Una storia da raccontare sottovoce
Di Sergio Amato
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Una storia da raccontare sottovoce - Sergio Amato
Sergio Amato
Una storia da raccontare sottovoce
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Indice dei contenuti
Prologo
Stasimi
Epilogo
Appendice
Canto epico-mimico in ben trentuno stasimi
composto e corredato d’un prologo, d’un epilogo
e d’un’utilissima appendice
da
SERGIO AMATO
Può il batter d’ali d’una farfalla in Brasile
provocare un tornado in Texas?
(Edward Lorenz, 1972)
Prologo
Laggiù, dove l’acque gelide e fluscenti del Sicanto, discendendo intrepide e argentine per traverso le strettezze della Valle Isàurica, si gettano nel placido e indolente gomito del Goglio, per affrettarne l’andito suo pigro fino al mare;
laggiù, dove i rocciosi picchi e i frasti monti dell’Ardengo si allungistendono in sinuosi clivi e colli e calicelli, che, mentre languida la brezza li addolesce, ansiosi corrono a mirarsi nello specchio ausente del gran fiume, arrotondandosi in ridenti e lime sponde;
laggiù, dove tra rovi, listri e pàgoli odorosi all’imbrunire frénula la bigia olastra, quasi volesse così avvertire il gòzzolo dall’iriscente coda, che ravola tra i sassi in cerca d’uvi, che un ghémaro è acquattato all’ombra di un nascenzio, pronto a balzare, unghiuto predatore;
laggiù, dove narra il bardo che in antiquo gli avidi Visgundi, forti in sella, varcando il segnato limite dei padri, si unirono alle genti d’Urimondo, abili nell’arco e nel frombone, per dirre avverso al debole re Scandrio, signore dei Volonghi e d’Elicona;
laggiù, dove un anonimo troviere cantò in alterne rime che Pafnozia bagnede un dì d’afoso messidoro le membra sue leggiadre, ignorescendo che da dietro il fusto d’una sicumera il venerando Scoto la guardava, onde ne concettò il santo eremita essere giunto alfine in paradiso, talché, per non deluderlo d’apporto, Iddio lo chiamò a sé subitamente;
laggiù, dicevamo, v’era del tempo addietro – e v’è tuttora – un querce che dire ultracentenario è dire meno assai di poco, talmente lato, augusto e prepossente che, infra gli alberi disparti intorno, ei rassembrava a un falco ammezzo a canarini; e sotto a questo segnalato exemplum di vigoria botanica, nel càveo, protettivo, oscuro anfratto d’ìntriche radici, regnava indisturbato un alveare di dimensioni degne del suo asilo, l’operonzoso popolo del quale in su e in giù per quelle amenità scorribandava.
Stasimi
I
Ora, un mattino d’ersta primavera, per tota precisione un lunedì, alle ore otto trentadue minuti e due secondi Greenwich time plus one, una di quelle alate creaturelle gaia planava a medio-bassa velocivolezza in direzione dei rosati e rugiadosi petali d’un bucindoro; quand’ecco, incredinaspettabilmente, che alle ore otto trentadue minuti e tre secondi, sul bucindoro per l’innanzi detto venne a posarsi, féstula e garrùla, con l’incuranza tipica degli hymenopteri, una collega dell’apìcula di sopra; la quale ultima, pertanto, offesa e stizzentita, fu astretta, con manovra d’emergenza, a devoléttere la rotta preordinata e ripigliare quota immantinente, strezzando e ristrezzando contromano; così facendo, tuttavia, la poveretta non ebbe tempo e modo d’addonarsi che la novella traiettoria suo malgrado impresa s’intoppescava inevitabilmente col verticante stelo d’una sturzia infiorescente a fianco al bucindoro.
II
Il trauma che seguì l’incocciamento fu trascurabile per ambedue – per l’animale e per il vegetale –, senoncheché, per fortuifato caso, in su la pianta involta nell’impatto, o meglio in su un bocciolo di codesta, s’era poc’anzi accoccolato un nero colindrone; il quale, causa il moto oscillatorio innesto nella sturzia iuxta