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Il Giardiniere e la Superstar
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E-book242 pagine3 ore

Il Giardiniere e la Superstar

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Info su questo ebook

Drew Singer, alias Brock Kipwell, ha interpretato Slade Donovan, l’eroe dei film d’azione, per cinque anni. Dopo una sparatoria alla premiere del nuovo film di Slade, che ha provocato la morte del suo assistente personale, Drew ha lasciato Los Angeles e si è rifugiato nella piccola cittadina in cui è cresciuto, nel North Yorkshire, per prendersi cura della sua anca fratturata e del suo cuore spezzato. Tutto quello che voleva era passare un po’ di tempo con sua nonna, lontano dal resto del mondo. Ma non aveva tenuto conto di una cosa… la presenza del suo amico d’infanzia e primo amore, Cameron McDonald.
Cameron McDonald è nato e cresciuto nello Yorkshire. Vive ancora lì, e talvolta lavora nella fattoria dei suoi genitori, mentre si occupa della sua attività di giardinaggio. La sua vita procede bene, finché non entra nella cucina di Marty Singer e scopre che c’è un nuovo ospite. Lui e Drew erano stati amici, migliori amici, fino all’ultima estate, quando avevano compiuto quindici anni ed erano diventati molto di più.
Ora sono passati dieci anni da quel giorno, e la loro attrazione reciproca è più forte che mai. Ma Cam deve occuparsi dei problemi del suo amico, Ed, e Drew si porta dietro così tanto senso di colpa da riuscire a malapena a sopportarne il peso. È la loro seconda possibilità? Riusciranno ad afferrarla? O c’è qualcosa che aspetta nell’oscurità e che nessuno dei due si aspettava?
LinguaItaliano
Data di uscita2 feb 2023
ISBN9791220704977
Il Giardiniere e la Superstar
Autore

Lisa Worrall

I live in Leigh on Sea, a small seaside town just outside London on the coast of Essex, about ten minutes from Southend, which boasts the longest pier in the world. I live with my partner and two ever-growing children, who I let think are the boss of me; along with a dog who actually is. As the wonderful Beatrix Potter said, "There is something delicious about writing the first words of a new story. You never quite know where they'll take you." I know exactly what she means and hope you'll join me for the ride.

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    Anteprima del libro

    Il Giardiniere e la Superstar - Lisa Worrall

    1

    «Cameron David McDonald! Se dovrò chiamarti ancora una volta, verrò lassù con una mazza da cricket e ti butterò giù da quel letto!»

    Cam gemette contro il cuscino. Doveva davvero parlare con sua madre riguardo la sua indecisione. Quella era la terza volta che cambiava il metodo con cui lo avrebbe tirato fuori dalla fossa. Sebbene la mazza da cricket suonasse meglio della colonscopia che aveva minacciato di fargli dieci minuti prima.

    Rotolò sulla schiena e subito desiderò non averlo fatto. La luce del sole si riversava attraverso lo spazio tra le tende, direttamente sul suo viso. Imprecò a denti stretti e si gettò un braccio sugli occhi prima che gli bruciasse il cranio. D’accordo, forse era un po’ drammatico, ma in quel momento non gli importava molto delle formalità.

    Tuttavia, era molto interessato a mettere le mani addosso a Edward Maybury III, il cosiddetto migliore amico responsabile della sua attuale condizione. Forse poteva convincere sua madre a provare quella colonscopia su Ed. Fece un sorriso mentale – troppo spaventato per provare a farne uno vero nel caso gli esplodesse la testa – al pensiero di sua madre, vestita con la tuta ignifuga che indossava per togliere i parassiti dalle pecore e che la copriva dalla testa ai piedi, e Edward Maybury nudo su un carrello con un tubo su per il…

    «Stai cercando di costringermi a ucciderti?»

    «Buongiorno, mamma,» borbottò Cam.

    Lei lo ignorò del tutto. Beh, non che si fosse aspettato qualcosa di diverso.

    «È così, non è vero?» sbottò lei mentre camminava per la stanza. Cam si tirò in fretta il piumone sopra la testa, sapendo per esperienza che aveva pochi nanosecondi prima che lei aprisse le tende. «Pensi che non abbia niente di meglio da fare che sprecare Dio solo sa quanto tempo in un’aula di tribunale, spiegando a un gruppo di sconosciuti perché ho picchiato a morte il mio unico figlio con una copia di Il Mondo dei Giardinieri

    Cam non aveva bisogno di uscire dal bozzolo caldo che lo circondava per sapere che sua madre era in piedi in fondo al letto con le mani sui fianchi, intenta a mordersi il labbro inferiore per impedirsi di pronunciare la sfilza di parolacce che aveva sulla punta della lingua.

    «Me lo ha fatto fare E…»

    «Sei un po’ troppo vecchio per usare la scusa me lo ha fatto fare Ed, non credi?»

    «Ma non è colpa mi…»

    «Hai ventisei anni!» ribatté Beatrice. «Certo che è colpa tua.»

    «Devo proprio dirtelo, mamma,» disse Cam in tono sarcastico. «Hai presente quei corsi sulla sensibilità che hai seguito? Se fossi in te, chiederei un rimborso.»

    «Ma che divertente,» disse lei impassibile. «Ora alzati, o farai tardi.»

    «Tardi per cosa?» Cam era confuso. «È domenica.»

    «Ho promesso a Vera Newman che oggi avresti sistemato gli scaffali nella sua sala da pranzo. Te l’ho detto tre volte questa settimana.»

    «Accidenti.»

    «Lo hai dimenticato.» Beatrice scosse la testa, disperata.

    «Non l’ho dimenticato,» replicò Cam, mettendo con cautela la testa fuori da sotto il piumone. Strizzò gli occhi finché non si furono abituati alla luce e sbatté le palpebre alcune volte per mettere a fuoco sua madre. «Ho temporaneamente accantonato le informazioni.» Se non l’avesse fatto, quelle informazioni avrebbero influenzato la sua risposta alle continue lamentele di Ed sul fatto che non passavano una serata insieme da secoli.

    Lei strinse le labbra e Cam sorrise. Fortunatamente per lui, Beatrice adorava il suo unico figlio, altrimenti lo avrebbe picchiato con il Mondo dei Giardinieri molto tempo prima. Solo il cielo sapeva se le aveva dato abbastanza motivazioni. Soprattutto durante i terribili anni della sua adolescenza.

    «Puzzi.» Beatrice arricciò il naso, schifata. «Avanti, sciocco pigrone, fatti una doccia. Se sarai fortunato, sarà rimasto qualcosa da mangiare quando avrai finito.»

    Cam sussultò quando il suo stomaco fece una tripla capriola e una giravolta all’indietro, rendendo chiaro cosa pensasse dell’argomento cibo. «Non mangerò mai più.»

    «Se avessi una sterlina per ogni domenica mattina che ho sentito questa affermazione…» Beatrice non si degnò neppure di finire la frase. «Ora datti una mossa.» Attraversò la stanza fino ad arrivare alla porta e l’aprì, fermandosi per aggiungere, con un luccichio malvagio negli occhi: «Ti sentirai molto meglio con un po’ di pancetta grassa e un paio di uova viscide nella pancia.»

    «Argh,» si lamentò Cam mentre un’ondata di nausea lo investiva. Guardò Beatrice chiudere la porta con un sorriso. «Sei perfida,» le gridò. «Ti segnalerò ai Servizi Sociali!»

    La sua risposta giunse dalle scale. «Se avessi una sterlina per ogni domenica mattina che ho sentito questa frase…»

    Cam emerse dal suo rifugio e si trascinò in bagno per aprire la doccia. Mentre aspettava che l’acqua si scaldasse, fissò il proprio riflesso nello specchio sopra il lavandino. Sembrava che fosse stato trascinato nel proverbiale inferno, con il culo davanti a tutto il resto. Scosse la testa. Non berrò mai più. Il cespuglio di capelli castano scuro gli cadeva intorno al viso in un disordinato nido di riccioli e gli occhi marroni erano iniettati di sangue, segno rivelatore di una pesante notte di baldoria. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che lui e Ed si erano ridotti in quel modo, forse il giorno in cui si erano laureati, ma era stato tanto tempo prima.

    Entrando nella doccia, chiuse la porta dietro di sé e infilò la testa sotto il getto caldo, gli occhi ben chiusi. Gli stava tornando tutto in mente. Ed l’aveva praticamente implorato di uscire la notte precedente e per tutta la sera era sembrato sul punto di rivelargli qualcosa. Sul punto, ma senza mai sputare davvero il rospo, per così dire. Infatti, pensò Cam mentre si spruzzava un po’ di bagnoschiuma sul palmo e se lo strofinava sul petto, se ricordava bene, ogni volta che aveva provato a chiedere a Ed cosa non andava, lui gli aveva comprato un’altra birra. Cam si lavò il sapone dal corpo e afferrò lo shampoo. Quando erano usciti dal pub, non aveva ancora idea di cosa stesse divorando il giovane signor Edward, ma aveva tutte le intenzioni di scoprirlo. Ed non poteva evitare di dirglielo per sempre.

    Dopo essersi asciugato e aver indossato dei pantaloncini lunghi e una maglietta, Cam si sentiva un po’ più umano e seguì l’odore della pancetta fino al piano di sotto. Inspirò a fondo mentre percorreva il corridoio verso la cucina, assalito in un unico colpo da tutte le essenze della casa. Lavanda del pot-pourri che sua madre teneva sul tavolo nell’ingresso, il lucido per mobili al limone che usava dall’alba dei tempi e la pancetta fritta. Sorrise mentre la combinazione familiare lo avvolgeva. L’esperienza gli diceva che ogni volta che percepiva l’odore di una di quelle tre cose, veniva trasportato di nuovo in quel corridoio, non importava dove si trovasse.

    Cam entrò in cucina e si gettò sulla sedia di fronte a suo padre, intorno al grande tavolo rotondo. «Buongiorno, pa’,» disse, tirando verso il basso il bordo del giornale in cui era sepolto l’uomo.

    David McDonald abbassò la rivista, lo fissò oltre il bordo degli occhiali appollaiati sul naso e tornò a leggere senza dire una parola. Cam ridacchiò, notando la contrazione sul suo viso. Era un rituale che facevano sin da quando era un ragazzino, e Cam sapeva che non si sarebbe interrotto presto.

    «Come sta Stella?» chiese Cam, accettando con gratitudine la tazza di caffè bollente che Bea gli porgeva.

    «È offesa,» replicò David, girando il giornale verso la pagina dello sport. «Passi la notte con quella poveretta e poi te ne vai con chicchessia. Non sa più quello che sta succedendo.»

    «Aspetta un attimo.» Cam puntò un dito contro suo padre. «Sapeva come sarebbero andate le cose fin dall’inizio. Non ho mai fatto promesse.» Sorrise a Bea mentre lei gli metteva davanti un piatto con pancetta, salsiccia, uova e pane fritto. «Grazie mamma.»

    «Voi ragazzi siete tutti uguali,» borbottò David. «Mettete un ragazza nei guai e poi le spezzate il cuore.»

    «Non le ho spezzato il cuore!» Cam fissò inorridito suo padre dall’altra parte del tavolo. «Deve aver confuso gli appuntamenti.»

    «Ha un sacco di bruciore di stomaco.» David occhieggiò le ciocche ribelli di Cam. «Sai quello che si dice in questi casi.»

    «Per favore, illuminami,» rispose Cam con sarcasmo. «Cosa si dice?»

    «Il bruciore di stomaco significa che il piccolo ha molti capelli.»

    Cam si infilò in bocca una forchettata di uova e gemette. «Comunque… perché ne parla con te?» Evitò abilmente lo schiaffo di Bea sulla nuca per aver parlato con la bocca piena, spargendo uova strapazzate sul tavolo della colazione.

    «Perché sono stato io quello che l’ha tenuta al caldo ieri sera mentre tu eri in giro a fare baldoria!»

    Cam si portò una mano al petto nell’udire la risposta di David, lo sguardo che passava in modo drammatico tra i suoi genitori.

    «Papà! Come hai potuto? Con la mia Stella?»

    «Oh, per l’amor del cielo,» disse Bea, prendendo il giornale del marito dalle sue dita con una mano e mettendogli davanti un piatto pieno di cibo con l’altra. «Smettete di parlare di quella mucca come se fosse una persona.» Si sedette con la sua colazione e imburrò del pane tostato. «Dopo che avete terminato una delle vostre conversazioni al pub, mercoledì pomeriggio, ho dovuto spiegare ad Avril dell’ufficio postale che Stella è una Hereford di mezza tonnellata e che tu sei ancora l’unico gay del paese!»

    Quella volta fu colpa di sua madre, se Cam sputacchiò le uova sul tavolo. Tossì e sbavò, poi inghiottì un enorme sorso di caffè caldo nel tentativo di impedirsi di soffocare a morte, cosa che lo fece tossire ancora più forte. Quando infine riuscì a tenere sotto controllo il diaframma in preda agli spasmi, si appoggiò allo schienale della sedia, le braccia avvolte intorno alla vita mentre rideva, le lacrime che rigavano anche il viso di suo padre. Quel momento andò avanti per diversi minuti finché Bea non si lamentò che il buon cibo si stava raffreddando. Dopo essersi finalmente ripreso, Cam continuò a mangiare la colazione.

    «Sul serio, però, come sta la vecchia ragazza?» chiese, masticando un boccone di pane tostato caldo e imburrato.

    «Sta bene,» replicò David. «Non dovrebbe mancare molto.»

    «Assicurati di chiamarmi non appena inizia il travaglio.»

    «Pensavo che lavorassi dai Singer questa settimana?» disse Bea, tagliando una salsiccia.

    «Infatti,» confermò Cam. «Inizio domani, ma voglio esserci quando la mia ragazza avrà il nostro bambino.»

    Bea scosse la testa e mormorò: «La maggior parte dei tredicenni vuole un cane, ma non tu. Dovevi avere una mucca. Avresti potuto scegliere una tartaruga come Michael Featherstone della tua classe, ma no, sarebbe stato troppo normale.»

    «Mamma, quanto sarebbe noiosa la tua vita se io fossi normale?» Cam virgolettò l’ultima parola. «Non sai quanto sei fortunata ad avermi.»

    «Mmh,» rispose stoica Bea, ma Cam sorrise nel vedere il luccichio nei suoi occhi. «Mangia la tua colazione. Vera ti sta aspettando.»

    Cam alzò gli occhi al cielo, ma iniziò a ingollare il cibo più in fretta. «Non dimenticare che starò da Marty Singer per almeno sei settimane.» Agitò il coltello verso Bea. «Quel giardino sembra l’Amazzonia, cazzo.»

    «Come potrei dimenticarlo?» rispose Bea. «Me lo hai detto abbastanza spesso.»

    «Bene.» Cam finì l’ultimo pezzo di salsiccia e posò coltello e forchetta sul piatto vuoto. «Volevo solo ricordarti che non potrò fare alcuno strano lavoretto per il club delle vecchie signore di Thornby Dale.»

    «Quali strani lavoretti?»

    «Oh, non saprei,» disse Cam, picchiettandosi un dito sul mento. «Tipo… sistemare gli scaffali di Vera, riparare le recinzioni di Joan, inseguire lo stupido setter rosso di Avril fin quasi alla brughiera, prendere il…»

    «Ho capito, sapientone.» Bea alzò una mano. «Lo fai sembrare come se io… ecco… ah, come lo chiamano, David?»

    «Prostituire, tesoro,» disse con calma David.

    «Esatto.» Bea annuì. «Come se ti stessi facendo prostituire con le mie amiche.»

    «Primo, non dire mai più quella parola.» Cam scacciò le immagini improvvise di sua madre vestita come Huggy Bear in un vecchio episodio di Starsky e Hutch. «Secondo, sono anni che mi presti alle tue amiche.» Le puntò contro l’indice. «Non pensare che non sappia cosa sta succedendo. Un giorno arriverò e saranno tutte in piedi intorno a un calderone, in attesa di sacrificare la mia povera anima incontaminata agli dei di Camelot, in modo che i loro numeri vengano estratti nella ruota del mercoledì.»

    «Non essere una tale drama queen,» lo ammonì Bea. «Inoltre, tiriamo fuori il calderone solo di venerdì. Il mercoledì è la serata orgia.»

    Cam quasi corse fuori dalla cucina con le dita nelle orecchie, cantando lalalala a squarciagola, e si diresse verso la macchina, seguito dal suono delle risate rauche dei suoi genitori. Inserì la chiave e la girò. Il motore si avviò al primo tentativo, con suo grande sollievo. Sfrecciò lungo la strada sterrata della fattoria e puntò il veicolo verso la casa di Vera, chiedendosi quale fosse il modo meno doloroso per rimuovere il proprio cervello, così da immergerlo nella candeggina per tutta la notte. Non che la cosa l’avrebbe aiutato. Sapeva che dopo aver sentito sua madre usare le parole prostituzione e orgia nello stesso discorso, non si sarebbe mai più sentito pulito. Sorrise mentre percorreva le strette stradine di campagna di Thornby Dale, ammettendo che, sebbene avesse suggerito a sua madre di essere grata che lui non fosse normale, sarebbe sempre stato grato per una cosa… che non lo era nemmeno lei.

    2

    Questa volta, il sogno di Drew riguardava uno dei momenti più felici di quando era bambino e correva con Brandy, il vecchio cane da pastore dei suoi nonni, attraverso le brughiere sopra Thornby Dale. Spettatore nei suoi stessi ricordi, guardò il suo io più giovane, le gambe magre che pompavano mentre correva attraverso l’erica dietro il collie bianco e nero. Quelli erano stati, senza dubbio, i giorni più belli della sua vita, loro due da soli, intenti a esplorare quello che considerava il loro piccolo pezzo di Yorkshire. Drew sospirò soddisfatto nel sonno, le labbra che si contraevano in un mezzo sorriso.

    Le immagini erano così vivide e la memoria sensoriale così nitida, che poteva sentire il calore del sole sul viso, la brezza che gli sollevava i capelli, il ronzio delle api… il ronzio delle api… il ronzio, il ronzio, il ronzio! Drew si accigliò, proprio come il suo sé onirico. Non voleva assolutamente incontrare l’ape a cui apparteneva quel ronzio, perché doveva avere le dimensioni di un fienile! Nel sogno, iniziò a scappare lontano dal suono, ma quello lo seguì, lo circondò, gli riempì i sensi e gli fece scivolare gelide dita di paura lungo la spina dorsale. Che diavolo era quello?

    Drew si svegliò di colpo. Ma il sangue che gli pompava nelle orecchie era l’unico suono che sentiva. Fece alcuni respiri profondi e il sogno svanì in fretta alla luce del giorno. Sbadigliò abbastanza da slogarsi la mascella e passò le dita… eccolo di nuovo. Un suono acuto e lamentoso. Drew gettò indietro il piumone. Il rumore era filtrato attraverso la finestra aperta, riempiendo la stanza e penetrando nel suo inconscio, per comparire addirittura nel suo sogno.

    Gli ci volle un po’, ma alla fine si trascinò attraverso la stanza, aggrappandosi saldamente al deambulatore. Spostata di lato la rete di pizzo, Drew guardò fuori dalla finestra e la sua bocca si asciugò come una tempesta di sabbia nel Sahara, mentre sentiva svanire tutto il fastidio per il modo in cui il suo sogno era stato disturbato.

    Ma di certo stava ancora sognando, perché un angelo brandiva una motosega nel giardino di sua nonna. Un angelo nudo fino alla vita, con addosso un paio di pantaloni cargo e una massa informe di capelli, a essere onesto. Il rumore della motosega non sembrava così irritante ora che Drew stava osservando l’uomo che si faceva felicemente strada attraverso la giungla infestata dai rovi che era il giardino sul retro. Lo sguardo di Drew si assottigliò nel vedere i muscoli che si increspavano sotto la pelle abbronzata della sua schiena, e come le cosce sode tendevano il tessuto dei pantaloncini cargo, facendoli aggrappare alla curva del suo culo stretto, mentre l’uomo si chinava per tirare una radice caparbia.

    «Torna in te, Singer,» bofonchiò Drew tra sé e sé, mentre il suo uccello si contraeva in segno di apprezzamento. Girò il deambulatore e si trascinò di nuovo verso il letto, dove afferrò la vestaglia e la indossò. Aveva appena finito di allacciare la cintura quando bussarono alla porta.

    «Drew, sei decente?»

    «Sì,» replicò lui, accomodandosi sul bordo del materasso. «Entra pure.»

    La porta si aprì e sua nonna, Martha Marty Singer, entrò senza fretta, portando una tazza di caffè fumante. Drew sorrise con gratitudine mentre il profumo dei chicchi appena macinati riempiva la stanza.

    «Accidenti, ti ho mai detto che sei la nonna migliore del mondo?» disse, prendendo la tazza e inspirando l’aroma.

    «Una o due volte,» rispose Marty, il sorriso che si trasformava in un cipiglio mentre lo studiava. «Quanto è brutto stamattina?»

    «Non è così male.» Drew scrollò le spalle con nonchalance e rivolse la sua attenzione al caffè.

    «Sai, non è carino mentire alla migliore nonna del mondo,» disse lei, premendo il dorso della mano sulla sua fronte. «Soprattutto quando non sei bravo a farlo.»

    «Davvero?» Drew alzò un sopracciglio. «Sono un attore, nonna. Mento per vivere e le persone ci credono.»

    «Sì, beh, io non sono le persone.» Gli sollevò il mento, così che non potesse distogliere lo sguardo. «Quanto ti fa male da uno a dieci?»

    «Direi otto,» confessò.

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