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Dare You: Edizione italiana
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E-book283 pagine3 ore

Dare You: Edizione italiana

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Info su questo ebook

Dalla serie Prime Time di Ella Frank e dalla serie South Haven di Brooke Blaine arriva uno spin-off esplosivo crossover!

Sebastian “Bash” Vogel, il magnetico ed eccentrico CEO di AnaVoge, è stato a lungo un’isola solitaria per quanto riguarda la sua vita privata. Non gli manca mai un corteggiatore, ma non è alla ricerca di qualcosa di permanente. È più che soddisfatto della sua azienda e dei suoi amici più cari, e non ha di certo intenzione di scuotere lo status quo.
Questo fino a quando non viene gettato sulle spalle di un pompiere di Chicago e salvato da un edificio in fiamme.
Kieran Bailey, un tenente della stazione 73 è stato incoronato il pompiere più sexy della città, cosa che la sua squadra non gli lascia mai dimenticare. Troppe donne, così poco tempo. Quindi, quando salva l’ultima damigella in pericolo, nessuno è più scioccato di lui nel rendersi conto di aver interpretato il ruolo del principe azzurro per un altro... principe.
Bash è diverso da chiunque Kieran abbia mai incontrato e presto rimane affascinato da quell’uomo enigmatico da cui non può più stare lontano.

Vengono da due mondi diversi. Tra loro non potrebbe mai funzionare. Ma se... osassero provare?
LinguaItaliano
Data di uscita13 lug 2023
ISBN9791220706216
Dare You: Edizione italiana
Autore

Brooke Blaine

Brooke Blaine is an author who loves to write sassy contemporary romance, whether in the form of comedy or suspense. She has been a book-a-holic since she learned how to read.

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    Dare You - Brooke Blaine

    1

    KIERAN

    Ero appena riuscito a chiudere gli occhi dopo una lunga notte di telefonate, quando l’allarme attraversò l’intera caserma.

    «Ambulanza trentanove, autopompa diciassette, autopompa ventiquattro, camion novantuno, camion sessantasei, camion sessantatré, squadra ottantadue, incendio in un hotel, 380 Wabash Avenue.»

    Merda, era una cosa grossa. Mi alzai di scatto dal letto e corsi dritto verso i garage, o area di servizio, dove erano parcheggiati i camion e le autopompe, mentre il resto della squadra mi seguiva a ruota. Con il nostro equipaggiamento già pronto per essere indossato nel minor tempo possibile, ognuno di noi impiegò meno di due minuti per vestirsi, poi salimmo nella cabina del camion e partimmo. Erano azioni di routine che avrei potuto compiere anche nel sonno, il che era una buona cosa, visto che in quel momento ero a malapena sveglio.

    La situazione cambiò presto, mentre il camion sfrecciava per la città di Chicago. Il suono dei clacson e i lamenti della sirena non mancavano mai di far salire l’adrenalina e, quando arrivammo al Royale Hotel, ero completamente sveglio.

    Il capo Parker era già sul posto quando ci fermammo e scendemmo. L’autopompa era seguita da vicino dall’ambulanza e, mentre i miei stivali toccavano il marciapiede, Olsen, il mio compagno di stanza e di squadra, si mise accanto a me e inclinò la testa all’indietro per osservare il grattacielo che incombeva sopra di noi.

    «Scommettiamo che è all’ultimo piano?»

    «Vuoi chiudere la bocca?»

    Olsen ridacchiò mentre entrambi ci dirigevamo verso il capo. «Sai che ho ragione. È mattina presto e siamo stanchi morti, e tu pensi che sarà una cosa facile del tipo Ehi, ragazzi, sicuro è al primo piano

    «Penso che tu, dicendo così, finirai solo per portare una sfiga tremenda e dovresti saperlo bene.»

    «A-ha. Comunque, vuoi scommettere?»

    No, non volevo. L’ultima cosa che desideravo era salire Dio solo sa quante scale, ma quando ci avvicinammo al capo, vidi quell’uomo logorroico vestito di grigio e con la targhetta con il nome girarsi e indicare la cima dell’edificio.

    Porca puttana.

    Olsen mi diede un colpo alla spalla con la sua. «Cosa ti avevo detto, KB? Spero che tu abbia fatto una colazione da campioni stamattina.»

    Lo guardai storto e scossi la testa. Odiavo quando aveva ragione.

    «L’incendio è divampato al ventiquattresimo piano,» disse un uomo al capo. «Al venticinquesimo si stava svolgendo una festa privata. Non sono sicuro di quanti ospiti ci fossero, ma la capienza è al massimo di cinquanta persone. È stato detto di evacuare e gli allarmi antincendio si sono spenti, ma non sono sicuro che tutti siano usciti.»

    Dannazione. La situazione stava andando di male in peggio.

    «E gli ospiti dell’hotel?» chiese il capo Parker, con una mano sulla radio, pronto a darci ordini.

    «Per quanto ne so siamo al settanta per cento della capacità, tutti quelli al di sotto del ventiquattresimo piano sono stati rintracciati.»

    Il capo fece un cenno secco all’uomo, poi si voltò verso il punto in cui ci eravamo fermati tutti dietro di lui. Il viso ruvido e invecchiato era teso, l’espressione cupa, mentre iniziava a impartire ordini via radio.

    «Okay, fate attenzione. Autopompa diciassette alimentate l’impianto sprinkler; autopompa ventiquattro attaccate il fuoco con due linee. Camion, ricerca e recupero: camion cinquantasei, verso il piano dell’incendio; camion novantuno al piano superiore dell’incendio; camion sessantatré, monitorate l’intero edificio dall’alto in basso. Assicuriamoci che tutti escano sani e salvi.»

    Mi misi in marcia, con gli ordini ben chiari in testa, e la mia squadra mi seguì a ruota. Avevamo venticinque piani da scalare e nemmeno un minuto da perdere. L’incendio era divampato dal lato ovest dell’edificio, quindi ci dirigemmo verso la scala est.

    Le persone si precipitavano verso di noi scappando in direzione delle uscite più vicine; alcune piangevano, altre urlavano e altre ancora con i loro dannati telefoni erano intente a fare video che avrebbero pubblicato di certo sui social, mentre tutti correvano verso la salvezza e noi verso la tromba delle scale.

    Una volta entrati, scrutai le centinaia di scalini che ci aspettavano e indossai la protezione per il viso. Poi mi rivolsi a Olsen. «È colpa tua, ricordatelo, stronzo.»

    «Sì, sì.»

    Feci un respiro profondo e iniziai quella salita, muovendomi il più veloce possibile nonostante l’attrezzatura pesante facesse del suo meglio per appesantirmi. Dato che ero il capofila, impostai un ritmo veloce, e i miei ragazzi mi seguirono di corsa su per le scale nel tentativo di spegnere il fuoco all’origine. Ignorando il bruciore alle cosce, aprii la porta del venticinquesimo piano e vidi le fiamme che lambivano il fondo del corridoio.

    Cazzo. Quell’incendio non avrebbe avuto nessuna pietà. Era già schizzato di un piano. Il fumo era denso e rendeva difficile la visibilità. Dovevamo accelerare la ricerca e il salvataggio prima che quell’intero posto saltasse in aria.

    «Brumm, Lee, a sinistra. Davis e Sanderson, a destra. Olsen, vieni con me.» Mentre i ragazzi cominciavano a chiamare eventuali ospiti rimasti e ad aprire le porte a calci, io corsi in fondo al corridoio, verso l’ingresso della suite. Le ampie porte a due battenti erano chiuse, ma non a chiave; quando entrai il fumo si fece più denso e sentivo il crepitio delle fiamme avvicinarsi.

    «Vigili del fuoco, fatevi sentire!» gridai, scrutando con attenzione la stanza in cerca di segni di vita.

    «Io…» La voce si interruppe quando una persona iniziò a tossire e mi precipitai nell’ingresso della suite dove vidi un uomo che incespicava verso di me.

    Urlai per richiamare Olsen e lo raggiunsi, aiutandolo a uscire dall’ingresso. «C’è qualcun altro?» Quando annuì, lo lasciai nelle mani del mio collega. «Quanti?»

    «Solo uno, credo. Stavano cercando di aiutare…»

    Prima ancora che potesse finire la frase ero già in fondo all’atrio. «Vigili del fuoco, fatevi sentire.» Non essendoci nessuno nella prima stanza, passai a quella successiva.

    «KB, sta per prendere fuoco!» gridò Olsen; guardai oltre le mie spalle e vidi le fiamme che iniziavano a lambire la parete della sala principale.

    Merda. Dovevamo andarcene, e in fretta. C’era solo da sperare che chiunque fosse rimasto indietro non fosse bloccato o ferito, perché non avevamo molto tempo.

    Prima che potessi chiedere se ci fosse ancora qualcuno, una figura emerse dalla camera da letto sul retro, con una mano guantata che le copriva il viso nel tentativo di bloccare il fumo. Mentre la raggiungevo, pensai per un attimo che stava partecipando a una festa, a giudicare dall’abito rosso di paillette che indossava.

    «Qualcun altro?»

    Scosse la testa mentre la facevo rannicchiare in un angolo e mi strappavo casco e maschera.

    «Respira profondamente,» le spiegai spingendole la maschera su naso e bocca mentre mi guardavo intorno per cercare la migliore via di fuga.

    A questo punto il fumo non era più uno scherzo. La mia visibilità era andata a puttane e, dopo aver ispirato a fondo diverse volte, ripresi la maschera e la indossai con rapidità.

    «Okay, dobbiamo andare.» L’avvolsi con le braccia per uscire di corsa prima che la situazione peggiorasse. Ma non appena entrammo nella sala principale, il fuoco si diffuse velocemente, dirigendosi verso la nostra uscita.

    Come un cervo alla luce dei fari, la donna accanto a me si bloccò, ed era una reazione familiare. La maggior parte delle persone andava nel panico quando si trova di fronte a un incendio di quella portata.

    «Forza, dobbiamo continuare a muoverci,» dissi trascinandola con me, ma era più forte di quanto mi aspettassi e rimase ferma. Imprecai quando il rumore della mia squadra che irrompeva mi fece guardare oltre le mie spalle.

    «Altri?» chiese Brumm.

    «Nessuno.»

    «Allora andiamo.»

    Mi voltai verso la donna mentre il fumo diventava sempre più denso e, quando cominciò a tossire, capii che c’era un solo modo per uscire da lì. Senza un briciolo di esitazione, mi chinai e la sollevai sulle spalle. Lei sussultò ma non si dimenò mentre uscivamo dalla stanza giusto in tempo, perché non appena attraversammo l’ingresso, le porte presero fuoco.

    Merda, c’era mancato poco. Davvero pochissimo.

    Una volta raggiunta la tromba delle scale, la misi a terra e lei si tolse rapidamente i tacchi per correre con noi. La discesa fu molto più veloce rispetto alla salita e presto arrivammo al piano terra; sfondammo l’uscita e ci sfilammo le maschere per respirare aria fresca.

    «Medico,» chiamai. Stevie si precipitò nel punto in cui stavo conducendo Carrie Bradshaw verso l’ambulanza e, quando le cadde una scarpa, mi fermai per raccoglierla.

    Elegante, nera e con un tacco alto un chilometro, lo stiletto era sexy da morire e, secondo l’etichetta Manolo Blahnik, più costoso di tutto il mio guardaroba messo insieme.

    «Signorina,» chiamai mentre Stevie le avvolgeva un braccio intorno alla vita sottile. «Credo che le sia caduto questo.»

    Mi lanciò un’occhiata da sopra la spalla e, nonostante il fumo, la sporcizia e la fuliggine mi distorcessero la vista, il viso spigoloso dalla carnagione d’alabastro mi bloccò. Era stupefacente e, mentre prendeva la scarpa che le stavo porgendo, mi ritrovai a fare un passo in avanti per osservarla meglio.

    «Grazie, bellezza.» Il tono basso della sua voce mi fece vacillare mentre sbattevo le palpebre nel tentativo di dare un senso a ciò che avevo appena sentito. Poi mi tolse la scarpa di mano e aggiunse: «Per aver salvato me e la mia scarpa. Dovrò pensare a qualcosa di speciale per ripagarti. Queste Manolo sono uniche nel loro genere.»

    Aprii la bocca per fare il classico discorso Non deve ringraziarmi o fare niente pronto sulla lingua, ma non riuscivo a proferire una sola parola. Il mio cervello era troppo impegnato a cercare di abbinare la voce al viso e viceversa, perché qualcosa non mi quadrava. Ma prima ancora che riuscissi a capire esattamente cosa fosse, Stevie riprese con lei il tragitto verso l’ambulanza, e i rumori molesti della mia squadra mi fecero voltare.

    «Signorina. Oh, signorina. Credo che le sia caduta questa.» Olsen mi imitò mentre mi dirigevo dove quei cretini stavano tracannando bottiglie d’acqua e ridendo tra loro.

    Scossi la testa, mi tolsi il casco e mi rovesciai un po’ d’acqua in testa. «Idioti. Non c’è da stupirsi che non riusciate a conquistare una donna. Non c’è cavalleria. Secondo voi cosa avrei dovuto fare? Tenermi la scarpa come ricordo?»

    Davis sbuffò. «Sì, per tutto il tempo in cui eri troppo stupido per renderti conto che stavi facendo il principe azzurro di un altro principe.»

    Aspetta, un altro cosa? Non era possibile che quello fosse un… un… principe, come aveva detto Davis. Lei… lui… era troppo bella.

    Voltai la testa e mi concentrai sulla barella che stava per essere sollevata nel retro dell’ambulanza, e intravidi un ultimo scorcio delle scintillanti paillette rosse appena prima che le porte venissero chiuse.

    Porca puttana, Davis aveva ragione. La forza della sua presa al piano di sopra e il tono della voce in quel momento acquistarono un senso, e io non me ne ero reso minimamente conto, perché quell’uomo, insieme al viso che avevo appena visto, mi aveva colpito tanto quanto il vestito che indossava.

    Credo che il fumo mi avesse confuso più di quanto pensassi, se era lì che avevo la testa. O quello o la mancanza di sonno stava avendo la meglio. Era ora di andare a letto, e quanto prima avremmo ripulito, chiuso e sgomberato, tanto prima avrei potuto farlo.

    2

    BASH

    «T i ha caricato sulle sue spalle?» Gli splendidi occhi azzurri di Jackson Davenport, uno scuro e uno chiaro, combinazione piuttosto sognante, si allargarono e poi scosse la testa. «Non lo so, Bash. Sei sicuro che non si tratti di un’altra delle tue bollenti fantasie sui pompieri?»

    Sollevai il dorso della mano sulla fronte in un gesto di finta esasperazione rivolta al mio amico e braccio destro, seduto dall’altra parte della videochiamata. Non che potessi biasimare l’incredulità di Jackson, perché nonostante fosse accaduto davvero, sembrava proprio una cosa che mi ero sognato. Il fatto che mi sentissi ancora come se stessi sputando cenere – per non parlare del fatto che ora alloggiavo in un hotel completamente diverso – era l’unica cosa che incastrava la fantasia nella realtà.

    «A volte la realtà è meglio della fantasia,» dissi, sollevando una spalla.

    «Hai almeno visto la faccia di quel tizio?»

    «Beh… ho visto i suoi occhi, più o meno.»

    Uno sbuffo sgraziato risuonò dietro Jackson, da qualche parte fuori dall’inquadratura della telecamera, e poi sentii il suo ragazzo, e uno dei miei migliori amici, Lucas Sullivan dire: «Quindi stai sbavando per un tizio con una maschera? Cavolo, le cose si sono fatte davvero disperate a Chicago.»

    «Dovresti sapere che non è il caso di inserire le parole

    disperare e sbavare nella stessa frase quando si tratta di me.»

    «Giusto. Intendevo dire disperato e bavoso.» Prima che potessi ribattere, Lucas trascinò una sedia accanto a Jackson e si sedette. «A proposito, non ho sentito come hai fatto a incendiare quel posto.»

    Rimasi a bocca aperta. «Non ho fatto niente del genere.»

    Gli occhi scuri di Lucas brillarono di malizia. «Dimentichi che sappiamo ogni cosa delle tue famigerate feste. Tutta quella tensione sessuale era destinata a rendere le cose calde e intense…»

    «Ha ragione, Bash,» commentò Jackson. «È sorprendente come questa sia la prima volta in cui vengono chiamati i vigili del fuoco.»

    «Fermi tutti, per favore. Non era una di quelle feste. Quelle sono riservate solo ai miei amici speciali, che una volta eravate voi, ma ora ci sto ripensando.» Emisi uno sbuffo dal naso e allungai una mano per controllarmi le unghie. Lo smalto blu scuro stava iniziando a scheggiarsi, senza dubbio a causa di tutti gli eventi traumatici degli ultimi due giorni. Una manicure era assolutamente necessaria. Alzai gli occhi e li strinsi su Jackson. «E tu dovresti essere dalla mia parte. Non costringermi a licenziarti.»

    «Licenziarlo o dargli fuoco?» Lucas fece un sorrisetto, poi si mise in bocca un acino d’uva.

    Uff. Forse, con un po’ di fortuna, avrebbe finito per strozzarsi.

    «Prontooo?» Feci schioccare le dita. «Dimentichiamo che sono quasi morto? A proposito, grazie a entrambi per la solidarietà.»

    «Sì, sembri terribilmente traumatizzato dal doverti spostare da un attico all’altro,» commentò Lucas con tono seccato.

    Arricciai il naso e lanciai a Jackson un’occhiata tagliente.

    «Non può andare a fare il parassita da qualche altra parte? Non ce l’ha un lavoro?»

    «Quindi? Tu non ce l’hai un lavoro?» Lucas sorrise.

    «Sì. Questa è una conversazione privata di lavoro, Lucas. Levati dalle palle.»

    Lucas rise. «Sì, sì. Certo.» Si sporse in avanti e diede un rapido bacio a Jackson prima di alzarsi in piedi. «Chiamami quando torni, Basherton. Mi raccomando, cerca di non bruciare tutta Chicago.»

    «No. Tranquillo, non lo farò.» Aspettai di sentire lo scatto della porta prima di dire: «Non sei contento che ti porterò via tra qualche giorno? Sentiti pure libero di restare di più, è evidente che hai bisogno di fuggire un po’.»

    «No, ho la riunione con la Techrone, ricordi? Inoltre, sono in grado di gestire Lucas.»

    «E grazie al cielo.» Presi il telefono e aprii il calendario lavorativo che condividevo con Jackson. «Come vanno le cose in ufficio?»

    «Oh, sai com’è. Cade a pezzi. Sembra che nessuno riesca a fare a meno di te.»

    «Cosa?»

    Quando alzai lo sguardo e lo vidi sogghignare. «Sto scherzando. Hai per le mani una macchina ben oliata, quindi concentrati sulla creazione della nuova sede di Chicago, e poi potrai preoccuparti di come dividere il tuo tempo tra le due.»

    «Beh, se i colloqui andranno bene, spero di dover passare da queste parti soltanto una volta al mese. Sicuramente c’è qualcuno in grado di gestire AnaVoge in questa città.»

    Jackson si schiarì la gola. «Sai che se non trovi qualcuno con cui ti senti a tuo agio per organizzare le cose lì…»

    «No.»

    «Bash…»

    «Fuori discussione.»

    «Mi lasci finire…»

    «Assolutamente no. Mi ci è voluta una vita per trovare la Charlotte della mia Samantha, il Robin del mio Batman, la Shirley della mia Laverne, e ora ho te, e anche in questo caso ho dovuto rubarti dall’azienda di tuo padre. Quindi la risposta è: non ti sposterai mai, nemmeno quando sarò morto, anche se sarò comunque un cadavere impeccabilmente vestito e ben conservato.»

    Jackson si morse il labbro e abbassò lo sguardo, cercando chiaramente di nascondere un sorriso. «Capito. Resterò dove sono.»

    «Bene.» Rilassai le spalle. Avrei dovuto aggiungere alla manicure anche un massaggio.

    «Aspetta un attimo. Perché sono io la Charlotte?»

    Dovevo aspettarmelo. «Oh, mio dolce, dolce Jax. È perché sei il più puro di cuore. Beh, senz’altro tra tutti noi.» Fuori dal nostro gruppo di amici, Jackson sarebbe stato votato come quello meno scandaloso, il che non era cosa da poco, considerando la compagnia che frequentava. Io, Lucas, il suo fidanzato ex playboy, Shaw, straordinario tatuatore con più segreti nascosti di quanti io possa mai conoscere, e il suo uomo, Trent, che – cosa non da poco – era una rockstar mondiale. Quindi, sì, Jackson era la Charlotte. Ogni volta che lo incontriamo indossa pantaloni color cachi, per l’amor di Dio. Devo aggiungere altro?

    «Beh, che ne dici di trovare qualcuno in fretta così puoi tornare a South Haven? Il brunch della domenica non è lo stesso senza di te.»

    «Forse no, ma sono sicuro che questo mese risparmieranno sull’ordine dello champagne.» Gli feci l’occhiolino ed esaminai i miei appunti. «Okay, tra un paio di giorni ci sarà il mio discorso alla fiera tecnologica. È un problema se te lo giro, così puoi aggiungere qualche nota?»

    «Come vuoi tu, Laverne.»

    Sorrisi. «Inoltre, assicurati che la tua assistente abbia prenotato la tua stanza nel nuovo hotel. Si chiama Regent. L’autista che ti verrà a prendere all’aeroporto è già stato avvisato. Oh, e durante l’incontro con la Techrone, cercheranno di abbassare la posta, ma assicurati di farci ottenere almeno quattro milioni e due o l’accordo salta. Non gli piacerà, ma finiranno per accettarlo.»

    «Consideralo fatto.»

    Gettai il telefono da parte e strinsi le mani. «Ora le cose importanti.»

    «Fammi indovinare. Cosa fare con il pompiere sexy?»

    Sussultai. «Vedi? Sei la Michelle della mia Romy. Siamo così in sintonia.»

    «Da paura, vero? Hai pensato a una donazione per la caserma dei pompieri?»

    «Sì, ma il vero motivo è vedere chi mi ha trascinato tra le braccia senza… alcuno sforzo.» Potrei aver emesso un sospiro sognante, probabilmente eccessivo, ma non riuscivo proprio a smettere di pensare all’uomo che mi aveva salvato la vita.

    «Cosa ne dici di quegli assegni enormi, come quando si vince alla lotteria? Potresti fare le cose in grande e consegnare l’assegno con indosso solo un perizoma e dei tacchi. Così tutte le tue parti intime saranno nascoste dietro l’assegno. È perfetto.»

    Feci uno scatto e lo indicai. «Ora sì che si ragiona. Vedi? È per questo che siamo amici.»

    «Giusto. Oppure se è troppo…»

    «Troppo?» Non riuscivo nemmeno a comprendere quella parola. «Già. Qual è quella cosa che tutti i ragazzi apprezzano?»

    «Un perizoma, tacchi e un assegno mi suonano bene.»

    «Sì, ma oltre questo?»

    Mi sfiorai le labbra lucide. «Non saprei.»

    «Il cibo. Questi ragazzi fanno un lavoro incredibilmente duro, giusto? Trasportano persone sulle loro spalle, corrono su per tutte quelle scale. È normale che gli venga appetito, quindi…»

    «Chiedere a un ristorante a cinque stelle di preparare una cena?»

    Jackson ridacchiò sottovoce. «Mi piace il fatto che tu pensi in grande, davvero, ma visto che sono sempre fuori e di corsa per un’emergenza, forse sarebbe meglio qualcosa che non devono programmare. Per esempio… cosa ne dici di un cesto regalo o qualcosa del genere?»

    «Ehm… Okay, intendi oltre all’esibizione da showgirl, giusto?»

    «O magari potresti indossare solo dei jeans. Sono casual proprio come lo saranno loro.»

    «Jackson, mi hai mai visto con dei jeans? Non credo nemmeno di possederne un paio.»

    «Così hai una scusa per andare a fare shopping.»

    «Dimentichi che ieri ho dovuto comprare un intero guardaroba nuovo a causa dei danni provocati dal fumo.»

    «Allora aggiungere un paio di jeans non sarà un problema.»

    «Jeans?» La prospettiva

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