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La Bolla di Hadbà
La Bolla di Hadbà
La Bolla di Hadbà
E-book152 pagine2 ore

La Bolla di Hadbà

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Info su questo ebook

Dopo essersi lasciata alle spalle una tragica storia d’amore e un matrimonio fallito, Lorena ha finalmente raggiunto la stabilità: ora ha un lavoro normale, una casa normale e una vita normale.
Un giorno, però, le viene recapitato un pacco anonimo: al suo interno, i frammenti di qualcosa che Lorena non riesce a distinguere ma che risvegliano in lei un senso di inquietudine sepolto da anni. Comincia così una ricerca che la condurrà dall’altra parte del mondo e che riporterà alla luce vecchi segreti e ferite mai guarite. 
In questo viaggio, Lorena capirà che le crepe sul suo cuore non si sono mai richiuse e che, se non riuscirà a fare i conti con il passato, finirà per andare in frantumi. 
A meno che non trovi il modo di rimettere insieme i pezzi.

Luciano Da Re vive a Vittorio Veneto, dove è nato da una famiglia di artigiani e commercianti.
Di formazione tecnica è attualmente impegnato nel settore immobiliare.
Del comportamento umano e delle dinamiche del sentimento quale suo aspetto esclusivo, ne fa da anni uno studio attento e scrupoloso .
La sua è una continua ricerca di informazioni rivolta alla comprensione universale dell’essere e di se stesso. 
Un percorso di conoscenza teso ad un’elevazione personale che molto poco ha a che fare col significato comune  di affermazione.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2020
ISBN9788830624245
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    La Bolla di Hadbà - Luciano Da Re

    Luciano Da Re

    La Bolla di Hadbà

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-2424-5

    I edizione elettronica giugno 2020

    Fosse che le esperienze

    di un uomo non andassero

    tutte disperse.

    Fosse che il ricordo di un padre

    lo rendesse immortale.

    Alle mie figlie

    Agata e Adele.

    1

    Il furgone giallo, lavato di recente, era fermo davanti a quel rosso insistente.

    Ramadi assisteva ancora una volta allo sfilare di quel gregge compatto, meccanicamente guidato verso l’istituto professionale. Era così da anni. Il traffico lento, la gente che in semi coscienza si muoveva verso i soliti obblighi, e oggi non era un giorno speciale.

    La pelle gialla, a tratti quasi verde, non lasciava dubbi e Ramadi lo sapeva bene. Nessuno ne avrebbe mai avuti circa le sue origini e sei anni erano comunque troppo pochi anche solo per confondere i suoi modi via da Giacarta.

    Stava accelerando quando il ragazzo con le cuffiette decise di passare nonostante non ne avesse più il diritto già da alcuni secondi. Il pensiero rivolto alle ventisette consegne da portare a termine entro mezzogiorno faceva apprezzare a Ramadi ogni singolo minuto e ogni sua singola frazione. Non ne poteva sprecare una goccia.

    Una frana scese sulla rete di contenimento alle sue spalle e si accalcò appoggiandosi sui sedili del Ducato, ma nulla sembrava essere cambiato se non l’ordine preconsiderato del carico.

    La consegna numero sette prevedeva una sosta nella primissima periferia di Monza, un quartiere scrupolosamente ben tenuto, concepito in una maglia di strade tutte della medesima importanza di classica impostazione romana, fatto da case basse spesso senza recinzione, gradevole e ospitale.

    Quando Ramadi parcheggiò senza difficoltà in stretta prossimità dell’ingresso del dodici capì da subito che avrebbe sprecato il suo tempo a citofonare, nessuna imposta aperta era un segnale che aveva imparato a considerare, tanto che scese con il blocco elettronico degli avvisi della

    DHL

    .

    «Troverà Lorena Scala solo a tarda serata», sentì giungendo al cancello pedonale. «Ma se è urgente ho la delega verbale della signora a ritirare la sua posta».

    «Grazie, mi farebbe una cortesia, il pacco è piuttosto voluminoso e lo scaricherei volentieri», sorrise Ramadi.

    In effetti, oltre al volume consistente, almeno dieci adesivi con altrettanti bicchieri stampati sopra lo mettevano in apprensione fin da quando lo aveva riposto in un angolo del cassone, fermato dalla sagoma di quattro sedie di vimini impilate e soffocate dal cellophane.

    Non fece menzione della brusca frenata e la signora Rovati firmò con la gentilezza delle persone troppo disponibili per non dar da pensare che manchi loro la curiosità circa il contenuto del pacco.

    L’inaspettata leggerezza convinse la donna a tenerlo in custodia nel profondo sottoportico della sua villetta di mattoni facciavista, ormai troppo grande per lei dopo che i figli l’avevano lasciata per un alloggio nei pressi dell’impiego e il marito per un’altra residenza alquanto definitiva.

    Il riflesso nello schermo della

    TV

    deviò la sua concentrazione sull’ennesima replica di Via col vento sovrapponendosi alle parole di Gable. La luce degli anabbaglianti della Polo percorse la parete corta del soggiorno per spegnersi sul mobile in noce, quasi un altare votivo fatto di fotografie e di oggetti d’argento stratificatamente depositati.

    Lorena Scala non si accorse della flebile voce della vicina, o forse non voleva sentire altro da quella giornata che già troppo aveva detto e lasciò che la porta si chiudesse con una spinta del ginocchio.

    Le buste della spesa in mano imponevano un ultimo piccolo sforzo obbligatorio, poi tutto si sarebbe risolto sotto una tiepida, generosa doccia.

    Non sentì neppure il ronzio del citofono e nemmeno il bussare, quando, aggirata la siepe e il melograno in fiore, la signora Rovati si trovò sull’uscio con il plico finalmente a destinazione.

    Lo scrosciare dal grande erogatore che si era fatta montare nella nuova cabina allontanava ogni intrusione. Erano pochi istanti, ma la sensazione di assenza di contesto era perfetta per staccarsi dal presente e prepararsi al sogno.

    Le buste non si erano scomposte né Lorena le voleva scomporre, ci avrebbe pensato l’indomani, giovedì mattina. La necessità urgente era stendersi e chiudere una buona volta gli occhi nei quali passavano e ripassavano, una alla volta, pile di documenti di sinistrati che chiedevano risarcimento più o meno a ragione. Da quando lavorava alla Lloyd aveva migliorato decisamente il suo tenore di vita ma provava imbarazzo a immaginarselo come un impiego a vita, tanto che non mancava di spedire il suo curriculum a qualche multinazionale nella speranza di andarsene magari negli

    USA

    a vivere una vita quantomeno diversa.

    Solo la luce intermittente della segreteria telefonica riuscì a carpire il suo interesse.

    «Salve, Lorena, sono Antonella, l’avverto che ho ritirato un pacco per lei oggi. È sul patio, farebbe bene a portarselo dentro perché il tempo cambierà stanotte. La saluto».

    L’indomani le finestre si aprirono su una bella giornata, aveva avuto ragione, non ci sarebbe stato nessun temporale e sarebbe stata inutile la premura di rivestirsi e scendere. Avrebbe accolto il pacco prima di colazione.

    Vide i bicchieri dell’alto-fragile capovolti nel dislivello di quei pochi gradini che demarcano il vialetto. Forse il vento, forse la sua negligenza.

    Lo ricompose e lo aprì. I cocci di una grande preziosa palla di vetro la guadavano dal fondo.

    2

    Non capiva.

    Per quanto si sforzasse di dare un senso a quell’avvenimento veniva ricondotta nel limbo dell’inspiegabile assurdità.

    Non un segno, solo vetro finemente cesellato, in frantumi. Nessun biglietto ad accompagnarlo, nessuna traccia, assurdo.

    Trascorse la mattina a cercare una spiegazione negli ovvi recapiti lasciati dal corriere al momento della consegna, ma le telefonate che avevano seguito arrivavano a un binario morto.

    «Va tutto bene?! Hai una faccia, stamattina...» Anna le si rivolgeva con aria benevola, con un sorriso che dava maliziosamente a pensare che conoscesse già la risposta di Lorena.

    Non erano semplici colleghe, tra loro era sorta una complicità simile a quella profonda di un legame parentale, due sorelle nate per sbaglio in due luoghi diversi che il caso ha voluto si ritrovassero insieme, in uno sbieco palazzone anni Cinquanta, rimaneggiato e ingentilito da una recente ristrutturazione.

    «Certo, sì, va tutto bene», fu la risposta secca, ma ben poco convincente.

    Se ne accorse subito prendendo il corridoio dei bagni. Lo specchio rimandava un viso perso nei capelli scompigliati da una premura insufficiente, il trucco troppo approssimativo.

    Non aveva mai dato grande importanza al suo aspetto, alla cura del dettaglio o alla scelta del particolare di tendenza. In fondo si piaceva e le bastava sentirsi pulita, al massimo profumata, ma oggi era più scombinata del solito.

    Pochi gesti veloci e altrettanto approssimativi ed era già davanti al suo

    PC

    .

    Sotto la sua postazione un continuo, ininterrotto tremolio delle gambe, simile al segnale irritante del forno che in cucina aveva terminato il suo compito, dichiarava la sua tensione.

    Come pioggia, un pensiero si insinuava in tutti i pertugi, nelle cavillature dei muri, e così anche nei suoi microbici tempi morti, nei minimi cali di concentrazione delle occupazioni. Ogni volta doveva riprendere il filo del ragionamento, rileggere le ultime pagine di un libro per riafferrarne il senso.

    Fatica, smarrimento, e un ricordo che era riuscita a seppellire riaffiorava sempre più nitido a ogni ripresa, sempre più circostanziato, sempre più inquietante.

    Lorena ha sette anni quando percorre a ritroso la stradina sterrata che la porta da Augusta, la sua nonna prediletta, a trascorrere qualche ora nella luminosa cucina aperta sull’orto.

    Un rumore, che da ronzio diventa sempre più incalzante, la moto che alle sue spalle le arriva sempre più vicina, la sfiora, la supera, rallenta, si ferma.

    Il ragazzotto poggia i piedi tirando di traverso il mezzo, lascia il manubrio e incrocia le braccia, la fissa negli occhi.

    Nello scorrere di una frazione di secondo riconosce l’aspetto oscuro dell’essere umano, nero come la sua giacca di pelle, potente da non poterlo combattere. Quello che prova per la prima volta è terrore, lo capirà solo più avanti, ma è terrore.

    Il suo sguardo rimane incollato a pochi millimetri dalla faccia di quel diavolo, inebetito, i suoi muscoli inchiodati, il vaso di biscotti stretto al petto.

    La fotografia di quella scena rimaneva inamidata, ricordava il solo muoversi al vento leggero del suo vestitino di cotone, i fiorellini stampati che sbattevano delicati sulle ginocchia scoperte.

    Ma il diavolo ora si muove, riprende il manubrio, senza staccarle gli occhi di dosso risale in sella, riallinea la moto, pedala per riaccendere, si avvicina di nuovo, stavolta puntandola frontalmente.

    La scuote il solo rumore del vaso che, liberato dalla stretta, sfugge e si infrange sui sassi che sfiorano la superficie, un colpo, secco, che le ridà vita, le concede scampo.

    Sotto la scrivania, sembrava risentire l’erba alta tagliarle le gambe nella sua disperata corsa attraverso il prato, è di nuovo lì, ne avverte l’umidità intrisa di terra ripercorrerle le narici, salirle ai polmoni che si alzano e si abbassano, sempre più veloci, sempre di più.

    Poi ricordava suo padre, ricordava un pianto senza lacrime, tre giorni senza parole.

    Ci vollero parecchi giorni, anche questo ricordava bene, per farsi ricondurre su quel tratto di strada, dove la depressione del terreno per il cambio di pendenza predisponeva a una piega dolce verso la pianura.

    I biscotti erano spariti, ma il vetro era lì, testimone muto di quanto era accaduto e nessuno tranne lei, tranne quel demone, poteva dare un senso a quella presenza.

    È strano come il tempo riesca ad annullarsi, riesca a farsi rivivere nelle stesse identiche sembianze, come diventi un fattore relativo, quasi gestibile. Come sia possibile percepire sensorialmente aspetti che esulano dal modello del semplice ricordo, quasi fosse un maglione da potersi rimettere per guardarsi nello specchio del trascorso. Sentirne il calore trattenuto. Lorena pensava a questo, a quanto probabilmente sia solo questione di allenamento, di dedizione, arrivare a plasmare il tempo, a riprenderlo, a riconoscerlo e forse anche cambiarlo per sostituirlo con uno migliore, con uno che non la segnasse così nel profondo come invece accadde quel giorno d’estate.

    3

    La pausa pranzo prevedeva

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