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Approccio da prima pagina: Harmony Destiny
Approccio da prima pagina: Harmony Destiny
Approccio da prima pagina: Harmony Destiny
E-book152 pagine2 ore

Approccio da prima pagina: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Audrey Tyson è una giornalista d'assalto a caccia di scoop. E quale idea migliore di un articolo su Mark Malone, una celebrità ritiratasi misteriosamente dalle scene? Basta farsi assumere da lui come cameriera e osservare la sua vita da vicino... Ma accorciare le distanze tra loro si rivela un rischio: quell'uomo è pericolosamente affascinante e ben presto Audrey dimentica il lavoro per lasciarsi travolgere completamente dalla passione per Mark. È deciso: sarà suo, in esclusiva.

Mark è un ex campione di rodeo ombroso e solitario, che dietro una facciata dura cela un passato tormentato. Ma forse è tempo di chiudere con il passato e guardare avanti, magari stringendo tra le braccia quella nuova, seducente domestica: fingersi indifferente ai suoi sguardi tentatori è ogni giorno più difficile.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2020
ISBN9788830513495
Approccio da prima pagina: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    Approccio da prima pagina - Juliet Burns

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    High-Stakes Passion

    Silhouette Desire

    © 2005 Juliet L. Burns

    Traduzione di Elisabetta Elefante

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-349-5

    1

    «Sapessi quanto mi sei mancata» mormorò una voce profonda, mentre un corpo massiccio e mascolino la abbracciava dalle spalle.

    Audrey sussultò e cercò di muoversi, ma lui la allacciò per la vita. Le solleticò il collo con le labbra, procurandole un lungo brivido caldo. Una sorta di attonito stupore la paralizzò.

    Afferratala per le spalle, l’uomo la girò. «È tanto che aspettavo questo momento» biascicava. L’alito gli puzzava di birra. Ma il desiderio che trapelava dalla sua voce impediva ad Audrey di reagire. Non si mosse nemmeno quando lui abbassò il viso e le aggredì la bocca con un bacio appassionato.

    La avvolse tra le braccia, e solo quando con la mano le afferrò saldamente una natica, Audrey si destò dal suo torpore. Si staccò con decisione, lo spinse all’indietro e gli sferrò un calcio in uno stinco.

    Mentre lui indietreggiava, si guardò intorno in cerca di qualcosa che potesse servirle per difendersi. La sua mano si richiuse su un coltellaccio da cucina. Era sola in quella casa che non conosceva. Il suo direttore era l’unico a sapere che si trovava lì.

    «Ehi, ma che ti prende!» abbaiò l’uomo, appoggiandosi al ripiano della cucina e massaggiandosi la gamba dolorante. Sotto i capelli incolti che gli coprivano leggermente il viso, serrò gli occhi bestemmiando ad alta voce. Aveva la camicia spiegazzata e la barba lunga.

    Presentarsi lì per quel posto di governante non era stata una buona idea, rifletté Audrey. Doveva pur esserci un modo meno pericoloso per ottenere quella promozione!

    «Mi... mi ha colta alla sprovvista.» Le tremava la voce mentre rispondeva a quell’energumeno sciatto e ubriaco. Era lui il padrone di casa? Il campione di rodeo che era andata a intervistare?

    L’uomo riaprì gli occhi e aggrottò la fronte guardando il coltello che lei brandiva nella mano destra. «Che diavolo vorresti fare con quell’arnese?»

    Solo in quel momento, Audrey riconobbe gli occhi di un azzurro incredibile. Era davvero lui.

    Mark Malone. Il Cavaliere Solitario.

    Nessuno lo aveva più visto da quando, cinque mesi prima, era stato scaraventato per terra e caricato da un toro, a Cheyenne. Lo avevano portato via in barella. Audrey se lo era immaginato su una sedia a rotelle.

    «Ma... è proprio lei?»

    «E chi dovrei essere?» Mark continuò a massaggiarsi la gamba fissando rabbiosamente la ragazza, che si era decisa a lasciare il coltello.

    Una cosa era certa: non era Jo Beth. Lo aveva piantato in asso dopo l’incidente, per correre dietro all’ennesimo campione di rodeo. Stupido lui, a pensare ancora che prima o poi si sarebbe rifatta viva. Saltellò fino alla sedia più vicina e vi si lasciò cadere.

    «Lei è il Cavaliere Solitario.»

    Mark allargò le labbra in un sorrisetto sarcastico. «Una volta, forse.» Guardò con più attenzione la ragazza. Indossava un paio di pantaloni di tela e una felpa enorme. «E tu chi accidenti saresti?»

    «La nuova governante.»

    «Che governante? Il mio capomandriano non mi ha detto niente» sbuffò, socchiudendo gli occhi per mettere meglio a fuoco la sua interlocutrice. Troppo giovane. Troppo...

    «O forse glielo ha detto, ma lei era troppo ubriaco per ricordarselo» replicò Audrey. E sbarrò gli occhi, rendendosi conto di aver pensato ad alta voce.

    Troppo sfacciata e impicciona, decise Mark all’istante. Dopo l’amaro verdetto riferitogli quella mattina dai medici, aveva il sacrosanto diritto di sbronzarsi ogni volta che lo desiderava. «Chiunque ti abbia assunta, sei licenziata.»

    Gli occhi di Audrey si spalancarono ancora di più. «È stato John ad assumermi. Parli con lui. Quanto al calcio, mi spiace se le ho fatto male, ma...»

    «Male un corno! C’è mancato poco che...» Che mi spezzassi la gamba, era stato sul punto di dire. Ma quella gamba era già talmente malconcia da farlo sentire un invalido. «Sei troppo pericolosa per i miei gusti. Perciò puoi tornartene da dove sei venuta. Non so che farmene di una governante.»

    Audrey si piantò i pugni sui fianchi. «In effetti, più che di una governante, lei avrebbe bisogno di un miracolo». Detto questo, si voltò e uscì marciando dalla cucina.

    Ci mancava anche questa: un’impicciona rompiballe che gli faceva la paternale! Mark afferrò una bottiglia di whisky, se la portò in soggiorno e sprofondò nella sua poltrona preferita. Quella maledetta gamba gli stava dando il tormento.

    Mezz’ora più tardi, il whisky aveva fatto effetto. Il dolore si era attenuato. Intontito dall’alcol, Mark stava fissando le immagini che si susseguivano sullo schermo del televisore quando qualcuno gli sfilò di mano il telecomando.

    Alzò gli occhi.

    John spense il televisore. «Poco fa mi ha chiamato la nuova governante. Dice che l’hai licenziata.»

    «Non la voglio, qui.»

    John era molto più che il suo braccio destro: era la cosa più simile a un padre che Mark avesse mai avuto. «Quando è stata l’ultima volta che ti sei seduto a tavola a fare un pasto decente?»

    Mark si allungò per riprendersi il telecomando e riaccese il televisore. «Sto bene così.»

    «Be’, io no! Non sopporto di vederti in questo stato.»

    Le mascelle serrate, Mark tenne lo sguardo fisso sullo schermo.

    John gli si parò davanti. «Ho cercato di essere paziente, Mark. So che ne hai passate tante, ma non hai mai gettato la spugna. Ti sei sempre rialzato a testa alta. Devi reagire.»

    «Lasciami in pace» mormorò Mark, a denti stretti. Aveva perso l’unica sua ragione di vita. Non gli restava più niente. Non gli importava più di niente.

    Scuotendo il capo, John imprecò. «E va bene, fa’ come vuoi. Chiuditi pure nella tua tana. Ma se vuoi che rimanga qui al ranch, deve restare anche quella ragazza. Hai già fatto scappare le due governanti prima di lei, e questo posto ha bisogno di una bella ripulita se vuoi che qualcuno se lo compri!» John lo fissò per un minuto. Poi alzò le mani in cenno di resa e si avviò alla porta.

    Mark corrugò la fronte, pensando all’ultimatum dell’unico vero amico rimastogli. Davvero sarebbe andato via? «John» lo chiamò, un attimo prima che uscisse. Si costrinse a sollevare gli occhi per incrociare il suo sguardo amareggiato. «Va bene. Dille che può pure tornare.»

    Audrey crollò sul letto, spossata. Aveva passato tutto il giorno a scrostare le piastrelle della cucina e i muscoli delle braccia, poco abituati a quel genere di allenamento, le si erano intorpiditi. Ma non era questo a tenerla sveglia.

    Il suo mito, il protagonista delle sue fantasie più romantiche, era miseramente crollato. Se scrivere quell’articolo non fosse stato così importante, avrebbe rifatto le valige e se ne sarebbe tornata di corsa a Dallas.

    Era arrivata al Double M, quella mattina, immaginando di immergersi totalmente nella classica scenografia da film western; invece l’interno della casa assomigliava più a un saloon di infimo ordine. In ogni stanza regnava un odore ripugnante, un misto di cibi avariati, di birra e di fumo. In cucina, sul tavolo, aveva trovato una pila di piatti sporchi, portacenere colmi, bottiglie e lattine di birra vuote.

    Rotolò su un fianco e abbracciò il cuscino. Le riusciva difficile credere che quell’ubriacone screanzato e il giovane cowboy che l’aveva aiutata anni prima fossero la stessa persona.

    Chiuse gli occhi, richiamando alla mente il loro primissimo incontro.

    Lei si era appartata nella scuderia, per scrivere un articolo destinato al giornale della scuola.

    «Ehi, cicciona, hai sbagliato indirizzo! Il porcile è da quella parte!» La battuta feroce venne accompagnata da una risata sguaiata.

    Audrey sobbalzò, riconoscendo lo stesso gruppetto di ragazzi che l’avevano presa impietosamente in giro nel corso della serata. Raddrizzò le spalle e si alzò, per affrontarli.

    I bulletti avanzavano, ma lei si costrinse a non indietreggiare. «Nessuno vi ha invitati. Andatevene.»

    Il capobanda le venne incontro, con una strana luce negli occhi.

    «E voi, che ci fate qui?» tuonò una voce.

    I ragazzi si voltarono di scatto verso la soglia della scuderia, sulla quale era apparso un uomo muscoloso.

    Audrey trattenne il fiato, riconoscendolo: Mark Malone. Indossava una camicia bianca a maniche lunghe, che gli fasciava il torace mettendo in risalto le spalle, e un paio di jeans blu scuri, profilati di pelle.

    «Fatti gli affari tuoi, amico» rispose il più spavaldo dei ragazzi.

    Lo sguardo tagliente di Mark lo trapassò da parte a parte. Senza dargli il tempo di fiatare ancora, lo afferrò per la camicia con entrambe le mani e lo sollevò di peso, per portarlo all’altezza dei suoi occhi. «Io mi guadagno da vivere restando in sella a tori inferociti. Sai che significa?»

    Il giovane, persa tutta la sua baldanza, scosse appena la testa.

    «Significa che non ho paura di morire. Perciò fatevi sotto, luridi scarafaggi che non siete altro.» Così dicendo Mark mollò la presa lasciando cadere il ragazzo che barcollò all’indietro, prima di ritrovare l’equilibrio. I cinque si scambiarono uno sguardo di intesa e partirono a razzo, verso l’uscita.

    «Tutto bene?» chiese Mark, avvicinandosi ad Audrey. Lo Stetson nero calato sul viso lasciava scoperto il mento squadrato.

    Audrey trattenne il fiato mentre alzava lo sguardo incrociando un paio di profondi occhi azzurri.

    Lui le porse una mano. «Stai tranquilla. Non ti daranno più fastidio.»

    Quando trovò il coraggio di stringere quella mano grande e callosa, Audrey si sentì percorrere da una sorta di scarica elettrica.

    «Andiamo. Ti riaccompagno al Coliseum.» Uscirono. «Quanti anni hai?»

    «Sedici.» Troppo giovane per quella stella nascente del rodeo, che ne aveva venti. «Grazie per essere intervenuto.»

    «Non è a questo che servono gli eroi?»

    Audrey credette di intercettare una nota di sarcasmo in quell’uscita e si arrestò sui suoi passi. Guardandolo, gli lesse in viso un’espressione stanca. Quasi disillusa.

    Mark le strinse un braccio, trasmettendole un calore che la pervase completamente. «Andiamo. Si sta facendo tardi...»

    «Mark, eccoti qua! Ma dove ti eri cacciato?» Una voce squillante li bloccò. «Dovevamo fare un salto da Billy, ricordi?»

    Mark si staccò da Audrey e si guardò alle spalle. Un attimo dopo, venivano raggiunti da una spumeggiante ragazza bruna. Tornò a guardare Audrey. «Sicura di stare bene?» Vedendola annuire, le rivolse un sorriso rassicurante; quindi si voltò e si allontanò assieme all’altra ragazza.

    Ripensava spesso a quell’episodio.

    Ma a volte, lavorando

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