Solo con te: The Heroes Series Vol.3
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Lui era così, lui ti marchiava, lui ti segnava. Lui non si dimenticava - Maci
Capelli scuri perfetti, sorriso da pubblicità, sguardo felice e un lavoro che ama. Jasper Moreira ha tutto, o quasi. Ciò che vuole di più al mondo lo tratta come se non contasse più nulla e come se non bastasse è andata via. Essere un vigile del fuoco è faticoso, ma la consapevolezza di aver salvato vite conta di più. Quando però un intervento non finisce bene, Jasper si perde, permettendo al sesso e all’alcol di distrarlo dal dolore che sente al centro del petto, almeno fino a quando lei non torna e tutto viene messo in discussione.
Modelli, serate, la redazione di un giornale da mandare avanti e New York. Mackenzie Bennett ha tutto, o quasi. Ha lasciato il suo cuore a Miami, dove vivono i suoi migliori amici, dove vive lui. Ha scelto di andarsene per poter ricominciare, nella speranza di poter trovare una persona con cui condividere la propria vita. Sarà costretta a tornare a casa per poter aiutare la persona da cui sperava di poter scappare e si renderà conto che non importa quanto lontano cercherà di andare, il filo sottile che c’è tra loro non si spezzerà.
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Anteprima del libro
Solo con te - Katherine Louise
Solo con te
Questa è un’opera di fantasia.
Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotti dell’immaginazione dell’autore e ogni somiglianza con persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.
Foto: Adobe Stock – Fotolia
Capitolo 1
Maci
Un anno lontano da casa e dagli amici era tanto tempo. Un anno trascorso fra ufficio, locali, modelli e modelle, poi ancora locali e ufficio. Niente di più, niente di meno. Tutti quelli nel mio campo avrebbero fatto qualunque cosa per avere quello che avevo io, per il ruolo di redattrice, per i viaggi oltreoceano, per il lusso. Tutti tranne me. Forse è per questo che appena ricevetti la chiamata delle ragazze impiegai dieci minuti a infilare un po’ di roba nel mio trolley e prendere il primo volo per la Florida. Non stavo pensando alle conseguenze, al fatto che sarebbe regnato il caos al giornale e nemmeno al fatto che stavo per andare dall’unica persona che non sentivo da quando ero partita. Appena l’aereo atterrò a Miami mi sentii già a casa. Presi un taxi e andai dritta dove sapevo che lo avrei trovato. Non conoscevo bene i dettagli, ma sapevo che sia i pompieri che la SWAT, dove lavorava Elijah, mio amico e marito della mia amica Quinn, be’ più o meno suo marito, erano intervenuti nel tentativo di fermare un uomo che minacciava di farsi esplodere nel palazzo dove viveva, se sua moglie e i suoi figli non fossero tornati da lui. Purtroppo non erano riusciti a far evadere tutti e fermare l’uomo, persero la vita numerose persone e tre bambini. Elijah era a pezzi, ma teneva duro, Jasper era devastato. Si era preso una pausa dal lavoro, si rifiutava di uscire e i ragazzi non riuscivano più a parlarci perché lui non era disposto ad ascoltare. Io ero il tentativo in cui speravano, il perché restava un mistero.
Lo odiavo.
Odiavo i suoi capelli scuri sempre perfetti, il suo sguardo felice. Odiavo il suo sorriso da pubblicità, il suo fisico da modello, il suo corpo tatuato, ma soprattutto odiavo me perché notavo tutte quelle cose. Il taxi si fermò davanti quella casa a due piani dove avevo trascorso metà della mia vita.
«Ma perché proprio io?», borbottai scendendo dall’auto. Pagai il tassista e mi avviai verso quella casa. Non parlavo con lui da trecentosettanta due giorni. Bussai alla porta, ma nonostante la luce accesa nessuno venne ad aprire, ci riprovai, alla terza volta persi la pazienza e aprii. Sì, la pazienza non era mai stata una mia virtù. Storsi il naso quando la puzza di chiuso, di alcol e di non so che altro mi raggiunse il naso. «Jasper?», lo chiamai, ma non rispose nessuno. Pregai che non fosse in compagnia, avrei potuto strangolarlo con le mie mani altrimenti. Non che non potesse andare a letto con le altre, figuriamoci, non me ne fregava niente, ma non volevo vederlo con l’uccello infilato dentro la sfortunata di turno. Lo chiamai una seconda volta e poi vidi un corpo sul divano. Era a petto nudo, solo i boxer addosso. Sempre muscoloso, sempre tatuato, più tatuato dell’anno prima. Mi morsi il labbro e mi maledissi in diverse lingue, tre per l’esattezza, le uniche che conoscevo oltre quel poco di portoghese che il deficiente sul divano mi aveva insegnato. Posai la mano sulla sua spalla e lo scrollai. «Svegliati, Jasper», dissi a voce alta. Lentamente gli vidi aprire quei pozzi neri che mi avevano sempre infastidita per il modo che aveva di guardarmi, di scrutarmi, di leggermi. Non erano i soliti occhi, non brillavano, erano spenti, vuoti e iniettati di sangue. Mi guardò attentamente mentre si abituava alla luce.
«Maci?», incrociai le braccia al petto.
«Che diavolo stai facendo?», chiesi. «Cos’è questo porcile? Perché sei in queste condizioni?», si mise a sedere lentamente.
«Se sei qui per rompermi i coglioni quella è la porta». Aveva davvero detto quello che mi sembrava di aver sentito? Mi voltai e individuai una brocca con dell’acqua, andai a prenderla e non appena si girò a guardarmi gliela svuotai in testa.
«Parlami di nuovo in quel modo e la prossima volta questa te la spacco in testa», borbottai infuriata. Mi guardava scioccato. Si alzò passandosi le mani fra i capelli, tirandoli indietro.
«Un anno lontana e sei sempre la solita», sbottò furioso.
«Un anno lontano e sei peggiorato», risposi io. Strinse le labbra. Io non avrei dovuto notarlo, ma invece notai eccome il fatto che l’acqua gli scivolava addosso facendo luccicare i piercing ai capezzoli e vidi anche che gli avevo bagnato i boxer. Lo odiavo, era colpa sua.
«Si può sapere cosa diavolo vuoi?», mi chiese.
«Mi hanno chiamata per dirmi che ti stai comportando come un cretino. Che ti sei preso delle ferie dal lavoro, che non esci più con i nostri amici, che hai allontanato i tuoi fratelli». Spostò lo sguardo quando nominai i suoi fratelli. Lui, Elijah e Ajay non si erano mai considerati amici
, il loro legame era certamente più forte dell’amicizia.
«E quindi? Cosa vuoi?»
«Risolvere questa cosa. Smettila di fare il cretino e riprendi in mano la tua vita. Fai qualcosa», dissi agitando le mani. Fece il giro del divano senza togliermi gli occhi di dosso.
«Tu che mi dici di fare qualcosa della mia vita. Questa sì che è bella», lo guardai torva.
«Non centra niente la mia vita. Io so che fare con la mia vita. Sono una donna in carriera che non si fa abbattere da niente». E nessuno. Fece qualche passo verso di me. Si muoveva lentamente, mi studiava, il suo sguardo saliva lungo le mie gambe nude. Mi sentii esposta, scoperta. Mi sentivo come una preda consapevole di essere spacciata, che sarebbe stata divorata dal suo predatore. Ero un fottuto cerbiatto quando io in realtà ero una tigre, ma lui capovolgeva sempre le cose. Anche questo mi portava a odiarlo.
«Sì? Sei soddisfatta? Ti piace il tuo lavoro a New York? La tua bella casa a Manhattan è soddisfacente? Gli uomini che ti sei scopata lo erano?». Okay. Jasper aveva sul serio perso la testa. Era uno stronzo, ma uno stronzo buono, io ero la cattiva. In quel momento lui era uno stronzo cattivo e io ero… confusa.
«Pensa ai fatti tuoi e alle tue ragazze, pensa a quello che fai tu, a chi ti scopi tu, lascia perdere me», arretrai quando lui avanzò. Arretrai finché finii con la schiena contro qualcosa.
«Centra. Eccome se centra», disse sovrastandomi. Mi ero dimenticata di come gli donava quel septum. In quel momento lo faceva sembrare un toro infuriato. «Avanti, piccola Mackenzie, parlami un po’ di New York. Ti sei divertita?», strinsi denti. Non avevo paura di lui, nemmeno in quel momento mentre cercava di spaventarmi. Pensavo tante cose di lui, ma non era certo spaventoso e nemmeno cattivo.
«Mi sono divertita», risposi mantenendo lo sguardo fisso nel suo.
«Sì?», chiese, annuii. «Io per niente».
«So quello che è successo e mi dispiace, ma non è colpa tua. Le cose brutte capitano. Non puoi salvare tutti», il suo sguardo scivolò sulle mie labbra, fino alla scollatura della mia camicetta.
«Vuoi aiutarmi, Maci? È per questo che sei qui?», chiese guardandomi di nuovo. Quegli occhi erano freddi. Rivolevo indietro quei maldetti occhi caldi e sorridenti, fastidiosamente felici.
«Sì, sono qui per aiutarti». All’improvviso mi ritrovai con i polsi bloccati da lui, fermi sopra la mia testa. La mano libera a un lato del mio corpo, il viso a pochi centimetri da me.
«Allora usa quella bocca per qualcosa di meglio che parlare», feci per parlare quando la sua bocca mi zittì togliendomi il fiato. Dio, era passato così tanto tempo dall’ultima volta che ci eravamo baciati, così tanto dall’ultima volta che le nostre lingue s’incontrassero di nuovo. Erano passati anni, ero più esperta, entrambi lo eravamo. La mano che non teneva ferme le mie percorse la mia coscia, s’insinuò fra di loro. Mi stava trascinando nella sua devastazione ed era tremendamente sbagliato, ma seducente. Avevamo già percorso quella strada ed era stato l’errore più grande della mia vita. Allontanai le labbra dalle sue.
«Credi che questo ti aiuterà? Che domani ti sentirai meglio?», gli chiesi guardandolo.
«Hai detto che sei qui per aiutarmi», ribatté lui sorridendo. «E considerato lo stato di queste mutandine so per certo che non vedi l’ora», mi liberai dalla sua morsa e lo spinsi.
«Non sono una delle puttanelle che porti qui, con cui ti devasti per poi tornare a stare di merda. Sono qui per aiutarti, se il sesso ti aiuta per me va bene, ma solo per questa notte», lui annuì e riprese a baciarmi.
«Sono d’accordo», mormorò. «Ma dubito che si tratterà solo di questa notte». Lo allontanai di nuovo.
«Non così in fretta».
«Che c’è? Devo firmare qualche stupido contratto come in quei libri che vi piacciono tanto?», storsi la bocca mostrandomi offesa.
«Per l’amor del cielo, stai sparando un sacco di stronzate da quando sono qui, ma comunque nessun contratto, un accordo», si staccò da me e mi fissò.
«Sentiamo». Mi morsi l’interno della guancia. Non sapevo in che guaio mi stessi cacciando. Non stavo pensando. Era una cosa stupida. Infinitamente, incredibilmente e innegabilmente stupido, ma era solo per una notte, giusto?
«Andremo a letto insieme, però domani mattina ti darai una ripulita, chiamerai il lavoro e da lunedì riprendi, ma soprattutto», distolsi lo sguardo. Mi prese il mento fra indice e pollice per alzarmi la testa.
«Soprattutto?»
«Devi smetterla di essere cattivo, non sei una brutta persona e teniamo per noi questa cosa», dissi indicando prima lui e poi me. Rimase in silenzio per un tempo lungo, troppo lungo.
«Va bene», rispose. «Farò tutto quello che hai detto e proverò a essere meno stronzo», lo guardai dritto negli occhi cercando di studiarlo.
«Chi mi dice che non mi prendi in giro?», domandai. Senza il minimo preavviso e con la mano ancora fra le mie cosce, scostò appena il sottile tessuto del mio tanga e infilò un dito dentro di me. Tirai indietro la testa e sentii il suo fiato sulle mie labbra.
«Mantengo le cose che