Burqa Queen
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Anteprima del libro
Burqa Queen - Barbara Schiavulli
Layla
Non pensava si potesse essere eccitati e terrorizzati allo stesso tempo. Aveva una strana sensazione che le attraversava il petto e la testa, lasciandola un po’ stordita come se la stanza le girasse intorno, impedendole di mettere a fuoco gli oggetti che la osservavano fermi nelle loro posizioni assegnate. Il vaso di fiori sulla cassettiera, lo specchio, l’armadio, il tappeto soffice sopra il quale sonnecchiava un letto bianco con dei petali di rosa rossi. Forse era solo un’impressione, ma continuava a pensare che la stessero osservando, così come avevano fatto negli ultimi anni tutti quelli che la conoscevano, pronti a giudicare ogni suo comportamento. Se ne stava immobile come una statua di ghiaccio dove la paura tardava a sciogliersi. Inchiodata in una stanza che vedeva per la prima volta dove tutto aveva odore di nuovo e di sconosciuto.
Si sistemò il velo temendo che i capelli legati potessero ribellarsi alla stoffa così stretta come non era mai stata abituata a portare. Aveva pensato che se non lo avesse stretto come si doveva, i pensieri avrebbero potuto fuggire, avrebbero potuto prendere aria e dare corpo alle sue paure più nascoste. Quelle che ti schiacciano dentro, quelle che non hanno spazio per essere rivelate, quelle che non era disposta a guardare in faccia. Negli ultimi giorni, ma forse lo sapeva da sempre, aveva scoperto che c’erano situazioni che non immaginava potessero neanche esistere. E ora si ritrovava immersa in una di quelle.
Forse sarebbe morta. Forse sarebbe sopravvissuta. In ogni caso la sua vita non sarebbe mai stata più la stessa, né quella che avrebbe voluto. Perché tutto quello che desiderava, era poter finire l’università, trovarsi un lavoro, prendersi una casa in affitto e ogni tanto viaggiare per scoprire quel mondo di cui aveva tanto sentito parlare, ma che aveva potuto vedere solo attraverso internet. Eppure, sapeva che nessuno dei suoi desideri, piccoli o grandi che fossero, si sarebbe avverato. Neanche uno. Neanche quello più facile. Perché non c’erano desideri facili o possibili per quelle come lei. Perché, per loro, la libertà era un vicolo stretto e cieco. Per circa quindici milioni di esseri umani inchiodati in vite che non avevano senso. Che non avevano ragione di esistere. Dove altri decidevano per lei. Dove altri erano convinti di sapere cosa fosse giusto per lei. Neanche si ricordava l’ultima volta che aveva preso una decisione che fosse sua. Non succedeva neanche nelle cose da poco, per esempio su come vestirsi. Non succedeva nelle cose importanti, decidere cosa fare della sua vita. Non aveva potuto scegliere neanche il suo futuro marito. Altri facevano tutto per lei, alcuni in buona fede, perché era convinta che i suoi genitori la amassero, altri in malafede, perché era convinta che per la maggior parte di chi la circondava, rappresentava solo l’incubatrice dello sperma di qualcuno che non aveva scelto, che non aveva amato, che non avrebbe mai voluto anche se non aveva scelta. L’unica libertà che aveva, era quella di accettare o morire.
Scegliere, decidere, sognare sono parole magiche, luccicanti quanto l’oro, ma prive di senso come per un povero affamato che al massimo può succhiare un sasso per farsi passare la fame. Non che la sua famiglia fosse proprio povera. I poveri sono altri, per tutta la vita aveva avuto un tetto sulla testa, un materasso su cui dormire con le sue sorelle, una mamma amorevole forse perché era la primogenita. Ultimamente era anche più gentile con lei, forse perché sapeva quello che l’aspettava, ci era passata, come ci era passata sua nonna e la mamma di sua nonna. È una storia che si ripete di generazione in generazione. Dal momento in cui si nasce, il destino è segnato. Si passa dalla prigione della pancia a essere proprietà di qualcun altro. Solo nel ventre di tua madre appartieni a una donna, da quando esci, da quando metti piedi nel mondo e con un respiro prenderai la tua prima boccata d’aria, apparterrai per sempre agli uomini. Prima a tuo padre, poi a fratello se non c’è più tuo padre, poi tuo marito, poi, forse tua suocera che in qualche modo riscatta la sua vendetta per quello che ha passato anche lei.
Comunque vada, si è sempre di qualcun altro, mai di sé stesse, per questo i pensieri devono rimanere stretti sotto il velo, per questo il burqa con la sua retina davanti alla faccia serve a non far trapelare il dolore, per questo nessuno deve vedere gli occhi di una donna, perché bruciano di una sofferenza che potrebbe accecare se solo la si guardasse senza filtri.
Lo sguardo di una donna è un’eclissi che si ripete ogni giorno. Anche quando sei talmente ignorante da non sapere che hai un cervello che si agita dentro, sai che quello che ti accade intorno, non è normale. C’è qualcosa di violento nell’imprigionare i pensieri, nell’inchiodare le anime, nell’impedire che la propria vita faccia il proprio corso. Ma tutto questo le donne lo sanno. In varie parti del mondo, in varie epoche, hanno dovuto combattere per il rispetto del loro corpo e della loro anima. Ma qui neanche si sa. Tutte pensano che sia giusto anche se non sembra, anche se si soffre. Ma come si può contraddire quelli che dicono di parlare in nome di Dio e imbracciano un kalashikov?
Una volta aveva fatto un sogno: si trovava in mezzo a una valle, e c’erano due sentieri da percorrere, e ogni volta che cercava di prendere quello che le sembrava più bello, si ritrovava sull’altro. Non c’era nulla che potesse fare. Neanche correndo, o saltellando. Neanche facendo finta di andare da una parte, per poi svoltare all’improvviso dall’altra. Non ci si ribella al destino che ci è stato imposto. Ma se non si lotta per quello che si vuole, perché si vive?
Si passò una mano sulla coscia, lisciando le pieghe della gonna verde smeraldo. Non si ricordava da quanto tempo fosse lì ferma, seduta su un materassino in camera, con lo sguardo fisso fuori dalla finestra senza vedere niente. Sentiva il rumore del traffico, dei bambini dei vicini che borbottavano prima di andare a dormire, ma in realtà era come se fosse persa in un’altra dimensione. Davanti ad una finestra, era l’unico posto dove potesse stare per essere libera. Non aveva bisogno di spostarsi di un millimetro o di fare lunghe passeggiate. Doveva solo trovare un raggio che attraversava il vetro, lasciare che la colpisse come una spada che le trafiggeva un punto della pelle e dimenticarsi. Scordare quello che aveva intorno a se stessa. Bloccare il dolore e la paura. Scendere quella scala che la portava nell’antro oscuro della sua anima e sistemarsi in un angolo al lume di una candela immaginaria che aveva il profumo di margherite. Poteva stare così per ore, anche quando il sole era calato, anche quando le sorelle le giravano intorno cercando di strattonarla per attirare la sua attenzione. Aveva imparato a non pensare. Solo alcune sanno farlo, e solo alcune per questo sopravvivono alla realtà.
All’improvviso si ridestò, prendendo coscienza di dove fosse. Con un dito continuò a lisciarsi una delle pieghe della gonna e si alzò in piedi per andare da qualche parte, per poi accorgersi che era incastrata in quella stanza. Ogni volta che rispalancava gli occhi alla vita, sapeva di essere infelice. E che non era l’unica. E che fino a quel momento, per 16 lunghi anni, che già le sembravano infiniti, era stata una passeggiata. Ogni giorno che passava, si avvicinava a qualcosa di peggio. Inesorabile come una goccia che perde da un lavandino fino quando qualcuno non prende la decisione di chiamare l’idraulico.
Il padre qualche settimana prima le aveva detto che le aveva trovato un marito.
Layla cerca di capire, non possiamo andare avanti così. Non puoi uscire, non puoi andare a scuola, non puoi neanche fare una passeggiata se non esco io con te o uno dei tuoi fratelli. Non abbiamo abbastanza risorse. È ora che tu stia con qualcuno che si prenda cura di te al meglio. Il matrimonio è stato deciso tanto tempo fa, quando eri piccola
.
Papà non voglio sposarmi. Non lo conosco nemmeno. Non mi potete fare questo. Voglio restare con voi
.
Sei la primogenita, se non ti sposi tu prima non potranno sposarsi neanche le tue sorelle. Capisco che non sia quello che tutti noi ci eravamo immaginati, ma dobbiamo fare buon viso a cattivo gioco. Lo sai non siamo più sufficientemente benestanti e dobbiamo trovare i soldi per la tua dote, e poi per quella delle tue sorelle. Ma ce la faremo
.
Papà non posso. Come puoi pretendere che vada via se non voglio? Non sono pronta a sposarmi, mi avevate detto che sarei andata prima all’università
.
Figlia mia, non sai quanto mi dispiace, ma l’università non c’è più, non hai neanche finito il liceo. E non credo che questo paese vedrà giorni migliori presto, dobbiamo andare avanti e sistemarvi, prima che ci ritroviamo tutti in mezzo ad una strada
.
Il padre le aveva detto che, visto che non avevano le entrate di prima, perché