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Amarti è un rischio meraviglioso
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E-book332 pagine4 ore

Amarti è un rischio meraviglioso

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Info su questo ebook

Gentry Boys Series

La vita di Truly non è mai stata troppo tranquilla, specialmente dal punto di vista sentimentale. Ha appena più di vent'anni ma il suo cuore si è spezzato e ha imparato a sue spese quanto può essere doloroso mettersi in gioco, abbassando le difese davanti a un uomo. Per questo entrare nel letto di Creed avrebbe dovuto essere semplicemente una distrazione, un momento di debolezza circoscritto a un'unica notte di passione. Ma è impossibile prevedere certi scherzi del destino.
Creed è abituato alla violenza, ma questa volta ha decisamente superato il limite. Nella sua vita, adesso, c'è posto solo per la sua sopravvivenza e per quella dei suoi fratelli. Lasciarsi imbrigliare dai sentimenti è troppo pericoloso. Avrebbe dovuto trascorrere con Truly solo qualche ora. Non avrebbe mai più dovuto continuare a pensare a lei. Il problema è che non riesce a farne a meno...

Cora Brent
è nata in un posto freddo ed è scappata da lì non appena è stato legalmente possibile. Adesso vive nel deserto con il marito, due figli e un cactus. L’armadio di Cora è pieno di scatole con le sue storie incompiute. Ha sempre desiderato diventare una scrittrice e adesso i suoi romanzi sono diventati bestseller del New York Times e di USA Today. La Newton Compton ha pubblicato in ebook i primi due capitoli della Gentry Boys Series, Questo nostro amore sbagliato e Amarti è un rischio meraviglioso.
LinguaItaliano
Data di uscita23 apr 2019
ISBN9788822734006
Amarti è un rischio meraviglioso
Autore

Cora Brent

Cora Brent is the USA Today and New York Times bestselling author of the Gentry Boys series. She was born in a cold climate but escaped as soon as it was legally possible. These days, she lives in the Arizona desert with her husband, two kids, and a prickly pear cactus she has affectionately named “Spot.” Cora’s closet is filled with boxes of unfinished stories that date back to her 1980s childhood (someday she fully intends to finish her first masterpiece about a pink horse that plays baseball), but in the meantime, she’s consumed with her romance novels. For more on the author and her work, visit www.corabrent.com, or connect with her on Facebook at www.facebook.com/CoraBrentAuthor.

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    Anteprima del libro

    Amarti è un rischio meraviglioso - Cora Brent

    2279

    Titolo originale: Risk

    © 2014 by Cora Brent

    All rights reserved.

    Traduzione dall’inglese di Valentina Cabras

    Prima edizione ebook: maggio 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l, Roma

    ISBN 978-88-227-3400-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Cora Brent

    Amarti è un rischio meraviglioso

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Epilogo

    A chiunque si è imbarcato nelle imprese più rischiose e si è fatto catturare da un’altra persona.

    Amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi.

    C.S. Lewis

    E venne il giorno in cui il rischio di rimanere chiuso in un bocciolo divenne più doloroso del rischio di sbocciare.

    Anaïs Nin

    1

    Truly

    Dissi a Saylor che non avevo intenzione di rimorchiare, né quella sera né nessun’altra, ma lei si limitò a ridere.

    «E allora perché quel vestito?». I suoi occhioni verdi erano allegri mentre protendeva una mano verso di me per tirarmi la gonna lunga.

    «È il giorno del bucato», borbottai allineando le saliere su un tavolo vuoto. «Non c’era molta scelta: la maglietta sporca di pollo fritto di ieri o l’unica cosa pulita a portata di mano».

    «E casualmente quell’unica cosa pulita è un rimasuglio che arriva direttamente dall’armadio di Lucille Ball, giusto?».

    Sorrisi. «Certo».

    Saylor iniziò a svitare le saliere. «Seriamente, Truly, sei stupenda con questo look vintage. Devi uscire. Fosse anche solo per regalare al mondo un bel panorama».

    «Se la gente vuole vedere un bel panorama, può andare al cavolo di Grand Canyon».

    Mentre parlavo notai che Griffin, il barista, si toglieva il cappello da pollo e mi faceva la radiografia. Girai la testa dall’altra parte sperando capisse l’antifona. Non aveva nessuna possibilità, neanche se avessi deciso di sdraiarmi sul bancone con la gonna tirata su fino ai fianchi. Forse, se non avesse cercato di palparmi nell’unica volta che avevo accettato il supplizio di un’uscita con lui, avrei potuto pensarla diversamente.

    Sapevo che stavo solo mentendo a me stessa. Più che altro non c’era spazio nel mio cuore per cose del genere; avevo collezionato una brutta situazione dietro l’altra, e tutte collegate agli uomini.

    Saylor non ne sapeva niente, altrimenti non avrebbe insistito per spingermi a uscire a fare baldoria. La guardai: canticchiava con un sorrisetto stampato in viso. In realtà, Say forse avrebbe cercato di convincermi in ogni caso. Era un’ottimista, una di quelle persone fermamente convinte che affrontare il peggio del proprio passato aiutasse a prepararsi al futuro.

    A proposito del passato e del futuro di Saylor, eccolo in quel momento fuori dalla porta della Gallina Pazza, intento a picchiettare sul vetro. Schioccai le dita per attirare l’attenzione della mia amica, e lei si illuminò come il sole prima di correre ad aprirgli.

    Il ristorante era vuoto, fatta eccezione per l’impresa di pulizie e due tossici ancora piantati a uno dei tavoli davanti, nonostante avessimo chiuso venti minuti prima. Li avevo guardati in cagnesco sperando che se ne andassero, ma a quanto pareva non se n’erano accorti. Forse era troppo difficile concentrarsi con tutta quell’erba in circolo.

    Saylor si stava già godendo un momento di amore radioso tra le braccia del suo ragazzo. Per fortuna Ed, quello stronzo del nostro direttore, non era nei dintorni, altrimenti le avrebbe ringhiato contro. Aveva poca pazienza e ancora meno capelli. Probabilmente gestire una tavola calda bisunta in una vivace cittadina universitaria non era il suo sogno. Avrei potuto dispiacermi per lui se non mi avesse dato i brividi e non si fosse lamentato in continuazione del mio aspetto mentre un minuscolo rigonfiamento gli spuntava dai pantaloncini.

    Finalmente i tossici buttarono una manciata di banconote stropicciate sul tavolo e si alzarono. Arrivarono alla porta e poi rimasero disorientati dal suo funzionamento. Con un sibilo irritato li raggiunsi a grandi passi, spalancai l’uscio e li spinsi fuori.

    Griffin non cercava più di incrociare il mio sguardo e aveva iniziato a lavare i bicchieri. Dietro le quinte, il personale della cucina faceva un gran rumore nella fretta di lasciarsi alle spalle la Gallina Pazza. Una serie di imprecazioni seguì il fracasso di piatti caduti per terra.

    Saylor e Cord non si accorgevano di nulla. Li guardai stringersi tra le braccia mentre continuavano a baciarsi. Alla fine lei si staccò e gli sorrise, tremando leggermente in quell’abbraccio.

    «Non dovevi venire a prendermi».

    «Invece sì», insistette lui stringendola di più a sé. «Devo sempre venire se ci sei tu».

    Saylor afferrò il significato sconcio di quelle parole e ridacchiò. Avevo nutrito dei dubbi su Cord Gentry la prima volta che mi aveva parlato di lui, raccontandomi con riluttanza i dettagli della loro storia in quella cittadina di merda da cui venivano.

    Certo, Cord era un fantastico esemplare di giovane maschio con quei muscoli, i tatuaggi e il fisico robusto da campagnolo. Ma quando erano ragazzini, una volta l’aveva trattata male. Stando alla mia esperienza, gli uomini non cambiano le loro abitudini, così come gli animali agiranno sempre d’istinto.

    Ma dovevo ammettere di essermi sbagliata: gli ultimi due mesi passati a osservare la sua devozione nei confronti di quella ragazza mi avevano fatto cambiare idea su di lui. Cord era lì a passarle le mani tra i lunghi capelli castani e lei era in brodo di giuggiole. Gli posò le dita sulle labbra e lui la fissò con una venerazione tale che bisognava essere senza cuore per non provare un minimo di tenerezza.

    Ma c’era dell’altro. Nonostante fossi davvero elettrizzata per la mia amica, forse ero un po’ gelosa. Non ero mai stata oggetto di simili attenzioni, di certo non per tanto tempo.

    «Saluta Truly», sollecitò Saylor, facendo un cenno verso il punto in cui stavo ancora riempiendo le saliere alla cieca.

    «Ciao, Truly», disse Cord senza staccare gli occhi da lei. «Pronta ad andare? I ragazzi ci stanno aspettando al Buco».

    Conoscevo quel posto: si trattava di un locale sempre pieno, in stile country western, a tre isolati di distanza dal ristorante, in una strada malfamata e buia. Vicino c’erano un tempio new age e un negozio di roba vintage. Il vero nome era Gallop Gold, ma tutti lo chiamavano Il Buco perché era poco più grande di un buco, per l’appunto.

    Sapevo anche chi erano i ragazzi. A quanto pareva, gli uomini della famiglia Gentry spuntavano tre per volta. Cord era solo uno dei gemelli supersexy nati da qualche parte nel deserto e piombati sull’umanità come una piaga di testosterone. Da parte sua, Cord sembrava un gradino sopra i fratelli, e mi chiedevo quanto questo avesse a che fare con Saylor. Gli altri due, Creed e Chase, parevano avere pochi interessi oltre a rimorchiare senza ritegno e al sarcasmo.

    Saylor adorava quei ragazzi già solo per il fatto che erano appendici di Cord, ma per quanto mi riguardava puzzavano di boria, alcol e voglia di sesso. Una volta, mentre ero nel corridoio dietro la cucina, Creed era spuntato dal nulla e me l’ero trovato un po’ troppo vicino al fondoschiena. Non c’erano scuse: il corridoio non era così stretto. Sentendo il suo corpo sodo, i pugni mi si erano chiusi involontariamente mentre il desiderio infuriava dentro di me. Avevo serrato le cosce e un fremito caldo mi era arrivato tra le gambe. Ero sicura che Creed avesse capito tutto quello che mi era frullato in testa, quando si era chinato al mio orecchio e aveva sussurrato: «Permesso, bellezza».

    Non ero nemmeno riuscita a offrire un cenno in risposta. Il massimo che potevo fare era rimanere lì e aspettare che il fuoco dentro di me si estinguesse. Nonostante fosse passato fin troppo tempo dall’ultima volta che ero andata a letto con qualcuno, non avevo intenzione di cadere così in basso da finire con uno dei Gentry. Creed aveva ridacchiato, prima di concentrarsi su qualcuna più disponibile. Quei ragazzi riscuotevano fin troppe attenzioni, non avevano certo bisogno delle mie.

    All’improvviso mi resi conto che Saylor aveva detto qualcosa. «Come?».

    Si era sporta verso di me e mi aveva tirato il braccio. «Tu vieni con noi, che ti piaccia o no. So che sotto quella maschera da ragazza sfrontata del Sud non vedi l’ora di divertirti un po’».

    Ridacchiai. «Ho già dato, negli anni».

    Saylor finse di controllare l’ora. «È arrivato il momento di riprendere».

    Cord le mise un braccio attorno alle spalle con fare possessivo. «Dài, Truly. Diventa triste ogni volta che le dici di no».

    Saylor sporse il labbro inferiore e parlò strascicando le parole: «E non vorrai mica che sia triste, vero, Tallulah Rae Lee?».

    Sentire il mio nome per intero fu una secchiata d’acqua gelida. Continuai a sorridere con una certa fatica. Non volevo capissero che mi sanguinava il cuore.

    Ma Saylor si accorse che qualcosa non andava e mi lanciò uno sguardo curioso. Eravamo amiche da abbastanza tempo da capire l’umore l’una dell’altra. Piegò la testa di lato e mi sorrise.

    «Sarà divertente, Truly. Una cosa tranquilla, solo qualche bicchiere e poi ti riaccompagniamo qui alla tua macchina, va bene?».

    Quasi rifiutai. Avrei dovuto salutare la coppietta felice e passare un’altra serata da sola con una vaschetta di gelato vaniglia e ciliegia e la compagnia della mia gatta, Dolly.

    «Dammi cinque minuti», le dissi invece. Mi allontanai per prendere la borsa dallo spogliatoio e mi chiusi in bagno.

    Dopotutto, non ero stata completamente onesta dicendo che quella mattina mi ero messa l’unica cosa pulita che avevo. Forse c’era qualche maglietta ammuffita nascosta in fondo all’armadio. Però avevo tirato fuori il vestito blu cobalto che avevo creato io stessa qualche anno prima da un modello Butterick vintage. Era passato un bel po’ dall’ultima volta che avevo indossato quell’abito, o qualcosa che gridasse sesso così apertamente. Lì in piedi, nel bagno sudicio delle donne, mi tolsi il cardigan color ruggine che mi ero messa per evitare che Ed mi rompesse le palle. La maggior parte dei vestiti non mi stava granché per via del mio seno prosperoso, ma quando avevo cucito quello, partendo da zero, ero riuscita senza problemi a adattare la parte sul busto in modo che fosse comodo.

    Esaminai il mio viso allo specchio. Mi accorsi, non per la prima volta, di dimostrare più dei miei ventun anni. La mia vita era stata frenetica, e non in senso buono. Avevo invece conosciuto quel tipo di furore selvaggio in grado di trascinare l’anima in basso e consumare la freschezza della pelle, di lasciare alle sue spalle solamente un guscio a pezzi. Era stato così per mia madre, che non era riuscita ad accettare lo svanire della sua bellezza.

    Dopo alcuni strattoni, l’elastico che mi teneva i capelli in ordine si allentò. Erano spessi e talmente scuri da essere quasi neri. Li avevo ereditati, credevo, dal padre che non avevo mai conosciuto. Mia madre e quasi tutti i parenti dalla sua parte di albero genealogico erano biondi.

    Feci la riga al centro e lisciai le onde, in modo da nascondere la zona sopra l’orecchio destro. Qualche mese fa l’avevo rasata d’impulso; una mossa avventata in una delle mie giornate no. Attirare l’attenzione degli uomini ogni giorno da quando avevo tredici anni mi aveva causato un sacco di problemi. Ma poi me l’ero fatta sotto: quando i capelli avevano iniziato ad ammucchiarsi nel lavandino, mi ero fermata e li avevo fissati con terrore. A quanto pareva, un po’ di vanità mi era rimasta.

    Il suono della porta del bagno che si apriva mi fece sobbalzare, ma era solo Saylor. Aveva uno sguardo preoccupato. Entrò e lasciò che l’uscio si richiudesse alle sue spalle.

    «Tutto bene, Truly?».

    Mi arruffai i capelli e iniziai a frugare nella borsa. «Certo, splendore. Perché me lo chiedi?».

    Saylor si morse il labbro e mi fissò dallo specchio. Era bellissima in un modo naturale, fresco. Certo, spesso accennava ai numeri da circo che faceva con il ragazzo dall’altra parte della porta, ma restava comunque una brava ragazza: era sveglia e premurosa. Era facile capire perché Cord Gentry fosse così innamorato di lei.

    Giocherellava nervosamente con le mani e sembrava preoccupata per qualcosa. «Non sono brava nei discorsi tra ragazze», borbottò infine incrociando le braccia. «Sono sempre corsa da Brayden, che non è proprio femminile, quindi non ho mai imparato come si fa».

    Brayden era suo cugino e il suo migliore amico. Abitava nel complesso del Palm Desert, lo stesso posto in cui era andata a vivere Saylor con i Gentry. Sembrava un bravo ragazzo.

    «Neanch’io sono un granché», risposi. Era una bugia enorme e mi costò dirla, mentre un’ondata di ricordi mi sommergeva. Ero cresciuta in una tribù molto unita di sorelle e sapevo tutto sullo stringere mani sudate al buio e sussurrare i sogni più segreti. Erano successe anche altre cose, cose che ero riuscita più o meno a scacciare.

    «

    TALLULAH RAE LEE, PORTA SUBITO QUI LE CHIAPPE!».

    «Truly», continuò Saylor in tono gentile, «forse suonerò smielata e falsa, ma se vuoi parlare o hai bisogno di qualcuno vicino mentre urli contro il cielo, be’… io ci sono».

    Potrà sembrare strano, ma era la cosa più carina che qualcuno mi avesse detto da tanto tempo. Deglutii e feci un respiro profondo, cercando di soffocare la commozione.

    «Grazie, Saylor», riuscii finalmente a dire. «Hai un vero talento per i discorsi tra ragazze».

    Sorrise e restò ad aspettarmi in silenzio mentre recuperavo un rossetto rosso, che quasi avevo scordato di avere, seppellito tra le schifezze nella borsa. Lo passai sulle labbra con cura e mi pavoneggiai un po’.

    «Allora, come sto?».

    Inarcò un sopracciglio. «Come una pronta a darsi da fare».

    Scoppiai a ridere, sentendomi all’improvviso giovane, libera. Era una bella sensazione.

    «Forse è così».

    Ed era strisciato fuori dalle viscere della sua tana da direttore e stava tormentando Cord nella sala. Una scena piuttosto comica, considerando che Cord era più alto di lui di una ventina di centimetri e avrebbe potuto mettere fine all’attacco di rabbia di Ed con un bel pugno.

    «Continuo a ripetertelo», farfugliò Ed, «non devi venire dopo la chiusura». Si girò verso di noi in un lampo, sentendoci uscire dal bagno.

    «Quanto siete stupide? Non sapete che ho delle responsabilità?».

    Saylor alzò gli occhi al cielo. «Di che stai parlando, Ed?».

    Ed andò verso di lei. Sullo sfondo, vidi gli occhi di Cord stringersi e percepii fisicamente la tensione nei suoi muscoli. Cord era stato un lottatore, e anche bravo, a quanto avevo sentito. Se Ed si fosse avvicinato troppo a Saylor, la serata avrebbe preso una piega spiacevole in un attimo.

    Ma Saylor restò a testa alta, guardando il nostro capo dall’alto in basso. Ed si allontanò facendo il broncio. «Voi ragazze non avete rispetto. Le persone hanno delle famiglie da mantenere».

    Portai via la mia amica prima che succedesse qualcosa di brutto. «Ci dispiace, Ed. Ci vediamo domani».

    «Io domani ho il giorno libero», ghignò Saylor.

    «Be’, allora lo vedrò solo io. Andiamo».

    Cord lanciò uno sguardo glaciale verso Ed prima di infilarsi le mani in tasca e seguirci fuori.

    «Devi andartene da questa topaia», brontolò.

    Saylor gli cinse la vita. «Tutti devono lavorare da qualche parte. Me l’hai detto tu».

    Cord le baciò la fronte. «Presto inizierò a fare soldi al negozio, così potrai mandare a fare in culo il signor Ed e stare a casa».

    «Ah! E cosa ci sto a fare a casa?»

    «Mi tieni il letto caldo, tesoro».

    Saylor gemette e si stiracchiò, inarcando la schiena. Cord la strinse di più a sé e il suo respiro si fece pesante. Una scena allo stesso tempo imbarazzante e affascinante.

    Lei gli sorrise. «C’è odore di pioggia. Tempo da tetto».

    Tempo da tetto? Non avevo idea di cosa cavolo significasse, e non ero sicura di volerlo sapere. Sicuramente per Cord aveva senso. La strinse più forte. Era giovedì sera, l’inizio del pre-weekend, e la strada era affollata. Quei due rischiavano di eccitare l’intero vicinato con le loro effusioni, ma la cosa non sembrava disturbarli.

    All’improvviso Saylor rise e gli prese la mano. «Andiamo, prima che Truly inizi a pensare che siamo una coppia di conigli».

    «Lo penso già», dissi allegramente mentre ci dirigevamo verso Il Buco. Non era il caso di prendere la macchina: era una breve passeggiata e lì c’era poco parcheggio.

    Saylor si sciolse dall’abbraccio di Cord abbastanza per allungare una mano e stringermi il braccio. «Sono felicissima che tu sia venuta con noi».

    «Oh, be’», farfugliai, un po’ in imbarazzo. Ero contenta di avere Saylor. Era bello avere un’amica con cui condividere le cose, soprattutto se si era rimasti rinchiusi a lungo quanto me. Parlavo a malapena con le mie sorelle e la mia coinquilina era una mezza stramboide con cui non ero mai riuscita a legare. L’amicizia era una cosa di cui mi ero abituata a fare a meno. Mi ero abituata a fare a meno di molte cose.

    Forse era giunto il momento di lasciarsi andare, almeno un po’.

    «Sarà una bella serata», dissi, sentendo un brivido improvviso e inspiegabile.

    «Come dovrebbe essere ogni sera», concordò Cord, tenendo ancora più stretta la sua preziosa ragazza.

    2

    Creed

    «Trovato?», voleva sapere Chase.

    Stavo bevendo la stessa birra da venti minuti. Se l’avessi mandata giù troppo velocemente, mi avrebbe dato alla testa. Quella sera volevo fare qualcosa, a parte ubriacarmi e svenire.

    «Trovato cosa?».

    Il sorriso di mio fratello si allargò. «Il buco». Stava facendo il simpatico. Il Buco era il nome del locale in cui ci trovavamo. Era anche un posto in cui pensavo di entrare in modo diverso.

    «Sto ancora valutando», risposi, contemplando l’assortimento di universitarie barcollanti che ci guardavano. Potevamo scegliere, come sempre.

    Era bello essere finalmente uscito, e non vedevo l’ora di farmi una scopata. Quegli ultimi mesi erano stati duri: prima l’angoscia per le ferite di Chase, dopo che mio fratello era stato aggredito dietro una palestra e picchiato a sangue; poi ero venuto a sapere di essere sorvegliato. Avevo aspettato per giorni il colpo di grazia. E lo aspettavo ancora. Avevo stretto un accordo con Gabe Hernandez: mi avrebbe dato informazioni quando ne avrei avuto bisogno e in cambio avevo accettato di sanguinare per lui sul ring. Stavo solo aspettando che mi dicesse quando. Era difficile vivere così, e avevo trascorso molte notti stordito dall’alcol. Quando ero in quello stato non volevo la compagnia di nessuno, neanche della donna più disponibile. I miei fratelli si preoccupavano per me. Osservai Chase. Stava cercando di capire se fossi interessato ad almeno uno dei corpi che ci passavano davanti. Mio fratello voleva che scopassi, forse più di quanto lo desiderassi io stesso.

    «Quella?». Indicò con disinvoltura una ragazza, come se stessimo scegliendo una lampada in un negozio.

    «No».

    Ne avevo notate diverse con cui avrei potuto spassarmela, ma non erano niente di speciale. Niente per cui valesse la pena svuotare le palle dopo mesi di astinenza.

    Controllai l’orologio. Era presto, solo le dieci e mezza. Cord era sparito per andare a prendere Saylor. A volte mi sembrava ancora un po’ strano averla intorno tutto il tempo. La vita era girata intorno a noi tre per tantissimo tempo, e ora c’era una ragazza. A Chase non sembrava importare: lui e Saylor erano diventati amici facilmente. Io avevo cercato con tutte le mie forze di essere gentile, ma non riuscivo a scacciare il pensiero che lei mi considerasse ancora un coglione. Forse le cose tra noi sarebbero rimaste così. Certo, non potevo fare a meno di provare un po’ di tenerezza per la ragazza che aveva portato pace nella vita di mio fratello: Cord era la nostra roccia, e forse ci eravamo appoggiati a lui troppo e per troppo tempo. Sapevo che non era mai stato così felice.

    Il volume della musica aumentò e alcune ragazze salirono sul bancone per danzare. Ballavano malissimo, ma avevano certe qualità che facevano passare in secondo piano il ballo. Guardarle mi fece venire fame.

    Chase mi diede una gomitata e indicò una bionda che stava volteggiando sul bancone con addosso un paio di culotte e un top legato al collo. Era senza reggiseno e le tette le rimbalzavano come palloni mezzi sgonfi. Continuava a perdere il ritmo perché guardava verso di noi. Chase inarcò le sopracciglia per vedere se avessi abboccato, ma scossi piano la testa. Non avevo voglia di qualcosa di banale, non quella sera.

    Mio fratello era esasperato. «Cosa, allora?»

    «Lo saprò quando lo vedrò, moccioso. Ma tu vai pure e approfitta dell’offerta, se vuoi». Feci un cenno verso la bionda, che sussultò e perse l’equilibrio a causa del tacco che si era impigliato sul bordo del bancone. Barcollò per qualche istante prima di cadere tra la folla con un urlo. Chase scoppiò a ridere. La ragazza si alzò di scatto, farfugliando, con il top che le copriva il viso e le tette in bella mostra. Chase rise ancora più forte.

    «Cazzo», esclamò, «quella vista in realtà mi è familiare!».

    Era esilarante guardare la ragazza lottare con la strisciolina di stoffa che aveva addosso mentre tutti, in ogni angolo del Buco, si godevano la vista dei suoi capezzoli.

    «Non lo so», sospirai. «Iniziano a sembrare tutte uguali».

    Chase tornò serio di colpo. «Sì, capisco benissimo». Riuscivo a malapena a sentirlo sopra la musica, quindi mi avvicinai. I suoi occhi azzurri erano identici ai miei, e uguali a quelli di Cord. «Credi che prima o poi troveremo anche noi quello che ha trovato nostro fratello?».

    Ci avevo già pensato prima. Avevo sempre sotto il naso il legame travolgente tra Saylor e Cord, quindi avevo avuto tempo per riflettere se era qualcosa che volevo anch’io. Visto da fuori sembrava bello; ma, per quanto ci provassi, non riuscivo a immaginare di guardare ogni giorno lo stesso viso o infilarlo nello stesso posto ogni notte. Molto probabilmente Chase ci sarebbe arrivato prima di me. Forse era addirittura più stronzo di quanto fossi io, ma si relazionava con le donne in un modo che a me non riusciva.

    «Non lo so», gli risposi sincero.

    Chase annuì, poi si contorse all’improvviso sulla sedia con una smorfia. Imprecò e quindi infilò la mano in tasca. Lo guardai mentre mandava giù una pastiglia con un sorso della mia birra.

    «Senti male?», gli chiesi, provando un’ondata di rabbia. La notte che ero andato a caccia di quei bastardi che l’avevano rovinato, non sapevo cos’avrei fatto. Li avrei uccisi, forse. Cord si era messo tra me e un destino infelice, prendendosi un pugno e facendomi rinsavire.

    «No, macché», rispose, stiracchiandosi e attirando l’attenzione di una bella brunetta. Si

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