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Quello che ora sappiamo: Tutte le volte che la scienza ha cambiato idea
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E-book163 pagine2 ore

Quello che ora sappiamo: Tutte le volte che la scienza ha cambiato idea

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L’elenco di luoghi comuni o idee di senso comune o pregiudizi o falsi miti, culturalmente o socialmente fuorvianti e talvolta tossici più famosi e diffusi in alcuni tempi e luoghi della storia umana, difesi anche su basi scientifiche quando lo studio scientifico mancava di teorie valide, è consistente e, inevitabilmente, cresce via via che la ricerca scientifica dispone di teorie e metodi di potenza crescente. In questo libro, gli autori dei capitoli mostrano in che modo un atteggiamento scientifico ha messo in discussione diverse idee di senso comune. Idee relative a omosessualità, vita extraterrestre, intelligenza animale, rapporto tra cervello e mente, differenze etniche, origine dell’uomo o guerra che sono circolate nella cultura occidentale in tempi diversi con diversi apporti da parte di studiosi, attraverso una competizione continua tra ipotesi e tentativi di spiegare i fatti osservati, si sono progressivamente spogliate, anche se in modi non definitivi, dei pregiudizi che hanno inquinato anche i punti di vista degli esperti o degli scienziati.


...capire i lenti e faticosi attraversamenti

che sono necessari per superare pregiudizi

e false credenze, facendosi così un’idea più verosimile

di come funziona la scienza e perché può essere

così gratificante praticarla.
LinguaItaliano
Data di uscita26 mag 2022
ISBN9788863458664
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    Anteprima del libro

    Quello che ora sappiamo - Arnaldo Benini

    Introduzione

    Da alcuni decenni, soprattutto dopo che i social media hanno sdoganato e portato all’attenzione pubblica il senso comune, ci si è resi conto che Alessandro Manzoni l’aveva vista lunga quando diceva che c’è di che averne paura. Non sorprendentemente, con l’incremento della presenza istituzionale e culturale della scienza, è infatti aumentata anche la presenza della pseudoscienza, che in Italia non è forse più diffusa che da altre parti, ma singolarmente le narrazioni pseudoscientifiche relative a presunti rischi causati dalla scienza e all’innovazione (es. nucleare, Ogm, etc.) o a cure ingannevoli e pratiche superstiziose (es. Di Bella, Stamina, biodinamica, etc.) arrivano da noi con facilità all’attenzione della politica e del Parlamento, che le gestiscono in modi inappropriati.

    Per le persone prive di una formazione adeguata non è facile capire come distinguere la scienza dalla pseudoscienza, ma forse il tratto generale che più le demarca è che la prima cambia le proprie idee o spiegazioni a fronte di teorie o prove migliori, mentre la seconda no. In altre parole, le teorie pseudoscientifiche rimangono ferme alla loro formulazione originaria, e di questo legame con la tradizione ne fanno un argomento retorico di qualità, mentre le teorie scientifiche evolvono. In prima istanza, gli approcci scientifici possono essere sbagliati fuorvianti, e assecondare qualche forma di senso comune. Ma con il proseguimento della ricerca e l’affinamento delle conoscenze, di norma, le idee cambiano e abbastanza regolarmente diventano controintuitive. Non è un caso che diversi scienziati ed epistemologi abbiano sostenuto che la scienza è uncommon sense o che ha una natura innaturale.

    Riflettere sul modo in cui la ricerca scientifica si è avvicinata o ha preso in carico un problema o un’idea di senso comune, difendendo inizialmente teorie o spiegazioni sbagliate, per cambiare il punto di vista sulla base di migliori osservazioni, nuovi esperimenti, modelli più pertinenti, che scaturivano dall’indipendente lavoro di studio e dal libero confronto intellettuale, è utile per capire come funziona la scienza e il posto che occupa nel mondo umano. Forse è utile non solo per chi la scienza la osserva come fruitore, ma anche per chi la fa. Dato che nel corso della recente pandemia si sono visti scienziati molto bravi e competenti in un campo specifico, per esempio virologi, o immunologi o epidemiologi, invadere terreni non di loro competenza e ragionare in quei contesti con idee di senso comune largamente superate.

    L’elenco di luoghi comuni o idee di senso comune o pregiudizi o falsi miti, culturalmente o socialmente fuorvianti e talvolta tossici più famosi e diffusi in alcuni tempi e luoghi della storia umana, difesi anche su basi scientifiche quando lo studio scientifico mancava di teorie valide, è consistente e, inevitabilmente, cresce via via che la ricerca scientifica dispone di teorie e metodi di potenza crescente. Uno dei più brillanti psicologi statunitensi, Scott O. Lilienfeld, ne aveva identificati ben 50 (insieme a tre colleghi nel 2009), nel solo ambito delle credenze psicologiche popolari.

    In questo libro, gli autori dei capitoli mostrano in che modo un atteggiamento scientifico ha messo in discussione diverse idee di senso comune, alle quali la scienza stessa nelle prime fasi in cui ha provato a interessarsi del problema ha applicato strumenti teorici inadeguati, quindi fornendo argomenti apparentemente autorevoli a intuizioni di senso comune. Come si è detto il tratto fondamentale della scienza, che discende dai metodi che usa, è che prevede non come mera possibilità, ma come condizione per evolvere che le spiegazioni teoriche cambino, cioè che si cambi idea o si lavori senza fine a perfezionare qualunque idea definitivamente valida. Anche la teoria eliocentrica o il codice genetico. Le idee relative a omosessualità, vita extraterrestre, intelligenza animale, rapporto tra cervello e mente, differenze etniche, origine dell’uomo o guerra che sono circolate nella cultura occidentale in tempi diversi con diversi apporti da parte di studiosi, attraverso una competizione continua tra ipotesi e tentativi di spiegare i fatti osservati, si sono progressivamente spogliate, anche se in modi non definitivi, dei pregiudizi che hanno inquinato anche i punti di vista degli esperti o degli scienziati.

    Nel corso della pandemia abbiamo assisto a una sorta di esperimento naturale di cui in qualche modo questo libro intercetta e rende conto per alcuni aspetti. A poche settimane dall’inizio della circolazione mondiale del virus, i decisori politici si sono rivolti al mondo scientifico per trovare spiegazioni e soluzioni per quello che stava accadendo, e i media sono stati inondati di esperti e scienziati (che non sono la stessa cosa). Abbiamo così ascoltato esperti e scienziati per diversi mesi contrapporsi o cambiare idea su distanziamento, mascherine, terapie, strategie di controllo della trasmissione. Spesso questa variabilità di punti di vista si manifestava in modi poco educativi, con scambi di insulti in favore di telecamere o di media virtuali, ma soprattutto senza fornire argomenti controllati a favore di una idea, piuttosto che di un’altra. Quello a cui abbiamo assistito è stato che chi aveva poco da dire e da fare, o era abile in quel gioco di prestigio che è ancora la scienza dei big data, andava in televisione e parlava coi giornalisti, mentre chi sequenziava genomi, costruiva vaccini o cercava terapie, si limitava a produrre quei dati e quei mezzi che hanno consentito di portare temporaneamente la pandemia sotto controllo. Nel mondo della scienza le cose non accadono nei modi indiscutibilmente più razionali, ma emergono dal disaccordo tra i ricercatori e anche in ragione del fatto che le idee non cambiano in modi istantanei. Le idee nuove trovano di regola forti ostacoli da parte della generazione più anziana di scienziati (effetto Whewell/Planck), ma alla fine scaturiscono come provvisorie verità che possono cambiare in meglio la condizione umana.

    Si potevano realizzare altri capitoli: I vaccini non causano l’autismo; La storia non insegna nulla; La nostra memoria non funziona come un magnetofono; L’elettroshock non è un trattamento inutile e violento; Chi confessa un crimine non sempre è colpevole; Il cibo biologico non è più sicuro, più nutriente e più equo; Le piante non sono la principale fonte dell’ossigeno che respiriamo; etc. Il luogo comune che si pensava solido, anche in ragione della storia culturale e intellettuale dell’Occidente e che negli ultimi anni è stato messo in discussione dalla ricerca sui comportamenti comunicativi in ambito scientifico è la credenza che le persone che possiedono gli strumenti per capire tecnicamente i problemi siano meno inclini a farsi influenzare dalle ideologie e a schierarsi nelle discussioni polarizzate. In realtà, le persone più intelligenti e istruite non usano meglio i fatti e le regole della scienza, ovvero, anche per gli esperti, ciò di cui abbiamo la prova che è vero, non è più facile da credere o preferito rispetto a quello che si sa essere falso ma che intercetta valori identitari.

    Nel corso degli ultimi trent’anni, anche a seguito delle scoperte e delle idee di Daniel Kahneman, per cui le nostre decisioni sarebbero guidate da due sistemi, uno euristico o intuitivo (Sistema 1), e uno analitico o consapevole (Sistema 2), si è pensato che la soluzione per mettere sotto controllo le idee sbagliate di senso comune, le scelte o le credenze irrazionali o i pregiudizi, fosse assegnare più spazio, attraverso l’istruzione, alle decisioni prese con intelligenza. E magari usare il nudging per manipolare, in modi paternalistici ma libertari, le persone inviando stimoli che attivano alcune euristiche inconsce. In realtà, le ricerche di Ken Stenovich hanno mostrato che le persone intelligenti non sono necessariamente razionali – diversi Nobel hanno flirtato con le peggiori pseudoscienze – e che per essere razionali e usare anche il pensiero critico nelle decisioni è necessario che l’ambiente mentale non sia contaminato da ideologie e idee di senso comune prossime alle pseudoscienze. Con più decisione lo psicologo forense Dan Kahan, ha condotto esperimenti dai quali risulta che persone più intelligenti e anche esperte, quando si trovano di fronte a temi controversi (riscaldamento climatico, vaccini, controllo legale sulle armi, etc.) tendono a manipolare i dati per difendere una tesi ideologicamente preconcetta. Non diversamente da come fanno persone con la stessa ideologia, ma prive di competenze tecniche. Un atteggiamento di rispetto dei dati scientifici e quindi un minore condizionamento del pensiero in senso motivato li si trovano non in persone più competenti o intelligenti, ma più curiose. Kahan ne ricava l’idea che la comunicazione della scienza non dovrebbe avere lo scopo di migliorare l’alfabetizzazione scientifica dei cittadini, ma di evitare che la scienza venga trascinata in controversie ideologiche.

    Abbiamo visto, nel corso della pandemia, la scienza nel suo farsi e abbiamo constatato che la scienza ha un valore sociale, per ognuno di noi che va al di là del valore, della simpatia o delle qualità morali dei singoli scienziati. La scienza è come un catalizzatore, che nell’ambiente adatto cioè quando ci sono competizione, regole trasparenti e controllo, seleziona i reagenti pertinenti per attivare e modulare le reazioni funzionali allo scopo di ottenere un prodotto finale di interesse. Gli scienziati, cioè i loro cervelli, sono solo dei reattori all’interno dei quali le idee vengono modificate, più spesso senza miglioramenti, ma talvolta con importanti miglioramenti o addirittura generando modi di pensare completamente innovativi. La progettazione e manutenzione di questi reattori cognitivi nella fase in cui prendono le loro forme e contenuti, sarebbe un compito della scuola e della formazione accademica. Purtroppo, per parafrasare Gaston Bachelard, il quale pensava che «la scienza non ha la filosofia che si merita», nemmeno i giovani di regola oggi imparano dai programmi scolastici le cose che meritano. I temi discussi in questo libro possono essere usati come finestre da cui guardare e capire i lenti e faticosi attraversamenti che sono necessari per superare pregiudizi e false credenze, facendosi così un’idea più verosimile di come funziona la scienza e perché può essere così gratificante praticarla.

    Gilberto Corbellini

    Gli autori

    Arnaldo Benini

    Professore emerito di Neurochirurgia all’Università di Zurigo. Le sue pubblicazioni di divulgazione scientifica sono: Che cosa sono io. Il cervello alla ricerca di sé stesso (Garzanti, Milano 2009); La coscienza imperfetta. Le neuroscienze e il significato della vita (Garzanti, Milano 2012); Neurobiologia del tempo (Cortina, Milano 2017, seconda edizione 2020); La mente fragile. Il Problema dell’Alzheimer (Cortina, Milano 2018); Neurobiologia della volontà (Cortina, Milano 2022). Collabora alle pagine di scienza e filosofia dell’edizione domenicale del Sole 24 Ore e alla pagina culturale del quotidiano Corriere del Ticino.

    Patrizia Caraveo

    Dirigente di Ricerca all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha diretto lo IASF a Milano.

    Per i contributi dati alla comprensione dell’emissione di alta energia delle stelle di neutroni, ha ricevuto nel 2009 il Premio Nazionale Presidente della Repubblica e, poi, nel 2021, il Premio Enrico Fermi della Società Italiana di Fisica.

    Nel 2014 Women in Aerospace le ha conferito l’Outstanding Achievement Award e, nello stesso anno, è entrata nella lista degli Highly Cited Researchers.

    Fa parte del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica e delle 100 donne contro gli stereotipi.

    Nel maggio 2017 è stata insignita del titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

    Dal 2021 è membro dell’Istituto Veneto di Lettere Scienze ed Arti.

    Gilberto Corbellini

    Professore ordinario di Storia della medicina e docente di Bioetica alla Sapienza Università di Roma. I suoi libri più recenti sono: Nel paese della pseudoscienza. Perché i pregiudizi minacciano la nostra libertà (Feltrinelli, 2019) e La società chiusa in casa. La libertà dei moderni dopo la pandemia (con Alberto Mingardi, Marsilio, 2021).

    Paolo Legrenzi

    Professore emerito di Scienze cognitive dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha contribuito, da giovane a Londra, alla nascita

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