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Morso d'amore (eLit): eLit
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E-book303 pagine4 ore

Morso d'amore (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Wings in the night 11

Prima di unirsi a Reaper per dare la caccia a Gregor e alla sua banda di perversi succhiasangue, Topaz aveva un solo obiettivo: vendicarsi di Jack Heart, il bellissimo truffatore che si era insinuato nel suo letto, nel suo cuore e nel suo conto in banca, portandole via mezzo milione di dollari per poi svanire senza una parola. Non avrebbe mai immaginato che si sarebbero ritrovati a combattere per la stessa causa, né che lui si sarebbe offerto di aiutarla a risolvere il mistero che la ossessiona da tutta la vita, mortale e immortale. La prospettiva è intrigante, perché Jack è più affascinante e sexy che mai, ma... che cosa ci guadagna ad aiutarla? Topaz è certa che abbia in mente qualcosa, e mentre la passione divampa e i retroscena si fanno sempre più scottanti, a poco a poco i suoi sospetti acquistano maggiore concretezza...
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2018
ISBN9788858990179
Morso d'amore (eLit): eLit
Autore

Maggie Shayne

RITA Award winning, New York Times bestselling author Maggie Shayne has published over 50 novels, including mini-series Wings in the Night (vampires), Secrets of Shadow Falls (suspense) and The Portal (witchcraft). A Wiccan High Priestess, tarot reader, advice columnist and former soap opera writer, Maggie lives in Cortland County, NY, with soulmate Lance and their furry family.

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    Anteprima del libro

    Morso d'amore (eLit) - Maggie Shayne

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Lover’s Bite

    Mira Books

    © 2008 Margaret Benson

    Traduzione di Elena Rossi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-017-9

    1

    Mirabella DuFrane uscì dalla villa in mattoni rossi di fronte alla spiaggia come se fluttuasse invece di camminare. L’abito aderente – motivi cachemire, scollatura vertiginosa, spacco che arrivava fino all’anca – fasciava le curve perfette, nonostante avesse partorito solo tre mesi prima. Nessuno l’avrebbe detto, guardandola.

    Le congetture sull’identità del padre della bambina si sprecavano ma nessuno tranne lei conosceva la verità. E Mirabella taceva, aumentando ancora di più il fascino misterioso della stella più luminosa di Hollywood.

    Era la diva del cinema dell’anno. Esotico miscuglio di tratti italiani e ispanici, con pelle ambrata, occhi a mandorla e una figura per cui la maggior parte delle donne avrebbe dato la vita e molti uomini avrebbero ucciso: era perfetta. E il fatto che fosse così sfuggente – non si era mai sposata e giurava che non l’avrebbe mai fatto – non faceva che accrescere il suo charme. Amava raccontare alla stampa che si sentiva uno spirito troppo libero per farsi imbrigliare, che nessun uomo poteva possederla e nemmeno tenerla a lungo per sé. Non si sarebbe mai fatta domare. I rotocalchi le attribuivano un flirt dopo l’altro e nel suo entourage di conquiste rientravano politici, uomini d’affari e attori. Qualsiasi foto di lei in compagnia maschile alimentava i pettegolezzi. Lei non negava né confermava, limitandosi a sorridere in quel modo misterioso e a rispondere alle domande con altre domande quando i reporter gettavano l’esca.

    Questa era Mirabella.

    Eppure c’era qualcos’altro in lei. Qualcosa di fragile e mistico che si mostrava raramente. Giaceva sotto la superficie, come una fragile conchiglia posata sul fondo dell’oceano, sperando che una corrente non la portasse sulla battigia, alla mercé dello sguardo di chiunque.

    Mirabella fluttuò verso la limousine nera che aspettava accanto al marciapiede; l’orlo dell’abito che sfiorava appena la strada creava quell’illusione eterea che tanto amava. I paparazzi accorsero a sciami, tenuti a distanza dalle onnipresenti guardie del corpo dell’attrice.

    Un tempo era insolito che la stampa fosse presente in massa a Santa Luna, ma la piccola cittadina costiera, venticinque miglia a sud di Los Angeles, era diventata un rifugio per ricchi e famosi. Troppo costosa per la gente comune, troppo isolata per gli ammiratori, era il luogo preferito dalle celebrità per una rapida fuga, quando non c’era il tempo per un vero viaggio. Mirabella era stata invitata a un party esclusivo nella villa conosciuta come Avalon. Il nome altisonante e un po’ pretenzioso le era stato dato dai proprietari precedenti, una coppia di Hollywood che aveva raggiunto l’apice negli anni Cinquanta, prima di ritirarsi lì. Il ballo di Avalon era diventato un evento annuale e la crème di Hollywood faceva a gara per essere sulla lista degli ospiti. Dato che parteciparvi era uno status symbol, nessuno si lamentava troppo della stampa.

    Le macchine fotografiche mandavano lampi nella notte mentre Mirabella percorreva il vialetto fino all’auto in attesa, sorridendo e salutando con la mano.

    Poi ci furono tre flash di diverso tipo. Il sorriso si congelò sul volto di Bella mentre il suo corpo sussultava in perfetta sincronia con quelle esplosioni luminose. Le ciglia calarono sugli occhi color cioccolato mentre abbassava lo sguardo. Fiori di sangue sbocciarono al rallentatore sul davanti dell’abito d’alta moda, come in una finzione hollywoodiana di un trip in acido. Bella rialzò il capo, facendo tintinnare i grandi cerchi d’oro alle orecchie. Sollevò una mano come per chiedere aiuto, poi chiuse gli occhi sottolineati dall’eyeliner, si ripiegò su se stessa e si afflosciò sul marciapiede con grazia, nonostante i tre proiettili nell’addome.

    I reporter accorsero in massa mentre le guardie del corpo cercavano di trattenerli. I poliziotti incaricati di controllare la folla si fecero avanti per prestare i primi soccorsi e, nel giro di un minuto, risuonarono le sirene di altre auto della polizia e quelle di un’ambulanza.

    «Era ormai troppo tardi per salvare Mirabella DuFrane» disse una voce maschile vagamente familiare.

    Un presentatore televisivo in pensione, pensò Jack Heart, passato a fare la voce narrante nei documentari dopo essere stato sostituito da qualcuno più giovane al notiziario. Non riusciva a ricordare il suo nome.

    «Morì quella notte stessa in ospedale. Ma la nostra storia non finisce qui. Il corpo della star venne trafugato dall’obitorio dell’ospedale e fino a oggi non è mai stato ritrovato, nonostante i numerosi avvistamenti segnalati negli anni successivi. E l’omicidio? Non fu mai risolto.»

    Qualcuno bussò alla porta della stanza del motel. Jack alzò lo sguardo, irritato dall’interruzione. Poi sentì chi c’era dall’altra parte. Topaz.

    Scattando in piedi, fece uscire il DVD dal lettore portatile e lo rimise nella custodia che riportava l’immagine di Mirabella e il titolo Morte di una dea: la storia di Mirabella DuFrane. «Un attimo.» Infilò rapidamente il documentario nello zaino, chiuse la zip e lo gettò nell’armadio. «Vieni, Topaz» disse, aprendo la porta.

    Lei entrò e, per un istante, lo sguardo di Jack rimase incatenato al suo viso. La somiglianza era sottile, ma si notava nella delicata struttura ossea, negli zigomi, nella linea della mascella, persino nelle sopracciglia. La pelle era leggermente più chiara e le radici etniche non erano così evidenti come lo erano state nella madre. Ma la sua bellezza era altrettanto folgorante.

    No, di più.

    «Che cos’hai da guardare?»

    «Stavo solo pensando che è un peccato che l’interno non corrisponda all’esterno.»

    «Oh, adesso sono io a fingere di essere quella che non sono? Se ben ricordo, eri tu che mi dichiaravi eterna devozione prima di sparire con mezzo milione dei miei sudati guadagni.»

    «Ereditare non è guadagnare.»

    «Lo è stato, nel mio caso.» Socchiuse gli occhi. «E tu come fai a saperlo, comunque?»

    Jack distolse lo sguardo. Topaz credeva che nessuno dei suoi amici vampiri conoscesse la sua identità da viva. E forse era davvero così... Ma Jack sapeva, ora.

    «Ho tirato a indovinare» mormorò.

    «Be’, non credo che l’altra metà dei miei soldi ti sia apparsa nel sonno, vero?»

    «Ti ho ridato la metà che avevo. Te l’ho detto: il resto ce l’ha Gregor. Troverò un modo per ridartelo, non appena riusciremo a rintracciarlo. Te lo prometto.»

    «Purtroppo so bene quanto valgono le tue promesse, Jack.» Topaz si strinse nelle spalle. «E quanto a rintracciare il tuo ex capo, sono piuttosto sicura che siamo arrivati a un punto morto.»

    «Che cosa vuoi dire?»

    «Dico che se n’è andato. Reaper ha convocato una riunione tra un’ora. Mi aspetto che sciolga la gang e che ci rimandi ognuno per la sua strada. Almeno fino a quando non avrà qualche informazione su Gregor.»

    Mentre parlava, Jack fece scorrere lo sguardo su di lei, ascoltando a malapena le parole, intento a seguire le sue curve con gli occhi. Jeans attillati, minuscola camicetta di seta che si tendeva sul seno. Mentre li fissava, i capezzoli si inturgidirono, quasi avvertissero il suo sguardo come un contatto fisico. Si avvicinò.

    Lei si irrigidì, con gli occhi castani diffidenti e vigili, ma non si mosse. No, era troppo orgogliosa per farlo.

    «Ho mantenuto alcune delle mie promesse...» disse, sfiorandole la guancia con un dito. «Quando ho giurato che ti avrei fatta gridare, che avrei suonato il tuo corpo come nessun altro saprebbe fare. Ho tenuto fede alle mie parole, Topaz.»

    La vide chiudere gli occhi mentre un lungo sospiro le sfuggiva dalle labbra.

    Si chinò fino a un soffio dalla sua bocca e mormorò: «E se resti qui intorno ancora per un po’, lo farò ancora».

    Avvertì la reazione del suo corpo. Sentì l’attrazione, il desiderio. Li udì nell’incertezza della sua voce, li vide nel modo in cui le tremavano le labbra, mentre anche lui chiudeva gli occhi e si faceva più vicino, in procinto di baciarla.

    «Potrei farlo. Oppure potrei spararmi e poi tagliarmi le vene» mormorò.

    Jack aggrottò la fronte e aprì gli occhi. Quelli di Topaz sembravano imprigionati in uno strato di ghiaccio. Uno strato che nascondeva un tumulto di emozioni, ne era sicuro.

    «Ti odio, Jack.»

    «Mi vuoi» affermò, prendendo le distanze.

    «Una cosa non nega l’altra.»

    «Okay. Va bene. Chiamami quando inizierà la riunione.»

    Arretrò ancora di un passo, più che altro per trovare sollievo. Sì, quella donna era stata soltanto un bersaglio, una pedina da sfruttare, ma era l’unica che avesse mai rimpianto. La desiderava come non aveva mai desiderato nessun’altra. Ed era determinato a liberarsi una volta per tutte di quella ossessione.

    «Perché sei qui, Topaz?»

    «Per darti questo.» Prese un foglio dalla tasca dei jeans e glielo tese. «E per dirti addio.»

    Jack lo spiegò, intravide un indirizzo e riportò lo sguardo su di lei. «Stai andando da qualche parte?»

    «Vado lì» rispose, indicando il foglio che teneva in mano.

    «E non potevi partire senza venire a dirmi addio e farmi sapere dove potrei trovarti, nel caso...»

    «Nel caso tu riesca a mantenere una promessa per la prima volta nella tua vita e a restituirmi il resto del mio denaro. Volevo farti sapere dove inviarlo. E sarà meglio che lo faccia, Jack. Perché se non mi avrai ridato tutto prima che concluda i miei affari in California, verrò a cercarti e ti farò del male. E non nel senso buono del termine.»

    Girò sui talloni e mise la mano sulla maniglia della porta.

    Jack le afferrò una spalla e la fece voltare verso di sé. «Sono tutte stronzate e lo sai bene. Non potevi partire senza dirmi addio perché provi ancora qualcosa per me.» Le fece scivolare il braccio intorno alla vita, posando il palmo sui glutei, e l’attirò a sé. «Ammettilo.»

    «Oh, provo ancora qualcosa per te, d’accordo» sbottò. «Disprezzo. Disgusto. Rabbia.»

    «Passione. Desiderio.»

    «Desiderio di ucciderti.»

    Quando premette i fianchi contro di lei, chiuse gli occhi, incapace di nascondere il brivido che la percorse. «Stai indietro, Jack.»

    Lui la lasciò andare, scrutandola in viso in cerca della conferma che provava ancora la sua stessa passione ma, prima che potesse trovarla, Topaz era uscita dalla stanza sbattendo la porta.

    Sospirando, Jack si passò una mano tra i capelli, in preda alla frustrazione. Poi la ragione ebbe il sopravvento e si accostò alla porta per guardare attraverso lo spioncino.

    Topaz era lì davanti, la testa china e le mani premute sulle tempie, come se stesse sopprimendo il bisogno di urlare.

    Quello che non sapeva era se fosse per la collera o per il desiderio. Diavolo.

    Si chiese se fosse davvero in partenza. Per allontanarsi da lui, ci avrebbe scommesso. Ma perché andare fino in Califor...

    Si voltò lentamente, fissando la porta chiusa ma vedendo con gli occhi della mente frammenti del film che stava guardando poco prima, accompagnati dalla voce narrante. Rilesse il foglio che gli aveva dato.

    Villa Avalon. Santa Luna, California.

    Santo cielo, stava andando nel luogo in cui era stata uccisa sua madre. Stava cercando di risolvere il mistero più avvincente di Hollywood.

    Può essere pericoloso.

    Forse avrebbe dovuto seguirla. Se solo fosse riuscito a pensare a una scusa plausibile per convincerla. Prendendo lo zaino, lo aprì e frugò all’interno. La borsa con il denaro che aveva giurato di non avere era ancora lì, intatta. Immaginava che prima o poi avrebbe dovuto darglielo, per convincerla della sua sincerità e delle sue buone intenzioni. Le stesse ragioni per cui le aveva restituito la prima metà. Non aveva funzionato del tutto, ma sembrava aver aperto almeno una breccia o due in quel muro di mattoni che Topaz aveva eretto intorno al suo cuore.

    Forse doveva consegnarle anche il resto per conquistare la sua fiducia.

    Probabilmente era solo una perdita di tempo. Ma doveva anche stare appiccicato a uno dei membri della banda, perché questa volta aveva per le mani dei pesci grossi e sapeva che sarebbe stato cruciale rimanere in contatto con Reaper. Attaccarsi a lui come una cozza sarebbe stato troppo scontato, tuttavia. E dato che il gruppo si stava sciogliendo, almeno per il momento, doveva scegliere uno dei membri al quale aggrapparsi. Perché non Topaz?

    Che importanza aveva se avrebbe dovuto restituirle il resto del denaro? Era sicuro che, questa volta, ci fossero in gioco ben più di cinquecentomila dollari.

    Rigirò tra le dita la busta gialla che conteneva le banconote e il DVD e che riportava la scritta: Proprietà della U.S. Central Intelligence Agency. L’aveva trovata nella cassaforte del suo capo, insieme alla metà del denaro di Topaz che aveva dato a Gregor.

    Forse, solo forse, se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe potuto fare buon uso di quello che aveva trovato nella busta e anche tenersi la metà di quanto aveva preso a Topaz con l’inganno.

    A questo pensiero sentì stringere il colletto della camicia e provò un vago malessere allo stomaco. Si schiarì la gola per liberarsi da quelle sensazioni insolite. Il senso di colpa non era altro che energia sprecata.

    Tirò fuori il DVD e si disse che avrebbe dovuto rimetterlo tra gli effetti personali di Topaz prima che notasse la sua mancanza. Se avesse scoperto che aveva frugato tra le sue cose, non sarebbe stata per niente felice di vederlo quando si fosse presentato alla porta della sua casa di fronte all’oceano.

    Dopo aver lasciato la stanza di Jack, Topaz si prese la testa fra le mani e attese che la fame che le aveva invaso le vene e che le aveva causato fremiti in tutto il corpo si placasse. Dio, il bisogno di lui era come una droga.

    Sapeva che Jack non andava bene per lei, eppure lo voleva. Non andava bene per lei e non andava bene per niente. Eppure spasimava per lui. Era un truffatore. Eppure era affamata dei suoi baci. Se fosse ricaduta tra quelle braccia forti, nonostante fosse consapevole di ciò che le aveva fatto, allora era la donna più patetica, più autolesionista, più stupida del pianeta. E lei era determinata a non essere niente di tutto questo.

    «Stai bene?»

    Sollevò il capo e incontrò lo sguardo di Roxy, la donna mortale, selvatica, irriverente, dai capelli rossi e dall’età insondabile. L’antigene belladonna presente nel suo sangue, il segno distintivo degli unici esseri umani che avevano il potenziale per diventare vampiri, rendeva improbabile che vivesse così a lungo, ma lei non dava segni di cedimento. Roxy. La persona più affidabile che poteva immaginare. Una delle donne più belle e sensuali di qualsiasi età che avesse mai visto. E probabilmente la più saggia.

    «Ami ancora quello stronzo, vero?» le chiese, fermandosi accanto a lei nel corridoio.

    «Questo farebbe di me una perfetta idiota, e io non sono un’idiota, Roxy.»

    «No, non lo sei. Eppure, non sempre possiamo controllare i sentimenti.»

    «Io, ora, sì. Credevo di essere l’ultima persona al mondo capace di farsi incantare da un truffatore, ed è escluso che possa accadere per la seconda volta, per di più con la stessa persona. Non esiste.»

    «Bene, allora. Non lasciare che ti imbrogli ancora una volta.» Roxy si strinse nelle spalle. «Questo non significa, però, che non possa godertelo.» Guardò verso la porta chiusa. «Diavolo, se non avessi saputo che interessava a te, ci avrei fatto un pensierino anch’io. Naturalmente questo gli avrebbe rovinato il gusto per le altre donne ma, come sai, ci sono cose che non si possono evitare» concluse con una strizzata d’occhio.

    Topaz sorrise, grata per i suoi consigli sempre edificanti. «Sono già tutti nel furgone?»

    «Vixen e Seth sono già saliti; se li conosco bene, stanno facendo sesso sul retro. Raphael sta arrivando. E solo il diavolo sa che cosa ne sia di Briar. Non ho ancora detto a Ilyana della riunione. In realtà, stavo proprio andando ad avvisarla.»

    «Facciamolo insieme.»

    Roxy annuì e insieme percorsero il corridoio del Super 8 Motel, verso la stanza della nuova arrivata. Avevano trovato la donna mortale – una dei Prescelti, come Roxy, anche se molto più giovane – rinchiusa in una gabbia nell’appartamento di Gregor durante il loro ultimo scontro con il vampiro criminale. L’avevano portata in salvo ma lei aveva paura di loro e non c’era da stupirsene, se quel mostro era stata la sua unica esperienza con i non morti. Non aveva detto quasi nulla. Né perché Gregor la tenesse prigioniera, né da quanto tempo. Topaz poteva solo immaginare quello che doveva aver sofferto nelle mani di Gregor, ma sapeva che doveva essere stata un’esperienza peggiore delle pene dell’inferno.

    Roxy bussò un paio di volte. «Ilyana, sono io, Roxy.»

    La porta si aprì e la donna mortale, con i corti capelli biondo platino e gli straordinari occhi blu, fissò entrambe. Il suo sguardo era pieno di un caloroso benvenuto per Roxy, ma quando si posò su Topaz divenne più freddo. «Che cosa volete?» chiese.

    «Riunione di gruppo» annunciò Roxy. «Ci troviamo nel furgone.»

    Ilyana la scrutò in viso, lanciando una rapida occhiata a Topaz ma senza soffermarsi su di lei. Era ancora diffidente. «Rinunciamo a cercare Gregor?» domandò infine.

    «Forse ci prendiamo una pausa. Rinunciare? Mai. Raphael è troppo ostinato per questo» le rispose Roxy.

    Ilyana annuì prima di voltarsi. «Raccolgo le mie cose. Datemi pochi minuti.»

    «Va bene.» Roxy chiuse la porta e prese sotto braccio Topaz. «Sai? Lui è cotto quanto te.»

    «Di chi stai parlando?» ribatté Topaz, fingendo di non capire quello che stava cercando di dirle.

    «Di lui...» Roxy indicò la stanza di Jack, «... e di te.» Puntò l’indice contro di lei. «È pazzo di te, tanto quanto tu lo sei di lui» disse, picchiandole il petto con il dito e muovendo i fianchi avanti e indietro.

    «Ok, ok, ho capito. Basta con le pantomime. Sono raccapriccianti.»

    Roxy aggrottò la fronte. «Di solito gli uomini le trovano sexy, non raccapriccianti, ma immagino che essendo una ragazza...»

    «E ti sbagli. Lui non prova un accidenti per me.»

    «Nemmeno...» Roxy accennò nuovamente un movimento dei fianchi, questa volta in modo più accennato.

    «Be’, quello sì, certo. Voglio dire, chi non lo vorrebbe?»

    «Proprio così.»

    «Ma è solo un fatto fisico. Mi salterebbe addosso se lo lasciassi fare, e ben presto mi deruberebbe ancora e se ne andrebbe.»

    «Allora perché credi che sia qui?» Roxy la fissò negli occhi per un lungo istante, come se si aspettasse una risposta, pur sapendo che era impossibile. «Ha già preso i tuoi soldi» continuò comunque, decisa. «Perché non se n’è andato?»

    «È tornato da me solo quando ha capito che la nostra banda stava per distruggere la sua.»

    «Poteva andare ovunque per sfuggire a Gregor e agli altri delinquenti, Topaz. Non aveva bisogno di unirsi a noi. Credo che dovresti tenerlo a mente.»

    «Probabilmente immaginava che avessi ancora qualche dollaro in banca. O forse stava progettando di imbrogliare uno di voi.»

    Roxy inarcò le sopracciglia e guardò al di sopra della sua spalla, verso la stanza di Jack. «Caspita, potrebbe valerne la pena. Mi chiedo quanto ci sarà al momento sul mio fondo pensione.»

    «Se ci provi ti fotto, Roxy.»

    L’altra le rivolse un sorriso che le arrivò fino alle orecchie. «Non ho di queste tendenze, Topaz. Ma mi complimento con te per i tuoi gusti in fatto di donne.»

    Topaz rilassò la fronte mentre le dava una gomitata nelle costole e tutte e due risero insieme mentre attraversavano il parcheggio deserto del motel verso un furgone convertibile giallo canarino di nome Shirley.

    Jack attese che tutti fossero usciti per raggiungere il furgone prima di scivolare fuori dalla sua stanza e percorrere il corridoio fino a quella di Topaz. Forzò la serratura con i suoi poteri mentali, posando una mano sulla maniglia, l’orecchio al battente e applicando la forza di volontà per far scattare uno dopo l’altro i meccanismi. Poi la aprì ed entrò.

    Topaz aveva già fatto i bagagli e li aveva impilati uno sull’altro. Vi erano almeno una mezza dozzina di borse da viaggio realizzate dai migliori stilisti mondiali. Una singola borsetta valeva una fortuna. Che cosa doveva esserle costato un intero set?

    Accidenti, doveva averle lasciato un bel po’ di soldi o non avrebbe potuto permettersi di gettarli in quel modo.

    Guardò con un sospiro le coperte sgualcite e sentì un nodo alla gola. Non aveva rifatto il letto, l’aveva lasciato per la cameriera, insieme a una mancia generosa sul comodino per ringraziarla del disturbo. La coperta era gettata indietro a rivelare una debole traccia del suo corpo sul materasso e l’impronta della testa sul cuscino.

    Dannazione.

    Jack strisciò sul letto per premere il viso nell’incavo lasciato dal corpo di Topaz, inalare il suo profumo e immaginare di essere sdraiato sopra di lei invece che sul suo letto.

    La sua essenza che pervadeva le lenzuola era inebriante.

    Si mise a sedere, si passò le mani tra i capelli e li sfregò con vigore. «Esci di qui, Jack.»

    Era più facile a dirsi che a farsi, ma alla fine riuscì a rotolare giù dal letto e a rimettersi in piedi. Ricordò a se stesso il motivo per cui era venuto lì e il fatto che, probabilmente, gli altri lo stavano aspettando nel furgone; avrebbero potuto mandare qualcuno a cercarlo da un momento all’altro. Bene, allora. Fece scivolare il DVD in una delle borse e uscì dalla stanza, assicurandosi di lasciare la porta chiusa.

    Raddrizzò la spina dorsale, augurandosi che la smania che lo aveva pervaso non gli si leggesse in faccia, poi si disse: E anche se fosse? La voleva, tutto qui. Si trattava solo di un desiderio fisico, sessuale. Passionale. Ecco quello che provava per la bellissima Topaz, conosciuta un tempo come Tanya DuFrane, figlia di una star del cinema.

    Una star del cinema assassinata.

    Raggiunse l’uscita del motel, attraversò il parcheggio e si unì agli altri nel furgone, arrampicandosi dalla portiera laterale aperta e dando uno sguardo d’insieme all’interno. Sui sedili posteriori c’erano Vixen e Seth, così vicini da lasciare spazio sufficiente a un taglialegna; invece c’era solo Ilyana. Sui sedili anteriori, Reaper occupava il lato del passeggero e Roxy si era sistemata al volante, come

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