Oltre la Libertà: diario di Bordo
Di Jack Parson
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Info su questo ebook
Ritrovato il suo cadavere a Milano gli investigatori saliranno a bordo della MSC Splendida dove Jack ha trascorso l'ultima settimana di vita e qui, tra le luccicanti serate e le mondanità eccessive del mondo incantato della crociera, scopriranno chi ha voluto la morte dello scrittore. Un viaggio alla scoperta di una nave, dei costumi, delle usanze, delle paure di chi ci lavora a bordo, dell'amicizia che si crea e di ciò che significa vivere lontano da casa per diversi mesi.
Scritto in mniera magistrale è statio promosso in tutto il Mediterrano e presentato proprio a bordo di quella ch per anni è stata l'Ammiraglia del gruppo MSC Crociere.
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Anteprima del libro
Oltre la Libertà - Jack Parson
Oltre la libertà
© Amos Cartabia - 2009
© Edizioni A.Car. srl - 2010
Edizioni A.Car. srl
V.le Rimembranze 43/B
20020 Lainate (MI)
www.edizioniacar.it
info@edizioniacar.it
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
collana: BRIVIDI & EMOZIONI
ISBN: 978-88-6490-347-7
Studio di copertina: Maria Grazia Pelella - Msc Crociere
Editing: Edizioni A.Car. srl
Correzione bozze: Francesca Canevari
Distribuzione Nazionale: www.alilibri.it
www.ibs.it
Iˆ edizione: settembre 2010
Senza autorizzazione dell’Editore è vietata la riproduzione parziale o totale dell’Opera con qualsiasi mezzo, meccanico, elettronico o fotografico.
Ogni violazione potrà essere perseguita a termine di legge.
Versione digitale realizzata da Streetlib srl
A tutto
il personale
della Msc Splendida
Prefazione
a cura di Riccardo Sedini
presidente di Giallomania
Jack Parson è un personaggio complesso con delle forti componenti autolesionistiche, ma soprattutto Jack non ne può più del mondo dell’editoria e di essere trattato come la bestia rara.
Questa è l’opera di Amos Cartabia, un uomo, un editore, un amico. Sicuramente Jack è notevolmente il suo alter ego, c’è in Amos e anche in questo thriller, lo stesso sguardo nei confronti del mercato dell’editoria. Come opera la trovo molto fresca, con un lessico lineare e una trama che non ti permette di staccarti dalle pagine se non facendo un atto di forza.
Il ritmo varia tra il sincopato e il teso andante. Di sesso ve ne è il giusto non esagerato ne volgare ma adatto alla cornice di dove si svolgono i fatti. Ottima l’idea di ambientare la maggior parte del racconto a bordo di una nave della Msc Crociere, tutto si confà all’idea che l’autore vuole esprimere di un certo mondo. Tutto è reale sulla nave, ma al contempo artefatto e costruito a misura di cliente. Quello che è bello scoprire nel romanzo, e che Cartabia ce lo svela poco a poco, è soprattutto cosa vuole e cosa pensa veramente Jack Parson.
L’autore ci conduce tra una serata con donne, discussioni con l’editore, nei meandri della mente di Jack e delle sue riflessioni. E’ un giallo sotto certi aspetti introspettivo quasi analitico senza mancare il suo bel morto e la sua alta tensione.
Riccardo Sedini
JACK PARSON
OLTRE LA LIBERTÀ
Indice
Prologo
alcuni mesi prima...
due mesi dopo...
2 dicembre 2009
7 dicembre 2009... pomeriggio
Milano 9 dicembre 2009
Ringraziamenti
Prologo
Milano 05 dicembre 2009
"IL CORPO DI JACK PARSON RITROVATO
NEL SUO APPARTAMENTO DI MILANO"
"LO SCRITTORE DI GIALLI
UCCISO DA UN KILLER"
"88 COLTELLATE ALLA SCHIENA
PER UCCIDERE LO SCRITTORE JACK PARSON"
"NON È UN LIBRO, MA LA REALTÀ.
IL CORPO DI JACK PARSON RITROVATO A MILANO"
I giornali del mattino caddero inerti sulla scrivania dell’ispettore della omicidi Alessandro Parelli, mentre il collega rimaneva in piedi, appoggiato alla porta del suo ufficio. Sapevano entrambi che i giornali sarebbero andati a nozze con una notizia del genere, sapevano che Jack Parson, anche da miglior vita, avrebbe attirato tutti i media su di sé e, soprattutto, sapevano che se non avessero accelerato le indagini, nulla si sarebbe scoperto sulla morte assurda dello scrittore di thriller che da tempo abitava a Milano.
Dovevano muoversi, correre, ripercorrere gli ultimi mesi della sua esistenza per arrivare al nocciolo della questione.
Alessandro guardò il collega accendendosi l’ennesima sigaretta della mattinata.
«Dobbiamo muoverci... i giornalisti saranno attratti come le api sul miele...»
Il collega annuì passandosi una mano sui baffi scuri.
alcuni mesi prima...
LA NOTTE HA GLI OCCHI DELLA MORTE
di Jack Parson
…Estate torrida quella del lontano 1969, estate torrida soprattutto se si viveva in una delle migliaia di fattorie sparse per il Texas; estate torrida soprattutto se si pensa all’estate delle
Colline con gli occhi", così come venivano definite le ombre rosse che, nelle serate di torrida afa estiva, davano allucinazioni strane alle popolazioni di contadini.
Estate torrida quella del 1969, con la popolazione che si rifugiava nelle case coloniali a cercare un po’ di refrigerio e con i contadini che si svegliavano alle prime luci dell’alba per richiudersi nelle case prima che il sole fosse a picco di mezzogiorno.
Estate torrida quella del lontano 1969 negli Stati Uniti, quando i torrenti Ohin e Swergon rimasero senza una goccia d’acqua ed il vecchio parroco predicava affinché anche solo una piccola nuvola apparisse all’orizzonte.
Estate torrida, estate di preghiera e di ragazzi che correvano con le biciclette sino alla riserva idrica di Sulv City, alla disperata ricerca di una tanica pulita dove mettere acqua potabile e dove, per una cifra altissima, si poteva portare il bestiame sino all’oasi di proprietà dei Sullivan.
Estate torrida quella del 1969 con venticinque casi di pazzia nella contea di Devis e con due casi di suicidi nella piccola cittadina di Albertville.
Estate torrida quella del 1969, con il matrimonio sfumato all’ultimo momento di Samantha Carson a causa di un attacco di cuore del padre e con la morte dei due ragazzi sulle sponde secche del torrente Duglas, il più grande della zona.
Un’estate da dimenticare, a sentir la popolazione che dopo quarant’anni ancora si ricordava di ciò che era successo, a sentire lo sceriffo che aveva appena preso servizio in quegli anni e che ora, nell’estate del 2009, si preparava alla pensione.
Albertville era rimasta così, come nel 1969, con la vecchia stazione di servizio della Texaco all’ingresso, la strada polverosa che attraversava la città, con il semaforo appeso ad un cavo metallico al centro dell’unico incrocio e con una decina di fattorie sparse per il territorio appena fuori dai prati colorati dalla pioggia artificiale che pompava acqua dalle falde ormai troppo basse per funzionare tutto l’anno. L’incrocio, l’unico incrocio che univa la statale e la Nixon avenue, ne aveva viste di cose, dal rientro delle tre bare che portavano i tre soldati morti nel Vietnam, alla manifestazione contro la costruzione di una centrale elettrica nucleare proprio alle porte di Albertville, mai costruita, al rientro di due salme dalla prima guerra del Golfo e al pianto dell’intera popolazione dopo l’11 settembre 2001, quando anche gli abitanti di Albertville capirono che il mondo era, in qualche modo, cambiato.
L’incrocio, l’unico, dove il vecchio sceriffo si affrettava alla mattina a parcheggiare la propria auto e ad accendere ancora manualmente il semaforo lampeggiante e poi, a piedi, entrava nell’unico bar a fare la consueta colazione a base di pancetta alla piastra, uova e una spremuta di arance. Anche le arance erano state le protagoniste ad Albertville alla fine degli anni ottanta quando un camion trasporti perse il carico svoltando troppo velocemente proprio a quell’incrocio. Fu festa quel giorno, infatti il conducente pensò bene di svignarsela onde evitare contravvenzioni, mentre i ragazzini e le madri della cittadina raccolsero più arance possibili e scantonarono in fretta dall’incrocio.
Era come se, da quella torrida estate del 1969, Albertville si fosse improvvisamente fermata e la cittadinanza si riunisse al centro dell’incrocio per ogni singola attività cittadina.
Anche il sindaco, il vecchio e malato Mark O’Brian, che dal 1969 doveva morire ogni giorno e invece era ancora in vita, faceva riunioni sul marciapiede all’angolo della Nixon Avenue, parlava con la gente, sentiva i problemi dei contadini e pronunciò anche un discorso di commemorazione al rientro delle salme delle due guerre. Albertville era nata nel 1969 e stava vivendo ogni anno un nuovo 1969. A pensarci bene, nessuno parlava della storia antecedente quell’anno, nessuno si ricordava del vecchio Marc Thompson che aveva trucidato moglie e figli lacerando i corpi con la scure nel lontano quarantasette e nessuno si ricordava di Sara Molinas, la reverenda suora che era stata il pastore della comunità negli anni cinquanta. Sembrava che tutto ruotasse attorno a quell’estate del 1969.
Altre cose erano successe quell’anno, ma neppure il vecchio meccanico, l’unico, sempre sporco d’olio sintetico e di grasso si ricordava. Eppure era definito un lingua lunga
, uno di quelli ai quali basta dire di tenere un segreto ed entro le dodici ore ha parlato con tutto il paese.
Nel 1969, ad esempio, il giovane Simon Clester era stato trovato nel bosco a masturbarsi guardando un giornale all’epoca scandalistico, una copia passata di mano in mano di un numero di Playboy che, ad averlo oggi, varrebbe almeno 100 dollari puliti puliti. Simon era stato visto accanto al campo della discarica da Gene Pilsonn, figlio di Margareth Bellin, cognata di Brian, il meccanico, appunto. Ecco che il meccanico, saputo della cosa, chiuse addirittura l’officina, per raccontare che Simon era stato visto con fuori l’uccello nel bosco. Da questo si passò nel breve arco di un paio d’ore a Simon che viaggiava con fuori l’uccello in bicicletta, a Simon che faceva vedere il suo uccello alle donne davanti al drugstore e a Simon che estraeva l’uccello a scuola. Conclusione della vicenda? Simon, che oggi ha 54 anni, è ancora soprannominato proboscide
.
Questa è Albertville e questa è la città in cui vivo oggi, all’età di quarant’anni e in quell’estate torrida del 1969... sono stato concepito.
Bellissimo il ricordo di mia madre, di quell’estate e delle prugne del campo ormai mature, vivo il ricordo di quella giornata, quando mio padre, stanco per la fatica nei campi, passò a piedi accanto ai prugni e vide mia madre, immobile, sopra un tronco di legno che cercava di raccogliere dal ramo più alto quei succulenti frutti che poi avrebbe portato in casa; torrido il momento dell’amplesso, sotto la pianta, tra i grilli che rumoreggiavano quasi a segnare il tempo che inevitabilmente li stava portando al concepimento di quel ragazzo che, nel maggio dell’anno dopo, sarebbe sbucato ed avrebbe allietato i loro giorni nella casa di campagna, nella casa di umili contadini, nella casa che oggi mi ha ripreso a vivere.
Anni di gioia, dopo la tempesta. Sembra ironico dirlo, ma anche in quell’afosa estate del ’69 ci fu una tempesta di sabbia e la pace. La pace degli anni che seguirono, della scuola e del primo bacio, delle prime birre e delle prime sigarette, sino all’età di sedici anni quando mio padre mi regalò un furgone Ford del 55 rimesso a nuovo. Ero contento: il furgone era un po’ ammaccato, ma ben tenuto, era rosso screpolato (diciamo così), ma ancora vivo in alcune parti dello splendore originale e, soprattutto, fu il furgone dove persi la verginità con Catherine Sullivan, la bionda un anno più giovane di me che frequentava la stessa mia scuola.
Anni belli, sino al 1988 quando cominciarono i litigi, quando cominciarono i problemi legati all’alcool e quando, inevitabilmente, una sera, mio padre prese a cinghiate mia madre che se ne andò per sempre. Da quell’anno… tutto cambiò, da quell’anno…
… La porta del locale si spalancò di colpo lasciando entrare la fresca aria di un semplice autunno ad AlbertVille. Jakson Mayer entrò barcollando un poco, seguito dagli sguardi dei presenti sino a quando si accasciò sul bancone in legno. La mano fu pesante quando si appoggiò più per sorreggersi che per segnalare la sua presenza.
«Dammi da bere, Paul, una buona birra fresca.»
Il vecchio proprietario guardò l’uomo sorridendo, seguendo il movimento della mano destra che appoggiava sul banco un paio di dollari freschi di banca.
Gli sorrise.
«Non ne hai già abbastanza? Sono solo le sette di sera e…»
Jakson si alzò in piedi barcollando un poco e passandosi una mano sulla fronte.
«Non esiste ancora una legge che non mi permetta di bere fino a quando cazzo ne ho voglia, giusto Paul?»
L’uomo annuì passando un panno umido sul banco in legno, mentre le pale lente continuavano a girare appese al soffitto del locale. Una vecchia canzone si inserì nella discussione; era stato Manuel Ortega, messicano trasferitosi anni addietro ad Alberville, a richiederla al vecchio juke-box.
«Volevo solo dirti di non esagerare questa sera, sai, la notte è ancora lunga.»
Jackson sorrise, ripassandosi una mano sulla fronte umida, poi prese il bicchiere, se lo portò alla bocca e in men che non si dica la birra fresca entrò nelle sue vecchie viscere.
Fu un istante: la vista cominciò ad offuscarsi, mentre il sudore scendeva copioso dalla fronte fredda e il leggero formicolìo alla mano destra si estese a tutto l’arto. Cadde a terra immobile seguito prima dallo sguardo dei presenti, poi dalle urla delle due ragazze che ogni sera presenziavano al locale in cerca di nuove avventure.
Questo era mio padre, questo fu il suo ictus all’età di 55 anni, cinquantacinque, come la data di immatricolazione del mio Ford rosso, come l’età che lo vide in carrozzella e come l’età che lo vide perdere tutto quello che l’alcool gli aveva irrimediabilmente già rubato. Mio padre, Jakson Mayer, ancor oggi vegeta attaccato a una macchina in uno squallido letto del Memorial Hospital di Dallas.
La fattoria? Fu ritirata dalla banca due anni dopo a causa della mia giovane età e della mia inesperienza lavorativa, ma soprattutto a causa dei buoni consigli
di vecchi amici di famiglia che fecero i loro interessi ed asciugarono i conti di casa. Io avevo 19 anni e frequentavo il College di Maren City, ottanta miglia a nord di AlbertVille.
Diciannove anni quando il mondo mi cadde addosso, quella sera del 1988…"
Il sigaro fu guidato lentamente dalla bocca sino al posacenere, prima che i piccoli occhialini tondi che sostavano sul naso aquilino dell’uomo venissero riposizionati all’altezza degli occhi.
L’uomo, sessantacinque anni, abbronzato, vestito ed incravattato di tutto punto, era immobile con il suo finto colore estivo oltre la scrivania.
«Jack… cosa sarebbe?»
Un hamburger... cosa vuoi che sia? Il libro nuovo, no!
Jack Parson, quarantadue anni, atletico, anch’egli ben abbronzato, con due occhi chiari che erano l’invidia dei conoscenti sin dall’epoca del college, rimase immobile sulla sedia.
«Paolo, come cosa sarebbe…»
L’uomo lo guardò nuovamente riprendendosi il sigaro dal posacenere.
A Jack non era mai piaciuto fumare, non sopportava l’odore acre di quel fumo grigiastro che appannava non solo l’anima, ma tutta la stanza, per finire poi a incatramare i polmoni e ad accelerare il percorso che portava inevitabilmente stecchiti sotto un metro di terra putrida.
Si ricordò della prima volta, in quell’ufficio, vent’anni prima, quando era giunto in Italia con il suo manoscritto; si ricordò di quella stanza, di quell’editore che lo volle seguire personalmente sin dall’inizio, entusiasta del suo manoscritto e che ora, invece, sembrava essere totalmente deluso dal suo ultimo lavoro.
«Dimmi... cosa sarebbero queste venti o trenta pagine scritte a macchina?»
Jack lo guardò brevemente come inebitito, mentre fuori dalla finestra alcune gocce d’acqua cominciavano a scivolare inermi sul vetro, per finire morte sul davanzale in marmo.
Ecco, quelle goccioline stanno scivolando come te... verso terra, verso il pavimento...
L’autunno ormai era arrivato.
Assurdo, tutto in quel martedì di fine settembre gli appariva assurdo.
«Cosa vuoi dirmi? Forse non ti seguo, forse… diciamo che ho fatto tardi ieri sera e sono un po’ fuori dalla consuetudine quotidiana... dimmi cosa c’è che non va; tu mi hai chiesto un libro ed io ti ho scritto un libro. Ecco qua quello che è quel coso.»
L’uomo, Paolo Venier, editore della M&M di Milano, sorrise risistemandosi per l’ennesima volta gli occhialini sul naso, fino a inquadrare perfettamente gli occhi marroni.
Sbuffò del fumo grigiastro, lentamente, poi si alzò dalla scrivania e si allontanò verso l’enorme finestra che dava direttamente su una delle vie principali del capoluogo lombardo.
Jack continuava a guardarlo, immobile, di spalle; in uno dei suoi libri, il killer lo avrebbe sicuramente scaraventato giù dalla finestra con una spinta; sì, si sarebbe alzato dalla sua posizione e in silenzio si sarebbe avvicinato alla sua schiena, poi, sempre in silenzio, gli avrebbe dato una bella spinta e quell’uomo, incravattato e con le scarpe lucide, sarebbe precipitato nella zona pedonale della vecchia Milano da bere
. Sì, in uno dei suoi libri, lo avrebbe di certo ammazzato crudelmente in quel modo.
Sorrise.
Improvvisamente l’editore si voltò, sempre col sorriso sornione sulle labbra e con quel sigaro in bocca che gli faceva socchiudere un po’ l’occhio sinistro a causa del fumo.
L’occhio è già da ictus... secondo me gli manca pochissimo.
Si guardarono per un breve, interminabile istante.
La mente di Jack Parson, scrittore americano giunto in Italia nel 1984 e autore di decine di thriller da migliaia di copie, già si proiettava al lancio dell’editore dal quarto piano di uno splendido palazzo del centro. Sì, ormai era deciso, nel successivo racconto quell’uomo avrebbe fatto la fine della più schifosa cacca animale
, spiaccicata al pavè del centro con la gente che alzava la testa alla ricerca della finestra dalla quale era volato.
«Jack… rifacciamo da capo tutta la cosa… nel senso che forse non ci siamo capiti.»
Ecco una frase che odiava, come quella che il suo direttore di banca diceva sempre: Signor Parson… non c’è problema…
e questa era molto… molto simile.
Mancava il tranello.
Si aspettava il colpo di scena, ma forse lui stesso stava viaggiando troppo con la fantasia, nella sua mente da scrittore, con l’invenzione di una storia che poi, invece, si sarebbe conclusa nel migliore dei modi.
Dai Jack, fai il bravo, fai il bravo...
La sua mente era sempre un passo avanti a lui.
«Paolo, mi hai detto che ti serviva un nuovo racconto, un thriller ed io…»
L’uomo sorrise riavvicinandosi alla scrivania in legno massello recuperata da qualche antiquario della zona. Appoggiò le mani sul tavolo lasciando vedere sia i polsini bianchi della camicia che lo splendido Rolex che portava al polso.
«Ti ho detto che mi serviva un romanzo… una nuova storia, non un thriller, ma la storia che ci avrebbe arricchito entrambi.»
Stronzo... ma se ti sei fatto una valanga di soldi con le mie storie, con i miei personaggi.
Soldi… solo ed esclusivamente una questione di soldi.
Lo sapeva, scriveva per guadagnare e quella verve che lo aveva reso famoso anni addietro ora si era trasformata nella necessità di pubblicare per essere pagato.
Il suo secondo romanzo, il suo thriller per eccellenza: Billy Jhordan, io serial killer gli aveva procurato un bel po’ di quattrini, poi le altre storie avevano seguito l’onda del successo. Serate mondane, presentazioni e fotografie, donne e l’auto nuova offerta dal suo amico editore… ma l’amicizia, avevano sempre detto i suoi colleghi, tra editore ed autore non è mai possibile
.
Forse avevano ragione loro e ora lui stava vivendo l’esperienza che avrebbe smentito la sua convinzione. Vedrai che appena non servi più, il tuo editore ti lascia col culo a terra
.
La sua scrittura era un modo come un altro per fare soldi.
Questione di soldi.
Ora sì che aveva voglia di provare a fumare.
«Solo soldi dunque… i miei thriller non funzionano più e vuoi che scriva una storia diversa…» La forza d’animo si era fatta spazio per uscire con quella frase dalla sua bocca.
L’uomo lo guardò per un attimo, poi annuì sorridendo e lasciando che la mano destra accompagnasse al posacenere il suo sigaro toscano.
«Vuoi dire che non hai fatto abbastanza soldi con i miei thriller?»
Paolo Venier sorrise nuovamente. Poi sbuffò lentamente prima di avvicinarsi ancora alla finestra.
Questa volta l’editore era in piedi che lo guardava.
Nel suo libro immaginario, ora, non avrebbe potuto spingerlo giù dalla finestra.
Si guardarono fissi: i loro occhi sembravano scambiarsi accuse e frecce avvelenate virtuali.
Di certo c’è solo che nel mio prossimo romanzo farai la fine della cacca di cani, spiaccicata nel parco e calpestata da un vecchio che bestemmia subito dopo.
«Sai…» disse fissandolo negli occhi «la nostra è una vecchia e consolidata amicizia, soprattutto se pensiamo a quanto denaro io abbia speso per te: denaro per portarti alle feste mondane, denaro per comprarti la macchina che volevi e, soprattutto, denaro per far sì che, camminando per strada, la gente ti riconoscesse. Sai quanto costa una pubblicità come quella che ti ho fatto fare io? Centinaia di migliaia di euro, decine e decine di migliaia di euro spesi per le trasferte e non dico che non ci abbia guadagnato anche io, certo, altrimenti non saremmo qui, ma davanti a un legale, ma oggi voglio che tu faccia qualcosa di più: la gente è stanca dei soliti thriller e degli splatter che coprono di sangue tutto quello che incontrano, è stanca delle case martoriate da fantasmi, dai vampiri che sposano vergini e divorano figli, dei serial killer che vengono scoperti ancor prima di commettere gli omicidi e delle storie che hanno a che fare con le più sofisticate attrezzature scientifiche. Basta! La gente vuole la novità, la gente vuole, desidera, un viaggio nella mente del personaggio, un viaggio che li faccia stare ancora bene, soprattutto in questo periodo di crisi. Sai quanto costa un libro?»
Lo guardò. Cazzo se sapeva quanto costava un libro, non meno di quindici euro e non più di venti euro… una cifra abbordabile.
Certo che sapeva quanto costava un libro, poteva dirlo, poteva rispondere a quello che ormai era sicuramente diventato il suo ex amico editore
.
«Un libro costa la bellezza di quindici, diciassette o venti euro… seguendo i parametri commerciali di oggi. E tu pensi che qualcuno compri una storia trita e ritrita spendendo la stessa cifra che spenderebbe per andare a mangiare una buona pizza?»
La pizza... che voglia ho di mangiarmi una buona pizza! Se questo stronzo non la smette la pizza gliela tiro io...
Lo guardò accigliando lo sguardo in segno di disprezzo.
«Ma cosa stai farneticando…»
Venier si spostò nuovamente avvicinandosi alla scrivania.
Ora fuori pioveva molto più forte. L’autunno era arrivato anche a Milano.
«Non mi segui Jack… e questo non mi piace.»
Lo stava forse scaricando? No… non poteva scaricarlo, non poteva scaricare la sua gallina dalle uova d’oro, in fondo, le sue presentazioni erano ancora estremamente remunerative, sessanta o cento libri si vendevano sempre durante