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Perdonami se rido
Perdonami se rido
Perdonami se rido
E-book178 pagine2 ore

Perdonami se rido

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Info su questo ebook

Cosa succede a Viareggio a settembre, quando l'estate è ormai finita e il Carnevale è ancora lontano, quando gli ombrelloni lasciano spazio all'odore del salmastro e alla malinconia? Ce lo raccontano Elena, barista part-time e aspirante ballerina, sua madre Eleonora, in bilico tra i rimpianti del passato e le utopie di un futuro idealizzato, Ivano, belloccio vincitore di un concorso televisivo che rinnega le sue origini, Rino, manovale vedovo in tempo di crisi, e suo figlio Jacopo, alla faticosa ricerca di uno spazio per sé tra la pineta e il mare. Personaggi diversi, storie diverse ma che finiscono inevitabilmente a incrociarsi tra loro, come può succedere solo in provincia.

Ambientato in una Versilia "che è come Orange County, ma senza l'Orange", il romanzo di Chiara Cerri è semplice ma anche ambizioso, riflessivo ma anche svagato, malinconico ma anche genuinamente divertente; la chiave di lettura di "Perdonami se rido" è nello stesso titolo: quell'arte tutta italiana di stemperare i momenti più difficili con una risata.

L'autrice - Chiara Cerri nasce a Viareggio davanti alla pineta, tra uno zoccolo e un coriandolo ci vive. Se tornasse indietro spenderebbe meno soldi in Università e più in viaggi.
Ama la letteratura americana, iniziare nuovi sport ed è simpatica soprattutto quando si ubriaca. Per curiosità o disperazione ha infilato il naso un po’ in tutte le arti, ma la scrittura pare essere l’unica costante.
Vince dei premi letterari, tra cui il Premio Versilia Giovani e il premio indetto dalla casa editrice Giulio Perrone che le pubblica un libro di racconti.
Scrive alcuni articoli per il sito letterario Nazione Indiana e dal 2014 scrive di viaggi e altro sul suo blog personale love the shoot.
Abita per caso a Londra, ma si sente davvero a casa dove c’è il mare.
Nel 2017 pubblica con Nativi Digitali Edizioni il suo primo romanzo, “Perdonami se Rido”
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2017
ISBN9788898754786
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    Perdonami se rido - Chiara Cerri

    chiara cerri

    PERDONAMI SE RIDO

    I edizione digitale: febbraio 2017

    © tutti i diritti riservati

    Nativi Digitali Edizioni snc

    Via Broccaindosso n.16, Bologna

    ISBN: 978-88-98754-78-6

    www.natividigitaliedizioni.it

    info@natividigitaliedizioni.it

    Foto in copertina su Shutterstock a cura di Petlia Roman

    5 settembre 2015

    ore 15.00

    La Versilia è come Orange County.

    Verso settembre le strade della Versilia si svuotano e questo è sempre un bene.

    I turisti se ne vanno portandosi dietro le loro ferraglie a motore su quattro ruote, rendendo alle strade la loro dovuta desolazione. Perché le strade della Versilia quando finisce l’estate se la meritano un po’ di pace, giusto? Le giornate iniziano ad essere un po’ più corte, così da farti sentire come se il tempo non bastasse mai per fare ciò che vorresti o per finire il tuo lavoro, e ti ritrovi a desiderare giornate più lunghe, come quelle estive. Noiose lunghe giornate estive, ore inutili da riempire di niente.

    Nelle vetrine si possono vedere strati e strati di abiti caldi, spessi e rassicuranti.

    Le strade della Versilia quando finisce l’estate si cospargono di una vernice malinconica che scivola lungo i viali principali, sguscia fino alle autostrade, si dirama tra le vie interne, sottili e incastonate l’una con l’altra.

    Ribolle dal sottosuolo questa malinconia e s’intrufola con la maestria di un ladro dentro gli androni delle case, nascondendosi negli scantinati per poi risalire lungo i muri caldi, come fumo di incendio. Appiccicandosi alle pareti salmastrose, quelle fatte di muffa e vento che solo le case di mare possono assimilare.

    È talmente forte la patina malinconica che devi fartela amica per non sentirne il peso della desolazione.

    Quando i turisti se ne vanno le strade si spolpano, diventano puro asfalto per musi solitari. Gli stabilimenti balneari perdono i loro abitanti: bikini alla moda e muscoli pompati dell’ultima ora, bambini accovacciati sulla battigia a fare castelli di sabbia e acqua, bagnini abbrustoliti dal sole, meduse arenate ai piedi dei vecchi immobili a cercare risposte.

    Quando finisce l’estate è tutta una scommessa in Versilia, bisogna vedere se i conti tornano, se i bilanci corrispondono, se quelli che sono arrivati torneranno e se chi non è ancora venuto un giorno si presenterà. Perché l’estate è il tempo delle promesse e quando finisce ti resta in mano solo una manciata di sabbia, fine come la polvere.

    Janis Joplin lo sapeva: Summertime and the livin’ is easy.

    È facile d’estate, però poi non è facile per niente dopo, quando le saracinesche si abbassano, il sole scompare, i costumi passano di moda, la pelle diventa pallida, le meduse scoppiano, l’aria ti squama le ossa, le strade si bagnano, i letti si riempiono di piume, le macchine riscaldano dentro, il cielo si abbassa, la gente si allontana.

    Qualcuno da qualche parte nel mondo ha detto che la Versilia è come Orange County, quello del telefilm, quel posto in California in cui tutti sono baciati dalla bellezza, hanno una Jeep gigantesca e fanno surf.

    Può essere, ma c’è un lasso di tempo che va da settembre fino all’inizio del Carnevale in cui la vita si inginocchia, arrivano i cinema che sanno di poltrone di velluto, i negozianti infilano maglioni sui manichini, i bagnanti si squamano e la patina malinconica sale, lungo i muri scrostati dal vento.

    In quei mesi è puro disagio, evidente, dichiarato e urlato al mare, la passeggiata di Viareggio si mette in attesa dei coriandoli, ogni tanto qualche orecchio punta a una canzone del Carnevale, aspettando la rinascita. Perché si sa, silenziosamente, che quando poi finirà il Carnevale tutto sarà in ascesa, l’estate a breve ricomincerà con tutto il suo brusio.

    Sì, Viareggio è come Orange County, ma senza l’Orange.

    Qui il vostro Lauro Brunelli che vi parla, in arte HiFi, direttamente da Radio Versilia Today!

    Se vi è piaciuto il mio monologo scrivetemi via SMS.

    Ora amici ascoltatori, sognatori, vecchi marinai, vi lascio in compagnia di Janis Joplin e della sua voce graffiante.

    Caffè con latte

    Il turno che preferisce è quello della primissima mattina. In particolare la mezz’ora che va dalle 7.30 alle 8.00 racchiude più casi umani di tutta la giornata.

    Mi ci metti il latte?

    Il tizio ha una pancia veramente enorme, riesce a vederla da dietro il bancone, è protesa in fuori come una gigantesca escrescenza.

    Lo guarda in faccia senza che se ne accorga solo per potersi rendere conto di quanto è brutto. Elena vuole essere realistica, lo deve per lo meno a se stessa.

    Dire che quel tizio è brutto non è esatto: è fastidioso. Sono le parti in rilievo che compongono la sua faccia a darle veramente fastidio.

    Il naso tozzo e largo, gli occhi come due fessure, fissate troppo in alto e vicine tra loro, talmente tanto da non sapere se sta guardando lei o guarda il suo naso.

    Ma la cosa che le dà veramente fastidio sono i pori dilatati della pelle, li vede a un metro di distanza. Sono dei buchi che si estendono dal naso lungo le guance e la fronte, sembra quasi che un topo gli abbia scavato la faccia affondandogli le unghie sottili nella pelle. L’idea dello sporco che possono contenere quei solchi, un misto di terra, smog e pus, le provoca un conato di vomito.

    Signorina, mi ci metti il latte?

    Lui lo dice per la seconda volta, meno convinto perché nel momento in cui apre bocca si accorge di averglielo già chiesto pochi minuti prima, Scusa se te lo ripeto, ma perdo i colpi e fa un sorrisetto che gli allarga le narici, i pori si restringono e lei, lo sa per certo: nel comprimersi spruzzano pus a fontana. Poi, abbi pazienza, dice.

    Lei sa anche che nel momento esatto in cui si gira dandogli le spalle per mettergli quel dannato latte nel caffè, quello allunga il collo e la pancia si appiccica contro il bancone per permettere al suo padrone di guardarle il culo.

    Quello sforzo enorme e masturbatorio per un attimo le fa apprezzare quell’essere. Solo un attimo di rispetto.

    Il tizio parla con un suo amico, è della sua stessa specie ma è meno fastidioso, o forse è soltanto che ha concentrato tutta la riluttanza su quella pancia sporgente.

    Loro sono due clienti, due dei tanti, ma quello con il grasso e i buchi è uno di quelli che andrebbero eliminati subito. Sono gli elementi di fastidio ad avere la priorità sugli altri.

    Prende la tazzina del caffè con due mani e gliela appoggia sul bancone, ticihomessoillattemaavreivolutosputarcidentro, ecco qua, pensa dentro e con la coda dell’occhio guarda Mariella alla cassa che serve un cliente.

    Anche lei la guarda con la coda dell’occhio. Mariella, buon anima, sempre un po’ sudaticcia, col caschetto arruffato e il rossetto rosa un po’ a zig zag che esce dal bordo dal labbro superiore, come in un dipinto astratto.

    È lì che la prega di essere gentile con i clienti.

    Il bar Margherita è all’angolo sulla via Italica, lo stradone che da Lido di Camaiore porta dritto fino alle colline. Una linea dritta a unire il mare alle montagne.

    Di prima mattina è popolato dagli operai: li riconosci perché hanno i vestiti sporchi di calcina e camminano strusciando gli scarponi duri come se la loro vita fosse già faticosa abbastanza da rendere il camminare uno sforzo inutile. Si appoggiano al bancone e ti guardano il culo, sempre, poi dopo ordinano.

    A pranzo invece arrivano gli impiegati che lavorano negli uffici delle zone industriali: hanno gli sguardi spenti di chi tutti i giorni deve ordinare un piatto cotto al microonde, mangiarlo con gli occhi puntati sulle storie di cronaca di un quotidiano e dopo mezz’ora tornare a sedersi nella solita stanza.

    Il pomeriggio arrivano gli anziani, che escono di casa per fare una passeggiata e si ritrovano con la comitiva, d’estate o in primavera quando fa caldo si siedono fuori a giocare a carte o solamente per guardare la gente camminare. Formulando teorie sulla vita che solo loro possono capire.

    Elena Giusti lavora come barista part-time, da quando è iniziata l’estate, da quando ha detto a sua madre: Io all’Università non ci vado più.

    E sua madre l’ha guardata con lo sguardo di chi non sa come fare, cosa dire, dove andare a sbattere la testa. In poche parole, con lo sguardo di sua madre.

    E che vuoi fare?

    Elena ha guardato in basso per prendere tempo e cercare di cambiare argomento, le parole sarebbero uscite dalla sua bocca, scivolando lentamente e andandosi a posare nell’aria: voglio ballare, solo ballare avrebbe detto e tutto si sarebbe fatto chiaro, ma anche tremendamente spaventoso come tutte le volte in cui dici qualcosa sapendo che dopo non puoi più tornare indietro.

    Sua madre avrebbe accolto quella rivelazione come una che già sa, ma non può fare niente.

    Nella realtà si era risucchiata la lingua, accartocciandola dentro fino alla gola per impedirsi di parlare e aveva detto semplicemente: non lo so.

    Aveva trovato quel lavoro prima dell’estate, assunta come apprendista part-time, cinque ore al giorno a turni diversi ogni settimana, e le andava bene.

    Era la sua copertura: Eleonora aveva accolto e assimilato quella notizia in silenzio, senza proferire parola. Qualsiasi cosa avesse fatto sua figlia andava bene, non avrebbe interferito, non avrebbe continuato col circolo vizioso delle lotte tra genitori e figli: rancori, paure, porte sbattute in faccia. Seduta comodamente sul divano lasciava a sua figlia il timone di tutto.

    Rock ‘n roll

    La striscia di smalto rosso copre solo la parte centrale, lasciando le unghie bianche ai lati: alcune dita sono impiastricciate e coperte di tinta rossa come se fossero insanguinate.

    Se sua nonna avesse avuto vent’anni invece di ottantacinque e se non fosse stata chiusa in un pensionato avrebbe potuto lanciare la moda dello smalto impiastricciato.

    Basta con le unghie precise, solo smalto sbordato!

    Nello slogan la nonna sarebbe comparsa in una posa sexy sui cartelloni pubblicitari. Elena mentre farfuglia coi pensieri si chiede come abbia fatto da sola a spennellarsi le dita dei piedi in quella maniera.

    Quando sale le scale della pensione la vede seduta all’ombra della veranda con lo sguardo fisso all’infinito, intorno a lei un gruppetto di vecchie immobili.

    Le si apre lo sguardo di speranza alla vista della nipote, le sorride coi denti bianchi di dentiera appena spazzolata, ed Elena sa perfettamente da dove viene quella gioia. Viene dalla fantasia di rubare Cary Grant a Audrey Hepburn, oppure viene da lui, dal nonno, quella volta che fecero sesso per la prima volta sulla spiaggia, in macchina nel parcheggio di casa o sulla lavatrice.

    No, Elena non ha idea sul come e dove avevano fatto sesso per la prima volta i suoi nonni, ma sa che ogni tanto la nonna aveva quella faccia lì, quello sguardo incantato a dirti di pensare proprio a lui, ancora dopo vent’anni.

    C’è stato un tempo in cui Elena e sua nonna parlavano di Seneca e andavano a braccetto al ristorante, ora invece quando la vede quasi la guarda come a chiederle chi sei.

    Loro parlano con le pieghe degli occhi, con le sopracciglia, le guance, le orecchie. Ad usare la voce hanno smesso da anni.

    Deve esserci un momento in cui da vecchi si decide che si è stanchi di parlare e allora la voce se ne va, il corpo se la mangia, la gola diventa vuota e la lingua si attacca al palato.

    Forse sua nonna ha esaurito le parole.

    Di nuovo le chiede chi sei e lei risponde che è sua nipote Elena, quella nata tra le cosce di sua figlia Eleonora. Le dice mimando le parole e facendo uscire un sottile fiato dalle labbra.

    È vestita come una modella, probabilmente qualcuno l’ha avvertita di una visita, o forse pensava che ci sarebbe stato il casting per il nuovo film di Mario Monicelli, proprio lì a Viareggio. Allora per l’occasione si è

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