalità semitiche risentivano delle influenze greco-ellenistiche, mesopotamiche e romane. Il futuro Apostolo delle Genti, dunque, fu circonciso e istruito secondo la legge ebraica della Torah, ma imparò – oltre all’ebraico e all’aramaico – anche il greco, imbevendosi della cultura derivata dalla fusione tra il pensiero dell’antica Grecia e quello orientale e nordafricano⁹. Fu certamente un uomo di ingegno, dotato di una grande capacità di comunicazione, di un’acuta creatività e di un’ottima conoscenza della psicologia umana se non solo riuscì a inventarsi dal nulla una religione, ma addirittura a convincere parte degli ebrei che si trattasse della sola, vera, continuazione dell’Alleanza di biblica memoria.

    Recentemente, alcuni studi¹⁰ hanno ipotizzato che questo personaggio non sia mai esistito e che la sua creazione sia dovuta alla necessità di partorire il presupposto a una dottrina che si andava costruendo per motivi di potere e che sarebbe stata perfezionata dagli scritti successivi: un gioco perfettamente riuscito! Per il momento, però, proseguirò come se ciò che la Chiesa ci ha tramandato avesse una qualche corrispondenza storica e Paolo fosse davvero un singolo individuo in carne e ossa.

    La prima parte della sua vita fu segnata da uno stretto legame con l’ebraismo di origine e da una profonda ostilità nei confronti dei seguaci di Cristo. A proposito di ciò, quando si consumò il sacrificio del Golgota, Paolo aveva meno di trent’anni e viveva ben lontano da Gerusalemme, in tutt’altre faccende affaccendato, anche se in seguito qualche invasato esegeta cristiano cercò di collocarlo, almeno come spettatore, sulla scena del delitto, dimenticando che se mai ci si fosse trovato non avrebbe mancato di sottolinearlo con insistenza nelle sue lettere. Paolo presenziò, invece, a un’altra esecuzione, approvandola apertamente: si tratta di quella di Stefano, un giovane appartenente alla comunità cristiana (che non sapeva ancora di chiamarsi così), dove ricopriva incarichi di assistenza e amministrazione, predicando, contemporaneamente, la Buona Novella; per questa sua probabile petulanza che irritava i Giudei («Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo» At 6, 8)¹¹ fu trascinato davanti al Sinedrio, giudicato, condannato e lapidato fuori città, aggiudicandosi il titolo di protomartire¹². Da ciò si può evincere che in quei primi tempi la persecuzione contro i discepoli del rabbi Yehoshua ben Yosef assunse le caratteristiche di una faida interna al mondo giudaico, ancora saldamente in mano ai Romani, che occorreva unificare per ragioni varie, ma certamente non spirituali.

    Anche Paolo divenne un feroce persecutore di cristiani, facendo imprigionare uomini e donne e nella Lettera ai Galati (1, 13-14), temendo forse che qualcuno ricordasse i suoi trascorsi e glieli potesse rinfacciare, si giustificò:

    «Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri»,

    affermando così che tale atteggiamento era stato causato dall’ignoranza e dall’educazione ricevuta.

    Proprio mentre si recava a Damasco per dare la caccia a coloro che riconoscevano in Gesù il Messia di Israele, avvenne la celebre conversione, narrata più volte negli Atti degli Apostoli; per esempio, in At 9, 1-18 si legge:

    «In quei giorni Saulo, spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?. Rispose: Chi sei, o Signore?. Ed egli: Io sono Gesù, che tu perseguiti! Ma tu alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare. Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno. Saulo

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