Cuori d'argilla
Di N.R. Walker e Ester Manzini
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Info su questo ebook
Merrick Bowman si è concentrato così tanto sull’avviare il suo business di terracotta da dimenticarsi come si fa a uscire con i ragazzi. Ma quando un giovane, vivace Leo e un Clyde più grande e brontolone compaiono alla sua porta, Merrick non si immagina quanto Leo diventerà centrale nel suo mondo.
La vita di Merrick gira attorno alla lavorazione dell’argilla, ma Leo sta per cambiare le cose. Forse Merrick è pronto a gettare al vento la cautela. E forse è pronto a dare una nuova forma al suo cuore.
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Anteprima del libro
Cuori d'argilla - N.R. Walker
1
LEO SECOMBE
Bussai all’ingresso un po’ più forte del necessario per assicurarmi che mi sentisse. «Clyde? Sono io, Leo.»
Udii una porta chiudersi all’interno dell’appartamento, quindi un familiare brontolio. «Sì, sì. Non agitarti.»
Lo spioncino si oscurò quando Clyde vi sbirciò, e io gli sorrisi. Un istante dopo la catenella tintinnò, il lucchetto scattò e la porta si aprì verso l’interno. Clyde era basso e robusto, con i capelli grigi e le sopracciglia folte, e indossava dei pantaloni marroni in cui aveva infilato una maglietta blu. Indossava anche il suo solito cipiglio. Quando lo avevo incontrato per la prima volta mi aveva ricordato Sam l’Aquila, il Muppet sempre imbronciato, e conoscendolo quella somiglianza si era cementata.
«Entra, entra,» disse, indietreggiando con il suo bastone. Diede un’occhiata più accurata alla mia camicia. «Perbacco, Leo. È così che si vestono i gay al giorno d’oggi?»
Abbassai lo sguardo sulla mia camicia hawaiana. Era nera, con una stampa floreale rosa chiaro, e abbinata ai miei calzoni corti e alle Vans nere formava un completo niente male. Annuii. «Sì. Tutti i gay. È la nostra nuova uniforme, Clyde. Pensavo di ordinartene una della tua taglia.»
Lui roteò gli occhi e sorrise. «Puoi chiudere la porta? Immagino vorrai una tazza di tè.»
«Molto volentieri, grazie.» Feci come mi aveva chiesto e seguii Clyde in cucina. Il suo piccolo monolocale risaliva all’epoca Art Déco, ed essendo parte di un complesso dedicato alla cura degli anziani non era mai stato ristrutturato. La cucinetta aveva il pavimento di linoleum e ante di finto legno laminato; la panca era di formica effetto marmo. I tappeti erano vecchi e lisi, il bagno minuscolo e antiquato. Era tutto marrone o beige, ma anche pulito, ordinato e perfetto per lui.
Clyde aveva settantun anni; viveva da solo da molto tempo. Probabilmente da prima ancora che nascessi io, vent’anni addietro. Era piuttosto burbero, ma era parte del suo fascino.
Si mise a preparare due tazze di tè, facendo bollire l’acqua nel pentolino e sistemandoci dentro due bustine. Niente marche costose o varietà raffinate per Clyde. Non che mi importasse. Campava con la sua pensione, e in tutta sincerità apprezzavo tutto ciò che aveva da offrirmi.
Il fatto era che brontolava per ogni cosa, ma sapevo che apprezzava le mie visite e le nostre uscite. Lo avevo incontrato per la prima volta all’interno del programma Riduciamo le Distanze all’Arcus, il centro LGBTQIA+ a New Farm, Brisbane. L’obiettivo di Riduciamo le Distanze era di alleviare l’isolamento e la solitudine dei membri più anziani della comunità affiancandoli a una persona più giovane per frequentare occasioni sociali e farsi compagnia.
Stavo chiacchierando con un barista della caffetteria locale, peraltro molto carino e amichevole, e avevo accettato con entusiasmo il suo suggerimento di fare un giro al centro arcobaleno della città. Okay, avevo accettato perché speravo di incontrarci Figone McCaffè, ma avevo poi scoperto che il centro era fantastico e Figone aveva già un fidanzato.
Per i mesi successivi avevo passato tutti i miei giorni liberi a dare una mano al centro; avevamo organizzato alcune giornate dedicate ai gay più anziani e, per farla breve, così era nato Riduciamo le Distanze. Avevo incontrato Clyde durante una serata di cineforum.
Negli ultimi due anni, ogni venerdì e ogni volta che avevo una giornata libera ci incontravamo per fare qualcosa. Non era sempre entusiasmante. A volte andavamo semplicemente all’Arcus per passare il tempo, oppure io andavo a casa sua con un pacchetto dei suoi scone preferiti, chiacchieravamo e bevevamo tè per ore. Talvolta giocavamo a carte o lo aiutavo con la spesa. Oppure guardavamo un film. Ogni tanto lo portavo agli spettacoli di drag, che adorava.
Ma quella visita nello specifico segnava l’inizio di qualcosa di nuovo, e non vedevo l’ora di parlargliene. In effetti quando il direttore del programma me l’aveva suggerita avevo saltato per l’eccitazione. Clyde, al contrario, non sembrava troppo convinto…
«Immagino di non poterti convincere a lasciar perdere,» disse.
Sorseggiai il mio tè. «No. E anche tu non vedi l’ora di andarci, non mentirmi.»
Borbottò qualcosa che non colsi, ma più borbottava e più io sorridevo. Ecco perché eravamo così compatibili. Mi lanciò un’occhiataccia ma alla fine, rassegnato, sbuffò. «Chi altri ci sarà?»
«Vediamo… Shirley e Joan, e pure Harvey. Penso che anche Peter fosse interessato, ma due settimane fa gli hanno messo una protesi all’anca, ricordi?»
Sospirò e roteò gli occhi. Dalle sue grigie sopracciglia cespugliose sbucavano peli più lunghi che puntavano in tutte le direzioni. «Oh, ora che mi ci fai pensare: devo prenotarti un appuntamento da Joe?» Indicai i suoi capelli, ma sapevo che Joe il barbiere si sarebbe occupato anche di quelle sopracciglia ribelli. Nessun uomo gay che si rispettasse avrebbe lasciato uscire un compare gay dal suo negozio senza sistemargliele.
«No,» abbaiò. «Mi taglia i capelli troppo corti e mi fa pagare quindici dollari.»
Ero abbastanza sicuro che la tariffa di Joe per tutti gli altri clienti fosse cinquanta dollari, ma non importava. Clyde si lamentava un sacco, ma il costo delle cose era il suo argomento preferito. Prezzi, politica e il pane del supermercato erano i suoi bersagli tipici, ma ci avevo fatto il callo. Perché il pane del supermercato? Aveva fatto il panettiere per oltre cinquant’anni, e mi diceva spesso di essere sconvolto da ciò che al giorno d’oggi chiamavano pane
. «Su, vai a metterti le scarpe o faremo tardi,» gli ordinai. «Non possiamo arrivare in ritardo proprio il primo giorno.»
«Quattro settimane di questa scocciatura,» si lagnò, poi finì il tè e mise la tazza nel lavandino. «Di chi è stata l’idea?»
«Be’, avresti preferito la piscina?»
Sbuffò mentre andava a infilarsi le scarpe. «Ho i giorni contati, figliolo. Sono arrivato fino a questo punto riuscendo a non vedere Frank Crossman in costume da bagno. Non vorrei rischiare di sorbirmelo proprio adesso.»
Provai a non ridere. «Lascia stare Frank. È un tipo molto gentile. Solo perché ha una cotta per te…»
«L’unica cotta che ha Frank è per se stesso.» Clyde gemette mentre, una volta indossate le scarpe, si rialzava, lamentandosi un po’ per il ginocchio che si rifiutava di fare correttamente il suo lavoro da articolazione. «E Marcie Yang sta facendo il corso di maglia. Se mi tocca ascoltarla blaterare di nuovo giuro che prendo uno dei ferri da calza di Rona e me lo infilo nell’orecchio.»
Risi e gli porsi il bastone. «Andiamo. Sarà divertente!»
Me lo strappò di mano e brontolò ancora un po’ mentre si avviava lento alla porta. «Dov’è questo posto?»
«A Newstead, ci metteremo solo dieci minuti.» In realtà sarebbero stati solo cinque, ma a Clyde ce ne sarebbero voluti altrettanti per raggiungere la mia auto parcheggiata a cinquanta metri da casa sua.
Scosse la testa e aprì la porta. «Non posso credere di essermi lasciato convincere.»
«Oh, dai, Clyde.» Lo superai con un sorriso, poi attesi in corridoio che chiudesse l’ingresso. «Lavorare la terracotta sembra qualcosa di grandioso!»
«Giusto per tua informazione, lo faccio solo per te.» Attese che gli aprissi la porta dell’atrio, cosa che feci. Risi perché in effetti dovevo ammettere che, sebbene il corso fosse per lui, sapevamo entrambi che io mi sarei divertito altrettanto. «Ma certo.»
Mugugnò mentre mi passava accanto e usciva nella luminosa mattina di Brisbane. Dopo il breve tragitto in auto parcheggiammo fuori dallo studio di ceramiche a Newstead. Si chiamava Kil’n Time ¹, e quel nome mi fece sorridere. Era un negozio alla moda. Un tempo doveva essere stato un vecchio magazzino, come molti dei negozi in zona, con le pareti interne dipinte di bianco e le tubature a vista nere a dargli un tocco raffinato. C’erano grandi finestre vecchio stile che coprivano tutti i quattro metri d’altezza delle pareti, e ancor prima di entrare sentii il profumo del caffè.
«Oh, e va bene, va bene,» borbottò Clyde quando gli aprii la portiera. «Se qualcosa ti fa sorridere così non dev’essere poi tanto male.» Risi e attesi che raggiungesse la porta dello studio, che aprii per lui prima di seguirlo all’interno.
2
MERRICK BOWMAN
«Q uanta gente ci aspettiamo che venga?» chiese Ciara. Era la barista della piccola caffetteria situata nella parte anteriore del mio studio di ceramiche, e considerando quanto tempo entrambi trascorrevamo lì era diventata una cara amica. Be’, il suo caffè era più che altro il punto vendita delle nostre terrecotte, ma era sempre pieno.
«Otto prenotati,» risposi osservando il foglio con i nominativi. Era un’ottima idea, e quando l’Arcus, il centro LGBTQ+ locale, mi aveva contattato proponendomi di tenere corsi scontati per anziani LGBT ero stato felice di accettare. «Sarà divertente.»
«Penso anche io,» disse Ciara intenta a riempire il frigo del latte. «Adoro l’idea di spingere i vecchietti a fare qualcosa di nuovo.»
«Anche io.» Le sorrisi. I miei pensieri andarono a mio zio Donny, sebbene non pensassi che uno come lui si sarebbe prestato a una simile iniziativa.
Il telefono squillò e io lasciai il caffè per attraversare lo studio e andare a rispondere. Quand’ebbi finito con le domande relative ai corsi di metà settimane scoprii che la classe del venerdì stava già arrivando. Con la cartelletta in mano li raggiunsi proprio mentre gli ultimi due signori entravano.
«Molto gentile da parte tua farti vedere, Clyde,» disse una signora anziana agli ultimi due arrivati. Si guardò l’orologio e sorrise.
«Ah, Shirley,» rispose l’uomo che supposi essere Clyde con voce piatta. «Vedo che il tuo chirurgo plastico non è riuscito a sistemarti la bocca.»
Mi fermai con un benvenuto bloccato in gola. Aveva davvero…?
La giovane donna che accompagnava Shirley alzò gli occhi al cielo. «Volete smetterla, voi due?»
Il ragazzo accanto a Clyde rise, ma si affrettò a prendergli una sedia. «Siediti e fa’ il bravo,» disse a Clyde. Fece un cenno del capo agli altri, quindi mi guardò. «Scusami.»
Mentirei se dicessi che quel ragazzo non era carino. Aveva corti capelli biondi, un’ombra di barba, e indossava una camicia nera a fiori. Era affascinante in maniera non convenzionale. I suoi occhi erano di un blu sorprendente, e il suo sorriso…
Wow.
Era uno di quei sorrisi onesti e naturali che ormai sembravano così rari. Non del tutto simmetrico, ma aperto e travolgente.
Se un sorriso poteva ricalcare l’estetica giapponese del wabi-sabi, la bellezza dell’imperfezione, era il suo. Meravigliosamente imperfetto.
Mi resi conto che lo stavo fissando senza dire nulla, così mi schiarii la gola e mi concentrai. «Buongiorno,» iniziai. «Mi chiamo Merrick e sono il proprietario del Kil’n Time. Grazie per essere qui! Sono davvero felice di lavorare con voi oggi. Ci aspettano quattro lezioni, ma prima dobbiamo dedicarci alle nozioni di base.»
Mostrai loro lo studio. Il lungo tavolo principale ospitava otto sedie da ciascun lato, dove sedevano in quel momento. C’era un magazzino, un reparto pulizia e una stanza dietro la caffetteria con i torni per argilla, che però non avremmo usato per il momento. Indicai dove si trovavano i bagni e feci una doverosa premessa sulle norme di sicurezza, e alla fine li feci spostare lungo il tavolo fino a posizionarsi all’estremità, dove c’era una luce migliore.
Quando si furono accomodati sistemai un pezzo d’argilla davanti a ciascuno di loro. «Inizieremo modellando qualcosa a mano,» spiegai. «È facile e divertente, e costruirete qualcosa di utile.» Tutti fissarono l’argilla. Una delle signore la pungolò col dito, ma il ragazzo carino afferrò la propria e la soppesò tra le mani con un sorriso.
Quel sorriso asimmetrico attirò la mia attenzione, ma poi lui si chinò per dar di gomito a Clyde, che rise. Sembravano legati da una bella amicizia, e io ne fui intrigato.
Non lo conoscevo, eppure mi dava l’idea di essere il tipo di ragazzo che si impegnava a migliorare la vita del prossimo. Che si rimboccava le maniche per portare un anziano signore a un corso di ceramica per farlo riconnettere con la comunità gay. Che aveva un sorriso in grado di farmi perdere il filo del discorso.
Poi il ragazzo gettò indietro la testa per ridere a una battuta di Clark. La sua risata era forte e contagiosa, capace di rallegrare chi gli stava attorno. E fu proprio quello a colpirmi definitivamente. Come se qualcosa di profondo fosse appena entrato nel mio studio, come se qualcosa stesse pizzicando una corda ormai dimenticata del mio cuore…
Dovevo saperne di più.
«Cominciamo con le presentazioni,» dissi guardando la cartellina con il foglio delle presenze. Avevo una breve lista di nomi e di chi accompagnava chi, e visto che il ragazzo era arrivato con Clyde dedussi che si trattasse di Leo. Lo guardai e sorrisi. «Tu come ti chiami?»
3
LEO
Non mi ero aspettato che il tizio del corso di ceramica fosse un tale schianto. Be’, non che mi fossi aspettato molto, ma di certo non un insegnante giovane, sexy e gay.
Non aveva detto di essere gay, ma il mio gayradar si accese. E non solo quello. Quando mi guardò per chiederci di presentarci… mi sentii come una falena attratta dalla luce. Okay, un po’eccessivo, forse. Ma sentii qualcosa. Un sussulto, un brivido, mentre puntava gli occhi su di me. Cos’è che mi aveva chiesto? Ah, sì, giusto. Il mio nome. «Sono Leo Secombe.»
Merrick aveva corti capelli neri o castano molto scuro, a seconda di come la luce li colpiva. I suoi occhi, altrettanto scuri, spiccavano nel viso pallido, e lungo la mascella c’era un’ombra di barba. Indossava una camicia blu con le maniche arrotolate, pantaloni da lavoro di una sfumatura simile e scarponi marroni. Era uno strano abbinamento, ma in qualche modo funzionava.
Fece un giro tra noi otto – quattro vecchietti e quattro giovanotti, come ci chiamava Clyde – e dopo le presentazioni ci diede dei grembiuli, quindi ci indicò l’argilla.
«Come prima cosa dobbiamo farne una palla,» disse, poi prese l’argilla di Harvey e la impastò sul tavolo. «Così. Occorre essere fermi ma gentili, applicando una pressione lenta e costante per far uscire tutte le bolle d’aria. Visto? Non troppo forte, non troppo delicato.»
Sbuffai una risata dal naso. «Proprio come mi ha detto lui,» mormorai. Clyde ridacchiò e cercò di tossire per nasconderlo, ma il mio sorriso ci tradì.
Merrick guardò verso di noi con sguardo divertito. «Attenti a non piegarla perché creereste una tasca d’aria. Basta premere e girare, premere e girare. Le sacche d’aria tendono a far esplodere l’argilla nel forno, e sarebbe ottimo se riuscissimo a evitarlo.»
Rimase a guardare e aiutò alcuni di noi nei momenti di incertezza. Lo faceva sembrare semplice, ma non ero sicuro di farlo nel modo giusto. Poi alzai lo sguardo su Clyde… era bravissimo! Come se lo avesse già fatto migliaia di volte. «Ma come fai a…?»
«Oh, ottimo, Clyde,» disse Merrick notando la sfera d’argilla. «Non è la tua prima volta?»
«Ero un panettiere,»