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Intrigo milionario: Harmony Destiny
Intrigo milionario: Harmony Destiny
Intrigo milionario: Harmony Destiny
E-book166 pagine2 ore

Intrigo milionario: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Per il milionario RJ Kincaid si prospettano tempi duri. Non solo deve difendere l'azienda dallo scandalo che ha travolto la sua famiglia, arginando i pettegolezzi che ormai imperversano in tutta Charleston, ma deve anche scagionare la madre da un'accusa pesante. Per fortuna che al suo fianco c'è Brooke Nichols, la sua affascinante segretaria, pronta a fare di tutto pur di aiutarlo. Però, sarà disposta a condividere con lui qualcosa di più di una semplice scrivania? A RJ non resta che un modo per scoprirlo, e bacio dopo bacio la condurrà inesorabilmente in camera da letto.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2018
ISBN9788858979884
Intrigo milionario: Harmony Destiny
Autore

Jennifer Lewis

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Intrigo milionario - Jennifer Lewis

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Behind Boardroom Doors

    Harlequin Desire

    © 2012 Harlequin Books S.A.

    Traduzione di Rita Pierangeli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-988-4

    1

    «C’è un lato positivo in questa situazione» tuonò RJ Kincaid, infuriato, sbattendo il telefono sul tavolo della sala riunioni.

    «Quale sarebbe?» Brooke Nichols fissò il suo capo.

    «Adesso sappiamo che le cose non possono andar peggio di così.» A RJ lampeggiavano gli occhi mentre si protendeva sulla sedia. Gli altri membri dello staff presenti alla riunione stavano seduti rigidi come statue. «Le mie telefonate all’ufficio del pubblico ministero, alla polizia, al giudice, al senatore dello stato... sono state tutte ignorate.»

    Si alzò e fece il giro del tavolo. «La famiglia Kincaid è sotto assedio e ci stanno sparando addosso da tutte le parti.» Alto e imponente, con lineamenti marcati, capelli scuri e occhi color azzurro ardesia, RJ sembrava un generale che si apprestava a dar battaglia. «E mia madre, Elizabeth Winthrop Kincaid, la donna più buona di Charleston, passerà la notte dietro le sbarre come una comune criminale.»

    Quando si lanciò in una serie di imprecazioni, Brooke si fece piccola nella sua sedia. Lavorava per RJ da cinque anni e non l’aveva mai visto in quello stato. Di solito era l’uomo più controllato e bonario della terra, che non si alterava mai, nemmeno durante le trattative più combattute, aveva sempre tempo per tutti e prendeva la vita con leggerezza.

    Naturalmente, tutto questo prima dell’omicidio di suo padre e la rivelazione che la sua esistenza di privilegi e diritti era basata sulle menzogne.

    RJ si avvicinò al fratello, Matthew. «Tu sei il direttore responsabile per l’acquisizione di nuovi contratti... ci sono nuovi contratti?»

    Matthew inspirò. Conoscevano entrambi la risposta. Perfino alcuni dei loro clienti più fedeli li avevano abbandonati dopo lo scandalo. «Abbiamo Larrimore, un nuovo cliente.»

    «Già, suppongo che siamo costretti a riporre su questa nuova acquisizione tutte le nostre speranze. Greg, come sta la contabilità?» RJ si avvicinò con pochi lunghi passi al responsabile amministrativo, che per un attimo temette che l’avrebbe afferrato per il collo.

    Il mite Greg si rannicchiò sulla sua sedia. «Come tu sai, incontriamo delle difficoltà.... »

    «Difficoltà!» lo interruppe RJ, sollevando le mani in aria in un gesto drammatico. «La tua è una visione troppo negativa. Una difficoltà è un’opportunità per crescere, un momento per riprendersi e afferrare l’occasione.»

    Girò sui tacchi e riattraversò la sala. Tutti si erano irrigiditi sulle rispettive sedie, probabilmente pregando di essere risparmiati.

    «Ma quello che vedo qui è un’azienda sull’orlo del baratro.» RJ si passò una mano nei folti capelli neri. La collera gli induriva i bei lineamenti. «Voi tutti ve ne state qui seduti prendendo appunti come se foste a un garden party. Alzatevi, uscite da qui e fate qualcosa, per amore di Cristo!»

    Nessuno si mosse. Brooke si alzò dalla sua sedia, incapace di trattenersi. «Ehm... » Doveva portarlo fuori da lì. Si stava comportando come uno fuori di testa, e se avesse continuato su quel tono, si sarebbe danneggiato in modo permanente.

    «Sì, Brooke?» RJ si voltò ad affrontarla, sollevando un sopracciglio. I loro sguardi si incontrarono e lei provò una scarica di adrenalina.

    «Devo parlarti, fuori.» Brooke prese il suo portatile e si diresse alla porta, con il cuore che batteva forte. Dato il suo attuale umore, c’era la probabilità che lui la licenziasse sui due piedi, ma sarebbe venuta meno ai suoi doveri se gli avesse permesso di insultare e bistrattare impiegati che erano già sotto stress, e non certo per colpa loro.

    «Sono sicuro che possiamo rimandare» replicò lui, indicando i presenti.

    «Un minuto solo. Per favore.» Brooke proseguì verso la porta, sperando che lui la seguisse.

    «A quanto pare, il bisogno che la mia assistente ha di consultarsi con me in privato è più urgente dell’imminente collasso del Kincaid Group, e del fatto che mia madre sia in carcere. Dal momento che la giornata sta per finire, sono sicuro che anche voi avete di meglio da fare. La riunione è sciolta.»

    RJ raggiunse la porta in tempo per tenergliela aperta. Un’ondata di desiderio si scatenò in lei mentre gli passava accanto, quasi sfiorandogli il braccio con il proprio. Lui richiuse la porta e la seguì fuori dalla stanza. Nel silenzio del corridoio, Brooke fu sul punto di perdersi d’animo. «Nel tuo ufficio, per favore.»

    «Non ho tempo da perdere. Mia madre si trova in carcere, nel caso che tu te ne sia dimenticata.»

    Brooke si disse di tenere a mente che i suoi modi rudi erano dovuti a uno stress eccezionale. «Credimi. È importante» disse, sorprendendo se stessa per il tono fermo della propria voce. Lo precedette nell’ampio ufficio con vista sul porto di Charleston. «Entra.»

    RJ avanzò nella stanza, quindi incrociò le braccia. «Soddisfatta?»

    «Siediti.» Brooke chiuse la porta a chiave.

    «Come?»

    «Sul divano» gli ingiunse lei, indicandoglielo, e quasi arrossì per come suonavano le sue parole mentre lo pronunciava, ma la situazione era grave. «Ti verserò un whisky e tu lo berrai.»

    RJ non si mosse. «Hai perso l’uso della ragione?»

    «No, ma è quello che sta capitando a te, perciò devi fare un passo indietro e prendere un respiro profondo prima di danneggiare la tua reputazione. Non puoi parlare agli impiegati in quel modo, a prescindere dalle circostanze. Adesso, siediti.» Brooke indicò di nuovo il divano.

    Stordito, RJ vi si lasciò cadere sopra.

    Con mani tremanti, lei versò tre dita di whisky in un bicchiere di cristallo. Sembrava davvero che stesse andando tutto a rotoli per RJ. Fino a quel momento, aveva affrontato ogni batosta con calma, ma si sarebbe detto che fosse arrivato al punto di rottura.

    Le loro dita si sfiorarono quando gli porse il bicchiere, e lei si maledisse per essere così sensibile quando era vicina a quell’uomo. «Ecco, questo ti calmerà i nervi.»

    «I miei nervi stanno benissimo.» RJ bevve un sorso. «È tutto il resto che è incasinato. La polizia non può credere che mia madre abbia ucciso mio padre!»

    Bevve un altro sorso, così generoso che Brooke trasalì. Le si strinse il cuore vedendo l’espressione addolorata sul suo bel volto. «Sappiamo entrambi che è impossibile, e lo capiranno anche loro.»

    «Davvero?» RJ la sbirciò inarcando un sopracciglio. «E se non accadesse? E se questa fosse per lei la prima di molte lunghe notti dietro le sbarre?» Rabbrividì e bevve un altro sorso. «Mi uccide sapere di non poterla proteggere.»

    «Lo so. Inoltre, stai ancora piangendo la morte di tuo padre.»

    «Non solo la sua morte in senso letterale» disse RJ, fissando il pavimento. «La morte di tutto quello che credevo di sapere su di lui.»

    Lei e RJ non avevano mai discusso le scandalose rivelazioni sulla famiglia Kincaid, ma erano entrambi consapevoli che lei era al corrente di tutti i particolari come, del resto, chiunque altro a Charleston. Erano stati sbandierati sulla stampa locale ogni giorno dall’omicidio di suo padre, avvenuto il 30 dicembre. Adesso si era a marzo.

    «Un’altra famiglia.» RJ ringhiò le parole come se fossero un’imprecazione. «Un altro figlio, nato prima di me.» Scosse la testa. «Per tutta la vita sono stato Reginald Kincaid, Junior. Figlio orgoglioso ed erede, e tutto quello che volevo fare era seguire le orme di mio padre. Non avrei mai immaginato che avesse potuto tradirci cosi, andando a letto con un’altra donna e crescendo perfino i suoi figli.»

    Alzò la testa e il suo sguardo era così colmo di dolore da toglierle il fiato. La uccideva vederlo soffrire in quel modo. Se soltanto avesse potuto aiutarlo!

    «Mi dispiace molto» fu tutto quello che riuscì a dire. «Sono sicura che ti amava. Glielo si leggeva in faccia quando ti guardava.» Brooke deglutì. «Scommetto che desiderava che le cose fossero diverse, e che avesse potuto dirtelo prima di morire.»

    «Aveva tutto il tempo per dirmelo. Ho trentasei anni, per amor del cielo. Stava aspettando che ne compissi cinquanta?» RJ si alzò e attraversò la stanza, facendo schizzare whisky dal bicchiere. «È questo che mi fa più male. Che non si sia confidato con me. Tutto il tempo che abbiamo passato insieme, tutte le lunghe ore passate a caccia o a pesca. Parlavamo di tutto... tranne che lui viveva nella menzogna.»

    RJ tirò la cravatta agganciandola con un dito e allentò il colletto. I recenti avvenimenti gli avevano conferito un’aria seria che non aveva mai avuto prima. La tensione gli induriva i bei lineamenti e le larghe spalle sembravano reggere il peso del mondo.

    Brooke moriva dal desiderio di prenderlo tra le braccia per rassicurarlo. Ma non sarebbe stata una buona idea. «Stai facendo un ottimo lavoro per tenere unita la famiglia e l’azienda a galla.»

    «A galla!» RJ scoppiò in una risata aspra. «Sarebbe un vero problema se una società di spedizioni via mare non riuscisse a restare a galla.» Per un secondo, nei suoi occhi brillò un lampo di ilarità. «Ma al ritmo con cui stiamo perdendo i clienti, finiremo a pancia all’aria nella baia prima della fine dell’anno, se non riesco a capovolgere la situazione. Per ogni nuovo cliente che Matthew ci procura, ne perdiamo due di quelli vecchi. E non ho nemmeno mano libera nella gestione dell’azienda. Mio padre, nella sua infinita saggezza, ha ritenuto opportuno dare al suo figlio illegittimo il quarantacinque percento dell’azienda, lasciando a me un misero nove percento.»

    Brooke trasalì. Quella sembrava la più crudele delle decisioni. Da quando aveva cominciato a lavorare per lui, RJ aveva dedicato tutta la sua vita al Kincaid Group. Ne era stato vice presidente quasi da quando aveva lasciato il college e tutti – lui compreso – erano convinti che un giorno ne sarebbe stato presidente e amministratore delegato. «Suppongo che l’abbia fatto perché si sentiva in colpa per aver tenuto segreta l’esistenza di Jack per tutti questi anni.»

    «E farebbe bene.» RJ riattraversò la stanza e bevve un altro sorso di whisky. «Tranne che, a quanto pare, non ha pensato quanto dolore avrebbe procurato a noialtri. Nemmeno noi cinque Kincaid messi insieme abbiamo la maggioranza. Il dieci percento delle azioni è di proprietà di una persona misteriosa che non riusciamo a trovare. Se Jack Sinclair conquista il controllo su quel dieci percento mancante, potrà decidere come gestire il Kincaid Group, e noi dovremo adeguarci oppure andarcene. Sono seriamente tentato di optare per la seconda ipotesi.»

    «Lasceresti l’azienda?» Brooke non riusciva a crederci. Pensieri egoistici per la perdita del proprio lavoro prevalsero quasi sulla preoccupazione per RJ.

    «Perché no? Non posso dirigerla. Sono solo uno dei tanti ingranaggi della macchina. Non è per questo che mio padre mi ha addestrato, o quello che io voglio per me stesso.» RJ sbatté il bicchiere vuoto sul tavolo. «Forse me ne andrò da Charleston per sempre.»

    «Calmati, RJ.» Brooke versò altre tre dita di whisky nel bicchiere. In quel momento le sembrava una buona idea fare in modo che fosse così ubriaco da non poter andare da nessuna parte. «Siamo ancora agli inizi. Nessuno deciderà niente fino alla riunione degli azionisti e, fino ad allora, contano tutti su di te per pilotare la nave in acque burrascose.»

    «Adoro il tuo linguaggio nautico.» Lui le scoccò un sorriso ironico mentre prendeva il bicchiere. «Sapevo che c’era un buon motivo se ti avevo assunto.»

    «Quello, e la mia perizia di dattilografa.»

    «Dattilografa... bah. Tu potresti dirigere questa compagnia se lo volessi. Non sei soltanto organizzata ed efficiente, sei anche brava con la gente. Oggi sei riuscita a trattenermi sull’orlo del disastro, e te ne sono grato.» RJ bevve un altro sorso. Il whisky stava facendo effetto. Lo sconforto e la rabbia non erano più così esplosivi.

    Brooke pensò che quello non era il momento giusto per alludere al fatto che lei si era proposta per un incarico dirigenziale e l’avevano bocciata. Non sapeva se dietro c’era RJ, o se lui non ne era nemmeno al corrente.

    «Non volevo che sconvolgessi la gente più di quanto lo è già. Abbiamo tutti i nervi a

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