Vivo par viver 2020 / 2022
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Info su questo ebook
Roberto Stradiotto è nato a Venezia nel 1961 e si è laureato in Lettere moderne all’Università “Ca’ Foscari”. Si è dedicato all’attività culturale nella città lagunare nel corse degli anni Ottanta e Novanta. Insegna in una scuola superiore di Castelfranco Veneto (TV), città nella quale oggi vive. Tra i suoi scritti: Password (1992); Locandine; Cinema. Dopo una pausa di circa due decenni, ha ripreso a scrivere versi, grazie alla riscoperta della lingua veneziana, letteraria e popolare, che ha restituito originalità e spontaneità al suo pensiero.
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Anteprima del libro
Vivo par viver 2020 / 2022 - Roberto Stradiotto
Prefazione
Per poter apprezzare appieno la silloge di Roberto Stradiotto, intitolata Vivo par viver, occorre fare una premessa relativa alla scelta del poeta di comporre questi versi in dialetto. In particolare, i componimenti sono scritti in veneziano e, talvolta, emergono delle ibridazioni con l’istroveneto e il dialetto dell’entroterra liventino. In questa scelta linguistica, come scrive l’autore, riaffiorano le sue radici: «quelle della mamma istriana, di Capodistria, esule giuliana; quelle del babbo, originario di San Stino di Livenza, la terra del grande poeta Romano Pascutto; l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza trascorse a Mestre e a Venezia, nonché la personale cultura letteraria. Sintomatica di questa ricerca linguistica è la poesia intitolata La me famegia, composta su quattro registri linguistici: il sanstinese, l’istroveneto, il veneziano, l’italiano».
Questa scelta, tuttavia, può essere letta da diversi punti di vista. Da un lato, certamente, la decisione di adoperare il dialetto può essere intesa come un’opzione identitaria, nella misura in cui si manifesta in primo luogo l’identità del poeta nella sua purezza e nella sua schiettezza. È come se, utilizzando la variante dialettale, Stradiotto volesse offrirci una forma di poesia vera
, immediata, cioè priva di quelle mediazioni linguistiche sovrastrutturali
, formalistiche, con le quali si rischia di correre il pericolo di privare la poesia di sostanza e verità.
Dall’altro lato, l’uso del dialetto nella poesia (e non solo) come ha più volte spiegato Pier Paolo Pasolini, ha anche una forte potenzialità poetica, in esso, infatti, prevale un lessico meno tecnologico e più letterario. È perciò probabile che l’autore abbia colto in esso una ricchezza lessicale ed espressiva che non riusciva a trovare più nella lingua italiana, soprattutto in quella della poesia contemporanea.
La decisione di comporre una poesia vera, autentica, viene rimarcata dalla scelta delle tematiche affrontate. Il poeta, infatti, concentra il suo sguardo, «ormai pacificato col mondo», ai suoi affetti più cari. La vita, col suo scorrere, si rivela sempre imprevedibile per l’uomo e spesso porta difficoltà e sofferenze. Di fronte a ciò occorre compiere uno sforzo di saggezza, che spesso solo il tempo aiuta a fare, per «riconoscere con meraviglia la bontà, le buone ragioni della Natura, e risolvere i drammi dell’esistenza in una ultima e pacificata accettazione della realtà».
La poesia di Roberto Stradiotto, sotto l’aspetto della metrica, utilizza prevalentemente il novenario. Questa decisione si rivela particolarmente utile a tenere sostenuto il ritmo e a esaltare la musicalità del veneziano, ampliata dall’opportuno uso di rime, assonanze, consonanze e rimalmezzo. Tutti elementi, questi, che contribuiscono a valorizzare ancor più questa silloge.
Francesco Marchianò
TEMPI E LOGHI
A mi me somegio
In tel borgo dove che stago
trovo na cità in miniadura,
xe un paese drento un paese.
Ghe xe tuto quel che me serve:
le me boteghe, do tre amighi,
luse del sol, luse de le stele.
Me movo a pìe, fasso do còmpare,
capita de far concistoro,
se va ben me gusto anca l’ocio.
Se me spenzo oltre, in te la natura,
sento el canto dei oseleti,
vose dei fioli, che me recorda
sempre el mio e me fa bater,
strenzer in sen. ‘Ncora do passi,
rivo al castelo, dove la me lengua
xe quela del foresto.
In sto logo
me go insembrà, a mi me somegio,
ai altri, ghe paro un diverso.
ASSOMIGLIO A ME STESSO – Nel quartiere dove abito / trovo una città in miniatura / è un paese dentro un paese. / C’è tutto quello che mi serve: / i miei negozi, due tre amici, / luce del sole, luce delle stelle. / Mi muovo a piedi, faccio due acquisti, / capita di fare capannello / se va bene provo anche il piacere per l’occhio. / Se mi spingo oltre, nella natura, / sento il canto degli uccellini, / voce dei ragazzi, che mi ricorda / sempre il mio e mi fa battere / stringere nel petto. Ancora due passi / arrivo al castello, dove la mia lingua / è quella dello straniero. // In questo luogo / mi sono mescolato, assomiglio a me stesso, / agli altri, sembro un diverso.
Setembre
Setembre, me zonto anca mi
a la s’cera de queli che t’à cantà.
Te toca a ti meter ordene,
come un orese, dopo le matane
dela verta, el casoto de l’istà.
El pinzené puzà sul naso,
menuo cazzavide tra i dei,
ti onzi le rodelete, ti smorzi
el ciaro ‘ncora massa ciaro,
ti fa taser i cigamenti.
Vero, un dì la caldana ne brusa
i nervi, n’altro dì la coverta
sa da naftalina, la manestra
par ‘na biastema da vicin
al gelato licà la matina.
Ocor lassarte tuto el tempo,
ti sa ti cossa xe da far.
Se dise de ti che ti insembri
le carte, ti fa confusion,
i te incolpa che ti scanceli
la