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Il peso di tutto
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E-book274 pagine3 ore

Il peso di tutto

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Info su questo ebook

Dopo essere stato mollato dal suo ragazzo di lunga data perché sovrappeso, Henry Beckett decide di fare dei cambiamenti drastici. Nel vano tentativo di riconquistarlo, Henry fa la cosa più assurdamente spaventosa che gli viene in mente. Si iscrive in palestra.
Reed Henske è un personal trainer che non è sicuro se sarà mai pronto per uscire di nuovo con qualcuno. È stanco di uomini che sono solo interessati all’apparenza esteriore perfetta e non lo vedono mai per ciò che è davvero. Mentre tortura Henry con cose come dieta ed esercizi, Henry lo conquista con ricette e risate.
Mentre i confini dell’amicizia iniziano a confondersi, Henry è convinto che sia impossibile che Reed, così simile a Thor, possa mai essere interessato a uno come lui. Reed deve solo convincerlo che la vita non riguarda raggiungere il tuo peso ideale. Si tratta di trovare il tuo contrappeso perfetto.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mar 2023
ISBN9791220705295
Il peso di tutto

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    Anteprima del libro

    Il peso di tutto - N.R. Walker

    1

    La maggior parte delle persone non sa dirvi il momento in cui è cambiata la loro vita. Un giorno hanno vent’anni e il mondo ai loro piedi, poi quello dopo sono più vicini ai quaranta e si chiedono dove diavolo sia finita la loro vita. Non c’è nessun contatore dell’età, come in La fuga di Logan, che giudica che hai superato la tua data di scadenza. Non c’è nessuna cerimonia con toghe e cappelli buffi per dire che sei passato dal barrare la casella di una fascia d’età a quella successiva. Ti giri e bang-bum-grazie-tante-cazzo, sei vecchio.

    Beh, più vecchio.

    Ho trentacinque anni. Non mi considero vecchio. Beh, non lo facevo.

    Finché Graham, il mio ragazzo da otto anni e con cui convivevo, non è tornato a casa e mi ha detto che aveva chiuso. Non voleva più trascorrere il suo tempo con un uomo vecchio e sovrappeso. Non ero più divertente. Non mi prendevo più cura di me stesso. Non ero ciò che voleva.

    Ed è stato quello il momento in cui è cambiata la mia vita.

    Tanto per essere chiaro su una cosa, io e il mio ormai ex ragazzo siamo coetanei. E quando mi ha chiamato vecchio, non stava criticando la mia età. Stava lanciando una frecciatina al modo in cui vivevo. Non andavo in discoteca, a correre al parco, non volevo fare escursioni nei fine settimana.

    Passeggiate per prendere un caffè, sì. E weekend in una capanna di legno a leggere libri, a fare tour enogastronomici e cucinare troppo cibo, sì. Preferivo godermi le cose più belle, mentre lui stava evitando i suoi trent’anni come un gatto evita di andare dal veterinario. E a quanto sembrava, ciò mi rendeva vecchio.

    Quindi ho potuto ignorare il commento sull’età, perché mi piaceva quello che mi piaceva. Ma quello sul sovrappeso mi ha colpito duramente.

    Dopo aver superato lo shock causato dalle sue parole e quello di vedere la sua roba imballata in scatoloni e la sua chiave di casa poggiata sul banco della cucina, mi sono reso conto che sì, mi stava lasciando sul serio. Ma lo shock più grosso è arrivato in seguito. Dopo due bottiglie di vino e aver singhiozzato con la mia migliore amica, Anika, sul pavimento del soggiorno ormai perlopiù vuoto, mi sono diretto in bagno. Ubriaco e sopraffatto dalle emozioni, mi sono spogliato con l’intenzione di farmi una doccia. Solo allora mi sono guardato allo specchio e, per la prima volta, mi sono visto.

    E mi sono visto come mi vedeva Graham, e ho capito perché mi aveva lasciato.

    Ero sovrappeso. Sembravo vecchio. Ero un cazzo di disastro.

    Quindi, sì, quello, il punto più basso della mia vita, è stato il giorno in cui è cambiata.

    Due giorni dopo ero in piedi davanti alla palestra di zona, che era a dieci minuti da casa mia e che avevo superato in auto un migliaio di volte, a cercare di decidermi a entrare. Con un respiro profondo e una rinnovata determinazione, varcai le porte e raggiunsi il bancone della reception. Una giovane donna in forma mi rivolse un sorriso smagliante. «Posso aiutarla?»

    «Sì. Mi chiamo Henry Beckett. E mi serve aiuto per riprendermi il mio ragazzo.»

    Lei sbatté le palpebre. «Prego?»

    «La mia vita,» mi corressi in fretta. Ottimo lavoro, Henry, brutto idiota. Annuncia che non hai una vita e che sei gay per rompere il ghiaccio. Sul serio, ecco perché sei single. «Volevo dire, mi serve aiuto per riprendermi la mia vita.»

    Sentii qualcuno ridacchiare accanto a me, mi girai e vidi un uomo stupendo alto un metro e novanta e grosso come un frigorifero che mi sorrideva. Aveva corti capelli biondi, splendidi occhi azzurri e portava una tuta da ginnastica talmente aderente che sembrava dipinta. Tese la mano, e io avevo quasi timore di stringerla per paura che mi frantumasse le dita o qualcosa di simile, ma era calda e ferma. «Mi chiamo Reed. E sei venuto nel posto giusto.»

    2

    Reed. Certo che si chiamava Reed. Sembrava più un Kelvin, nel senso di Kelvinator – perché, sul serio, era grosso come un frigo – però non lo dissi a voce alta. Era come mi immaginavo fossero tutti i maniaci della palestra: non aveva neanche un filo di grasso e irradiava salute e vitalità. La pelle era perfetta, non troppo abbronzata ma in un modo che diceva la mia dieta è più sana della tua. I suoi occhi erano luminosi, il sorriso amichevole, i denti perfettamente dritti. Avrebbe potuto essere il tizio sul poster Benefici di essere in forma e in salute nello studio del dottore che mi faceva sempre alzare gli occhi al cielo.

    «Vieni a sederti,» disse Reed. Prese una tavoletta portablocco dal bancone e fece strada verso uno dei divani della sala d’attesa. Fui costretto a chiedermi perché un posto come quello aveva bisogno di una sala d’attesa, a che scopo? Servivano caffè e torta lì? Speravo di sì, ma dato che era una palestra, pensavo di no. Era abbastanza accogliente, anche se le riviste sul tavolino erano un mix di body building e cucina di cibi insapore.

    Fissai quella in cima, le mie papille gustative debitamente offese. «Hai mai mangiato il cavolo nero?» domandai. «È orribile.»

    Reed sorrise mentre si sedeva. «Non è così male.»

    «Certo. Proprio come una gastroenterite non è così male,» ribattei. «O un’infezione fungina dell’unghia del piede.»

    Si accomodò e mi guardò, chiaramente divertito. «Non sei un fan, suppongo?»

    «Perché mangiare qualcosa che non è così male?» chiesi. «Ho sempre detto che la vita è troppo breve per il caffè cattivo, il cibo scadente e pessime s…» Contai quei punti sulle dita, ma mi bloccai al numero tre, anche se, dal modo in cui Reed sorrise alla tavoletta portablocco, sono piuttosto sicuro che sapesse a quale parola con la S mi stavo riferendo. «Scarpe,» conclusi in modo poco convincente. Ora che ci pensavo, però, le belle scarpe erano piacevoli quanto delle buone scopate.

    Dio, sono davvero un vecchio.

    Mi sedetti sul sofà con un tonfo attutito e un sospiro. Reed lasciò il portablocco in grembo, mi guardò con fare preoccupato e si accigliò. «Chi è Graham?»

    «Che cosa?»

    Sollevò una mano come se stesse fermando il traffico. «Hai appena detto: ed ecco perché Graham mi ha lasciato.»

    Oh, merda. Lo avevo fatto? «Graham… Graham è il nuovo Voldemort. Non diciamo più il suo nome a voce alta.»

    L’espressione preoccupata di Reed si trasformò presto in un sorriso. «Oh.» Annuì saggiamente. «E questo è il Voldemort che rivuoi?»

    «No. Sì. Beh, forse. Temo che per riuscirci ci vorrà più che raccogliere qualche Horcrux. A meno che non si possa definire un Horcrux il correre su un tapis roulant.»

    Reed sbatté le palpebre lentamente. «Un cosa?»

    «Un Horcrux. Sai, da Harry Potter

    Sembrava sinceramente sorpreso. «In effetti non ho mai visto i film né letto i libri. Però so chi è Voldemort.»

    Lo fissai e poi mi sporsi verso di lui come per una questione top secret. La mia voce fu solo un sussurro. «Quindi sei tu quello?»

    «Sono quello cosa?»

    «L’unica persona sul pianeta che non ha visto i film o letto i libri.»

    Reed stavolta rise. «Sì, sono io.» Sempre sorridendo, alzò la tavoletta portablocco. «Qualche domanda per te.»

    Mi poggiai all’indietro e sospirai. «Include una rinuncia casomai io muoia all’improvviso sulla StairMaster? Perché, giusto per la cronaca, probabilmente dovrebbe esserci, perché probabilmente succederà.»

    Ridacchiò proprio quando la donna dietro il bancone lo chiamò e sollevò il ricevitore del telefono. Mi guardò con fare di scuse. «Perdonami, ma è meglio che risponda a quella chiamata. Che ne dici di inserire i tuoi dati personali, e io torno quando hai finito?»

    «Certo,» risposi, prendendo la tavoletta. Le prime domande erano le solite: nome, indirizzo, occupazione, dettagli sull’assicurazione sanitaria privata. Presi in considerazione l’idea di disegnare una piccola mano con il medio alzato accanto alla casella della fascia d’età, però pensai che magari non sarebbe stato adeguatamente maturo vicino al quadratino 35-40. Insomma, sul serio, li avrebbe uccisi avere il criterio di scelta come 30-35? Perché i trentacinquenni dovevano essere raggruppati con i quarantenni?

    In quel preciso momento avrei potuto uccidere Anika. Quando avevo detto alla mia migliore amica fin dai tempi del college che sarei andato in palestra, lei mi aveva risposto che Graham era uno stronzo e che non avevo bisogno di cambiare una virgola di me stesso. Ma non appena si era resa conto che ero irremovibile sul perdere peso, era stata estremamente incoraggiante. Mi aveva detto che era un’idea eccellente! Quando le avevo chiesto di venire e unirsi a me, si era limitata a darmi una pacca sulla mano e a dirmi di non fare l’idiota. Valutai di mettere giù il modulo e tirarmi indietro. Potevo essere a casa con una bottiglia di vino e cibo greco in venti minuti, a crogiolarmi nella mia solitudine e a raccontare ad Anika per telefono il mio sconvolgente incontro ravvicinato con una palestra.

    Però cosa avrei ottenuto? Non volevo essere mai più l’ubriaco sovrappeso che piangeva in bagno.

    Così, con un respiro profondo, compilai il resto del modulo. C’erano altre domande come allergie e infortuni legati allo sport, cosa che mi fece sbuffare perché davano per scontato che io ne avessi praticato davvero qualche tipo nella mia vita.

    «Che c’è di tanto divertente?» chiese Reed. Adesso era in piedi davanti a dove ero seduto; ovviamente aveva finito con la sua telefonata.

    Era così alto che fui costretto ad allungare il collo per guardarlo, e presi brevemente in considerazione l’idea di segnare quello come infortunio. «Beh, le lesioni legate allo sport implicano il prendere parte a qualche tipo di attività fisica. Le uniche maratone che ho fatto sono quelle de Il Trono di Spade e Breaking Bad.» Poi me ne ricordai un’altra. «Oh, e Sex and the City, ma stavo male quella settimana, quindi non conta.»

    Stavolta mi si sedette accanto. «Sei proprio divertente.»

    «Beh, tendo a parlare un sacco. Cioè, quando non sono al lavoro. Conosci quella canzone che dice l’osso del ginocchio è collegato al qualsivoglia osso?» Lui annuì e io sospirai. «Beh, la mia bocca non è collegata al cervello.»

    «Niente filtro?»

    Scossi la testa. «Difetto di nascita. Ne soffro da tutta la vita.»

    Cercò di non sorridere e prese la tavoletta. «Okay, sei pronto per un rapido esame fisico?»

    Impallidii. «Tipo adesso? Oggi? Qui? Con te? Uff, devo esserci per forza?»

    Il suo sorriso era ampio e perfetto. «Servirebbe la tua presenza, sì.» Si alzò e attese che lo seguissi. «Andiamo, da questa parte.»

    Lo accompagnai con riluttanza in quello che pensai fosse un ufficio, ma in realtà era una specie di camera delle torture. C’erano delle bilance e un grafico della Piramide Alimentare sul muro. Sono sicuro che se avessi passato in rassegna il cassetto della scrivania ci sarebbero stati attrezzi orrendamente crudeli come metri a nastro e plicometri.

    «Non c’è bisogno di sembrare tanto spaventato,» disse, facendo scivolare la cartellina sul tavolo.

    «È morto qualcuno qui dentro?»

    Reed rise fragorosamente. «Non che io sappia.»

    «O solo le speranze e i sogni delle persone?»

    Gli tremavano le spalle mentre rideva. «E le anime dei bambini piccoli.»

    Annuii. «Mi sembra plausibile.»

    I suoi occhi erano gentili, e si intonavano al sorriso Colgate. «Okay, prima l’altezza,» disse, facendo un cenno verso la tabella sul muro. Mi livellò la parte superiore della testa con la sua penna e scrisse i risultati. Non che mi aspettassi che la mia altezza fosse cambiata granché. «Un metro e settantotto,» confermò. Prese un metro dal cassetto della scrivania e, non avendo chiaramente alcun problema di spazio personale, mi misurò il petto, la vita, ogni coscia e ciascun bicipite.

    «L’ultima volta che mi hanno preso le misure è stato per il matrimonio di mia sorella,» dissi mentre lui faceva la sua cosa di misurare e scrivere. «Non saprei dirti quali fossero.»

    «Quanto tempo fa è stato?» domandò. «Il matrimonio?»

    «Tre anni fa.»

    «Bello,» commentò educatamente.

    «Mmm, forse. Il completo è durato più del matrimonio, però. Senza dubbio ho fatto l’affare migliore.»

    Lui esitò. «Oh. Mi dispiace.»

    Feci una risatina nasale. «Non preoccuparti. Si è anche fidanzata con un altro da allora, ma ha dato di matto prima del matrimonio. Adesso si è attaccata a un nuovo poveraccio.» Scossi la testa. Volevo bene a mia sorella, però lei trattava il matrimonio come l’arredamento d’interni e cambiava con le stagioni. Ai gay e alle lesbiche non era concesso lo stesso lusso nel nostro Paese, e quello era un punto dolente per me. Se io e Graham avessimo potuto avere il matrimonio che avevamo desiderato un tempo… poi mi ricordai che non avevo più Graham.

    «Sali sulla bilancia per me?» domandò Reed. Ovviamente non era al corrente della caduta in picchiata dei miei pensieri e del mio umore. Con un sospiro riluttante e piuttosto petulante, feci come mi aveva chiesto. «Poi faremo una foto per il tuo prima, e quando arriverai all’obiettivo di peso o al livello di forma fisica che vorresti ottenere, ne possiamo scattare un’altra per il dopo

    Sentii quello che diceva, ma ero bloccato a fissare i numeri sulla bilancia. Di certo erano sbagliati. Le bilance digitali potevano sbagliarsi?

    Reed parlò a voce bassa accanto a me. «Stai bene?»

    Ero senza parole e sconvolto e imbarazzato. «Porca puttana,» mormorai.

    Centoquattordici chili.

    Tre cifre. Centoquattordici cazzo di chili.

    Scesi dalla bilancia, sentendomi stordito e confuso. Non avevo mai avuto quel peso. Pensavo che l’ultima volta che mi ero pesato fosse stata circa dieci anni prima, ed ero ottantacinque chili. Come cazzo ero diventato centoquattordici? E la parte peggiore era che Graham aveva ragione. Ero sovrappeso. Mi ero lasciato andare. Avevo smesso di prendermi cura di me stesso.

    «Cazzo.»

    Reed mi poggiò una mano sul braccio. «Come ho detto, Henry, sei nel posto giusto. Scriveremo degli obiettivi, un piano di allenamento e un programma dietetico. Riavrai indietro la tua vita. E il tuo ragazzo. Ti faremo diventare così bello che lui ti scongiurerà di riprenderlo con te.»

    Annuii passivamente. Ero davvero scioccato. Non avevo una risposta arguta. Non avevo nulla di divertente da dire.

    Reed mi rivolse un sorriso rassicurante e compassionevole. Mi scattò la foto per quella sua stupida cosa del prima, e io non riuscivo a pensare ad altro che a centoquattordici chili.

    Lui mi si mise davanti e mi poggiò le enormi mani sulle spalle. «Henry, guardami.»

    Sbattei le palpebre rapidamente e cercai di scrollarmi di dosso la vergogna. Lo guardai dritto in quei begli occhi, sentendomi in tutto e per tutto come ne La Bella e la Bestia Obesa. «Qui è dove canti È una storia sai, e io ti regalo una biblioteca?»

    Inarcò un sopracciglio e lottò contro un sorriso. «Che cosa?»

    «Lascia perdere.»

    «Sei in grado di fare tutto quello che preparerò per te, e io ti sarò accanto a ogni passo del percorso,» affermò. «Puoi farcela.»

    Mi disse di essere lì alle otto di mattina, pronto a cambiare la mia mentalità, pronto per cambiare la mia vita.

    Tornai a casa confuso. Meditai di chiamare Anika, ma lei mi avrebbe solo risposto che ero perfetto così com’ero, e centoquattordici cazzo di chili non erano d’accordo. Quindi invece mangiai gli avanzi della cheesecake rimasti in frigo, e piansi.

    3

    Essere in palestra alle otto di mattina di domenica era ridicolo. Il fatto che alcune persone stessero già finendo una sessione da un’ora era perfino più folle. Quelle persone perfette dormivano? E, realisticamente, ciò significava che dovevano essere arrivate lì a un certo punto dopo le sei, per iniziare alle sette. Per allenarsi. Di domenica, il giorno in cui di solito dormivo fino a tardi e uscivo per un pigro brunch. Ma allenarsi? Ero preoccupato per il loro benessere psicologico.

    «Ehi, Henry!» mi salutò Reed in tono allegro. «Sono molto contento che tu sia qui.»

    Guardai due donne che se ne andavano, tutte sudate e che ridevano. «Fate valutazioni psicologiche o test di Rorschach su queste persone?» gli chiesi piano. «Perché penso che potrebbero avere qualche problema di salute mentale.»

    Lui gettò la testa all’indietro e rise. «Oh, mi fai morire dal ridere.» Sembrava sinceramente contento, e visto che probabilmente anche lui era lì dalle sei ad allenarsi, mi fece dubitare della sua sanità mentale.

    «Quindi devi essere pazzo per guadagnarti da vivere facendo esercizio?»

    Fece un gran sorriso. «No. Ma aiuta.» Batté le mani. «Ho elaborato un programma di esercizi e dieta per te.» Prese alcuni fogli di carta e mi mostrò prima quello degli esercizi. «Cardio, core training e rafforzamento del corpo saranno gli obiettivi principali delle prime quattro settimane. Inizieremo piano e andremo avanti da lì gradualmente, okay?»

    Annuii in modo cupo.

    «E poi il programma dietetico è piuttosto ampio. Hai detto che il cibo è la tua passione, quindi è importante azzeccare questo aspetto tanto quanto quello degli esercizi, perché se per te non funziona, ci sono più probabilità che molli tutto.»

    «Include il cavolo nero?»

    Sorrise. «Niente cavolo nero.»

    «Bene.»

    «Andiamo, ti mostro cosa ho preparato per te.» Si diresse con passo energico verso una fila di tapis roulant.

    Feci la mia imitazione migliore di David Attenborough. «Ah, moderni eppure arcaici strumenti di tortura nel loro habitat naturale. Non di un tipo particolarmente minaccioso, a meno che tu non sia un trentacinquenne obeso che non corre dal liceo.» Poi mi ricordai che non era proprio vero. «Okay, beh, correre per afferrare un KitchenAid a metà prezzo nei saldi del Boxing Day ¹non conta.»

    Reed mi stava fissando, sempre sorridendo. «Lo hai preso?»

    «Cosa?»

    «Il KitchenAid.»

    «Oh, certo. Adoro cucinare. È la mia passione. E non c’erano chef o nonne abbastanza coraggiosi da mettersi sulla strada di un uomo in missione. Anche se mi sento ancora in colpa per aver dato una gomitata a quella signora. Era più veloce di me; portava scarpe da ginnastica e io indossavo i mocassini della Diesel. Privilegiare lo stile rispetto alla comodità, sai com’è. Ma lasciami dire che non ho più commesso quell’errore in un giorno di saldi.» Reed mi osservò per un lungo istante, come se lo confondessi e lo divertissi in egual misura. «Scusa. Tendo a parlare un sacco. Non molto di quel che dico ha senso.»

    Sul suo viso si disegnò un sorriso lento ma sincero. «Per me ha perfettamente senso. Okay, inizieremo con un po’ di cardio.» Premette alcuni pulsanti sul tapis roulant. «Lo imposterò io per te. Vedi questo?» Ne schiacciò altri mentre guardavo. «Cominceremo con una camminata lenta ma costante, poi diventerà leggermente più rapida, si inclinerà un po’ come se stessi camminando in salita e quindi rallenterà, tornando al tuo ritmo iniziale.» Salii sulla macchina e lui premette il pulsante di avvio. «Tornerò quando avrai finito, okay?»

    Mi lasciò ad allenarmi, raggiungendo qualche altro membro della palestra in forma, dando loro la stessa quantità di tempo attento e professionale che aveva riservato a me. Era bravo nel suo lavoro. Era decisamente un tipo estroverso, e dal modo in cui tutti lo chiamavano per nome e lui faceva altrettanto, immaginai che fosse benvoluto.

    Lo osservai parlare con una signora che stava usando un qualche strumento di tortura per le braccia e poi aiutare un tizio che sollevava dei pesi. Di tanto in tanto lanciava uno sguardo nella mia direzione e sorrideva, mentre io affrontavo ansimando quella che lui aveva definito una passeggiata tranquilla. Gesù, se fossi andato da qualche parte camminando a quel modo, sono certo che sarei morto prima

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