Illudersi di Morire
Di Lucio Potini
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Anteprima del libro
Illudersi di Morire - Lucio Potini
Prefazione
Dal libro Karma e Reincarnazione
"Oggi il termine reincarnazione è molto popolare ed evoca nella maggior parte della gente un che di mistico ed esotico. Dai pensatori progressisti agli yoghi e ai guru indiani, tutti ne promuovono la dottrina, e se da un canto la maggior parte delle chiese cristiane rifiuta di credere alla reincarnazione, gli ultimi sondaggi mostrano che centinaia di milioni di persone in tutto il mondo la considerano una realtà.
Nonostante gli ampi consensi, essa rimane comunque un concetto vago, qualcosa che incide ben poco perfino sulla vita di coloro che ci credono. L’idea diffusa che reincarnarsi significa rinascere nei panni di qualcun altro manca di chiarezza e si presta a una serie di false interpretazioni. Non possiamo cogliere il vero significato della reincarnazione se non comprendiamo la differenza tra spirito e materia, quindi la nostra identità di anime spirituali distinte dal corpo materiale. La relazione tra l’anima e il corpo è paragonabile a quella tra un autista e la sua auto. L’auto è lo strumento con cui l’autista porta a compimento la sua missione. L’autista esiste a prescindere dall’auto, mentre l’auto senza l’autista non è che una massa di metallo inerte.
Tale conclusione è l’inizio della vita spirituale, partendo da questa base possiamo analizzare il fenomeno della reincarnazione."
Per l’anima non c’è nascita né morte.
Esiste e non smette mai di esistere.
È eterna, originale,
non ebbe mai inizio e non avrà mai fine.
Non muore quando il corpo muore.
(B.g. 2.22)
Abbiamo voluto citare questo verso della Bhagavad-gita per cercare di uscire fuori dall’inganno della vita. Sono pochi al mondo che sanno che esistono da sempre, non c’è stato un momento in cui sono nati e non ci sarà mai un momento in cui moriranno. A morire è solo il corpo, cioè l’involucro del quale è rivestita l’anima. Quindi questo verso, che è stato pronunciato da Dio, ci annuncia la nostra eternità. Non è una differenza da poco rispetto a quello di cui eravamo convinti. È un verso rivoluzionario per la maggior parte degli occidentali e gli si dà peso a seconda se si conoscono l’importanza e l’autorevolezza della Bhagavad-gita. La Bhagavad-gita è il testo più importante dei Veda perché svela le domande alle quali nessuno è in grado di rispondere. Cioè ci dice chi siamo, da dove veniamo e qual è lo scopo della vita. Dei Veda e della loro autorevolezza ne parliamo in altra parte del libro.
Il Creato e la Nostra Esistenza
La suggestiva visione che il Creato offre soprattutto di notte, così densa di fascino e di mistero, non dev’essere oggetto solo di meraviglia. Noi siamo esseri spirituali eterni e come tali possiamo girare a piacimento sia nei mondi spirituali sia nei mondi materiali. Rivendichiamo pure con orgoglio che questo luogo straordinario, l’intero Creato, è anche casa nostra e cerchiamo di toglierci di dosso qualche complesso d’inferiorità. Sebbene piccolo, il nostro pianeta ospita la più straordinaria varietà di specie viventi al momento conosciuta, e noi stessi ne facciamo parte. Sorprende la varietà in esso contenuta: mari, laghi, montagne, la luce del Sole, la Luna e le stelle, l’azzurro del cielo; ma soprattutto noi, la nostra esistenza, la nostra eccezionale testimonianza di vita, i nostri sogni, le nostre speranze, le nostre ambizioni. Senza la nostra testimonianza, chi potrebbe affermare che tutto quello che si vede esiste davvero? Ecco perché è importante questo nostro piccolo mondo. La sua fiammella di vita – dicono gli scienziati – potrebbe essere l’unica in tutto l’universo, a maggior ragione non dovremmo subire questo senso d’inferiorità! La nostra esistenza non è meno straordinaria del Creato che ci ospita, fantasticare sulle costellazioni non ci aiuta, sono suggestive ma non sono la nostra meta. Concentriamoci allora sulle cose rilevanti che ci riguardano, non possiamo farle passare inosservate, e non dobbiamo accontentarci di quello che ci dice la scienza: Ci arriveremo… scopriremo… risolveremo… sapremo…
Tutto al futuro! Ma il futuro è questo e non sappiamo niente di niente, navighiamo ancora nell’ignoranza più assoluta. Non sappiamo se Dio esiste o no e non sappiamo se quello che vediamo è opera sua oppure no. Siamo informatissimi sul gossip dei nostri idoli ma navighiamo nella più profonda ignoranza sui temi che riguardano la nostra esistenza. E questo perché non siamo assolutamente in grado di spiegare queste rilevantissime cose che ci riguardano. Il tempo, poi, a metterci fretta. I pochi anni a disposizione passano: saranno settanta? Saranno ottanta? Ne sono passati miliardi e noi facciamo affidamento solo su questa piccola frazione. Tutti i nostri progetti sono di vivere questi pochi anni al meglio delle nostre possibilità. La nostra felicità consiste nel non imbatterci in qualche guaio o in qualche sofferenza. Se cade un aereo, se qualcuno muore sepolto dalle macerie di un terremoto, pur rimanendo dispiaciuti per le vittime, pensiamo: Meno male che non è toccato a me.
Questa è la nostra felicità: scamparla dalle sofferenze! C’è qualcosa che non quadra in tutto questo. Queste due cose straordinarie, il Creato e la nostra esistenza, sono là e fan galoppare la nostra fantasia: quanto sarà grande quest’universo? Chi può immaginare dove e come finisce? Purtroppo, nemmeno la nostra immaginazione ce la fa ad arrivare a tanto. Troppo di là da essa. Siamo proprio di fronte al più grande mistero della vita! E se sommiamo questo grande mistero all’altro, all’esistenza di noi esseri viventi, i misteri si moltiplicano. Dobbiamo umilmente ammettere che siamo di fronte a qualcosa o qualcuno che ha così tanta straripante superiorità da rendere ridicoli perfino i tentativi dei nostri ragionamenti. D’altra parte, il non sapere, il non capire, il non poter coglierne il significato genera un certo tipo di riflessioni: Cosa c’entriamo noi, così piccoli, così appesantiti dalla legge di gravità, così schiacciati sulla Terra e imprigionati dal corpo, cosa c’entriamo con questa grandiosa opera del Creato?
Ad analizzare questo aspetto da un altro punto di vista possiamo anche dire il contrario. Non siamo forse noi i testimoni oculari di tutto ciò che esiste? Non sono forse le nostre intelligenze a formulare ipotesi sul significato della nostra esistenza e di tutto ciò che si vede? Senza di noi chi potrebbe dire che il Creato esiste? Se non riusciamo a svelarne il mistero, non è una buona ragione per autoescludersi o ritenersi apparsi casualmente in questa meticolosa opera della creazione. Ardito pensare che lo straordinario artefice di quanto esiste abbia voluto lasciare la possibilità a casuali intrusi di giudicare l’opera della sua (intima?) creazione.
Le sonde? Piccoli oggetti destinati a perdersi nell’immensità del Creato. I telescopi? Avidi guardoni di qualcosa che ne evidenzia il fascino ma che ne incrementa il mistero. Stiamo sicuramente cercando soluzioni in maniera sbagliata e in luoghi sbagliati. Ma siamo pur sempre dei fenomeni che vivono, che pensano, che valutano. Non siamo forse noi la vera rarità, il vero mistero di questo pur affascinante Creato? Le stelle esistono da milioni di anni? Anche noi esistiamo da milioni di anni! Le stelle brillano? La nostra intelligenza brilla ancor più della loro luce! Ed ecco perché l’essere umano indaga, ecco perché non desiste. Paradossalmente, è proprio l’intelligenza il nostro vero handicap perché ci sopravvaluta, ci fa credere di essere grandi, di poter capire, di poter risolvere, di poter conquistare. È proprio la nostra intelligenza che ci gonfia e c’illude. Che cosa abbiamo scoperto coi telescopi? Solo le adiacenze del cosmo in cui viviamo. I nostri limiti sono messi in evidenza proprio dalle macchine che abbiamo inventato. Se avessimo telescopi dieci volte più potenti, cento volte più potenti, cosa potremmo vedere? Ancora universi… universi… universi. La fine non la vedremmo mai. Forse non c’è! E allora? Cosa andiamo a cercare tanto lontano? Quello che riusciamo a vedere è comunque solo una piccola parte. Per penetrarne il mistero, per vederci dentro non dobbiamo sfondare le porte. Dobbiamo bussare timidamente, umilmente. Dobbiamo chiedere permesso. Allora