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Nessuno aveva calpestato la sabbia prima di me
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Nessuno aveva calpestato la sabbia prima di me
E-book460 pagine4 ore

Nessuno aveva calpestato la sabbia prima di me

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Info su questo ebook

In un mondo in cui spesso ci nascondiamo dietro maschere e pretese, questo libro ci invita a riconnetterci con la nostra vera essenza. Attraverso racconti toccanti e riflessioni profonde, l'autore ci guida in un percorso intimo ed emozionante alla scoperta di chi siamo veramente, delle nostre relazioni e delle persone che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra vita.

Immergiti in queste pagine e lasciati trasportare dalle emozioni, dalle gioie e dalle sofferenze di chi ha vissuto esperienze autentiche e intense. Un viaggio appassionante che ti sfiderà a guardare oltre le apparenze e a riscoprire il valore dell'autenticità nel labirinto della vita.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2023
ISBN9791221472561
Nessuno aveva calpestato la sabbia prima di me

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    Anteprima del libro

    Nessuno aveva calpestato la sabbia prima di me - Antonella Salera

    GLI ANNI EROICI

    HO UN PASSO DA GUERRIERO

    Sono io. Quella che è passata di qua. Prima di voi.

    Sono io, vedete? Non ingannatevi dall'aspetto mansueto. Sono io che ho le frecce e l'arco per lanciarle. Sono io che ho camminato per prima sulla sabbia vergine. Cancello le impronte. Voi non mi vedete. Ho il passo silenzioso e circospetto del guerriero.

    Sono dietro ai cespugli. Non sono nuova di questo posto. Ho già visto. Ho già combattuto. Ho già vinto altre battaglie simili. Conosco la procedura.

    Sembrava vero? Sembrava di potermi battere. Quale sbaglio! Io questi sbagli non ne faccio mai. So stimare il nemico e non lo sottovaluto.

    Egli è mio pari sino a che non l'ho battuto.

    Non abbasso la guardia. Sono tesa e attenta. Non mi illudo d'avere terreno migliore. Per tutto il tempo sono concentrata sulla battaglia.

    Ed anche quando le luci si attenuano e la tregua fa respirare un poco, io rimango con gli occhi aperti e ascolto i suoni ed i rumori pronta a scattare al primo segnale di pericolo. Poi quando l'ho sconfitto posso schiacciarlo come un insetto. Ma solo allora canto vittoria.

    Mi vedevi affettuosa, cordiale: lo sguardo dolce, la testa reclinata sulla spalla, ma ti sei ingannato. Ero sempre io la bestia feroce. Con gli artigli retrattili. Sempre io.

    Se non mi trovavi a volte era perché, come falco perlustratore, mi ero alzata in volo. Non te l'aspettavi vero? Adesso sei trasecolato. Adesso sei dispiaciuto come un ladro colto in fragrante. Chiedi perdono.

    Nessun perdono. Hai perso, vedi. Dovevi pensarci. Credevi d'essere stato il primo a tradire? A mentire? Il primo a cercare di ingannare? A cercare di ingannarmi?

    Non si è mai i primi nelle malefatte. Ricordalo. Sono io che sono passata prima di te. Ma ho cancellato le impronte.

    NON ESISTONO COSE INSENSATE

    Non esistono cose insensate. Tutto ciò che risponde ad un richiamo profondo è la risposta opportuna. Non è necessario darsi delle giustificazioni.

    Quelle magari arriveranno col tempo, solo quando ciò che si era predisposto ha già avuto la sua risoluzione e la passione generata sembra incanalata verso una dimensione nuova, intenta a costruire una nuova persona. La tua persona. Eri tu che ti barcamenavi, senza logica, offrendo il tuo cuore trafitto e perduto fino all'ultimo spasimo di una disponibilità cieca? Certo. Eri tu. Ma che vuol dire? Non vergognarti del tuo antico impeto.

    Non esistono cose inopportune. Bisogna fare quello che in quel momento risponde al proprio impeto, risponde al bisogno misterioso dello spirito che siamo. Non c'è un punto di riferimento adeguato a ciò che andiamo a compiere perché ciò che siamo non sarà ripetibile. Dunque, perché servirsi di parametri standard, di costumi già predefiniti? Noi siamo pionieri nel mondo. Non eseguo passaggi battuti, non attraverso valichi spianati. La strada è nuova.

    Il risveglio quotidiano è sempre inedito per ognuno di noi.

    La nostra fine avrà il sapore solitario e vergine dell'esistenza che ci è stata assegnata.

    A chi dobbiamo giustificare il fervore?A chi daremo il sospiro estremo della nostra fine se non alla nostra trasformazione che sarà necessaria e vitale? Dunque..non dobbiamo rimpiangere ciò che avevamo bisogno di essere.

    NON SONO QUI

    Ah! Non sono qui ora.

    Non chiamatemi.

    Sono oltre quello scoglio liscio e scuro dove si infrange l'onda, d'improvviso

    Non sono qui, adesso, si vede.

    Non mi inquieto.

    Sono quel gatto lezioso che si lecca i baffi disteso sul muretto in fondo al vicolo.

    Sono una tigre sazia nel ramo più alto.

    Sono il respiro leggero nella notte prima di addormentarsi. Sono piena dei tuoi abbracci e delle tue parole.

    Ah non sono qui e si vede. Ma voi come fate ad arrabbiarvi ? Non durerà per molto questo incanto, ma, per ora, non posso arrabbiarmi. Presto il giorno di sole sarà finito. Avrò ancora qualche secondo per seguire la sua luce nascondersi dietro ai palazzi.

    Poi ci sarà l'oscurità totale. Quello che mi premeva sarà svanito.

    Allora mi accuccerò in terra. Stringerò le ginocchia contro il petto. Sarò vuota. Probabilmente soffrirò.

    Non ci penso ancora e forse non mi importa.

    Non sono qui e si vede.

    Non chiamatemi alle vostre battaglie. Non posso arrabbiarmi. Si vede?

    SONO ACQUA CHE TRACIMA

    Ho tanti argomenti tra le mani che potrei divenire acqua che tracima, oceano che allaga intere latitudini.

    Sono un globo ruotante con l'ansia di scuotere gli oceani che mi abitano.

    Eppure mi contengo.

    Non è tempo, ora, per essere uno tra i milioni di oratori, sostenitori di verità, divulgatori di certezze inalienabili.

    I fatti parlano da soli: dobbiamo vederli. E per vederli intendo proprio smetterla di pensare e porre l'attenzione esclusiva ed essenziale sulle cose.

    I fatti si rivelano agli occhi spontaneamente. Non dobbiamo cercarli o interpretarli. Sono lì. Ci cadono tra le braccia come fasci di fiori lanciati dai balconi.

    Una cosa ben fatta non ha bisogno d'essere magnificata.

    Una cosa ben fatta non ha bisogno di essere richiamata alla memoria, ma rimane scolpita nella mente pronta a sgusciare fuori per dare le risposte cercate.

    Una cosa ben fatta non ha bisogno d'essere resa illustre. Un'azione funzionale emana grandezza intorno a sé e tutti ne subiscono il fascino naturalmente.

    Diffidiamo quindi delle parole di trionfo e di gloria. Abbiamo distrutto. Abbiamo smascherato.

    Abbiamo cancellato.Abbiamo vinto.

    Oh, lo so, voi dite che la situazione è triste e viene voglia di lasciarci incantare da un qualsiasi cantastorie che ci permette di allontanarci dalla realtà opprimente. Capisco. Ma non sarà così che potremo uscirne.

    Dobbiamo vedere la ferita spassionatamente per trasformarla in feritoia. Sta a noi lavorare.

    Sta a noi partecipare alla costruzione dei fatti e se questi non rispondono positivamente dobbiamo avere l'umiltà di disfarli e riprovare ancora.

    Il danno peggiore sarebbe immaginare una soluzione che non guarisce, una speranza che non aiuta, un'energia che non costruisce, un'operazione che non funziona.

    LA SOPRAFFAZIONE

    Oh, io non mi meraviglio affatto delle violenze e delle ingiustizie, in genere.

    Tutti i giorni, pago in prima persona i tentativi di sopraffazione di persone incompetenti.

    Parlo di quelli che non sanno lavorare, ma che, invece di restarsene bravi bravi a far lavorare gli altri, si mettono anche a dare direttive su questa e quell'altra cosa come fossero delle persone che se ne intendono: invece una minchia di niente che se ne intendono!

    Una mattina questi esseri inadeguati alla professione per cui sono retribuiti, si svegliano (qui qualcuno si aspetterà un bella ciao) ed in virtù di un ruolo guadagnato chissà come e quando, cominciano a vessare quelle persone di buona volontà che hanno ancora in senso dello Stato e del Servizio pubblico.

    Trovate molta differenza tra questi incapaci e incompetenti dei piani alti e quelli che si mettono a sfasciare le macchine dei poveri cittadini con mazze e bastoni? Io no, scusate.

    Le sopraffazioni o meglio le violenze, hanno molte facce e tutte ugualmente disastrose e deleterie per la comunità. Si comincia a subirle nei luoghi pubblici, quelli silenziosi ed ovattati da tappeti e dal profumo di lavanda, fino a vederle scatenarsi con spranghe e cappucci su una strada di città.

    Le angherie, le vessazioni hanno lo stesso movente, hano origine dalla stessa personalità confusa e meschina, sia che operi su una poltrona vellutata, sia che decida di esprimersi sotto una benda nera e casco di protezione.

    Allora dobbiamo veramente smetterla di meravigliarci della violenza che si attua davanti ai nostri occhi. E dire: Toh, non me l'aspettavo proprio!!!

    Dobbiamo smetterla di visitarla e fotografarla (la sopraffazione) come fossimo turisti giapponesi, ma dobbiamo puntarle il dito addosso, chiamarla col suo vero nome, non bisogna mai ignorarla e sottovalutarla.

    E' necessario, invece denunciarla.

    Perché la violenza dapprima si mescola tra la folla per non farsi notare. Azzarda persino sorrisi e toni garbati. Ma poi, quando si accorge d'avere spazio e forza necessaria, quando s'avvede che hai abbassato la guardia, che su qualche ingiustizia sei disposto a chiudere un occhio, all'improvviso getta la maschera. E se cominciamo ad accettare la violenza, quella sottile, sotterranea, ma anche spudorata, arrogante quella nei posti di lavoro, nelle fabbriche, negli ospedali, poi non dobbiamo lamentarci se la troviamo anche nelle strade, se pur con altre voci ed altre caratteristiche.

    Per questo dobbiamo vigilare affinché la violenza non si propaghi nel luogo in cui lavoriamo e persino nel luogo che più amiamo perché sarà proprio in quel luogo che la prevaricazione potrebbe schizzare il suo veleno mortale, che ci potrebbe attaccare senza tregua fino a lasciarci esausti e sconfitti. Non ci credete? Se lasciamo spazio alla violenza perché è ancora sopportabile, ancora leggera, diamo ad essa la possibilità di lievitare.

    Succederà sempre perché sempre è successo. Nelle piazze, negli uffici, nelle scuole, nei bar, e addirittura in famiglia. Mettiamoci in quest'ottica perché tutto questo non deve, dico, non deve farci trovare impreparati.

    LA VOCE

    Come faccio a stare ferma? Non posso.

    Ho la mia voce da seguire e sento che potrebbe abbandonarmi se non le prestassi ascolto attentamente. Ho la mia voce da seguire.

    Non posso farmi distrarre dalle esortazioni che giungono dal mondo, il mondo mi è estraneo.

    Non sono miei gli eventi, non sono miei i ricordi. Non sono le mie aspirazioni quelle che lo guidano. Il mondo entra nella mia vita come un ospite sgradito. A gamba tesa.

    E' il verme nella mela. Si intrufola con i suoi riti malsani, con le sue richieste scriteriate.

    Pedanti e seduttive.

    Mi parla di obiettivi mondani, di successi carnali quanto effimeri.

    Non voglio farmi prendere. Ho un disegno da completare, ho un puzzle da costruire. Non è quella la natura che ci preme. Dobbiamo ascoltare il segreto dei battiti del nostro cuore e non si tratterà di vincere o di guadagnare soldi.

    Non si tratterà di applausi o vittorie.

    Poveri coloro che cambieranno il sentiero per un consenso rumoroso.

    C'è una trama da scoprire che si poserà solo su di me e forgerà le mie membra senza errore.

    Non sono io che mi muovo, ma la spinta che mi crea e mi comanda.

    Noi siamo creature di un racconto che non ci appartiene. Possiamo solo godere la sua armonia e cederle totalmente.

    C' è un mosaico che si svela: la nostra esistenza.

    IL DOLORE ALLE CINQUE

    Non esiste una vita lineare. Una strada sicura, un percorso stabilito.

    Rispondere alla propria anima significa porsi delle deviazioni, delle trasgressioni. Molti, per paura, non vogliono ascoltare il richiamo. Ma si condannano ad una vita stereotipata, inautentica.

    La coscienza è variegata, confusa, fuorviante. Posso innalzare muri che le impediscano di compiere movimenti bruschi, posso avere lo stesso volto per tutto il tempo, ma so che il mio cuore comincerebbe a dimenarsi ferocemente, strapperebbe la corda e fuggirebbe lontano. Non ho che la scelta di affrontare l'antro che mi è destinato. Non ho che la scelta di incontrare le forze della mia essenza profonda e seguirla e cederle amorevolmente e nutrirmi alla sua fonte sapiente. Non posso fare altro che rispondere alla sua natura essenziale. Incontrerò il dolore. E' già successo. So come può essere straziante. So come può essere distruttivo. Potrebbe piegarmi, uccidermi. Ci ha già provato. E' un serial killer spietato. Colpisce quando abbassi la guardia, quando sei distratta e debole. Quando sei mortificata. Ma so che non fa parte di me: è solo un visitatore importuno. E' un ospite sgradito.

    Suonerà alla porta d'ingresso ed io non potrò che farlo accomodare nel soggiorno.

    Lui si siederà comodamente sul divano e, molto gentilmente, sarò costretta ad ascoltare il suo lamento cavernoso. Mi alzerò per preparare il tè con i pasticcini. Lui si ciberà avidamente di ogni mia pietanza.

    Ma alla fine il dolore dovrà andarsene. Per forza.

    LE PARTI DI ME

    C'era quella parte in me che viveva una vita sotterranea, senza temere le tenebre ed i suoi fantasmi crudeli. C'era quella parte di me in cui fluidificava il tempo ed il luogo tanto da non permettermi di abitare in alcun posto se non nella riflessione profonda e grave.

    C'era quella parte di me che s'agitava con forza e senza incertezze, che si spingeva, anzi, che si precipitava avanti inconsapevole di ciò a cui tendeva. Era una parte innocente perché senza memoria, senza esperienza perché senza passato, ma fluente nell'eterno susseguirsi delle passioni e dei palpiti. C'era quella parte di me che s'era data, che si dava totalmente alla vita con la forza di ciò che si vuole e si può realizzare cioè sentire e vivere pienamente.

    Ma oltre questo, c'era quella parte che con gli occhi torvi e malevoli, osservava un passo indietro senza convinzione.

    C'era quella parte che sapeva, oh sì, che sapeva! Perché aveva già visto, già vissuto, consolidato il gioco perverso dell'inganno, della sofferenza e del martirio. Quella parte era abile e non si ingannava, ma faceva tesoro del crepitìo fecondo del pensiero e lo coltivava alla luce della realtà incombente. Era una parte che conosceva il mondo e le leggi di costume e delle istituzioni. Era la parte che non si faceva sorprendere, che non si faceva colpire. Era lei, destinata a caricarsi sulle spalle il peso delle competenze acquisite, che vendicava il danno e riparava l'offesa. Era lei, previdente, accorta, esperta, guerriera. Era la parte che decideva, alfine, e prendendo le redini, trasportava il cavallo imbizzarrito al suo traguardo. Così era stato, ancora. Ancora, in quell'occasione, m'aveva sollevata da terra e aveva deciso le strategie di comportamento e di battaglia. Quella parte era la parte più forte e più attenta. Non era la migliore. Ma come avrei fatto senza la sua mano robusta, la sua parola ferma, la sua determinazione alla rinascita?

    MON AMOUR

    Vieni, siediti accanto a me.

    Ora.

    Abbiamo così poco tempo e l'aria è così leggera questa mattina.

    Vieni, restiamo seduti ancora per un poco.

    Il tempo è appena sufficiente per ascoltare il mare. Non voglio parlare, ora.

    Voglio restare accanto a te, in questo istante prezioso. Non dobbiamo che viverlo pienamente.

    Abbiamo così poco tempo. Non ho che pensieri di mare e sabbia tra le dita. Non ho che l'aria calda di sole sulla pelle. Non ho che te, ora.

    Domani vi sarà ancora chi ci spingerà alla lotta, sono quelli che in questo istante stanno già tramando oscuri pensieri inconcludenti di odio e rancore.

    Ma noi sappiamo che il tempo è appena sufficiente per starci accanto perché siamo viandanti in questa terra straniera che è l'esistenza e dobbiamo goderne i frutti come un dono miracoloso. Irripetibile.

    Vieni, siediti accanto a me.

    In questa giornata straordinaria.

    Abbiamo così poco tempo.

    CESARE

    Eh! Tesoro, come adoro i nostri periodici meeting per le vie della città chiacchierando con quella leggerezza disinvolta che ci può essere solo con gli amici più cari!

    Allora sciolgo gli ormeggi della mia nave da guerra e la conversazione si svolge a ruota libera senza più alcuna preoccupazione di difendermi.

    Ci muoviamo sfaccendati e distratti tra i negozi del centro saltando da un argomento all'altro, interrompendo il flusso delle parole per indicare un vestito in vetrina o per chiacchierare con un conoscente incontrato nella strada. Ma ieri, proprio ieri pomeriggio, mentre nel dehor del bar della piazzetta ci stavamo raccontando di tua madre, delle terapia che dovevi somministrarle, del tuo mal di schiena che non ti dava tregua, d'un tratto, trascinata con te in un altro tempo, ti ho chiesto: Ma com'è che siamo passati a questi discorsi da vecchi? Quando è stato che le malattie, i disagi, i dolori hanno preso il posto delle cronache delle nostre notti di fuoco?

    Ricordi?

    Un tempo raccontavi: Lei mi fa di tutto. Ed io, petulante e giocosa, ti incitavo a scendere in particolari, a raccontarmi l'apologo di una favola bella!

    E quella volta, di un giorno pieno di neve che ci eravamo addentrati in una strada di sassi ed acqua per inseguire una tua storia d'amore?

    L'auto sobbalzava instabile e fumante pressata dalla nostra ostinazione, ma non ci eravamo arresi se non davanti allo spazzaneve che chiedeva il passaggio.

    Eppure siamo ancora noi e non siamo affatto più saggi. Ma le voglie si sono impigrite, la curiosità non ci appartiene più.

    In questi giorni ricevo telefonate misteriose da un ambiguo sconosciuto. Un tempo sarebbe stato un divertente argomento di conversazione.

    Adesso, seduti al bar del centro, ci limitiamo ad esultare per le pizzette calde che il cameriere ci posa sul tavolo.

    A Cesare, il battito del mio cuore, l'amico per sempre.

    LA DONNA E GLI ALTRI ANIMALI

    E' ANDATA COSI'

    E' andata così.

    Eravamo in un letto assolutamente senza restrizioni. Tutto sarebbe stato possibile. Era facile. Poteva essere subito. Il mio desiderio era vigile. Ma incredibilmente, proprio questo, mi ha fermato: al desiderio sembrava che questa situazione fosse troppo in accelerazione.

    Da sempre la mia voglia è profonda ma pignola. E' meticolosa: attraversa ogni percorso con maniacale attenzione. Non tralascia di prestare attenzione ad ogni battito di ciglia, ad ogni granello di polvere della strada. Come una domestica solerte e puntigliosa, non si fa sorprendere a sonnecchiare davanti alla televisione, ma è precisa e pedante, ispeziona e pulisce in silenziosa devozione. E così il desiderio, sorpreso ed anticipato nella sua primordiale essenza, s'è tirato indietro. Avremmo avuto un rapporto sessuale, sarebbe stato semplicissimo, la tecnica la conosco.

    Ma poi? Sarebbe durato nulla: la frazione di una mezz'ora dispersa nella macchia nera nei mille momenti della mia vita. Cosa sarebbe stato per me il ricordo? Il desiderio sarebbe stato appagato prima di essere evocato, già conclamato prima di essere sofferto, richiamato quindi, deluso forse. Esaurito. Vinto.

    Ho pensato così, ma non era un vero pensiero con lui di fronte a spingermi ed a chiedermi. Era la mia anima che implodeva. Ho sentito che preferivo il desiderio stretto nelle mie viscere, che preferivo non lasciarlo andare, non lasciarlo morire così per nulla in un secondo di respiro, per un gesto, un amplesso che non valeva i miei palpiti. E' andata così: ho trattenuto il desiderio. L'ho preferito a questo uomo. L'ho scelto. L'ho

    conservato. Ora è presente. Altrimenti sarebbe morto, sarebbe scomparso.

    Invece è con me, col ricordo di quello che non è avvenuto che posso ancora inventare, che posso costruire. Più vero di quello che sarebbe accaduto e più esaltante. Il desiderio me lo propone, lo inventa e lo rinnova. E' andata proprio così.

    E meno male.

    ERA AMORE

    Si incontrano persone, ci piacciono, sembra così facile legarsi, tendere verso di loro. Sorrider loro. E poi com'è che questo sorriso, questo abbraccio, come d'incanto si trasforma in odio in repulsione?

    Ed ancora ... mi chiedo ancora:

    Com'è che appena si sente che tutto s'è trasformato in odio invece di prendere sentieri opposti, distanti uno dall'altro, si comincia a prenderci a testate come vacche ciondolanti ed annoiate?

    Siamo stati tanto tempo immobili in questo prato senza fiori, senza più speranza. Senza allontanarsi di un passo per tenerci d'occhio.

    Eppure, sconosciuti, Pier, ci siamo corsi incontro. Ricordi?

    Avevi detto: E' una bellissima serata. Poi l'invito, poi l'abbraccio. C'era la notte di luna, il sorriso, la luce tenue, il senso di speranza.

    Tutto questo ora cos'è diventato?

    Rancore, ritorsioni, violenze e due figli innocenti.

    Non era forse meglio aver preso, quella notte, le nostre auto per altri sentieri? Non è forse meglio che gli esseri umani non compiano lo stesso percorso fianco a fianco? E come bestie che si annusano per caso e senza intenzione riprendano il cammino tra i sassi e l'erba di primavera?

    Invece ecco che arriva il legame. Ecco che arriva l'odio.

    Ci si rotola nell'odio come fosse una vasca di sali profumati. Invece bisogna prendere le distanze. Da subito. Bisogna stare soli.

    Si può forse odiare qualcuno se si è soli?

    La solitudine è sobria. E' priva di nefandezze. Di immoralità. Di eventi. Non si sporca le mani. Sembra immacolata.

    E' stato così difficile liberarsi di te che adesso quando un legame si fa stretto me lo scuoto di dosso come fossi assalita da miriadi di api impazzite.

    LA CHIAVE

    Seduta ai bordi del letto, nella grande camera arredata, s'era messa a guardare le cose che la circondavano.

    L'armadio a parete color crema lucido, i tappeti pesanti e morbidi, i quadri giganti sulla parete.

    Si ricordava il tempo e l'impegno che aveva adoperato per realizzare tutto ciò che aveva. Ma era un ricordo accademico, da scolaretta zelante, non avvertiva più il senso e l'emozione. Ciò che vedeva non le piaceva affatto.

    S'accorse che il suo bisogno era diretto all'atto di comporre più che all'oggetto finito. Il giocattolo strutturato non le interessava. Viveva nell'energia del desiderio di costruire e manipolare l'istante, viveva succhiando profondamente la linfa dell'essenza che dipanava da lei, ma poi non si attardava a verificare l'effetto.

    Mentre pensava questo, con il desiderio di aprire la porta e dirigersi altrove, le pareva all'improvviso che questa sua inclinazione non fosse proficua. Sarebbe quindi stata in continuo pellegrinaggio con l'ansia d'avere non volendo ottenere davvero, non potendo avere mai soddisfacimento e senza fermarsi ad una vita sicura e costruttiva?

    Lei lo sapeva. Che la sua esistenza era protesa all'atto dell'eccitazione profonda della propria anima e solo attraverso l'impazienza del possesso avrebbe potuto elevare la sua canzone ed essere presente alla sua vita confusa e libertaria. Per questo aspettava quell'incontro che era sempre un principiare il gioco e l'emozione. Un ricostruire daccapo come se nulla fosse stato raggiunto negli incontri precedenti. Per questo lei amava quei momenti. Per questo lei amava lui in modo viscerale. Così decise di non pensare più a niente.

    Subito non si mosse ma rimase seduta silenziosa e indifferente. Poi si alzò, si infilò il giaccone lentamente, afferrò le chiavi dell'auto sul mobile dell'ingresso. Quante volte lo aveva fatto? Quante volte era scappata? Scappare. Scappare. Allontanarsi senza poter spiegare, senza sapere dove andare di preciso.

    Lei aprì la porta con l'animo ribelle e clandestino che le era consueto. Scese le scale senza far rumore.

    Andò via. Ma sapeva che lo avrebbe fatto anche dal luogo che l'attendeva.

    IL SOGNO LIQUIDO

    Lei aveva lavorato tutto il giorno freneticamente.

    Quando si coricò nel suo letto sprofondò immediatamente in un sonno senza sogni.

    A poco a poco l'incoscienza abbandonò il suo corpo e si trasformò in un incantato cedimento del corpo fatto di lenzuola setose adagiate su cuscini caldi e morbidi.

    Era in quello stato di dormiveglia dove il pensiero lascia posto al torpore ed alla beatitudine della spossatezza del cuore.

    Fu allora che sentì il suo sangue pulsare e percorrere il sentiero conosciuto dei palpiti segreti delle membra.

    C'era una forza solitaria che decideva per lei su ciò che il suo corpo dovesse vivere e si sentì invadere da un calore vibrante che si dipanava nella pelle, spinto da un richiamo potente e autorevole.

    I movimenti avevano un che di misterioso e inconscio benché sentisse sé stessa partecipare all'invito oscuro del fremito profondo.

    Ma non sapeva, non sapeva nulla se non ch'era coricata in un buio morbido e gonfio di suoni e profumi senza pensieri. Il suo sesso stringeva il vuoto ritmicamente e nello stesso tempo lo riempiva di sé e dei suoi umori nuovi e vitali.

    Pareva un bruco scivoloso che si addentrava nell'oscurità di cunicoli mai visitati eppure voluti con tutta l'energia di un respiro istintivo e animale.

    Lei, nel sonno, allungò la mano verso la sensazione di calore e di benessere che l'avvolgeva e la chiamava muta ma decisa e si trovò sommersa da un liquido mieloso e ardente che la fece scivolare in fondo ed ancora in fondo al suo corpo come inciampata in una discesa facile da scendere.

    Perché tutto era semplice: lei stessa era lumaca innamorata che solcava il suo sentiero di linfa densa e profumata. Lei stessa era il vuoto da riempire di gocce d'acqua di sorgente nuova. Fu allora che si tuffò nel piacere confuso di un sogno mai iniziato.

    LUI ANDO' VIA E LEI NON LO TRATTENNE

    In quei giorni avevano lavorato l'uno accanto all'altra.

    Lei aveva potuto vedere i movimenti del suo corpo teso al lavoro, mentre si piegava e si inarcava sulle cose intorno con la fronte aggrottata e lo sguardo rigido e scuro. Aveva imparato a capire la sua stanchezza e l'intensità dei suoi sforzi nelle azioni. Avevano avuto dei momenti brevi di spensieratezza e di sorrisi strappati alla fatica ed alla concentrazione, ma erano stati sporadici e casuali.

    Quel tempo sembrava potesse essere infinito.

    Non lo era.

    Quel giorno, che il lavoro s'era allentato, quasi diluito nel tempo, avevano entrambi compreso che era terminato.

    Lei, allora,

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