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La lunga ombra di un sogno
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La lunga ombra di un sogno
E-book263 pagine3 ore

La lunga ombra di un sogno

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Info su questo ebook

"La notte in cui si affacciò alla mente di Greta l'opportunità di dare una svolta definitiva alla vita che da tempo le scivolava addosso, il mare era battuto da un vento di tramontana gelido e sferzante, lo ricordava ancora nitidamente.

Aveva deciso.

Sarebbe scappata."

Inizia così La lunga ombra di un sogno: vite che si intrecciano, orgoglio, storie che si ripetono ed emozioni, passioni… destini.

Greta è una ragazza che decide di prendere in mano la sua vita, ma che poi si accorge di non aver mai abbandonato le sue radici, che capisce che una ferita per ritenersi veramente cicatrizzata deve essere dolorosamente ripulita fino ad arrivare al cuore del problema.

Non c'è chiarimento senza calare prima agli inferi e risalire a vedere il cielo. Certo, nulla sarà più come prima, ma se si vuole vivere e non esistere questo è il percorso.

Un libro romantico ma non troppo, che cela innumerevoli spunti ed apre molteplici interpretazioni, ma è soprattutto un'analisi dell'uomo, inteso come essere vivente, in balia di una vita imprevedibile.
LinguaItaliano
Data di uscita3 dic 2021
ISBN9791220372855
La lunga ombra di un sogno

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    Anteprima del libro

    La lunga ombra di un sogno - Roberta Mezzabarba

    PARTE PRIMA

    "Perché l'uomo si vanta di possedere

    una sensibilità superiore

    a quella che mostrano gli animali?

    Questo non fa che renderlo più legato alle necessità.

    Se i nostri impulsi si limitassero a fame,

    sete e desiderio saremmo pressoché liberi,

    invece ogni refolo di vento,

    ogni parola detta a caso

    o la scena che questa evoca in noi

    ci tocca nel profondo"

    (Mary Shelley)

    Uno

    Lra oramai tardi per rimanere seduta ancora sugli scaloni del Duomo, ma Greta non si stancava mai di sentirsi abbracciata da quella piazza, libera di poter ammirare all’infinito le bifore del Palazzo Papale. Erano uno spettacolo come pochi quando il sole rosso del tramonto assottigliava ancora di più la loro esile tramatura. A un primo sguardo potevano apparire come intagli preziosi, lavorati dalle delicate mani di esperte ricamatrici, invece altro non erano che frutto della forza e della precisione di braccia poderose e dita sapienti di scalpellini viterbesi che con la loro arte riuscivano a domare l’apparente durezza del peperino facendogli prendere le forme che più desideravano.

    Tutto era magico in quei momenti.

    Erano oramai più di cinque anni che Greta lavorava a Viterbo, come segretaria di un notaio. Amava la sua patria adottiva, le stradine del centro storico pavimentate a sampietrini, le fontane presenti in ogni piazza, i profferli che con la loro raffinata architettura fungevano da collegamento fra la strada e il primo piano delle abitazioni pre-rinascimentali; amava quell’aria di pace che si respirava nelle campagne poco distanti dalla città. Nonostante tutto ciò, da vera siciliana, non era riuscita a stare lontano dall’acqua, l’elemento che preferiva, e che riteneva quasi indispensabile per la sua sopravvivenza. Dopo essere scappata da Acicastello aveva alloggiato per un breve periodo a Roma, dove aveva lavorato in una tavola calda, ma poi aveva cercato lidi più tranquilli. Aveva preso dimora a Capodimonte, un piccolo paese poco distante da Viterbo, lambito dalle acque del lago di Bolsena.

    Quello stupendo specchio d’acqua, con le sue due isole sempre presenti come guardiani, l’aveva richiamata fin dal primo momento, stregandola subito.

    Si era fatto tardi e Greta doveva tornare a casa, ma prima sarebbe dovuta passare dal notaio De Fusco, il suo datore di lavoro, per ritirare alcune pratiche che doveva consegnare al proprietario di una delle due isole del lago di Bolsena, l’isola Bisentina: era emozionata dal fatto che l’indomani con una piccola barca avrebbe raggiunto quell’isola che aveva suscitato la sua curiosità fin dal primo momento che l’aveva vista, e avrebbe potuto vedere con i suoi occhi ciò che aveva sentito solo raccontare.

    Il notaio De Fusco era un uomo grassoccio, sulla sessantina, con pochi capelli e uno sguardo vacuo, serio nel suo lavoro, ma certamente non brioso. Era un brav’uomo, pensava Gretama aveva paura della sua stessa ombra e quello forse era il suo peggior difetto.

    Greta ricordava quando anni prima, spulciando un quotidiano locale alla ricerca di un lavoro, nelle pagine degli annunci, la colpì la telegraficità del suo messaggio Serietà e voglia di lavorare. Cerco questo.

    Lui era così.

    «Allora Signorina Greta, siamo d’accordo. Domani mattina lei si recherà dal Principe del Drago con la barca di quel pescatore che ho già contattato, gli leggerà a uno a uno gli atti di vendita, glieli farà sottoscrivere, gliene lascerà una copia, e una la riporterà indietro. Mi raccomando sia gentile, ma non cerimoniosa, il troppo non si confà mai a situazioni di questo genere.»

    Erano già tre o quattro volte che ripeteva a Greta la lezione del cosa e del come fare un’operazione che lei conosceva perfettamente, ma era visibilmente nervoso per la buona riuscita di quel grosso affare. Per lui il fatto che un grosso possidente come il Principe del Drago lo avesse scelto fra tutti i notai che c’erano nella zona, per mettere a posto i suoi affari immobiliari, rappresentava sicuramente motivo di orgoglio, anche e soprattutto, nei confronti di quei colleghi che, come diceva quando era in vena di confidenze, prendevano il lavoro solo come un modo per guadagnarsi da mangiare.

    Uscita dal portone del palazzotto dove aveva sede il suo ufficio, con un cospicuo fascio di carte racchiuse nella borsa di pelle nera che il notaio le aveva prestato per l’occasione, Greta trovò un’aria frizzante che sembrava volerla accompagnare alla fermata dell’autobus, come avrebbe fatto una fedele compagna, pronta ad ascoltare le sue avventure della giornata appena trascorsa.

    * * *

    Quando finalmente arrivò il momento di scendere dall’autobus, il sole era da poco tramontato, e al suo posto nel cielo c’era un lieve rossore che rispecchiava ombre di sangue sul lago che sembrava ferito dalla scia lasciata da qualche sperduta barca di pescatori di ritorno dalla posa delle reti. Le due isole si stagliavano contro l’orizzonte scure come la notte.

    La Rocca di Capodimonte, che guardava il lago dalla piccola penisola su cui sorgeva la parte più antica del paese, si alzava con la sua superba figura poligonale. Il bosco a corona della rocca, con le magnolie fresche e lucide, le palme e gli oleandri rosa, fu sicuramente studiato per diminuire virtualmente la vista dell’altezza dei grandi speroni che lo sorreggevano, ma la sua presenza imbelliva ancora di più il quadro che si ritraeva osservando la rocca, fin da lontano. Greta s’incamminò verso casa pensando alla prima volta che aveva visitato quel palazzotto. Ricordava il cortile, con le sue porte, le finestre, con la triplice loggia progettata dal Sangallo, ricordava gli appartamenti superiori raggiungibili attraverso una cordonata probabilmente praticata nei tempi remoti anche dai cavalli, ricordava scalate lunghe, diritte e oscure. Tutto era deserto nella vecchia rocca, e benché da ogni finestra, da ogni foro, il lago traboccasse di colori splendenti, non si avvertiva che tristezza trapelare dai muri che un tempo avevano accolto i fasti e lo splendore di nobili casate, e che ora non vivevano che anni di solitudine.

    Seppure nella malinconia di quei ricordi i pensieri di Greta correvano già all’indomani, quando finalmente avrebbe potuto recarsi sull’Isola Bisentina, minuscola mollica di terra, eppure così affascinante da occupare, quella sera, tutti i suoi pensieri.

    Con lo sguardo sempre rivolto al lago si avviò per la ripida salita pavimentata con grigi sampietrini, che conduceva alla parte più alta del paese, dove si trovava la sua casa. Greta conosceva bene le stradicciole ripide e tortuose piene di scale, muretti, archi d’appoggio con le case che vi si affacciavano costruite con la pietra scura del luogo, forate a volte da cupi androni, o animate dalla nota rossa di una fascia o di una semplice rappezzatura in mattoni. Conosceva il profumo dei mille vasi e pignatti colmi di erbe e di fiori che si affacciavano alle piccole finestre, o messi ad adornare qualche piccolo tabernacolo agli angoli delle case. D’un tratto, riemergendo dalla contemplazione di quell’idillio che si mostrava senza pretese nella sua semplicità, si sentì avvicinata da qualcuno la cui ombra si allungava vicino alla sua.

    «Buonasera signorina Greta, stasera siete tornata veramente tardi. Voi lavorate troppo.»

    Un sorriso largo, contornato da migliaia di minuscole rughe scolpite sul viso bruciato dal sole. Ecco chi era il vicino di casa di Greta, Giacomo, il vecchio pescatore.

    «Accidenti, signor Giacomo, mi avete messo proprio una bella paura! Chissà chi pensavo che fosse, a quest’ora… Stasera ho la testa da un’altra parte, mi sembra di essere già in mezzo al lago.»

    Proseguirono per un tratto di strada, l’uno al fianco dell’altra, senza dire una parola, immersi ognuno nei propri pensieri, Greta con la valigetta piena di documenti stretta nella mano destra, e Giacomo con un cesto pieno di primizie del suo orto: carote affusolate, pomodori rossi e succosi, patate gialle, pesche dalla pelle rosa e vellutata e uova ancora calde. Sopra ai prodotti dell’orto Giacomo aveva adagiato un mazzo di fiori, tenuti insieme, ad arte,da un ramoscello annodato. Variopinte zinnie, delicati astri e gladioli appena sbocciati. Erano oramai giunti alla piazzetta. Giacomo avrebbe voluto regalare a Greta quel cesto con prodotti del suo orto, ma la ragazza non aveva mai voluto accettare nulla da lui, rispondendo che il fatto che le facesse occupare quella deliziosa casetta in cambio di un affitto bassissimo era già un dono troppo grande per una sconosciuta.

    «Io vorrei che voi accettaste questo cesto signorina Greta. È ora che anche voi conosciate le primizie del mio orto. Vi prego, io sono solo e ho sempre verdure in avanzo. Non è un sacrificio per me, anzi, sarebbe un piacere.»

    «D’accordo signor Giacomo, io accetto con molto piacere il vostro dono, sperando che questa sera veniate a cena da me. Sono sicura che con tutto questo ben di Dio anche una frana come me sarà capace di preparare un manicaretto con i fiocchi.»

    In quei giorni Greta si sentiva un po’ malinconica, e forse dividere la tavola con quell’allegro vecchietto dai capelli candidi le avrebbe fatto bene.

    Greta si mise subito ai fornelli e in poco più di un’ora aveva già preparato da mangiare e apparecchiato la tavola per due. Le sembrava strano dividere il tavolo con un’altra persona, dopo quasi sei anni di solitudine. Si affacciò alla porta per chiamare il suo vicino di casa.

    Si sentiva felice.

    Giacomo, che per lei rappresentava il nonno che non aveva avuto la possibilità di conoscere,per quell’occasione si era messo l’abito della festa, con il corpetto sotto la giacca, e si era addirittura imbrillantinato i capelli.

    Si sedettero a tavola entrambi un po’ imbarazzati: Greta aveva preparato una frittata con le patate, un’insalata di pomodori e carote, e una macedonia di pesche, e si era premurata di mettere al centro della tavola una brocca colma d’acqua con i fiori. Giacomo mangiò tutto di buon appetito. Anche per lui era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva diviso la tavola con qualcuno. Raccontò a Greta con gli occhi velati di lacrime che sua moglie era morta venti anni prima di tubercolosi. Doveva essere veramente molto legato a sua moglie pensava Greta, mentre Giacomo gliene parlava descrivendone la mitezza d’animo, fissando un punto nell’infinito davanti a sé.

    Per un attimo i pensieri della ragazza attraversarono il tempo e lo spazio, riportandola nella sua Sicilia, riaccendendo prepotente dentro di lei il desiderio di ritornarvi. Benché fu solo un lampo ad attraversare il nero dei suoi occhi, non sfuggì a Giacomo.

    «Voi non siete molto felice, vero? Vi ho visto così poche volte sorridere e pensare che quando lo fate siete così bella.»

    Greta aveva abbassato gli occhi, e un rossore accendeva ora i suoi zigomi. Era vero, non era affatto felice.

    Non riusciva a trovare stabilità nell’anima, non trovava pace nemmeno nelle giornate più tranquille. Sicuramente sarebbe stato molto più facile non pensare mai a quanto era accaduto, la soluzione migliore era quella di aspettare il tempo passare nella speranza di dimenticare e tornare quella di prima, la ragazza che frequentava l’Università a Catania, quella che non sapeva nemmeno chi fosse Alberto.

    Non esisteva altro rimedio.

    Tutto sarebbe passato, ma quanto tempo ci sarebbe voluto?

    Due

    La mattina successiva Greta si alzò di buon’ora e girovagò fino al momento stabilito per l’imbarco, lungo il viale che percorreva la costa del lago per quasi due chilometri. Il sole di giugno era appena sorto e luccicava già fra le fronde piene di germogli sbocciati degli olmi antichi, dai tronchi e dalle chiome giganteschi, che in doppia fila sembravano schierati per scortare la ragazza nel suo percorso.

    Mentre i suoi piedi si muovevano l’uno dietro l’altro, gli occhi non avevano sguardi che per quell’isola che appariva così selvaggia e che fra breve avrebbe visitato.

    Nella tranquillità di quell’aurora rosata ripensava alla serata felice che aveva passato in compagnia di Giacomo. Per un attimo, con quel simpatico vecchietto, aveva ricordato cosa significasse dividere il tetto con altre persone, e insieme a quelle sensazioni era riaffiorata la nostalgia di ritornare a casa, così intensa da rimanerle tuttora dentro le ossa. Ma aveva paura anche al solo pensiero di doversi riconfrontare con quello da cui era scappata, seguendo l’impulso di un momento.

    Alle otto in punto Greta si trovava già sul piccolo porto di Capodimonte. In piedi sul molo sembrava si aggrappasse alla valigetta nera, colma di documenti, quasi fosse il suo unico lasciapassare per il paradiso. Osservava le piccole barchette ormeggiate al molo, e pensava che dopo il viaggio in traghetto, con il quale si era lasciata alle spalle la Sicilia, non aveva più avuto modo di navigare. Riemerse dalle ondate dei pensieri, richiamata alla realtà da un rumore di passi alle sue spalle.

    Un ragazzo dalla figura longilinea si dirigeva verso di lei, addentando con vigore una mela.

    «Buongiorno signorina. Mi chiamo Ernesto e devo portarla alla Bisentina. Se per lei va bene vorrei partire subito.»

    Anche lui, come il vecchio Giacomo, aveva il viso colorito dalle carezze del sole, sul quale spiccavano due occhi di un colore indeciso fra il marrone e il verde.

    Greta non pronunciò una parola. Il barcaiolo intanto senza attendere la sua risposta era già salito sul piccolo motoscafo bianco, e armeggiava con le corde che fino a poco prima lo avevano tenuto fermamente ormeggiato al molo. Ancora in piedi sopra il molo, con la borsa sempre stretta nella mano destra, Greta osservava le mani dello sconosciuto, le sue braccia muscolose, le spalle solide. Poi d’un tratto, Ernesto si voltò verso di lei: il sole che splendeva alle sue spalle scolpiva la figura asciutta. La ragazza poté di nuovo incontrare quegli occhi. Le tendeva una mano, sorridendo per aiutarla a discendere fin nella barca, come a dirle di non aver paura. Greta l’afferrò, e ne gustò il calore asciutto e la stretta sicura.

    Era di nuovo su una barca.

    Guardando sotto la chiglia della piccola imbarcazione fu subito colpita dalla vegetazione che dondolava lentamente sotto l’acqua. Sembrava un bosco sommerso nelle profondità del lago. Ernesto vedendola così attratta da quella strana vegetazione si affrettò a fornirle una spiegazione, benché lei non avesse chiesto ancora nulla.

    «Sono molte le piante che pullulano nelle acque del lago. C’è il graminaccio, la scopuccia e la spumatella che, alla stregua di qualche donna, è contemporaneamente spinosa e fragile. Purtroppo oggi non è possibile vedere la loglia e la moracia che crescono solo in primavera. La loglia sporge il capo fuori dall’acqua per mettere al sole le sue piccole spighe, come farebbe solo una madre con i suoi piccoli. Anche la moracia fa lo stesso con le sue fronde che hanno un colore verde azzurro, e i fiori di un colore rosso, ma trovarla è un vero e proprio miracolo.»

    «Non avevo mai visto una cosa del genere. Queste piante crescono solo dove l’acqua è più bassa?»

    «Certamente no. Ho sentito raccontare che la crepitaia cresce nei fondali più profondi, tanto che quando noi pescatori troviamo i fili delle reti strappati, comprendiamo di aver oltrepassato il confine della spiaggia pescabile.»

    I due ragazzi sembravano uniti dall’acqua, che li metteva a loro agio. nell’acqua si capivano, sembrava che si fossero sempre conosciuti. Ernesto di sguincio rubava immagini di Greta con i capelli sciolti che il vento scompigliava con le sue mille dita.

    Un alito di vento lieve muoveva il lago increspandolo di onde basse e larghissime che andavano a rompersi sotto la prora con il rumore di schiaffi leggeri.

    Appena un poco a largo Greta poté finalmente scoprire il lago in tutta la sua vastità. L’anello dei colli che lo conteneva, aveva letto su un libro, misurava più di quaranta chilometri. Era impressionante la sua vastità.

    «Ma è proprio vero che il lago di Bolsena è il più grande lago vulcanico dell’Europa?» Greta era avida di spiegazioni.

    «Certamente, è pura verità, ma comunque non pensi che un solo vulcano avrebbe potuto avere una bocca così grande. Alcuni studiosi hanno immaginato, e sembra che sia proprio vero, che tutti gli avvallamenti e le sinuosità presenti non siano altro che la testimonianza che c’erano almeno tre bocche di vulcani accostate. Lo sa poi che il punto più profondo del lago si trova fra le due isole, e che misura quasi centocinquanta metri? Più della cupola di S. Pietro.» affermò Ernesto serio, impegnato nel suo compito di Cicerone.

    Greta era stupita dalla moltitudine di cose che sapeva quel ragazzo dal viso abbronzato.

    Le onde che muovevano il lago si andavano a rompere in una miriade di altre più piccole che finivano schiacciate dalla prora della barca, ricordando a Greta un rumore come di mani battute.

    L’isola intanto si accostava, sempre più vicina.

    E forse per il movimento della barca sulle acque, forse per quello delle onde, oppure per il lieve ondeggiare degli alberi sulla riva, si era creata negli occhi di Greta come l’illusione che l’isola si accostasse verso la barca, come per venire incontro al suo desiderio di conoscerla.

    Avanzando sempre più avanti Greta vedeva apparire un’imponente e suggestiva cupola in mezzo alla folta vegetazione arborea. Erano arrivati.

    Ernesto condusse il motoscafo fra una moltitudine di basse canne affioranti dall’acqua, che crepitarono al passaggio della barca, per entrare in un canale che li condusse presso il piccolo porticciolo dell’isola. Era coperto da una tettoia stile liberty, che veniva dall’esposizione internazionale di Torino del 1911.

    Ecco il luogo dei desideri di Greta, l’aveva finalmente raggiunto.

    Ernesto era intanto scivolato già fuori della

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