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La Scienzah: L’attuale dittatura sanitaria si sostiene grazie alla costituzione di una nuova religione: la Scientocrazia
La Scienzah: L’attuale dittatura sanitaria si sostiene grazie alla costituzione di una nuova religione: la Scientocrazia
La Scienzah: L’attuale dittatura sanitaria si sostiene grazie alla costituzione di una nuova religione: la Scientocrazia
E-book496 pagine8 ore

La Scienzah: L’attuale dittatura sanitaria si sostiene grazie alla costituzione di una nuova religione: la Scientocrazia

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Info su questo ebook

«La scienza, piegata al biopotere, è finita per assumere un’aura di religione con i suoi feticci e i suoi culti superstiziosi, divenendo l’esatto opposto di quello che dovrebbe essere».
Enrica Perucchietti


La scienza è fondata sul dubbio e sul ragionamento, la fede sulla necessità di certezze e di salvezza.
Quando scambiando le posizioni si cerca nella scienza una forma di rassicurazione esistenziale, si apre un baratro che porta al dogmatismo, al manicheismo, al fanatismo.
Da qui nasce la ricerca dell’eresia, degli infedeli, dei nemici della fede. Queste derive sono diventate negli ultimi anni le premesse spaventose per un’involuzione sociale, culturale e giuridica senza precedenti, su cui i media, la classe politica e i potentati economici fanno leva per giungere alla trasformazione delle democrazie parlamentari in Teocrazie scientiste.

Con questo libro scoprirai:
  • Dalla religione alla scienza, dalla scienza al LaScienzah
  • Perché trasformare la fiducia nell’approccio Scientifico nel fanatico culto de LaScienzah è una grave minaccia per la nostra intera civiltà
  • l’eresia e la persecuzione dei dissidenti
… e molto altro ancora.
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita15 nov 2022
ISBN9791255280958
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    Anteprima del libro

    La Scienzah - Stefano Re

    Premessa

    Distinguere la scienza

    da LaScienzah

    Nel concitato corso degli ultimi anni, anche le persone meno inclini alla riflessione devono aver percepito l’importanza che il termine scienza e il suo bistrattato cugino medicina hanno assunto nel dibattito pubblico, tanto di livello elevato, istituzionale e culturale, quanto nel più comune consesso sociale. Discussione che nella nostra disgraziata epoca densa di contenitori viene rappresentato in parte da appositi salotti televisivi e in parte dal sempre meno anarchico e sempre più censurato dibattito sui social. Questo processo di messa al centro della scena percettiva della scienza, o più precisamente dell’approccio scientifico, o più precisamente ancora dell’approccio metodologico scientifico nella spiegazione dei fenomeni, ha radici invero assai più antiche, e segue un percorso di affermazione che conta millenni in termini assoluti e qualche secolo in termini di crescente accelerazione. Un’affermazione che si avvia in circoli riservati per poi allargarsi in maniera esponenziale con la diffusione dell’istruzione collettiva, chiaramente improntata a diffondere questa modalità percettiva.

    Nel corso degli ultimi anni, in seguito alla mia attiva partecipazione all’acceso dibattito su alcuni fattori di questo processo percettivo, specificamente la questione vaccinale e più in generale il rapporto tra ambito scientifico e ambito politico, non mi sono state risparmiate critiche e attacchi. Qualcuno in malafede, qualcun altro per semplice e triste incapacità, mi ha rivolto l’accusa di sostenere posizioni antiscientifiche. Alla stessa stregua, e dalle stesse persone, con le stesse premesse di malafede o incapacità, sono stato sovente definito contrario alle vaccinazioni. Nulla di più lontano dalla realtà, come chiunque dotato di capacità cerebrali anche minime è facilmente in grado di comprendere.

    Anzitutto, i vaccini sono dei medicinali. Come gli antibiotici, o gli antinfiammatori, o i disinfettanti. Non ha molto senso essere a favore o contrario a una intera categoria di farmaci, a meno che si posseggano informazioni e competenze tali da far considerare quella intera classe di medicinali inevitabilmente dannosa. Informazioni e competenze che io non ritengo di possedere, né mi sogno di millantare. Persino se si parlasse di una sostanza provatamente nociva e pericolosa, che senso avrebbe essere contrario? Si può forse essere contrari al cianuro? Iniziamo fin dalla premessa di questo libro ad allenarci a usare il cervello invece che ripetere slogan per ebeti: si può essere contrari a un dato utilizzo di un farmaco, con date modalità, in un dato contesto. Come ogni altro medicinale, come ogni altra sostanza, un dato vaccino può essere utile o necessario in date condizioni, su dati pazienti, in un dato contesto. E risultare invece inutile e pericoloso su altri pazienti in altre condizioni. Non servono lauree in medicina per capirlo, basta un minimo di buonsenso.

    Figurarsi poi se sono contrario alla scienza. La scienza è un approccio razionale ed empirico basato sul dubbio e sulla sperimentazione che mira a capire i fenomeni e il loro funzionamento. È grazie alla scienza se possediamo e utilizziamo conoscenze e tecnologie di ogni genere, che ci aiutano a vivere meglio in mille modi diversi, accompagnando ogni aspetto della nostra esistenza. È la scienza che ci ha insegnato come conservare il cibo in modo più sano, come riscaldare le nostre abitazioni, come spostarci più velocemente da un luogo a un altro, come scambiarci informazioni in tempo reale da un capo all’altro del pianeta. Diamine, è grazie alla scienza se oggi io posso scrivere questo libro e voi leggerlo. Dunque, ovviamente no: non sono affatto contrario alla scienza né esprimo in questo libro alcuna posizione antiscientifica.

    Sono però contrario a LaScienzah, quel fanatismo religioso neomedioevale che sfruttando qualche slogan sgangherato o qualche enunciato dal vago sapore scientifico, diffonde un culto triste e pericoloso basato sulla necessità di rassicurazione esistenziale, sulla fede cieca e dogmatica e sull’odio per l’eresia. Sono contrario a questa deriva che sarebbe farsesca se non si fosse già dimostrata rovinosa tanto per la tenuta democratica e per lo Stato di Diritto, quanto per la sopravvivenza e l’autonomia economica di persone e nazioni, e persino paradossalmente letale per la stessa salute di intere popolazioni. Di questa pericolosa deriva tratta il presente libro. Non vi è in esso alcuna accusa verso la scienza e chi persegue con coerenza e logica l’approccio scientifico. Al contrario, questo testo vuole essere un’accorata difesa del valore funzionale dell’approccio scientifico. Al tempo stesso, questo libro è invece una denuncia dello stupro della scienza, platealmente realizzato da aziende corruttrici, media venduti, politici al guinzaglio e scienziati in malafede. Questo libro è una denuncia della degradazione, della corruzione, dell’imbastardimento, della forzata trasformazione della scienza in un culto grottesco a cui popolazioni inebetite da percorsi guidati di non-pensiero aderiscono accettando qualsiasi illogicità in cerca di consolazione esistenziale, e anche perché li fa sentire tanto intelligenti.

    Nello specifico, infine, questo libro nasce con l’intento dichiarato e con la speranza di svolgere un ruolo ben preciso, quello cioè di un vero e proprio vaccino mentale contro il culto de LaScienzah. Permettendo al lettore un contatto misurato con gli aspetti più evidenti di questa deriva psicosociale, evidenziando la pericolosità di questo patogeno della mente, mi auguro di aiutarlo a identificarne prontamente il contagio, fornire strumenti per rafforzare contro di esso le proprie difese immunitarie, favorire l’edificazione di efficaci e permanenti scudi mentali contro di esso. Il che dimostra nei fatti quanto poco io sia contrario al concetto di vaccinazione.

    E di efficaci difese mentali – più che mai in tempi bui come questi, in cui governi di intere nazioni svoltano nella direzione di un folle autoritarismo sanitario, le popolazioni cadono preda del terrorismo mediatico e porzioni della stessa comunità scientifica vengono contagiate del fanatismo scientista – ve ne è un evidente, disperato bisogno.

    Lunga vita dunque alla scienza, lunga vita al pensiero critico, lunga vita al pensiero libero e lunga vita all’approccio scientifico.

    Stefano Re

    Milano, novembre 2020 – dicembre 2021

    1.

    Dalla religione alla scienza,

    dalla scienza a LaScienzah

    «In passato, quando la religione era potente e la scienza debole,

    gli uomini confondevano la magia con la medicina.

    Oggi, che la scienza è potente e la religione è debole,

    gli uomini confondono la medicina con la magia.

    Thomas Szasz

    , The Second Sin, 1973

    Per poter comprendere se (e se sì, come) ciò che oggi viene genericamente definito con il termine scienza sia effettivamente divenuto una religione, occorre necessariamente prima identificare le funzioni e le caratteristiche proprie di una religione e quelle proprie della scienza, e dunque verificare a quali tra esse somigliano maggiormente le manifestazioni del fenomeno psicosociale che si sta osservando. Le religioni accompagnano la storia del genere umano praticamente dalla sua nascita, mentre la formalizzazione del pensiero scientifico viene collocata storicamente – e forse erroneamente – come assai più recente. Iniziamo dunque ripercorrendo in forma sintetica quando e con quali modalità si è diffuso l’approccio scientifico.

    L’avvento del pensiero critico

    e dell’approccio scientifico

    Nella nostra cultura un ruolo fondamentale è svolto da quel che chiamiamo comunemente scienza. Che ne siano consapevoli o meno, gli individui che vivono nelle aree più avanzate del pianeta basano da diverse centinaia di anni la maggioranza delle loro assunzioni quotidiane del tipo vero o falso su questo, spesso piuttosto confuso, concetto di fondo. Facciamo un passo indietro per ricostruire, almeno in forma rudimentale, come si è giunti a questo scenario.

    Di fatto, la scienza accompagna la nostra specie fin dai suoi esordi su questo pianeta. Per capirci, l’invenzione della ruota risale a 3500 anni fa, e anche volendo archiviare come prevalentemente umanista tutto il sapere del mondo ellenico e latino, incluse le scoperte di Pitagora, i cinesi hanno inventato i razzi, i fucili e il sismografo, estraevano gas e petrolio dal sottosuolo e certamente non lo facevano senza calcolare; gli indiani hanno scoperto migliaia di anni or sono dei modelli matematici avanzati; l’Islam antico ha sviluppato il concetto di peer review e fornito un contributo enorme alla medicina, all’astronomia e alla matematica, inventando l’algebra e l’algoritmo (cosa di cui Zuckerberg infintamente ringrazia) – e tutto questo è avvenuto prima dell’anno mille, mentre in Europa discutevamo appassionatamente se la tunica di Gesù fosse da considerarsi sua proprietà oppure no.

    Quello che invece chiamiamo scienza oggi, con una arroganza direttamente proporzionale al diffuso livello di ignoranza, prende le mosse intorno al 1500, quando Niccolò Copernico rilancia una teoria già avanzata nel 300 a.C. da Aristarco di Samo, e cioè che sia la Terra a muoversi attorno al Sole e non viceversa. Questo rilancio d’agenzia di Copernico apre ufficialmente quella che viene definita rivoluzione scientifica e che dovrebbe aver fornito alla scienza moderna una sua identità specifica. Un plotone di proto-scienziati come Galilei, Kepler, Pascal, Newton e di filosofi come Bacon, Browne, Descartes e Hobbes si mise di buzzo buono a farsi perseguitare, a litigare, a discutere e suonarsele a vicenda fino a produrre l’ossatura di quello che oggi celebriamo tutti col nome di metodo scientifico.

    Induzione o deduzione

    Non è oggetto di questo libro ricostruire nei dettagli il percorso culturale che ha condotto alla formulazione del metodo scientifico, ma occorre fare almeno cenno in forma sintetica delle due opposte formulazioni che esso ha avuto. La prima è stata quella del pensiero induttivo. Tale approccio consiste essenzialmente nel formulare ipotesi sul significato di un evento, e basandosi sulla sua osservazione, considerare vera l’ipotesi iniziale se risulta confermata dalla ripetuta osservazione.

    Il problema di questo approccio è stato ben evidenziato da Bertrand Russell con la metafora del tacchino induttivista. Un tacchino, che viene nutrito dal fattore ogni giorno per mesi, riterrà vera la teoria che ogni giorno il fattore lo nutrirà. Ma il giorno del ringraziamento, in cui in America per tradizione si cucina il tacchino, scoprirà catastroficamente che la sua teoria non era affatto vera. In altre parole, il problema del metodo induttivo è quello di credere di aver scoperto una verità assoluta e di restare accecati e imprigionati da essa nell’incapacità di vederne i limiti.

    Per superare questa fallacia, viene ad affermarsi il metodo deduttivo. Interprete fondamentale ne è il filosofo Karl Popper, che introduce il criterio della falsificabilità. In questo approccio, la scienza non trova verità ma sempre e soltanto temporanee spiegazioni dei fenomeni. Lo scopo della ricerca diventa quindi quello di tentare di falsificare le spiegazioni al momento considerate valide, in un processo costante di evoluzione del sapere. E fu proprio Popper a individuare in modo chiaro la minaccia della deriva scientista. Queste le sue parole in merito:

    «Se lo scientismo è qualcosa, esso è la fede cieca e dogmatica nella scienza. Ma questa fede cieca nella scienza è estranea allo scienziato autentico»¹.

    Andate, studiate e riproducete

    Al netto delle ansie e delle discussioni che ne costellano il percorso formativo, la formulazione essenziale del metodo scientifico universalmente accettata oggi consiste nel seguire questi tre passaggi: osservare i fenomeni, formulare una spiegazione teorica che li spieghi, metterla alla prova in ambito sperimentale. Questa è la pietra su cui è stata fondata la scienza moderna, che a sua volta si basa su un criterio di una semplicità sublime: la riproducibilità. Diciamola nel modo più semplice possibile: una teoria scientifica deve essere provata e questa prova deve poter essere riprodotta all’infinito. Se non si può riprodurre, non è scienza.

    La parola agli esperti

    Ed eccoci al punto: l’enorme maggioranza di quello che oggi ci spacciamo a vicenda chiamandolo scienza, non è affatto scienza. A dircelo e ripetercelo ci hanno pensato gli stessi addetti ai lavori. Nel 2015, Richard Horton, editore della prestigiosa rivista scientifica «The Lancet», dichiarava senza mezzi termini che una buona metà della ricerca medica è «nella migliore delle ipotesi inaffidabile e nella peggiore completamente falsa»². L’editore ha spiegato come le maggiori compagnie farmaceutiche falsificano o manipolano gli studi sulla sicurezza, tossicità ed efficacia dei farmaci sfruttando campioni troppo piccoli per avere validità statistica o assumendo laboratori e scienziati in evidente conflitto di interesse che favoriscono la casa farmaceutica per ottenere ulteriori finanziamenti³. Gli fa eco la dottoressa Marcia Angell, editrice ventennale dell’altrettanto prestigioso «New England Medical Journal» (nemj):

    «È semplicemente impossibile credere alla maggioranza della ricerca che viene pubblicata, o fidarsi del giudizio di famosi scienziati e autorevoli linee-guida della medicina. Questa è la spiacevole conclusione cui sono giunta in vent’anni come editore del New England Journal of Medicine»⁴.

    A sua volta il dr. John Ioannidis, esperto a livello mondiale di ricerca medica, che ha dedicato la sua carriera a combattere contro la "bad science", alza l’asticella, affermando che

    «il 90% degli studi medici pubblicati su cui i dottori si basano è inaffidabile. Le case farmaceutiche selezionano in modo accurato gli studi da finanziare, ad esempio, perché comparino i loro prodotti con altri presenti sul mercato che sanno già risulteranno inferiori. Spesso sono le domande stesse ad essere fraudolente, non le risposte»⁵.

    Nel maggio del 2016, infine, la rivista «Nature» pubblicava allegramente un meta-studio che esaminava 1576 altri studi già pubblicati e considerati validi. Lo studio chiedeva di verificare la riproducibilità di studi scientifici pubblicati, propri e altrui. Oltre il 70% degli studi è risultato non riproducibile e solo il 50% degli scienziati è stato in grado di riprodurre persino i propri stessi risultati⁶.

    Ben poco di scientifico

    Riassumendo: la riproducibilità è un requisito essenziale del metodo scientifico. Per ammissione stessa degli editori scientifici, da metà fino al 90% degli studi scientifici attualmente pubblicati sono essenzialmente dei falsi fin dalle loro premesse, e – dulcis in fundo – sette studi su dieci, pubblicati e diffusi, nemmeno sono riproducibili, quindi, nemmeno sono considerabili scienza. Mettiamo bene a fuoco il concetto: il 70% delle asserzioni scientifiche su cui basate la vostra idea di realtà non sono in realtà affatto verificate. Il 70% delle medicine che avete nel vostro armadietto del bagno potrebbero fare tutt’altro di quel che trovate scritto nel loro bugiardino o che vi ha raccontato chi ve le ha vendute. Sette sicurezze su dieci della scienza attuale sono sicure quanto una mina antiuomo e sette affermazioni scientifiche su dieci di quelle che sentite declamare in televisione da qualche arrogante luminare hanno la stessa validità scientifica dei proclami del mago Otelma. Nonostante ciò, moltissimi continuano e continueranno a crederci, semplicemente perché senza la sicurezza di questa roba, che chiamano scienza offendendo la scienza, si sentirebbero sperduti come tanti disperati Robinson Crusoe.

    Si potrebbe definire questa deriva una strategia di marketing, o magari usare il neologismo tanto amato dai media: "fake news. Forse si dovrebbe considerarla vera e propria propaganda per un’agenda politica in attuazione, oppure molto pragmaticamente andrebbe definita: affari d’oro per la case farmaceutiche. Io in questo libro la chiamo LaScienzah" e la considero un culto vero e proprio. Un culto fanatico alla stregua di qualsiasi altro fanatico culto fondamentalista e altrettanto pericoloso.

    Il calcolo del valore

    Se quel che oggi viene spacciato come scienza presenta non poche fallacie, tanto per incolpevoli derive quanto per calcolate strumentalizzazioni, vi è comunque a monte un importante elemento che distingue in modo fondamentale la scienza dalle discipline umanistiche, proprio e connaturato alla natura stessa dell’approccio scientifico. Sto parlando della natura intrinseca di tutte le scienze matematiche e loro derivate, che è quella di misurare i fenomeni nella loro natura quantitativa e non nella loro natura qualitativa. Questo elemento da solo indica con precisione perché la scienza non può fornirci risposte sul significato dei fenomeni bensì soltanto ed esclusivamente sul loro funzionamento. In parole più semplici, le scienze matematiche non decidono proprio niente sul significato da attribuire ai fenomeni: li misurano e basta. Con le scienze si può misurare la durata di ogni rapporto sessuale che avvenga al mondo, ma non si può usare la scienza per decidere che questa è la durata giusta o questa è la durata sbagliata. La scienza non è in grado di affermare proprio nulla riguardo ai significati di valore. Non è strutturalmente, per sua natura, in grado di decidere cosa sia meglio o peggio, buono o cattivo.

    Misura e significato

    Certamente la scienza può definire un risultato giusto o sbagliato ma sempre e soltanto all’interno di un sistema di calcolo di riferimento, mai e in nessun modo in termini assoluti e dunque esistenziali. Per intendersi: che 1+1 faccia 2 è una affermazione valida all’interno del sistema di calcolo numerico da noi stabilito. All’interno di esso, affermare che 1+1 faccia 3 o 1,5 è coerentemente definibile sbagliato – ma tutti questi numeri sono e restano simboli che hanno un senso e delle relazioni soltanto all’interno del sistema di calcolo da noi prestabilito. 2, 3 o 1,5 non sono giusti o sbagliati nel senso che ci fanno stare bene o male, che ci rendono giustizia o invece ci lasciano la bocca amara di risentimento, non curano le nostre angosce e non le aggravano. E ogni tentativo di usare questi risultati numerici, quantitativi, per ottenere quegli effetti, è invariabilmente destinato a fallire, trasformando noi in automi oppure la scienza in altra cosa. Entrambi questi esiti sono oggi tendenze concretamente rilevabili, e questo secondo risultato è precisamente l’oggetto di analisi del libro che state leggendo.

    Ciò che la scienza può fare e fa per propria natura è calcolare semplicemente quanto e come avvengano i fenomeni sotto osservazione rispetto a dati parametri di misurazione. Metri, pollici, iarde, ettari, litri, tonnellate. Megawatt, candele, gigabyte e tutte le combinazioni possibili di ogni tipo di misura.

    Umanesimo VS Scienza

    A definire se un fenomeno o un elemento siano buoni o cattivi, utili o inutili, vantaggiosi o svantaggiosi, piacevoli o fastidiosi, non è e non può essere un approccio scientifico, ma inevitabilmente un approccio umanista. Non si calcola e non si può calcolare in modo univoco il valore esistenziale di un fenomeno, di una situazione né di un elemento. Il motivo è evidente: l’essere umano definisce questi valori a titolo personale, e queste valutazioni variano da individuo a individuo. Farne una media è certamente funzionale a molti scopi, ma non è che un escamotage, un trucco per poter stilare statistiche, quelle che il mercato oggi usa con tanta disinvoltura proprio per produrre e diffondere beni e servizi. Il dramma della statistica è ben evidenziato dal classico esempio: se metti la testa nel forno e i piedi nel frigorifero, la tua temperatura media può anche essere perfettamente salubre, ma difficilmente la apprezzerai come tale. L’utilizzo di criteri e approcci scientifici nella definizione di ciò che ci occorre e di ciò che ci soddisfa è per sua natura un errore, ed è divenuto nella nostra società un errore sistemico. Un errore che con estrema facilità si tramuta in un orrore.

    L’esempio più evidente della pericolosità di questo approccio è dato dall’incidenza di suicidi e depressione che la nostra civiltà impone ai suoi abitanti. Non è questa la sede per approfondirne nel dettaglio questi processi e sviluppi, basti indicare che il tentativo scellerato di affidare al calcolo scientifico l’individuazione dei criteri, delle regole e delle finalità da adottare e perseguire collettivamente ha condotto intere popolazioni a vivere precisamente con la testa nel forno e i piedi nel frigorifero, ripetendosi a vicenda che la nostra temperatura è perfetta. Non provo per questo alcuno stupore nel numero di individui che cadono vittima di depressione, si suicidano o danno altrimenti di matto. Sviluppare sintomatologia patologica a una società che impone regole patologiche è a tutti gli effetti un sintomo di sanità mentale.

    Distinguere le competenze

    Elemento di particolare gravità nel processo di attribuzione alla scienza e all’approccio scientifico delle funzioni di valorizzazione esistenziale che non le sono proprie è la deriva che vede gli esperti di materie scientifiche identificati come oracoli proprio in materia di attribuzione di significati ai fenomeni che, dal punto di vista scientifico, misurano. Nel concreto, si domanda allo studioso di fissione nucleare se sia meglio o peggio adottare il nucleare come fonte energetica, nella non mediata e irriflessiva convinzione che questa sia la sua materia. Al contrario, non lo è affatto. La materia dello studioso di fissione nucleare è come funzioni la fissione nucleare, e tutti i calcoli che questo complesso processo energetico include e impone di conoscere. Ma non è affatto sua competenza definire se sia una cosa buona o cattiva, se porti benessere o disastri, se il rischio che impone debba essere considerato accettabile o inaccettabile. Così come non è competenza del fabbricatore di porte decidere se per la nostra camera da letto è meglio una porta di quercia o di frassino, di compensato o di acciaio inossidabile. Suo compito è studiare queste opzioni e presentarci i numeri, le misurazioni che li distinguono. Non ha alcuna competenza nel decidere che significati debbano avere tali scelte nella loro attuazione, o più in generale che uso vorremo farne. Si noti bene: non è neppure compito dell’arredatore decidere in merito alla ipotetica porta della nostra ipotetica camera da letto. L’arredatore, benché appartenente a una sfera di competenza umanistica e non più scientifica, è e rimane soltanto un consulente, non un decisore. Approfondiremo più avanti questa ulteriore e non piccola distinzione.

    Il diritto di scegliere

    Le decisioni nell’attribuzione di significato e dunque di valore sono per loro natura incombenza essenzialmente dell’individuo, in maniera del tutto indipendente dalla sua preparazione nella materia di riferimento. Le competenze specifiche sono invece utili per fornire consulenza qualificata in ambito decisionale, fornendo informazioni sugli effetti e sulle caratteristiche differenti prevedibili in base alle differenti possibilità di scelta. Decidere se sia una buona idea vivere con una centrale atomica a fianco della propria abitazione non è non può essere una scelta compiuta da esperti che poi vivranno a centinaia di migliaia di chilometri da quella centrale atomica.

    Questo percorso di crescente, esponenziale affidamento delle decisioni sulle nostre vite agli esperti, è con tutta evidenza di un processo psicosociale di rimozione della responsabilità. L’idea rassicurante che lo decideranno gli esperti ci solleva dal dover noi stessi prenderci carico di valutare che significato assegnare ai fenomeni, che posizione prendere in base agli elementi disponibili di valutazione, quali che siano. Certamente non sto dicendo che chiunque dovrebbe intervenire nel decidere quanti carrelli debba avere un Jumbo Jet, ma da qui a dare delega di decidere per noi agli esperti come dovremmo mangiare, di cosa dovremmo aver paura e di cosa no, come dovremmo educare i nostri figli riguardo alla propria sessualità o persino quali medicine dovremmo assumere contro la nostra stessa volontà, ce ne corre assai. Volendo riprendere l’esempio invero un po’ sciocco del Jumbo Jet, lungi da me voler decidere quanti carrelli debba avere, ma soltanto da me – e da nessun altro – deve esser presa la decisione se io debba salirci, su quel Jumbo Jet.

    Il disastro della medicina

    Questo passaggio di consegne in ambito decisionale si rivela nella sua pericolosità più che mai nell’ambito della salute. Anzitutto, va ricordato per amor di verità epistemologica che la medicina nemmeno è una scienza, bensì una pratica. Ciò perché l’oggetto della medicina è la cura del corpo umano, e ogni singolo corpo umano risponde a modo proprio a un trattamento medico. Non esistono – né possono esistere – in merito, certezze assolute. Che sia invalso l’uso erroneo di considerarla una scienza è già di per sé espressione di una necessità di conforto collettivo che delle persone adulte e razionali dovrebbero saper identificare e limitare. Al contrario, le isteriche rivendicazioni nel voler considerare una scienza la medicina non esibiscono altro che un grottesco, infantile bisogno di rassicurazione. La medicina, dunque, non partecipa affatto di certezze e i suoi esiti non sono misurabili in modo esatto per definizione. Il medico potrà sempre tentare di curare, non potrà mai garantire un bel niente a nessuno, perché la medicina non è una scienza: è una pratica.

    Non lo afferma Stefano Re: si legga in merito il testo La medicina non è una scienza⁷ del professor Giorgio Cosmacini, che insegna Storia della Medicina presso la Facoltà di Filosofia e quella di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano ed è considerato il maggiore storico della medicina italiano. Ma che la medicina non sia una scienza non è certamente una scoperta recente: il suo stesso fondatore, Ippocrate, la definiva un’arte: «Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte»⁸. Se si vuole essere precisi, la medicina utilizza delle scienze, e dovrebbe procedere usando il metodo scientifico, esattamente come lo dovrebbe fare ad esempio l’economia. Ma resta una pratica, non una scienza. L’unico motivo per cui si è diffuso il costume di definire scienza la medicina è il bisogno terribile che, come specie, abbiamo nel nostro cervello di rassicurazioni. Visto che la fede non funziona più, la medicina è l’ultimo baluardo rimastoci contro il terrore della malattia e della morte, ed ecco perché alcuni desiderano con tanta furia che la medicina sia certa, esatta, indiscutibile. L’idea che proceda invece per tentativi, che di esatto non abbia un bel niente, li terrorizza. Ed ecco perché si tenta di trasformarla forzosamente in una scienza. E di seguito, persino ne LaScienzah.

    Chi decide

    Della stessa stoffa, fabbricata di speranze e illusioni bambinesche, è intessuto il ragionamento tristemente attuale che vorrebbe fossero dei medici a decidere le politiche di Salute pubblica. Un medico arrogante afferma: "Io conosco cose che tu non conosci. Ecco cosa devi fare, ora fallo". No dottore, temo che qui sia necessario riallineare le nostre reciproche percezioni. Non è lei a dover decidere se io debba subire questo trattamento: sono io. Quel che deve fare lei è spiegarmi in che cosa consiste, come funziona, a che cosa serve, che disagi comporta. Se lo riterrò necessario le porrò delle domande, e lei mi risponderà. Dopo tutto questo, quando riterrò di avere sufficienti informazioni, sarò io a decidere se sottopormi a questo trattamento, perché qui chi si gioca la salute non è la scienza, non è la medicina, non è la malattia e non è lei: sono io.

    Il medico è un consulente, non è un decisore. Studia teoria e fa pratica di patologie e terapie, e quando gli viene chiesto un parere esamina il caso ed esprime il suo parere. Ma non è in alcun modo titolato a decidere: l’unico soggetto titolato a decidere è il paziente.

    Il primato della politica

    In termini non più individuali ma collettivi, nei casi in cui non sia ragionevole domandare a tutti i cittadini uno per uno riguardo alle terapie che ritengono di voler scegliere, si usa la rappresentanza politica come tramite. Di nuovo, anche a livello collettivo, non è il medico a decidere. Un medico può dirti che per studi o esperienza ritiene che questo trattamento abbia questi effetti. Ma che questi effetti siano poi desiderabili; per chi siano desiderabili; a quale costo individuale o collettivo essi restino ancora desiderabili; in che condizioni di applicazione continuino a essere desiderabili – tutto questo non è decisione del medico, ma esclusivamente del paziente o di chi lo rappresenta. Sui grandi numeri e sulle emergenze, a decidere deve essere la politica, quale ideale rappresentante del paziente. Il problema qui viene a porsi quando la politica non rappresenti di fatto la volontà della popolazionepaziente, ma questa considerazione, benché fondamentale e quanto mai attuale, apre un altro discorso che non è qui sede per esaminare. Restiamo fermi su questo punto: in un mondo in cui la politica rappresenti realmente la volontà di una popolazione, essa dovrebbe esprimere le decisioni e non misteriosi comitati di consulenti tecnici o scientifici, il cui ruolo è per propria natura quello di fornire consulenza, non di prendere decisioni.

    Nell’invocare la scienza e confonderla con la medicina, e conseguentemente nel grottesco teorema che dovrebbero essere dei rappresentanti della medicina (senza neppure domandarsi tramite quale selezione, fatta secondo quali criteri) a decidere della Salute pubblica, si sostanzia questa ricorrente, inconsapevole e disperata necessità infantile di rassicurazioni, di certezze riguardo alla salute. Risulta evidente in questo processo un desiderio diffuso di ridurre l’arbitrio e l’imprecisione propri delle discipline umanistiche, e prende sostanza la lusinga di affidarsi a una scienza rigorosa, che misuri e calcoli senza margini di errore i fenomeni. La medicina, semplicemente, non è questa scienza rigorosa. Non è in grado di misurare e calcolare un bel niente senza margini di errore. Cercare di forzarla a esserlo, come qualche borioso personaggio in camice cerca di fare, non è soltanto stupido, è estremamente pericoloso.

    La medicina degli orrori

    Spacciare la medicina per una scienza esatta e attribuirle poteri decisionali per cui non è qualificata crea pericolose derive di fanatismo. Ciò che i fanatismi comportano lo abbiamo tristemente visto tante volte nella storia e ne abbiamo avuto esempi mostruosamente chiari nel corso del Novecento, quando teoremi celebrati come scientifici sulla supremazia di ipotetiche razze umane su altre ha legittimato discriminazioni, persecuzioni e genocidi. Gli stessi identici segnali si manifestano tristemente anche in questi giorni sciagurati. Nel corso degli ultimi quattro anni abbiamo visto dapprima bambini chiusi fuori dagli asili, chiusi fuori dalle gelaterie, isolati in palestra o perseguitati da controlli di polizia perché considerati minacce per la Salute pubblica, quando sono perfettamente sani. Il motivo fornito? Potrebbero ammalarsi. Certo, come chiunque altro. E difatti, in lineare consequenzialità con questo assunto di pura follia, cavalcando uno stato di perenne emergenza su una condizione pandemica fondamentalmente mediatica, si è giunti a stretto giro a considerare minacce per la Salute pubblica chiunque, del tutto indipendentemente dal fatto che presenti qualsiasi tipo di sintomatologia.

    «Non esistono solo quelle quattro malattie per cui i vaccini oggi obbligatori forniscono una parziale e temporanea protezione. Vaccinato o non vaccinato, adulto o bambino, chiunque può ammalarsi e chiunque può trasmettere malattie infettive. Se dovessimo escludere le persone dal consesso sociale con questa motivazione, dovremmo escluderci tutti. Il consesso sociale resterebbe del tutto al sicuro da qualsiasi contagio, ma cesserebbe di esistere un consesso sociale. Triste e attuale parafrasi del vecchio motto: l’operazione è riuscita perfettamente, peccato che il paziente sia morto»⁹.

    E a questo siamo infine giunti: a escluderci tutti, da tutto. Trasformare la vita sociale in un abbraccio tra teli di plastica, le riunioni familiari a videoconferenze nascoste dietro un monitor, i baci al patetico strofinarsi di mascherine di stoffa. Se tutto questo ancora non basta a suonare la sveglia sulla deriva di follia dentro cui ci siamo avviati, davvero è difficile immaginare cosa possa farlo.

    Quando la cura ti uccide

    Quando scrivo che questa tensione a trasformare la medicina in una scienza è criminale, non si tratta affatto di una iperbole: negli usa la terza causa di morte in numeri assoluti è la medicina. Le terapie mediche sono il killer numero tre delle popolazioni industrializzate. Perché? Perché nello sforzo di spacciare la medicina per una scienza, molti dottori si sono scordati di visitare i loro pazienti, di valutare i casi singolarmente, uno per uno, usando esperienza, osservazione, intuito e attenzione così come raccomandava fin dalla fondazione della stessa medicina Ippocrate di Samo. Oggi intere fila di sacerdoti in camice bianco vengono sfornate in serie, come cloni, dalle università preparate soltanto a considerare i loro bei modelli teorici. Si basano sulle indicazioni scritte nei libri, su studi condotti chissà dove, su chissà chi, con chissà che criteri e non fanno che prescrivere pillole, punture, trattamenti e farmaci di cui nemmeno conoscono davvero effetti e controindicazioni. Fare il medico è diventato un lavoro da burocrate, una specie di videogame in cui i pazienti sono solo caselle da riempire di medicinali a seconda dei sintomi standard – non più persone, ciascuna unica, da osservare, conoscere, comprendere per poterla aiutare a restare o tornare sana. E se reagisci male alle terapie, sei tu che non funzioni bene, imperfetto, sbagliato. E se ti sogni di protestare, di far notare che forse le terapie indicate non sono adatte a te, sei pure un arrogante ignorante che pretende di parlare senza aver studiato. "Curare, che significava: prendersi cura è diventato spacciare farmaci, e il primum non nocere" è finito allegramente giù per il tubo del cesso. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la medicina non si cura più di te: sperimenta su di te. E prima ti

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