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Pugni di Armadillo
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Pugni di Armadillo
E-book205 pagine2 ore

Pugni di Armadillo

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Info su questo ebook

Una storia di gangster in un mondo in cui al posto delle auto si guidano dinosauri meccanici.

Psycho June Howard, detta Pugni di Armadillo, voleva diventare una pugile professionista, ma l’aver barato facendosi impiantare due armadilli al posto delle mani per colpire ancora più forte ha portato alla sua squalifica a vita dagli incontri ufficiali.

June si è ridotta a servire un boss della malavita che si eccita a farsi picchiare, ma dopo una sessione di allenamento il boss è morto e la sua banda di gangster le sta dando la caccia per vendicarsi.
L’unica persona disposta ad aiutare June nella fuga è Mr. Meraviglia, un ex pilota professionista mutilato con braccia e gambe che terminano all’altezza di gomiti e ginocchia.

Una storia strana, popolata di gangster sopra le righe dotati di capacità straordinarie. Il primo romanzo breve di Carlton Mellick III scritto balzando di continuo lungo la linea temporale degli eventi, mischiando passato e presente per creare un mix ad alta tensione.

[Romanzo breve di Bizarro Fiction, collana Vaporteppa, 32.300 parole, circa 108 pagine, con in aggiunta un saggio di "Introduzione alla Bizarro Fiction" di 3800 parole a cura di Chiara Gamberetta]
LinguaItaliano
Data di uscita21 lug 2015
ISBN9788898924592
Pugni di Armadillo

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    Anteprima del libro

    Pugni di Armadillo - Carlton Mellick III

    meno.

    CAPITOLO 1

    «Sei pesante per non avere né braccia né gambe,» June disse a Tony mentre lo trascinava per il pavimento del magazzino.

    Tony non rispose. Era incosciente. Il sangue gli colava dal naso e dalle orecchie. I quattro monconi che aveva al posto delle braccia e delle gambe penzolavano flaccidi dal busto come salsicce.

    June non riuscì a sentirgli il battito. Ma questo non significava necessariamente che fosse morto. Il suo senso del tatto era sempre stato debole, da quando aveva sostituito le mani con degli armadilli vivi.

    «Non puoi abbandonarmi proprio adesso.» Gli armadilli si aggrappavano ai monconi, stringendosi il più forte possibile coi loro piccoli arti. «Non dopo tutto questo.»

    Il fuoco cresceva attorno a loro, avvolgendosi su per i muri, ingoiando tutte le uscite. L’intero magazzino poteva crollarle addosso da un momento all’altro. Se solo lui non fosse stato così pesante. Se solo lei fosse stata un po’ più forte. Se solo avesse avuto delle vere mani.

    Le dita degli armadilli scivolarono via dai monconi e Tony cadde sul cemento con un tonfo. La pancia da bevitore di birra gli sbucava tremolante dalla maglietta di spandex. Aveva tre fori di proiettile bruciacchiati sul fianco.

    «Dannate mani,» gridò June agli armadilli che aveva attaccati ai polsi.

    Gli armadilli la guardarono e batterono le palpebre, agitandosi nei gusci come dei neonati dentro delle culle corazzate. Uno di loro si leccò il naso con la lingua lunga e appiccicosa.

    Il muro rivolto a sud esplose. Pezzi di legno in fiamme si sparsero per il pavimento del magazzino. Poi un uomo enorme emerse dal fuoco, trascinando una lastra di cemento.

    «È ancora vivo?» June sussurrò a Tony nel vedere il bestione andare verso di loro con passo pesante.

    Gli occhi dell’uomo, rossi come il fuoco che lo circondava, erano fissi su June. Sollevò la lastra di cemento oltre le spalle, come un martello. L’uomo non appariva umano agli occhi di June. Gli occhi rossi, la maschera di ferro con le borchie appuntite che aveva in faccia, le cicatrici orribili che gli coprivano il petto gigantesco; somigliava a un boia demoniaco. Anche se aveva delle lunghe placche di metallo conficcate tra le costole e nello stomaco, riusciva comunque a camminare. Il sangue nero che gli colava sui muscoli lo faceva solo sembrare più feroce.

    June si fece avanti e strinse gli armadilli. Poi sollevò i pugni e si mise in posizione di guardia.

    «Ne vuoi ancora?» chiese al bestione, cenere e braci che le piovevano sulle spalle come fiocchi di neve. «Forza. Secondo round.»

    Saltellò da una parte all’altra, i piedi danzavano mentre il fuoco infuriava attorno a loro. Colpì l’aria con i suoi armadilli come se fossero guantoni da boxe, dando qualche colpo di prova prima che il mostro arrivasse a portata di tiro.

    «Sai, non ho mai perso un incontro,» gli disse con voce tremante, parlando più a sé stessa che all’uomo dal viso di metallo. «Sono una campionessa imbattuta!»

    Ma quando il bestione le si avvicinò, si ritrovò a indietreggiare. Con gli occhi fissi sulla lastra di cemento, non si accorse del cadavere che stava sul pavimento, dietro di lei. Inciampò e cadde all’indietro, atterrando accanto al corpo. Dapprima pensò di essere inciampata su Tony. Ma non era lui. Era il cadavere di un tizio chiamato Mr. Felicità.

    Il morto indossava un completo giallo limone e un cappello giallo. Aveva un proiettile in fronte e un sorriso in faccia. June sapeva di doversi rialzare prima che l’uomo con la maschera di metallo le frantumasse il cranio con la lastra di cemento, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da Mr. Felicità. Il sorriso sulla faccia fredda del morto la innervosiva e faceva agitare gli armadilli nei gusci.

    C’era una ragione se si chiamava Mr. Felicità. Nemmeno la morte gli impediva di sorridere.

    CAPITOLO 2

    Mr. Felicità stava sorridendo quando udì la notizia.

    «Il capo è morto davvero?» chiese il ciccione che stava in mezzo al gruppo accanto a Mr. Felicità. In ogni mano teneva due hot dog, che mordeva tra una frase e l’altra. Una salsa verde brillante gli colava sulle mammelle da obeso. «Pensavo che quel figlio di puttana fosse immortale.»

    Quando disse figlio di puttana, Mr. Felicità lo guardò. Allora il ciccione chiuse la bocca. Si era dimenticato che Mr. Felicità era il nipote del capo. Ma Mr. Felicità non si arrabbiò per le sue parole. Era felice. Sempre felice. Nemmeno la notizia della morte del suo amato zio, che era tutto per lui, riusciva ad alterare il suo umore celestiale.

    Mr. Felicità si rivolse di nuovo al vecchio dall’altra parte della stanza e chiese, «Che gli è successo?»

    «Assassinato,» disse il vecchio, asciugandosi il sudore dalla fronte rugosa. «Pugni di Armadillo l’ha ammazzato.»

    «La tizia che fa pugilato?» chiese il ciccione. «June Howard la Psicopatica?»

    Il vecchio contorse le labbra e sputò del catarro sul tappeto. Era il suo modo di dire sì. Poi disse, «Venite con me.»

    Mentre il gruppo seguiva il vecchio per il corridoio, Mr. Felicità gli chiese, «Perché l’ha fatto?»

    «Come cazzo faccio a sapere il perché,» disse il vecchio. «È pazza. Ti piace come risposta?»

    Il vecchio si comportava come uno stronzo quando era nervoso. Ed era sempre nervoso. Non lo chiamavano mica Faccia da Stupro perché era un piacere stargli vicino.

    Arrivarono nella palestra personale del capo, alla fine del corridoio. Mentre il vecchio Faccia da Stupro apriva la porta, disse, «Tutto quello che so, è che il capo è morto.»

    Gli uomini guardarono nella stanza e videro il corpo del loro capo sul pavimento. Il cranio era spappolato, i pezzi sanguinolenti sparsi sul tappeto da wrestling.

    «E andremo a prendere la stronza che l’ha ammazzato,» disse Faccia da Stupro.

    Mr. Felicità fissò sorridente il corpo maciullato di suo zio. Aveva sperato che il cadavere gli avrebbe fatto provare tristezza o rabbia. Ma, come sempre, la vista lo rendeva solo felice.

    ***

    «Steve e Mr. Faina le sono già alle costole,» Faccia da Stupro disse alla banda, strofinandosi una cicatrice bianca sulla punta del naso. «Li dobbiamo raggiungere.»

    Puntò il dito verso Mr. Felicità, il ciccione, e un uomo alto e smilzo che stava dietro di loro. «Mr. Felicità, Mr. Ciccia, Mr. Maratona, voi prendete il triceratopo.»

    Poi si voltò verso un uomo ben vestito dai capelli neri, con occhiali rettangolari e occhi penetranti. «Mr. Scusa, tu vieni con me nel T-rex.»

    «Non possiamo prendere il titanosauro?» chiese Mr. Ciccia, ficcandosi l’ultimo hot-dog in bocca. «È più comodo.»

    «È troppo lento,» disse Faccia da Stupro. Agli ultimi tre uomini nel corridoio disse, «Voi altri, occupatevi del cadavere del capo.» Indicò un uomo muscoloso col numero sei tatuato intorno all’occhio sinistro. «Chiama un becchino o qualcosa del genere. Portalo fuori di qui, prima che i suoi bambini del cazzo tornino a casa, porca puttana.»

    L’uomo con l’occhio tatuato annuì e chiamò due uomini per tornare dal capo. Poi Faccia da Stupro aprì l’armadietto delle armi e cominciò a passare le pistole a Mr. Scusa e Mr. Felicità.

    «Sei sicuro che ci serva tutta questa roba, Faccia?» chiese Mr. Maratona. «È solo una donna. Voglio dire, probabilmente non serve nemmeno che andiamo. Faina e Steve possono occuparsene da soli.»

    «Non è sola,» disse Faccia da Stupro. «Mr. Torso la sta aiutando.»

    «Intendi il mutilato?» chiese Mr. Maratona.

    Mr. Ciccia si mise a ridere.

    Faccia da Stupro scatarrò.

    «Ma dai,» disse Mr. Ciccia, «il tizio non ha né braccia né gambe. Come fa a essere un problema?»

    La risatina di Mr. Ciccia si spense quando Mr. Scusa lo gelò con lo sguardo.

    «Torso non va sottovalutato,» gli disse con voce monotona. «Niente braccia, niente gambe, non importa. Quando sta al volante, è l’uomo più letale sulla strada.»

    Faccia da Stupro sputò dell’altro catarro. Poi disse, «È il miglior pilota che abbiamo mai avuto.»

    CAPITOLO 3

    «Come va, Gambalunga?» disse Tony a June con un occhiolino e un sorriso, mentre lei percorreva il viale d’accesso del capo.

    June non era dello spirito giusto per sopportare le solite menate di Tony. Il capo l’aveva messa di malumore quel giorno.

    «Portami a casa e basta,» gli disse, asciugandosi il sudore dall’addome tatuato con i gusci degli armadilli, anziché con l’asciugamano che aveva attorno al collo. «Sono stanca.»

    Le sue parole non lo scoraggiarono. Tony era un gatto selvatico in cerca di preda. La prese come una sfida. Si infilò un paio di occhiali da sole di marca con i monconi delle braccia, come se stesse pensando è ora di fare sul serio.

    «Che ne dici se andiamo prima a berci qualcosa, Sexy Mama?» Quando parlava, la sua testa ondeggiava da una parte all’altra, un sorrisetto astuto sulle labbra.

    Anche se non aveva né braccia né gambe, Tony si considerava sempre il tipo più fico dell’universo. Avanzò tutto impettito e senza difficoltà verso di lei, camminando sui suoi monconi come un nano sulle sue gambette.

    «Non oggi, Mr. Torso,» disse lei. Sapeva che detestava essere chiamato Mr. Torso.

    Lui si mise in posa e le puntò addosso un moncone, come se la stesse indicando. «Credo che tu mi abbia confuso con qualcun altro, pupa. Il mio nome non è Mr. Torso. È Mr. Meraviglia.»

    Poi si lisciò i capelli all’indietro col moncone, abbassò gli occhiali da sole e fece l’occhiolino.

    June non sapeva come questa metà di uomo potesse essere così sicuro di sé. Non solo gli mancavano gli arti all’altezza delle ginocchia e dei gomiti, ma non sarebbe stato bello neanche ad averceli. Gli occhi erano troppo distanti, era fuori forma, la pancia gonfia di birra sbucava fuori da un’orribile maglietta di spandex arancione, il petto era troppo peloso, e la sua pettinatura da surfista non era per niente così raffinata come pensava lui.

    June gemette e gli disse in tono sarcastico, «Perché sei tanto meraviglioso, eh?»

    Benché le mani bizzarre di June spaventassero la maggior parte dei tipi squallidi che tentavano di rimorchiarla, Tony non ne era minimamente infastidito. Gli piacevano le sue gambe e il suo sedere, e le faceva sempre i complimenti per principio. Le sue mani avrebbero potuto essere polpette di manzo, per quel che gli importava.

    «Voglio solo andare a casa, farmi una doccia e scordarmi di oggi,» disse June.

    Tony le dette una pacca sulla coscia col moncone. «A me sembra che tu abbia bisogno di un bicchierino.»

    «Ho bisogno di una dormita,» disse lei.

    Lui fece ondeggiare la testa. «E dai, piccola. Offro io. Lascia che Mr. Meraviglia ti faccia divertire.»

    June capì dalla sua posa aggressiva che questa volta non avrebbe accettato un no come risposta.

    ***

    June doveva usare entrambi gli armadilli per portare la birra alle labbra. Il loro ventre era particolarmente sensibile al vetro freddo. Quando poggiò la birra, gli armadilli strofinarono le gambe l’una con l’altra per scaldarsi.

    «Come fai a lavorare per quello stronzo?» le chiese Tony.

    Capiva dallo sguardo di lei che il capo le stava facendo passare le pene dell’inferno.

    «Anche tu lavori per lui.»

    «Sì,» disse Tony, «ma io faccio solo l’autista. Non devo interagire con lui chissà quanto.»

    La cameriera dal vestito di pelle viola guardò June in modo strano quando servì loro altre birre. All’inizio June pensò che fosse perché indossava ancora i vestiti da boxe sudati, ma poi si rese conto che dovevano essere le sue mani strambe.

    Quando June fece per prendere la birra fresca, gli armadilli diedero un calcio al bicchiere e lo rovesciarono, versando la birra sul tavolo. June chinò il capo e gemette.

    «Ce l’hanno un nome?» le chiese Tony, indicando gli armadilli con un cenno del capo mentre quelli leccavano la chiazza

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