L'orgoglio della signora Husson. Testo originale a fronte
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Info su questo ebook
Vicino a Parigi, ogni anno, vengono incoronate le rosières: giovani donne che ricevono una corona di rose come ricompensa per la loro virtù. Alla signora Husson viene l’idea di donare una rosière a una donna di Gisors. Consulta chiunque: l’abate, la domestica, il sindaco, il medico… Nulla, sembra che nessuna giovane sia sfuggita alle maldicenze! La signora Husson è ferita nell’orgoglio, ma la domestica Françoise ha un’alternativa: un rosier.
Guy de Maupassant
Guy de Maupassant was a French writer and poet considered to be one of the pioneers of the modern short story whose best-known works include "Boule de Suif," "Mother Sauvage," and "The Necklace." De Maupassant was heavily influenced by his mother, a divorcée who raised her sons on her own, and whose own love of the written word inspired his passion for writing. While studying poetry in Rouen, de Maupassant made the acquaintance of Gustave Flaubert, who became a supporter and life-long influence for the author. De Maupassant died in 1893 after being committed to an asylum in Paris.
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Anteprima del libro
L'orgoglio della signora Husson. Testo originale a fronte - Guy de Maupassant
I LEONCINI
frontespizioLe Rosier de Madame Husson
L’orgoglio della signora Husson
ISBN 978-88-9296-727-4
© 2022 Leone Editore, Milano
Traduttore: Giulia Pesavento
www.leoneeditore.it
FRA
Avevamo appena superato Gisors, dove mi ero svegliato perché i controllori avevano gridato il nome della città, e stavo per appisolarmi di nuovo, quando una scossa spaventosa mi scaraventò addosso al donnone che avevo di fronte.
Si era bloccata una ruota della locomotiva, che giaceva di traverso sul binario. Il tender e il vagone bagagli, anch’essi deragliati, riposavano accanto alla moribonda, che rantolava, gemeva, fischiava, sbuffava e sputava. Assomigliava a uno di quei cavalli caduti per strada, i cui fianchi battono, il petto palpita, le narici fumano e l’intero corpo trema, ma che non sembrano più capaci di fare il minimo sforzo per alzarsi e camminare ancora.
Non c’erano né morti né feriti, solo qualche livido, perché il treno non aveva ancora ripreso velocità; e noi guardavamo, desolati, la grande bestia di ferro zoppa, che non poteva più trasportarci e che forse avrebbe bloccato la strada per molto tempo, perché senza dubbio avrebbero dovuto mandare un treno di soccorso da Parigi.
Erano le dieci di mattina, e mi decisi subito a ritornare a Gisors per pranzare. Mentre camminavo sul binario, dicevo tra me e me: «Gisors, Gisors, ma io conosco qualcuno qui. Ma chi? Gisors? Vediamo… Ho un amico in questa città». All’improvviso mi balenò in testa un nome: Albert Marambot. Era un vecchio compagno di scuola che non vedevo da almeno dodici anni, e che a Gisors esercitava la professione di medico. Mi aveva scritto spesso per invitarmi; avevo sempre promesso di venire, senza mantenere. Quella volta, finalmente, approfittavo dell’occasione.
Chiesi al primo passante: «Sapete dove dimora il dottor Marambot?».
Rispose senza esitare, con l’accento strascicato dei normanni: «Rue Dauphine».
In effetti, scorsi sulla porta della casa indicata una grande targa di rame su cui era inciso il nome del mio vecchio amico. Suonai, ma la domestica, una ragazza dai capelli biondi e dai gesti lenti, ripeteva con un’aria stupida: «Non c’è! Non c’è!».
Sentivo un rumore di forchette e bicchieri, e gridai: «Ehi! Marambot». Si aprì una porta e apparve un uomo grasso con le basette, l’aria seccata, un tovagliolo in mano.
Di certo non l’avrei riconosciuto. Avrà avuto almeno quarantacinque anni, e in un secondo mi apparve tutta la vita di provincia che appesantisce, ingrossa e invecchia. Con un solo veloce pensiero, più rapido del mio gesto di tendere la mano verso di lui, conoscevo la sua esistenza, il suo modo di essere, la sua maniera di pensare e le sue teorie sul mondo. Intravidi i lunghi pasti che avevano arrotondato la sua pancia, la sonnolenza dopo aver mangiato, nel torpore di una pesante digestione innaffiata di cognac, e gli sguardi vacui gettati agli ammalati con il pensiero del pollo arrosto che gira davanti al fuoco. Mi furono rivelate le sue conversazioni sulla cucina, sul sidro, sull’acquavite e sul vino, sul modo di cucinare alcuni piatti e di addensare alcune salse, e non potei fare a meno di notare il rossore delle sue guance, la pesantezza delle sue labbra, l’opacità dei suoi