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Sono solo un’infermiera: Lascia il mondo come lo hai trovato, solo se decidi di cambiarlo
Sono solo un’infermiera: Lascia il mondo come lo hai trovato, solo se decidi di cambiarlo
Sono solo un’infermiera: Lascia il mondo come lo hai trovato, solo se decidi di cambiarlo
E-book167 pagine2 ore

Sono solo un’infermiera: Lascia il mondo come lo hai trovato, solo se decidi di cambiarlo

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Info su questo ebook

In questo libro si descrive la vita difficile di una bambina che per forza di cose deve giocare a fare l’adulta. Si racconta di una donna che non può esprimere se stessa e la sua femminilità. Si parla di bullismo e di una società che, se ti reputa diversa dallo standard ideale, ti espelle in maniera feroce.

Il messaggio che voglio dare con questo libro è che non puoi scegliere la famiglia dove nascere, non puoi scegliere di essere sano e in salute, non puoi scegliere il contesto sociale in cui nasci e cresci, ma puoi fare tesoro delle tue ferite e, dopo averle disinfettate e medicate adeguatamente, utilizzarle come simbolo della tua crescita e della tua grandiosità.

E dopo questo processo lento e consapevole, sarà bello mostrarle come un bellissimo tatuaggio floreale o musicale.

Vivere una vita difficile e senza protezioni ti consente di sviluppare una visione di aiuto nei confronti dell’altro. Un po’ come se, aiutando l’altro, aiutassi te stessa. Curare le ferite altrui ti consente spesso di lenire le tue. La relazione di aiuto “è un dare e un avere”, non è unilaterale.

Quando un paziente migliora il suo stato di salute dopo le cure ricevute, sempre, in quel momento ti arricchisci di un pezzo che completa il puzzle della tua vita. Un puzzle che rappresenterà un’immagine, un quadro come quello che avresti tanto desiderato: colorato, ricco di elementi gioiosi e vitali.

Sono solo un’infermiera vuole comunicare due messaggi importanti.

Il primo è che noi scegliamo una strada, una professione perché spesso vogliamo rispondere a un nostro bisogno. Aiuto l’altro per aiutare me stessa. Questo è un elemento importantissimo, perché la persona che riceve le cure si aspetta di ricevere solo una prestazione sanitaria, invece riceve molto di più. Paga la prestazione per ricevere una medicazione, mentre riceve sorrisi, una calda stretta di mano, una parola che migliora la sua giornata, una rassicurazione in un momento di paura e di ansia. Questo non è previsto nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), giuro.

Il secondo è che la nostra società tutt’oggi non riconosce all’infermiere il giusto peso e il riconoscimento sociale come avviene in altri paesi. Ancora oggi dire di essere infermiere non suscita interesse, non solo da parte del cittadino, ma anche da parte di istituzioni, che tanto devono agli infermieri.

Il mondo dell’infermiere è spesso un mondo sconosciuto e tanto ricco. Basta solo soffermarsi ad ascoltarlo!

Tra queste pagine vi sono tutte le sfumature di una vita che è stata sicuramente aspra e dolorosa, ma che, grazie a un’immensa forza e capacità di rigenerazione, si è plasmata in meraviglia e può essere di grande esempio per chi vuole rinascere e comprendere come si possa decidere di trasformare il dolore in empatia e dono sia per se stessi che per gli altri.
LinguaItaliano
EditoreBookness
Data di uscita23 giu 2023
ISBN9791254892572
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    Anteprima del libro

    Sono solo un’infermiera - Gabriella Scrimieri

    Introduzione 

    Maria Gabriella in breve

    I ricordi più teneri che posseggo sono quelli di una Gabriella che, dentro al letto, ascoltava favole lette dal nonno e chissà cosa mi direbbe oggi quella bimba sapendo che questa sera sono dentro un letto, a centinaia di chilometri da Taranto e sto per scrivere un libro.

    A dire il vero anche questa Gabri, donna adulta, fatica a credere che ci saranno pagine che racconteranno di lei. Pagine che mi vedranno ripercorrere la mia vita intera, quella personale, ma anche quella professionale. Quante emozioni, sensazioni, avvenimenti, soddisfazioni, arrivi e partenze, quante valigie fatte in fretta, quanti dolori, pezzi di cuore e anima che sono andati in frantumi. Confesso di sentire il cuore che batte veloce, avvertire una commozione forte mentre le mie dita battono sulla tastiera e credo che questo viaggio, durante il quale mi metterò a nudo, richieda un attimo più o meno lungo per poter riordinare le idee, per poter mettere in sequenza tutto quello che ho vissuto.

    A volte mi sono chiesta se davvero fosse la mia vita quella sulla quale stavo riflettendo, come se mi sembrava talmente tanto incredibile da poter essere in realtà davanti a uno schermo di un film o dentro un sogno che ahimè a volte ha avuto le sembianze di un incubo.

    Ma procediamo con calma, non voglio farmi prendere dalla fretta, desidero davvero ripercorrere le tappe che mi hanno portata a questo qui e ora, che mai e poi mai avrei potuto immaginare.

    Questa donna, che oggi vive in una grande città quale Milano, che ha davvero fatto tanti sacrifici per raggiungere un certo ruolo professionale, forse da fuori può sembrare dura e indecifrabile, ma se ti fermi un attimo e la guardi bene, scopri che dietro quello sguardo trasparente dei suoi occhi chiari si cela qualcuno che ha fatto di ogni sua ferita la forza per alzarsi di nuovo dopo la caduta e proseguire.

    Sono solo un’infermiera vuole essere un viaggio, come ho già detto, non solo dentro la mia esistenza, ma anche quella di ogni persona che decide di mettersi a disposizione degli altri tra le corsie di un ospedale. Mi piacerebbe raccontare cosa mi ha spinto a scegliere questa professione che amo e come lo studio, la specializzazione e i viaggi veri, fisici, in giro per il mondo, mi abbiano permesso ora di ricoprire un ruolo che oggi ho scelto e ritagliato sulla mia persona. Oggi ricopro il ruolo di coordinatore infermieristico in un ospedale milanese, quindi mi prendo cura di tutti quegli infermieri che stanno lasciando le loro impronte professionali e umane tra i letti di questo ospedale, proprio come ho fatto io per molti anni. La nostra figura professionale, in ambito italiano, non ha il giusto riconoscimento, e non lo dico per fare polemica, ma con quell’amarezza che può trasformarsi in stimolo o input per cambiare le cose. Ho avuto la possibilità di viaggiare e vedere come in altre realtà, quella canadese o statunitense ad esempio, il ruolo infermieristico abbia un potere di parola diverso, abbia la possibilità essere partecipe tra chi decide le legislazioni, rendendo così la qualità del proprio servizio eccellente per il paziente e per tutta la categoria. Perché grazie all’esperienza che mi sono fatta sul campo, se un infermiere lavora con il sorriso, soddisfatto della sua quotidianità lavorativa che comprende mille sfumature, non potrà che essere pienamente positivo nel tipo di approccio, atteggiamento e prestazione che offrirà a chi si trova dentro un letto di ospedale.

    Perché leggere questo libro e a chi mi rivolgo

    Quando ho iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto scrivere un libro, mi sono chiesta perché avrei dovuto farlo. Quali potrebbero essere i motivi veri e validi per iniziare questo progetto? Mi sono anche immaginata chi avrebbe potuto leggermi.

    Tendenzialmente sono una persona molto riservata, ma altrettanto curiosa nei confronti della vita e mi sono messa in discussione davvero un’infinità di volte, tanto è vero che mentre lavoro, sto frequentando online una nuova facoltà universitaria. Sì, discuterò una nuova laurea in Scienze Politiche.

    Attualmente mi sto interessando molto di politica, ho notato che è una cosa che mi affascina moltissimo, mi piace e credo fermamente che solo dando un’impronta forte e chiara in politica si possano raggiungere i risultati di cambiamento che tutti desideriamo. Così mi sono donata la possibilità di capire meglio, di approfondire. Vi è sicuramente una forte interconnessione tra la politica e il mio lavoro attuale, io sono un’infermiera però di base faccio la coordinatrice infermieristica e così, grazie anche a questa nuova esperienza, mi sento di esprimermi secondo ciò che mi piace.

    Forse una delle ragioni per cui scrivo il libro è perché, attraverso ciò, vorrei far emergere questa parte di me in primis, questa mia attitudine e poi perché, come ho già anticipato all’inizio, vorrei proprio raccontare di me. Ancora prima di mettermi davanti al pc, mentre pensavo a cosa avrei potuto scrivere, mi sono detta che questa poteva anche essere una sorta di terapia. Scrivere mi offre senz’altro l’opportunità di tornare, dopo molti anni, a rielaborare alcuni aspetti di me che, forse, per certi versi, ho un po’ insabbiato.

    Da bambina e per molti anni ho nascosto tutto di me, dando volutamente la facciata di una persona diversa. Il vero motivo è che mi vergognavo, delle mie origini, di quello che non avevo, dello stato sociale, e, dopo la tragedia familiare che si è compiuta, ancora di più vivevo uno strano senso di colpa e di vergogna che mi ha portato a nascondere ulteriormente le mie origini, l'episodio che si era verificato, inventando fatti mai esistiti. La verità era che mi vergognavo, come se fossi io la causa dei miei dolori. Avevo paura dei commenti e dei giudizi della gente.

    Quindi, scrivo anche per una forma di riscatto. Voglio che la gente sappia la verità. Io sono questa e il dolore mi ha rafforzato sotto tanti punti di vista, soprattutto a riguardo di una dignità di cui sentivo di essere stata privata da bambina. Non devo vergognarmi di quello che non ho fatto, anzi devo far sapere al mondo di essere una donna fiera, una grande donna che, nonostante le cattiverie, le ingiustizie, il dolore a cui l’ha sottoposta, è riuscita a risorgere dalle sue ceneri.

    Oggi difficilmente qualcosa o qualcuno può piegarmi. Ho acquisito quella giusta consapevolezza e forza che mi consentono di apprezzare la Gabriella vera, quella che con le sue fragilità, quella che ha costruito un castello che solo i veri eroi possono e riescono a erigere.

    Oggi ho capito che la gente che ti fa volutamente del male, la gente che ti ignora, che ti colpisce con volontà e cattiveria, quella che ti abbandona nel momento del dolore, è colei che nel futuro ti rende quello che sei oggi:

    Quella grande roccia che nessuno potrà più scalfire.

    Poi ho anche pensato a quanti sguardi ho incrociato nei vari reparti dove ho prestato servizio, quante parole dentro gli occhi che hanno avuto voce anche senza un suono, quanta sofferenza che ho colto in uomini, donne, giovani e non, quante volte hanno avuto lo stesso impatto anche con me e così mi sono chiesta se potevo essere ulteriormente utile con il mio racconto a chi sta attraversando un momento intenso. Chissà se potrebbe essere utile riconoscersi nei miei momenti vissuti e vedere che comunque sono sopravvissuta, ma non solo, sono riuscita a dare una direzione che sembrava impossibile alla mia vita.

    Io, in certe occasioni, ne sono uscita potrei dire vincente.

    Vorrei proprio trasmettere un messaggio a quelle persone che magari in questo momento non vedono la luce in fondo al tunnel, vorrei mostrare come quella luce esiste e le sta aspettando, perché, così come l’ho ritrovata io, ci tengo a dire che chiunque può farlo.

    Riemergere è qualcosa che appartiene all’essere umano.

    L’altra mattina davanti allo specchio mi sono chiesta: Gabri, sei sicura? Tu lo sai vero che il racconto della tua vita è forte, è crudo, è davvero tanto… tanto ricco di colpi di scena…

    Ho fatto un respiro profondo di fronte a questo quesito, gran bella domanda, difficile direi. Credo fermamente che le esperienze di vita dolorose vadano raccontate, non tanto per suscitare dolore in chi le legge o compassione, ma perché ci stiamo abituando a vedere in questo mondo mediatico, social e da copertina delle riviste, persone e vite sempre perfette, sorridenti, come se l’esistenza umana fallisse il suo scopo nel momento in cui si cade, si sbuccia il cuore e le ginocchia. certo tutto questo accade ma deve farlo in silenzio. Oppure urlando. Perché bisogna ritrovare poi fuori dai riflettori e dai filtri dei social la forza di alzarsi con cicatrici che saranno lì a guardarti per sempre.

    Ho un tatuaggio sul malleolo destro che rappresenta l’araba fenice, perché la mia filosofia di vita è un po’ quella: risorgere dalle mie ceneri, dai miei dolori. Credo di essere la persona idonea per raccontare di una vita che potrebbe essere quella di qualsiasi altra donna, perché a volte, o molto spesso, ci nascondiamo, come diceva Pirandello, dietro a delle maschere. Io sono una che sorride spesso, ma dietro a quel sorriso altrettanto spesso nascondo molto dolore, un dolore che preferisco non far emergere, perché ho sempre reputato che quella sofferenza sia mia e la devo curare da sola, così come ho in realtà fatto. D’altro canto credo però anche che, a volte, si debba tirare giù quella maschera e dire effettivamente chi sei, quale è stato il tuo trascorso, come ti sei ricostruita e ti stai ricostruendo, perché la ricostruzione è un processo che continuerà finché ci sarà vita.

    Ci svegliamo la mattina e davanti allo specchio, con gli occhi magari gonfi dal pianto, cominciamo a indossare quelle maschere di vite perfette e senza sussulti o problemi, e non dico che non sia giusto, perché nei reparti dove ho lavorato come infermiera, ci ho sempre tenuto tantissimo che ai pazienti arrivassero il mio sorriso e la mia forza, ma molte mattine avrei forse preferito non dover coprire le occhiaie o non dover fare quel respiro profondo prima di adagiare sul mio viso la maschera della felicità, come se fossi un’attrice pronta ad andare in scena e avrei forse voluto mostrarmi con tutte le mie ferite aperte, non dovendo più essere io quella forte, ma per una volta quella che veniva accolta dentro a braccia rassicuranti. Avrei voluto trovare semplicemente dall’altra parte un mondo pronto a dirmi: Gabriella non ti preoccupare, andrà tutto bene. Non pensare a nulla!. Ma sono anche convinta che quando poi quella fenice una mattina si è guardata allo specchio e non ha più sentito il bisogno di indossare le maschere, quelle braccia le ho trovate. Mi hanno accolta, mi hanno trasmesso calore e rassicurazione e ora vorrei che le mie, di braccia, potessero trasmettere anche questo a chi deciderà di leggermi. Vorrei che arrivasse sì tutto ciò che ho vissuto e che mi ha dilaniato il cuore, quella sofferenza che ha lasciato impronte indelebili come un tatuaggio, ma vorrei che giungessero a te soprattutto la forza e la capacità di ricucire le ferite, di guardare le ceneri a terra e la capacità della mia anima di rigenerarsi e rinascere a una nuova essenza, decisa e plasmata secondo i miei desideri.

    A chi mi rivolgo quindi? Se dovessi pensarci, velocemente, direi che mi viene in mente l’immagine di una donna, forse più o meno della mia età, una donna che magari è infermiera o ha fatto una carriera simile alla mia.

    Quello che non mi uccide, mi rende più forte.

    Q Questa la frase con cui ho aperto il libro, anche se non hai ancora letto la storia, so che capirai perché mi piace tanto. La sento davvero molto mia e, più passano gli anni, più mi convinco che davvero tutto ciò che non ci uccide ci rafforza, ci da quella forza per appoggiare i gomiti a terra, spingere forte su essi e rialzarci.

    Di solito pondero bene le mie scelte e decisioni, ma devo dire che sì, sono convinta valga la pena mettermi a nudo tra queste pagine e lo dico scegliendo di

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