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Unchained
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E-book463 pagine6 ore

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Info su questo ebook

Il Capitano Luka, comandante della Unchained, è un maroon, un ex schiavo sfuggito ai padroni, e nella vita ha un solo scopo: liberare il maggior numero possibile di fratelli e riunire le famiglie che i negrieri senza scrupoli hanno smembrato.
Per farlo ha imparato a combattere, a mentire, a seguire le tracce degli schiavi scomparsi, ma questa volta il suo incarico è diverso. Rupert Egglestone è evaso dal monastero in cui era prigioniero e Luka, suo malgrado, ha ricevuto da Lord Egglestone, il padre del fuggiasco, il compito di riportarlo in Giamaica a qualsiasi costo.
Ha inizio un inseguimento serrato, in un susseguirsi di colpi di scena. Rupert e Luka arriveranno a scontrarsi, ma anche a scoprire quante cose li accomunano, nonostante il ceto sociale differente e il colore della pelle.
Attorno a loro nasceranno amicizie e legami profondi, fino al momento della resa dei conti con il crudele Conte inglese.
Con l’aiuto di vecchi amici e nuovi alleati, Rupert Egglestone affronterà suo padre, una volta per tutte.
LinguaItaliano
Data di uscita22 dic 2021
ISBN9791220701792
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    Anteprima del libro

    Unchained - Nykyo

    1

    TUAMANGULUKA

    Giamaica, anno del Signore 1670


    Luka oltrepassò guardingo le due torrette all’ingresso della piantagione. Non erano in muratura, come quelle che erano soliti costruire gli olandesi, ma erano abbastanza alte e robuste da dare alla tenuta un’aria minacciosa che stonava con l’aspetto elegante e pulito della casa appollaiata in cima alla scogliera.

    Bianca come se fosse stata tinta dal sale si ergeva lassù e lo aspettava, ma gli occhi di Luka indugiarono sui campi distesi ai suoi piedi fino a un orizzonte recintato dall’azzurro del mare. E, poco oltre le torri di sorveglianza, ecco le capanne dall’aspetto familiare, la cui sola vista lo rendeva eccitato e nervoso allo stesso tempo. Le baracche degli schiavi.

    In legno, senza una vera pavimentazione e con i tetti ricoperti di foglie di platano. Tra l’uno e l’altro di quei tuguri piccoli e bui si aprivano minuscoli orti ombreggiati da piante da frutto. Panni dall’aspetto misero erano stesi al sole ad asciugare. Un paio di cani giacevano sotto le fronde e rasente i muri, le lingue esposte in cerca di frescura.

    Un bimbetto seminudo si affacciò sulla soglia della casupola più vicina, ma quando scorse Luka, forse intimorito dal suo vestiario insolito, corse a nascondersi di nuovo all’interno.

    Qualche volto rugoso fece capolino dal buio di un uscio, ma subito da una delle fortificazioni una guardia armata di moschetto gridò un «Che avete da guardare?» che li fece sparire tutti. Malgrado ciò, Luka sentì gli occhi della sua gente puntati addosso fino a quando non fu arrivato davanti al viale che costituiva l’ultimo tratto del suo cammino. Lì le alte siepi che lo fiancheggiavano e che proseguivano a cintare il resto del giardino erano molto fitte. Proteggevano le delicate dame bianche dallo spettacolo squallido degli uomini e delle donne sfruttati che si spaccavano la schiena sotto il sole per assicurare loro gli agi e le mollezze che tanto amavano.

    Luka provò a indovinare il numero di schiavi che vivevano in quel possedimento. Sapeva meglio di chiunque altro quante persone un padrone bianco era capace di stipare in poco spazio. Come minimo una piantagione di canna da zucchero di quelle dimensioni doveva avere una popolazione di sessanta o settanta schiavi. Perlopiù giovani maschi adulti, adatti al lavoro più duro sotto il sole cocente, ma a quanto pareva non mancavano un paio di persone anziane e qualche bambino.

    Aveva notato, tra l’altro, un ulteriore edificio in pietra, forse una stalla, le finestre chiuse da sbarre che sembravano più recenti delle mura, come se fossero state aggiunte da poco per tenere qualcuno rinchiuso. Anche da lì gli era parso provenisse qualche occhiata indiscreta nei suoi confronti.

    Chi c’era all’interno? Schiavi che dovevano subire una punizione? Qualcuno che aveva cercato di fuggire come aveva fatto lui, anni prima, dalla piantagione in cui era nato?

    Da allora Luka aveva dovuto imparare molte cose. A controllare la propria rabbia, ad esempio, ma anche a essere un buon osservatore.

    Aveva visitato tante tenute come quella, almeno un paio di volte si era perfino fatto comprare appositamente da padroni ignari, solo per poi agire insieme agli schiavi, alle loro spalle. Aveva studiato perimetri, recinzioni, numero delle guardie presenti e qualunque altra informazione potesse essere utile ai suoi scopi. Scopi che erano sempre stati ben diversi dal motivo che l’aveva condotto in quell’angolo della Giamaica, in visita a un porco schiavista che si fregiava del suo titolo nobiliare e del suo essere un inglese purosangue, come se non solo gli schiavi ma tutto il resto del mondo fosse feccia.

    Aveva accettato di incontrarlo per una sola ragione: Sambo.

    Il messaggio che gli era stato fatto recapitare a Tortuga, insieme a una borsa gonfia di monete, conteneva alcune informazioni che solo l’uomo che l’aveva cresciuto come un padre poteva conoscere.

    Lui non aveva idea di cosa c’entrasse con quel luogo, dal momento che aveva dovuto lasciarlo indietro, e non c’era giorno che non lo rimpiangesse. Sambo avrebbe dovuto trovarsi a Barbados, non lì.

    Luka avanzò pensieroso e con lo stomaco chiuso dall’ansia, superando il quartiere degli schiavi e posando i piedi su un prato perfettamente curato.

    A testa ben alta, senza farsi intimorire dalle due lussuose statue che sorgevano ai lati del cancello, proseguì deciso verso la casa padronale.

    Ben presto raggiunse l’ingresso e venne accolto da una giovane donna dall’aria timida e impacciata. Indossava un vestito modesto ma pulito e un grembiule candido, i ricci tagliati corti e nascosti da una cuffietta anch’essa immacolata che faceva risaltare la sua pelle d’ebano. Non sembrava a suo agio nel ruolo che le era stato assegnato, come se, pur essendo una domestica, non fosse abituata ad accogliere i visitatori.

    Perché allora avevano mandato proprio lei e non l’anziano maggiordomo in livrea che Luka scoprì a spiarli da lontano, mentre attraversavano l’atrio e iniziavano a salire le scale?

    Per umiliarmi, si disse. Per ricordarmi che non sono diverso dalle persone che sono costrette a occuparsi dei bisogni di questi ricchi bastardi bianchi e dei loro stupidi vizi.

    In effetti si era aspettato di venire indirizzato all’ingresso posteriore e che lo facessero entrare di notte, come un ladro. Come il fuorilegge nero che era. Invece eccolo lì, introdotto al padrone di casa come un qualunque altro ospite. Ma i piccoli dettagli gli ricordavano di non illudersi: l’uomo che l’aveva fatto chiamare lo considerava niente più che uno schiavo. Uno strumento, non una persona.

    A rimarcarglielo furono le parole e i gesti ossequiosi con cui la giovane lo annunciò aprendo la porta di un ampio studio e lo sguardo del Conte che le fece cenno di lasciarli soli. Un gesto brusco e sbrigativo, mentre a Luka venne dedicato un sorriso gelido.

    «Accomodatevi, Capitano, Ester ci porterà qualcosa da bere e frutta fresca, così che possiate rinfrescarvi mentre parliamo d’affari.»

    Luka rabbrividì per il suo tono, anche se riuscì a non darlo a vedere.

    Quello che si trovava davanti era uno scorpione tra i più velenosi, il suo istinto lo percepiva. Non si trattava solamente del suo odio per gli schiavisti e del fatto che aveva preso informazioni e sapeva di trovarsi al cospetto di uno dei maggiori trafficanti d’uomini dell’intera Giamaica, era qualcos’altro. Qualcosa di più sottile, come una corrente di liquame che intorbidiva acque un tempo limpide. Un tipo di ostilità che andava ben oltre il disprezzo per un ex schiavo o l’alterigia di un nobile.

    «Non desidero nulla,» rispose Luka, rimanendo in piedi a fissare il suo interlocutore dall’alto in basso. «Né intendo fermarmi a lungo.»

    I suoi occhi corsero fuori dalle ampie vetrate ad arco, verso le onde. Al largo, oltre la portata dei cannoni inglesi, la sua nave attendeva il suo ritorno. Una parte dell’equipaggio della Unchained era scesa a terra con lui ed era attualmente nascosta poco lontano, pronta a intervenire in suo aiuto in caso di necessità.

    Luka si domandò se Lord Egglestone sapesse che il miglior tiratore della sua ciurma si era appostato poco lontano e stava prendendo di mira giusto quelle finestre, mentre loro parlavano.

    Decise che la risposta più probabile fosse quella affermativa. Sia lui sia il Conte – quello, a quanto Luka aveva scoperto, era il suo titolo in patria – dovevano aver preso precauzioni in vista del loro incontro.

    «Ditemi cosa volete da me, Lord Egglestone, non perdiamo tempo in convenevoli inutili.»

    Gli occhi azzurri che lo stavano scrutando si assottigliarono. «Come volete, Capitano.»

    Luka si strinse nelle spalle. «Potete fare a meno anche dei titoli, per quel che mi riguarda. Ho un nome, sempre che vi interessi, potete usare quello, basta che andiate al sodo.»

    «Luka.» Lord Egglestone parve assaporare quelle due sillabe e non trovarle affatto di suo gusto.

    «Tuamanguluka,» rispose lui con un mezzo sorriso ironico. «Come mio padre. Ma a voi bianchi si incastra in gola. Luka mi sta bene, almeno in certe occasioni.»

    Luka era il nome di cui i cani come il Conte avevano timore.

    Il suo vero nome era riservato a pochi. A Sambo, ai compagni più stretti, alle donne che lo benedicevano quando tornava al loro rifugio nascosto, il Covo, portando cibo o un nuovo gruppo di fratelli liberati. Un giorno, se gli fosse rimasto tempo per pensare all’amore, forse quel nome sarebbe stato pronunciato dalle labbra della persona che gli sarebbe rimasta accanto per la vita.

    Luka lo aveva rivelato a quel maiale borioso solo per mostrargli che il disprezzo era reciproco, non si aspettava che il Conte lo utilizzasse. Per i bianchi andava bene il diminutivo.


    «Come preferisci.» Passando al tu Lord Egglestone mise fine anche a quel briciolo di finta cortesia che aveva ostentato fino a un minuto prima. «Veniamo al dunque, allora. Mi è stato detto che sei un ottimo cacciatore di taglie, il migliore sulla piazza, capace di rintracciare qualunque fuggiasco. Sei qui per questo, intendo pagare i tuoi servigi.»

    Luka scosse il capo. «Ti hanno riferito una cosa sbagliata,» rispose, scegliendo con sfrontatezza di passare anche lui all’uso del tu. «Io non do la caccia ai criminali. Io rimetto insieme i cocci di ciò che tu e i tuoi amici infrangete con arroganza. E non ho nulla a che spartire con te, né sono in vendita o disposto a mettermi al servizio di uno schiavista.»

    Il Conte non parve impressionato dalla sua schiettezza e dai suoi modi.

    «Ma sei qui e mi ascolterai, lo sappiamo entrambi. Perciò siediti e fai la domanda che ti brucia sulla punta della lingua. Credo che la risposta ti convincerà a collaborare con me.»

    Luka avvertì una fitta di rabbia bruciante, ma non discusse. Sapeva che Lord Egglestone aveva almeno una buona carta da giocare e che aveva appena vinto la prima mano di quella partita. A lui non restava che vedere il suo gioco. Afferrò lo schienale di una massiccia sedia istoriata, la scostò dal tavolo con poco garbo e sedette davanti al suo ospite.

    «Sambo. Che c’entra lui in tutta questa faccenda?»

    Un sorriso tagliente increspò le labbra di Lord Egglestone. «Intendi dire lo schiavo Samuel Bartolomew, è quello il suo nome, è così che risultava nei registri del defunto Mr Baley dai cui eredi l’ho acquistato. Lui e altri cinquanta negri, quasi tutti in buona salute, nove dei quali sono bambini. Credo che tu li conosca quasi tutti, Capitano. Non è tra loro che sei nato e cresciuto? Non è vero, Lucas? Il tuo padrone preferiva chiamarti così, giusto?»

    Luka serrò la mascella ma si guardò bene dal dargli soddisfazione. Aveva subito insulti e provocazioni ben peggiori e ora era più che mai certo di navigare in acque tempestose. Il tronfio bastardo che lo fronteggiava teneva il coltello dalla parte del manico. Sarebbe stato bello fargli ingoiare la sua arroganza e torcergli il collo, se solo fosse stato possibile.

    «Non ho padroni,» fu tutto ciò che gli rispose, e rimase in attesa della mossa successiva di quel ragno venefico.

    «Ed è per questo che non ti sto dando un ordine ma proponendo un ingaggio,» replicò Lord Egglestone, senza nascondere il tono canzonatorio. «Trova una persona per me, riportamela e io in cambio ti darò un’altra borsa piena d’oro e i cinquanta schiavi di cui abbiamo appena parlato. Ovviamente puoi rifiutare, e immagino che tu abbia un piano di fuga nel caso in cui io decidessi di trattenerti qui e consegnarti alle autorità di cui hai più volte violato le leggi. Quindi, se non ti sta bene, quella è la porta, tu a differenza dei tuoi amici sei libero di andare. Loro… non conosco nessuno disposto a comprarli in gruppo. È sempre un tale peccato smembrare una famiglia, vendendola…»

    Luka per poco non digrignò i denti, ma si costrinse a rilassare i muscoli.

    «Non è detto che ciò che viene diviso resti separato a vita,» disse, sollevando il capo.

    Era quello che faceva, in fondo: non solo liberava i suoi fratelli, ma riuniva i figli alle madri, i mariti alle spose, gli anziani ai loro nipoti. Era in quel modo che si era guadagnato il rispetto della sua gente e non intendeva perderlo per il ricatto di un bianco.

    «A vita… termine interessante,» sembrò valutare il Conte. «È tragico constatare quanto sia breve l’esistenza umana.»

    Luka dovette lottare di nuovo contro l’istinto che lo spingeva ad aggredirlo.

    «Chi cerchi, inglese?» chiese asciutto. «Dimmelo e facciamola finita.»

    Sulla stanza scese un silenzio che durò per diversi minuti.

    «Mio figlio. Il cadetto dei due. Rupert.»

    Luka tacque. Vedeva che Lord Egglestone era a disagio e non aveva voglia di rendergli le cose più facili. La pausa, però, si protrasse talmente a lungo da costringerlo a parlare.

    «Chi ti dice che io debba cercare tuo figlio e non possa invece andarmene di qui con i miei amici e basta? Se è fuggito avrà avuto i suoi motivi. Non sarò io a togliergli la libertà.»

    Lord Egglestone lo folgorò con lo sguardo.

    «Abbiamo già avuto questa discussione. Prova a liberarli e non ne resterà uno vivo. Quanto a Rupert, non è che un degenerato e un pericolo per la società civile.»

    Luka si lasciò sfuggire un verso sarcastico. Un pericolo per la società civile. Quel Rupert rischiava di diventargli simpatico.

    «Voi bianchi credete di sapere cosa è civile e cosa no. Scomodate perfino Dio e i santi. È il figlio cadetto, no? Che ti importa se non torna a casa? Ti resta pur sempre un erede.»

    Si rendeva conto, però, che la questione doveva essere ben più complicata se un Lord inglese si era preso la briga di procurarsi tutti quegli ostaggi pur di costringerlo ad aiutarlo.

    «Io so che mio figlio deve smettere di dare scandalo e disonorare la sua casata. E tu lo ritroverai e me lo riporterai in cambio di quegli schiavi. Ti avviso, non farti incantare dalla sua parlantina e dalla sua aria angelica. Mentirebbe e direbbe qualunque cosa pur di non tornare a casa. Non vuole assumersi le sue responsabilità. Si è portato a letto più di una schiava, e io ho sopportato che sfogasse i suoi istinti su di loro, ho tollerato le urla e i pianti che uscivano dalla sua stanza e perfino che ne mettesse incinta qualcuna. Non capivo quell’inclinazione, ma ero disposto a chiudere un occhio, finché non ha abbandonato la nobildonna che aveva promesso di sposare. È un bugiardo e un libertino, non ha scrupoli, è dissoluto e io vorrei scordarmi di averlo generato. Non posso farlo, purtroppo. Posso solo mandarti a cercarlo e poi obbligarlo a mantenere fede ai suoi impegni.»

    Luka accolse quella tirata con un sibilo di disgusto. Così il figlio di quel bastardo non era meno odioso di lui. Se non altro acciuffarlo, alla fine, gli avrebbe procurato un notevole piacere, visto che non si illudeva: Lord Elgglestone l’avrebbe avuta vinta.

    Certo la ciurma della Unchained poteva tentare di assaltare la piantagione, ma avrebbe dovuto farlo subito e Luka dubitava che l’impresa sarebbe riuscita senza il favore della sorpresa. La serpe con cui stava trattando non era del tipo facile da schiacciare. Se ci avesse provato ci sarebbero state troppe vittime innocenti.

    Assecondarlo, invece, voleva dire avere una speranza di recuperare non solo Sambo e gli altri che erano stati acquistati con lui, ma forse, in futuro, anche tutti gli altri schiavi presenti nella tenuta.

    Non era detto che si potesse fare, però, se avesse accettato, Luka avrebbe almeno potuto ragionarci su.

    Doveva guadagnare un po’ di tempo.

    Lord Egglestone rimase in attesa.

    Non aveva bisogno di guardare in faccia quello stupido negro convinto di essere chissà quale ribelle per sapere che lo teneva in pugno.

    Si era assicurato che non ci fossero intoppi ed era certo che entrambi ne fossero consapevoli.

    Quando la serva entrò portando un vassoio carico di frutta e una bottiglia di brandy la mandò via immediatamente e si versò una generosa dose di liquore color caramello, senza degnarsi di offrirne al giovane uomo che gli sedeva di fronte.

    Capitano pirata, contrabbandiere, liberatore di schiavi, quel Luka si era fatto una certa fama, doveva riconoscerglielo, ma non era che uno schiavo e tale sarebbe sempre rimasto, per quanto potesse illudersi.

    Prima o poi qualcuno più furbo o più determinato degli altri l’avrebbe catturato e gli avrebbe fatto fare la fine che meritavano gli impudenti pendagli da forca della sua risma.

    Forse ci avrebbe pensato lui stesso, una volta risolto il problema di suo figlio.

    Rupert aveva la precedenza e, dopo averlo ripreso, il Conte si sarebbe assicurato di ridurlo all’obbedienza una volta per tutte. A costo di spezzarlo o farlo impazzire.

    La sola cosa che non era disposto a fare era ucciderlo, perché sarebbe stata una sconfitta, l’ammissione del fatto che non era riuscito a correggerlo. A parte ciò non avrebbe avuto remore. Aveva avuto la mano troppo leggera in passato o non si sarebbe ritrovato in quella situazione. Era colpa di quel senza Dio, pervertito e contro natura di Edward Lennox se Rupert era libero, tuttavia, era anche sua la responsabilità per non essere riuscito a raddrizzarlo.

    Come era possibile che avesse il suo sangue? Quel sodomita. Quel peccatore senza midollo, laido e ribelle come lo era stata sua madre.

    Bene, una volta tornato a casa, Rupert avrebbe finalmente imparato a stare al suo posto.

    Basta agi, gliene erano stati concessi fin troppi durante la prigionia. Basta privilegi. In qualità di padre, Lord Egglestone gli avrebbe dispensato la frusta, se necessario. Lo avrebbe domato, fosse stata l’ultima cosa che faceva prima di morire e lasciare il suo titolo al primogenito Mattew.

    Prima Rupert gli fosse stato riconsegnato e meglio sarebbe stato.

    Dopo, con tutta calma, avrebbe anche deciso cosa fare di quel negro. Gli sarebbe piaciuto schiacciarlo sotto i tacchi come la larva umana che era, ma c’era tempo.

    Allungò una mano sotto il tavolo e si massaggiò il ginocchio. La gamba gli faceva ancora male dopo mesi. La ferita che gli era stata inferta quando era stato catturato dai pirati e da quei maledetti spagnoli si era rimarginata a dovere – incredibile come quel medico di bordo non si fosse rivelato un volgare macellaio – ma non lo aveva più lasciato in pace. Era come un monito perenne del suo fallimento.

    «Voglio essere magnanimo,» disse, visto che Luka taceva. «Sono solito pagare i servigi che richiedo. Mettiti oggi stesso alla ricerca di mio figlio e nel lasciare questa casa potrai portare con te tutte le donne giovani di quel gruppo di schiavi di cui abbiamo discusso. Io terrò i vecchi e i bambini, i maschi che possono lavorare nei campi e il tuo prezioso Samuel. Loro saranno liberati solo quando avrai concluso il lavoro.»

    Vide una smorfia dipingersi sul volto del Capitano che, però, non obiettò e rimase ad ascoltarlo mentre gli forniva tutte le informazioni utili, gli spiegava da quanto tempo Rupert era fuggito e dove era stato visto per l’ultima volta.

    «Ti do un anno di tempo,» gli disse infine, allungando verso di lui un sacchetto contenente un piccolo ritratto raffigurante un Rupert di qualche anno più giovane ma perfettamente somigliante e riconoscibile.

    «Un anno? Stai scherzando? Tuo figlio ormai potrebbe essere ovunque, anche in un altro continente e io dovrei trovarlo in un anno? È un termine troppo breve, te lo puoi scordare!»

    «Un anno,» lo incalzò lui, «dopo di che inizierò a vendere i bambini, e credimi, ti renderò davvero molto difficile ritrovarli per farli ricongiungere con i genitori. Quando non ne sarà rimasto nemmeno uno deciderò cosa fare con i vecchi, compreso il tuo caro padre adottivo. Ora vai. Le schiave verranno rilasciate all’ingresso delle stalle, non vorrai farle attendere.»

    Si alzò e voltò le spalle a Luka, senza alcuna remora. Presumeva che, pur essendo in apparenza disarmato, nascondesse almeno un paio di pugnali e avesse una gran voglia di usarli, ma era certo che si sarebbe trattenuto.

    Avevano un accordo ormai, che a quello schiavo piacesse o meno.

    2

    LUPE

    Nuova Spagna, anno del Signore 1670


    «Lupe! Vieni qui, ragazza, dov’è il mio vino?»

    Quel richiamo stizzoso rimbombò sotto la volta a botte della taverna, sovrastando la cacofonia di suoni e voci che si accavallavano e cozzavano, creando un’impressione generale di confusione e disordine.

    Rupert Egglestone sollevò gli occhi dal piatto e si guardò intorno, furtivo.

    La locanda era buia, fumosa, stipata di un’umanità varia e degradata. Chiunque l’avrebbe definita una bettola poco raccomandabile: un covo di puttane, ubriaconi e ladri della peggior risma. L’ultimo luogo al mondo in cui ci si sarebbe aspettati di incontrare una persona onesta, figurarsi un nobiluomo inglese.

    Rupert l’aveva scelta proprio per quello.

    Le grandi città erano sempre state per lui una fonte inesauribile di attrazione. Gli usi locali, i profumi, i cibi, l’architettura, le forme d’arte, tutto l’aveva affascinato durante il suo vagabondare giovanile per il Vecchio Continente, ma nulla aveva avuto lo stesso fascino delle città come Parigi o Mosca, per non parlare di Roma. Nessun paesaggio, per quanto ameno, l’aveva mai conquistato quanto le strade affollate, i mercati, i teatri.

    Spesso aveva sognato di attraversare l’oceano ed esplorare le Colonie, viaggiando senza meta. Prima dell’esilio forzato a cui suo padre l’aveva costretto si sarebbe preparato a visitare Veracruz con curiosità ed eccitazione, pronto a godersi ogni piccola scoperta e inoltrarsi tra le sue strade pulsanti di vita, ricche di sapori e profumi mai provati prima. Ora aveva il terrore di lasciare l’entroterra e raggiungere un porto tanto famoso.

    Si era rintanato in quella locanda infima, nell’angolo più appartato e buio di tutti. Davanti a sé aveva un tavolo traballante addossato a una panca dura come un sasso e circondato su due lati da muri talmente sporchi che l’unto pareva essersi accumulato e stratificato negli anni, fino a trasudare dall’intonaco.

    Tutto di quel luogo dava la nausea, pur fornendo un’ottima protezione e la riservatezza a cui Rupert tanto anelava.

    Essere privato della libertà lo aveva reso più guardingo. Sapeva che la sua liberazione era frutto di un accordo ben preciso, ma che quell’accordo venisse rispettato era tutt’altro che certo e lui non intendeva rischiare che suo padre lo riacciuffasse.

    Durante gli anni della sua prigionia era arrivato al limite, a un passo dalla resa, vicinissimo a perdersi e spezzarsi definitivamente. Se lo avessero rinchiuso di nuovo sarebbe impazzito. Avrebbe preferito morire.

    Perciò la prudenza non era mai troppa.

    Cambiare nome era stato il primo passo, raggiungere la Nuova Spagna il secondo.

    In territorio spagnolo si sentiva più al sicuro, sebbene tutt’altro che felice.

    Si arrangiava con la lingua, era pronto a compiere sacrifici, a rinunciare agli agi, perfino a dormire nei campi, ma gli pareva sempre di essere una nota stonata, troppo evidente per non essere individuata.

    Nutriva un desiderio struggente di tornare in Europa e lì sparire. Ma, prima di pensare a come riuscirci, desiderava mettere quante più miglia poteva tra se stesso e la Giamaica.

    «Allora, mulatta, mi hai sentito o no? Sei sorda o solo stupida?» Il brutto ceffo che poco prima aveva richiamato all’ordine la cameriera si stava alterando e Rupert si chiese se stesse per scoppiare una rissa.

    Dal suo punto di osservazione riusciva a vedere l’intera sala. Sorvegliava la porta e ogni tanto gettava un’occhiata agli altri avventori.

    Per essere un’osteria di infimo ordine quella stamberga era fin troppo frequentata.

    Dopo essere sbarcato dalla Barebones, Rupert aveva scoperto di non sopportare la folla. Non era più abituato ad avere tanta gente intorno. Ai tempi della reclusione, suo padre gli aveva concesso ben poca compagnia e, a parte i frati, si era trattato perlopiù di donne.

    Soprattutto schiave, che cambiavano in continuazione. Una sola, la vecchia Ethel, l’unica bianca tra loro, era stata una costante e l’aveva addirittura accompagnato ogni volta che veniva spostato da un convento all’altro. Rupert ripensò al suo muso avvizzito e la maledisse.

    Non una sola notte era passata senza che lei si sedesse fuori dalla sua stanza, proprio davanti alla porta chiusa, a salmodiare preghiere velenose per la salvezza della sua anima depravata. Per ore, senza potersi dare pace, roso dall’insonnia, aveva ascoltato il mormorio continuo della sua voce. Una volta, mentre lui batteva i denti in preda a una febbre che era durata giorni e l’aveva lasciato spossato, più morto che vivo, Ethel gli aveva ripetuto incessantemente che la sua ora era vicina e presto avrebbe conosciuto il tormento eterno che quelli come lui si meritavano. Rupert era convinto che le fosse dispiaciuto vederlo riprendersi. All’arrivo dell’ordine di liberarlo la vecchia aveva avuto un malore. Doveva essersi sentita disperata, senza più nessuno a cui minacciare il fuoco eterno dell’inferno e le torture di legioni intere di diavoli. Lui l’aveva odiata e la odiava ancora, perfino più dei religiosi che, in cambio dei soldi di suo padre, si erano prestati come carcerieri.

    Ripensando al passato, Rupert scosse il capo e strinse i pugni sul tavolo, augurandole le stesse gioie che quella strega aveva sempre profetizzato a lui.

    Nel frattempo, l’oste era intervenuto per placare gli animi e il baccano si era un po’ acquietato.

    Rupert osservò la ragazza i cui servigi erano stati richiesti con tanta insistenza.

    Lupe era una giovane dalla pelle scura, con folti ricci nerissimi e occhi profondi, lucidi e inquieti. La sua duplice ascendenza era abbastanza evidente. Non era dotata di chissà quale bellezza, ma aveva una sua grazia, perfino spaventata come appariva in quel momento. Sul viso e sulle braccia aveva diversi lividi. Quelli sulla faccia non erano tali da deturparle i lineamenti, ma era comunque impossibile non notarli, quelli sulle braccia erano i più abbondanti. Non doveva essere arrendevole quanto i clienti e l’oste avrebbero sperato.

    Rupert l’aveva vista girare tra i tavoli per tutta la sera, servendo da bere e accettando con un sorriso forzato le osservazioni oscene e il tocco indesiderato di troppe mani maschili.

    Un’altra ragazza, un po’ più grande e dai tratti europei, sembrava cavarsela con maggior disinvoltura, ma Lupe veniva importunata molto più spesso di lei. Era facile intuire che fosse costretta a scaldare il letto di chiunque pagasse per averla.

    Rupert alloggiava alla locanda da due giorni e l’aveva notata subito, ma si era ripromesso di non interferire. Attirare l’attenzione su di sé era l’ultima cosa che desiderava. Inoltre, si era guardato bene dal far sapere all’oste che possedeva più denaro di qualunque altro cliente.

    Edward era stato generoso con lui e Rupert sapeva di non poter sprecare i frutti di quella generosità.

    I soldi non sarebbero durati per sempre e servivano per conservare la libertà e cercare un luogo che avrebbe potuto chiamare casa. Dopo avrebbe trovato un modo per procurarsi da vivere, nel frattempo era meglio non destare curiosità inopportune e, soprattutto, non stuzzicare l’avidità di eventuali malintenzionati.

    Sebbene Lupe avesse risvegliato in lui istinti protettivi fin dal primo istante, gli era parso più saggio fingere di non vedere.

    La guardò protestare, mentre l’oste la tratteneva per un braccio, le dita che le affondavano con prepotenza nella carne. Di sicuro avrebbero lasciato il segno.

    Non sono affari tuoi, si ripeté Rupert. Lo stufato che aveva nel piatto avrebbe dovuto essere la sua sola preoccupazione. Ma era ormai freddo e non era stato un granché neppure appena scodellato. Rupert ne aveva mandato giù appena un paio di cucchiaiate. L’abbondante peperoncino unito ad altre spezie non era riuscito a nascondere un retrogusto allarmante. La carne che galleggiava in mezzo al sugo e ai fagioli aveva un sentore di rancido.

    Lupe intanto stava scuotendo il capo e cercava di arretrare verso una parete. L’oste prese a trascinarla senza tante cerimonie sul pavimento di terra battuta ricoperto di paglia stantia. Era grosso il doppio di lei e sembrava pronto a schiaffeggiarla da un momento all’altro.

    Rupert si alzò in piedi con un impeto tale che fece quasi cadere la panca su cui era seduto.

    Che diavolo stava facendo? Se lo chiese, ma marciò comunque verso il locandiere.

    «Stavo per ritirarmi,» disse, attirando l’attenzione dell’uomo che, pur non mollando la presa sul braccio della ragazza, si volse subito a guardarlo.

    Forse non aveva idea dell’ammontare delle sue finanze, però non era stupido: Rupert era certo che avesse notato i suoi modi e compreso che i vestiti che indossava erano soltanto una copertura. Difatti lo trattava con una certa viscida deferenza che ora prometteva di rivelarsi utile.

    «Certo, señor, la vostra stanza è già pronta, come sempre. Volete che vi procuri una candela?»

    Rupert indicò la cameriera con uno sguardo deciso. «Sì, e lei viene con me. Non ho voglia di dormire da solo.»

    «Posso mandarvi Estrella, se preferite,» tentò l’oste, osservando prima lui e poi il tale che aveva mostrato interesse per Lupe e che li stava fissando, immusonito. «Per stasera la mia mulatta è già impegnata.»

    Rupert si mise una mano in tasca e premette ciò che ne aveva tolto nel palmo dell’oste. «Io credo che lo sia con me,» ribadì deciso. «Sono sicuro che troverete un modo per non scontentare comunque gli altri clienti.»

    L’oste diede una rapida occhiata alla moneta che stringeva nel pugno, parve valutare cosa gli convenisse maggiormente e annuì con lentezza.

    «Bene.» Rupert prese Lupe per un braccio, con delicatezza, per assicurarsi che il locandiere la lasciasse andare davvero. «Mi sembra che quel denaro sia sufficiente. Fino a domattina non vogliamo essere disturbati.»

    Poi, senza badare all’eventuale reazione del suo rivale, che aveva intuito la situazione e stava già protestando con il suo tono stridulo, si diresse verso le scale che conducevano al piano di sopra.

    Il padrone si sarebbe arrangiato, era grande e grosso e perfettamente in grado di tenere a bada un facinoroso. A Rupert non importava di scoprire come si sarebbe tratto d’impaccio.

    Salì svelto i gradini, continuando a domandarsi che cosa gli fosse preso per comportarsi così e Lupe, a cui aveva già liberato il polso, lo seguì in silenzio.

    Non appena arrivarono nella sua stanza Rupert le chiese di chiudere con il chiavistello e andò a sedersi sul letto con un sospiro.

    Aveva voluto ergersi a protettore e adesso non sapeva bene come affrontare le conseguenze del suo gesto impulsivo.

    Doveva essere impazzito. Si stava mettendo in pericolo e cosa avrebbe ottenuto? Nulla. Poteva permettersi di proteggere quella povera ragazza per una notte, due al massimo, dopo di che avrebbe dovuto andarsene, proseguire il viaggio e lasciarla lì, dove lei avrebbe continuato a prostituirsi per un tozzo di pane, al servizio di un padrone. E il bastardo dall’aria violenta a cui l’aveva appena sottratta presto o tardi avrebbe ottenuto ciò che desiderava.

    Che bell’eroe si era dimostrato. Davvero aveva creduto di poter fare la differenza?

    Sospirò e chiuse gli occhi. Era libero, ma si sentiva ancora chiuso in gabbia. Gli anni in cui era rimasto lontano dal mondo l’avevano cambiato, più di quanto avesse dato a vedere al suo amante di un tempo, Edward, l’uomo che l’aveva salvato.

    Edward si era creduto responsabile per le sue sventure e Rupert non aveva voluto che si addossasse altre colpe, anche perché non credeva che ne avesse mai avuta alcuna. Ma ora, tra quelle quattro mura squallide, provò pena per se stesso. Era solo, stanco e inutile. E forse, se anche fosse riuscito a partire e tornare in Europa, sarebbe stato troppo tardi: ormai era irrimediabilmente spezzato.

    Lo Extranjero, come lo chiamava Cisco, l’oste, s’era seduto sul letto e subito era parso accasciarsi e perdere tutta la baldanza con cui aveva reclamato i suoi servigi. Lupe lo scrutò da sotto le ciglia, a capo chino, fingendo una modestia che non aveva mai posseduto, ma che parecchi clienti apprezzavano. Ad alcuni, invece, piaceva il suo vero carattere: sfrontato e caparbio, malgrado tutto. Certi, poi – e per fortuna non erano la maggioranza – si divertivano all’idea di domarla e sottometterla, di guardarla dibattersi invano prima di soccombere.

    Il tizio che avevano lasciato di sotto era di quella risma. Un balordo sadico che avrebbe goduto a farle del male e a umiliarla.

    Lupe si chiese in che categoria rientrasse invece l’uomo che aveva davanti.

    Intanto gli si accostò, si accucciò ai suoi piedi e iniziò a sfilargli uno stivale.

    «No, aspetta.» Lui si sottrasse e le prese una mano. «Non devi.»

    «Allora vuoi che mi spogli per prima, señor?»

    «No,» le disse lui, e fu scosso da un lungo brivido. «Non devi spogliarti.»

    Lupe si trattenne a stento dal sospirare. Quel tipo era strano. Aveva modi eleganti, anche se si vedeva che cercava di fingersi un bifolco. Indossava abiti da marinaio, ma la sua pelle, sia pur abbronzata e spruzzata sul viso di minuscole efelidi, non era segnata dal sale e dal vento come quella di chi viveva in mare.

    La moneta che aveva dato all’oste… anche da sola era un bel gruzzolo. Lupe l’aveva intravista e sapeva riconoscere il colore dell’oro.

    Chi diavolo era quel signorino conciato come un pirata?

    Forse l’avrebbe scoperto mentre facevano sesso. Il piacere rendeva i maschi loquaci, scioglieva loro la lingua, si portava via le ritrosie, insieme alle inibizioni.

    «Allora come mi vuoi?» chiese Lupe incerta, ma non troppo stupita. Spesso i clienti pretendevano che tenesse i vestiti perché amavano essere loro a strapparglieli di dosso.

    «Jordan. Mi chiamo Jordan,» rispose lui adombrandosi. «Non ti ho portata qui per… quello,» aggiunse. «Ho solo capito che non volevi andare con quell’uomo, che lui ti faceva paura. Ho pensato… ho pensato che stando qui con me per tutta la notte non saresti stata costretta a servirlo.»

    Lupe sollevò gli occhi al cielo. Dunque, Jordan, ammesso che quello fosse il suo vero nome e lei ne dubitava, era del tipo eroico. I peggiori. Quelli che si atteggiavano a salvatori e convincevano se stessi che a lei piacesse farsi scopare per gratitudine, e blateravano d’amore e di portarla via di lì, ma naturalmente non potevano. Oh, se solo non fossi già sposato! Ah, se mio padre non si opponesse… Quante bugie.

    Quel genere di uomini la disgustava, erano ridicoli, codardi e ipocriti.

    «Va bene, señor, ti ringrazio per la premura, ma hai pagato, è giusto che tu abbia quello che ti spetta.»

    Mentre parlava gli si accucciò davanti e gli appoggiò una mano su una coscia. Strinse appena e fece scorrere la mano verso il cavallo dei suoi calzoni. Lo vide sobbalzare e alzarsi un attimo dopo, con uno scatto. Sembrava quasi che quel tocco l’avesse scottato.

    «No,» pregò lui con voce roca, venata di panico. «No, no. Non… per favore, no.»

    La sua espressione era una maschera di ansia e Lupe se ne accorse e si irrigidì.

    «Non vuoi che ti tocchi?» domandò, ma aveva già la risposta. Ciò che aveva scambiato per ritrosia o per una voglia particolare era in realtà un’avversione inequivocabile.

    «No, io… desideravo solo allontanarti da un cliente molesto, non mi interessa… non… per questa notte resta qui e

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