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Masanobu Fukuoka. L'agricoltura del non fare: La biografia del pioniere dell'agricoltura naturale
Masanobu Fukuoka. L'agricoltura del non fare: La biografia del pioniere dell'agricoltura naturale
Masanobu Fukuoka. L'agricoltura del non fare: La biografia del pioniere dell'agricoltura naturale
E-book338 pagine4 ore

Masanobu Fukuoka. L'agricoltura del non fare: La biografia del pioniere dell'agricoltura naturale

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Info su questo ebook

Larry Korn, attraverso le parole di Masanobu Fukuoka, con cui è stato a lungo a stretto contatto, illustra le basi scientifiche e pratiche di un metodo agricolo rivoluzionario in grado di assicurare rese abbondanti limitando al minimo gli interventi in campo.

Un libro prezioso, attraverso il quale riusciamo a comprendere e amare la profondità del messaggio di Fukuoka, che è allo stesso tempo una filosofia di vita e un metodo di coltivazione a impatto zero, con al centro un profondo amore per la natura.

Grazie alla lunga frequentazione e alla diretta partecipazione ai lavori agricoli nell’azienda di Masanobu Fukuoka, nessuno meglio di Larry Korn ha conosciuto così da vicino la filosofia e il metodo di lavoro del pioniere dell’agricoltura naturale.

Oltre a narrare il lungo percorso che ha portato l’autore di La rivoluzione del filo di paglia ad abbandonare la sua carriera di fitopatologo per dedicarsi all’agricoltura del non fare, in queste pagine Korn illustra, attraverso le parole di Fukuoka, le basi scientifiche e pratiche di un metodo agricolo rivoluzionario in grado di assicurare rese abbondanti limitando al minimo gli interventi in campo, evitando le lavorazioni del terreno e l’impiego di concimi e pesticidi di qualunque tipo.

Con un linguaggio semplice ed esperienziale l’autore ci fa comprendere e amare la profondità del messaggio di Fukuoka, insieme metodo di coltivazione a impatto zero e filosofia di vita, con al centro un profondo amore per la natura.
LinguaItaliano
Data di uscita3 ago 2023
ISBN9788866818823
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    Anteprima del libro

    Masanobu Fukuoka. L'agricoltura del non fare - Larry Korn

    CAPITOLO 1

    La storia di Fukuoka

    MASANOBU FUKUOKA AVEVA UNA MISSIONE. Per più di sessant’anni ha faticato nella sua piccola fattoria in Giappone per dar prova che l’umanità non sa nulla, che non dovrebbe fare nulla e che tutto ciò che l’uomo ha fatto è stato fatica sprecata. Suona assurdo, ma è il percorso che egli ha intrapreso. È stato un uomo rivoluzionario che credeva che un filo di paglia potesse cambiare il mondo. Ai più sarà sembrato uno strambo piccolo contadino, ma al momento della sua morte nel 2008 aveva innumerevoli seguaci in tutto il mondo, convinti con tutto il cuore che la sua visione e il suo esempio potessero condurre verso un mondo migliore.

    Il viaggio

    Masanobu Fukuoka è cresciuto in un piccolo villaggio sull’isola di Shikoku, dove i suoi antenati vivevano da centinaia di anni. Da giovane lavorava nei campi e nell’agrumeto dell’azienda di famiglia e ricordava quegli anni come un periodo di spensieratezza e, in un certo qual modo, di irresponsabilità. Iniziò la sua istruzione ufficiale nella scuola elementare del luogo, ma per la scuola media e superiore dovette spostarsi fino alla città di Matsuyama, a ventisette chilometri di distanza. Ogni mattina saltava in sella alla bicicletta e si recava alla stazione ferroviaria di Iyo, prendeva il treno fino a Matsuyama e camminava per il resto del percorso: un viaggio di circa un’ora e mezzo all’andata e un’ora e mezzo al ritorno. Era uno studente nella media, spesso esasperava gli insegnanti con la sua indifferenza e la sua cattiva condotta.

    Tuttavia, poiché il padre, Kameichi Fukuoka, era il più grande proprietario terriero del villaggio e ne era stato sindaco per molti anni, ebbe l’opportunità di iscriversi alla Facoltà di agraria dell’Università di Gifu, vicino a Nagoya. Ricevette un’ampia istruzione studiando sociologia rurale, inglese, tedesco, la filosofia occidentale ed etica. Infine, si dedicò allo studio dell’agricoltura su larga scala, specializzandosi in patologia delle piante sotto la guida del dottor Makoto Hiura, uno dei maggiori scienziati del Giappone in materia. La scienza affascinava Fukuoka e presto divenne uno degli studenti migliori di Hiura. Dopo la laurea, ottenne un lavoro al Centro ricerche della prefettura di Okayama. Un anno dopo iniziò a lavorare alla Divisione per il controllo delle piante dell’Ufficio dogane di Yokohama, uno dei porti più trafficati del Giappone.

    Fukuoka studiava le malattie e gli insetti infestanti presenti sui prodotti importati e in più si occupava di ispezionare le piante in arrivo. Gli piaceva effettuare ricerche tecniche ed «era sbalordito di fronte al mondo della natura che gli si presentava attraverso la lente del microscopio»⁹. Dopo tre anni in quella località, venne ricoverato per una polmonite acuta e rischiò di morire. Anche dopo la guarigione e il rientro al lavoro, continuava ad essere afflitto da gravosi pensieri sullo scopo della vita, sulla morte e sul loro significato.

    Poi, la mattina del 15 maggio 1937, Fukuoka inspiegabilmente ebbe una rivelazione e percepì quella che definì l’eterna forma della natura. Stava sonnecchiando all’alba, appoggiato al tronco di un albero che dominava dall’alto il porto. Scrisse più tardi: «Quando la brezza cominciò a soffiare da sotto la scogliera, la bruma mattutina improvvisamente scomparve. Proprio in quel momento apparve un airone notturno, lanciò un grido acuto e volò via distante. Sentii lo sbattere delle sue ali. In un attimo tutti i miei dubbi e la cupa foschia della mia confusione svanirono. Tutto ciò che era stato mia ferma convinzione, tutto ciò su cui mi ero di solito appoggiato venne spazzato via col vento (...). Sentii che questo era il vero paradiso in terra e qualcosa che si potrebbe chiamare natura vera se ne stette lì davanti, rivelata»¹⁰.

    Cercò di descrivere la sua visione ai colleghi, spiegò loro che nulla aveva significato e che tutta l’attività umana non era altro che fatica sprecata, ma venne liquidato come un eccentrico intenzionato a ostacolare il progresso. Erano gli anni in cui si credeva che la scienza e la tecnologia annunciassero un’età dell’oro fatta di agi e abbondanza. Deluso dall’indifferenza dei colleghi, decise di lasciare il lavoro e tornò nel suo villaggio natale. Anziché cercare di spiegare ciò che intendeva usando solo le parole, ne applicò i princìpi all’agricoltura, dandogli una forma fisica e dimostrando così la sua utilità. Voleva dimostrare che la forza produttiva della natura, da sola, era maggiore di quella dell’agricoltura moderna che si affidava completamente alla conoscenza dell’uomo e alla tecnologia. Dopo avere fatto ritorno a casa, Fukuoka traslocò in una piccola capanna sul versante della montagna per prendersi cura dell’agrumeto del padre.

    Il primo tentativo di mettere in pratica i principi dell’agricoltura naturale fu un totale fallimento. L’idea di Fukuoka era di lasciare la natura a briglia sciolta, quindi smise di potare gli alberi da frutto che erano già stati cimati per tenerli bassi e ampi in modo da raccogliere i frutti più facilmente. Egli pensava che senza ulteriori potature, gli alberi sarebbero tornati alla loro forma naturale. Ma quando i rami iniziarono a ricrescere, si accavallarono in modo disordinato. In pochi anni oltre quattrocento alberi seccarono e morirono. Alla luce di questa esperienza, Fukuoka realizzò che ormai l’interferenza dell’uomo con il disegno della natura era così profonda che non era possibile evitare del tutto di intervenire e aspettarsi poi di avere immediatamente buoni risultati. Quella che aveva praticato fino ad allora non era agricoltura naturale, ma semplicemente abbandono di qualsiasi intervento. Una volta che si è disturbato l’equilibrio ecologico naturale, si ha la responsabilità di riparare il danno causato. Praticare l’agricoltura naturale è possibile solo quando tale equilibrio non è stato alterato, di conseguenza Fukuoka capì che nella maggior parte dei casi occorreva un periodo di riabilitazione.

    Alla fine degli anni Trenta, il rullo dei tamburi di guerra divenne inequivocabile. Esortato dal padre, Fukuoka lasciò la tranquillità della sua capanna sulla collina e trovò un lavoro nel Centro di agricoltura sperimentale della prefettura di Kochi, nella zona orientale di Shikoku. Da lui e dai colleghi ci si attendeva che, con la loro ricerca, incrementassero le produzioni alimentari durante la guerra. Fukuoka si impegnò anche come divulgatore agricolo nella comunità, aiutando i singoli agricoltori ad aumentare la produzione, e tenne una rubrica di consigli agricoli per un quotidiano locale. Ma per tutto il tempo continuò a portare avanti la sua personale ricerca, confrontando i risultati ottenuti usando compost, fertilizzanti chimici, pesticidi ed erbicidi, con quelli ottenuti senza compost né sostanze chimiche di sintesi. Scoprì che coltivare usando compost e sostanze chimiche portava a raccolti leggermente più abbondanti, ma non abbastanza per compensare i costi sostenuti. Soddisfatto dei risultati raggiunti con quegli esperimenti, non li ripeté mai più nello stesso modo, l’uno vicino all’altro.

    Quando la guerra si avvicinava alla fine, nella primavera del 1945, anche Fukuoka fu chiamato in servizio. Venne mandato al fronte a scavare trincee per l’attesa invasione delle forze alleate. Ma questa non si verificò e la guerra finì improvvisamente appena quattro mesi dopo. Grato per essere stato risparmiato, Fukuoka tirò un sospiro di sollievo, abbandonò pala e pistola e partì per tornare a casa.

    Poco dopo la fine della guerra, le forze alleate di occupazione guidate dal generale Douglas MacArthur attuarono diversi e importanti cambiamenti. I funzionari locali, come il padre di Fukuoka, vennero rimossi dagli uffici e un programma di riforme terriere ridistribuì i campi di riso in maniera più equa tra gli abitanti del villaggio. Al suo ritorno Fukuoka trovò le proprietà di famiglia ridotte a poco più di un quarto di ettaro di risaie e un ettaro di frutteto. Successivamente fu in grado di acquistare altri nove ettari di frutteto dai vicini. Ne tenne metà per la sua fattoria naturale e il figlio Masato-san coltivò il resto utilizzando il metodo biologico. I campi di riso furono poi ampliati fin quasi a un ettaro di superficie.

    La casa colonica nel villaggio aveva un cortile, qualche annesso e un piccolo orto biologico appena fuori la porta della cucina, ma Fukuoka tornò alla capanna nel frutteto. Trascorse parecchi anni osservando le condizioni del suolo e notando le interazioni tra le piante e gli animali che vivevano lì. Faceva anche lunghe passeggiate sulle montagne per conoscere a fondo ciò a cui si riferiva quando parlava di disegno della natura. Ricordando quei tempi, Fukuoka diceva: «Avevo semplicemente svuotato la mente e cercavo di assorbire tutto ciò che potevo dalla natura»¹¹.

    Notò che nel frutteto c’erano ben poche specie – gli alberi da frutto, qualche arbusto, alcune piante perenni e un po’ di erbacce stentate. Tutta la parte superiore del terreno era erosa e lasciava esposta la parte sottostante, argilla dura e rossa. Se non avesse fatto nulla, la natura avrebbe continuato a peggiorare in una spirale discendente. Per riparare il danno, Fukuoka si concentrò dapprima nel miglioramento del suolo e nell’aumento della biodiversità. Per migliorare il terreno sparse semi di specie con radici profonde come tarassaco, bardana, romice e daikon. Per ripulire e arricchire il suolo distribuì semi di piante rustiche con sistemi radicali fibrosi e solidi, tra cui il grano saraceno, l’alfalfa, la senape, la rapa, l’amaranto e l’achillea. Poi aggiunse una copertura di leguminose con trifoglio bianco e veccia. Il trifoglio arricchisce il terreno ed è efficace per eliminare le infestanti. La veccia prospera in inverno quando il trifoglio ha più difficoltà.

    Piantumò anche una certa varietà di alberi e arbusti, tra cui alberi di acacia che fissano l’azoto, per migliorare gli strati più profondi del terreno. L’acacia cresce velocemente, quindi dopo otto o nove anni ebbe la possibilità di tagliare quegli alberi e usarli per farne legna da ardere o materiale da costruzione, lasciando le radici a decomporsi con il tempo.

    Quando estirpò le piante ne piantumò altre in aree diverse del frutteto, in modo da far continuare il ciclo di ripristino del suolo. Alla fine il terreno divenne fertile e la struttura del frutteto finì per assomigliare a un bosco naturale. Quando arrivai alla fattoria, circa trent’anni dopo che aveva iniziato questo processo, il terreno era ormai fertile e c’erano più di trenta diversi tipi di alberi da frutto, noci, bacche di tutti i tipi e ortaggi che crescevano ovunque. C’erano anche polli e anatre, qualche capra, alcuni conigli e le tante arnie.

    Fukuoka era convinto che se si dava alla natura l’opportunità, essa avrebbe risposto provvedendo a tutto, quindi era alla continua ricerca di metodi per minimizzare il proprio intervento in campo. Come scriveva ne La rivoluzione del filo di paglia:

    «La maniera normale di sviluppare un nuovo metodo è domandarsi: E se si provasse questo? o E se si provasse quest’altro?. (...) Questa è agricoltura moderna e si risolve solo nel rendere più occupato il coltivatore. Io facevo il contrario. Cercavo un modo simpatico, naturale di coltivare che si risolvesse nel rendere il lavoro più facile invece che più duro. E se si provasse a non fare questo? E se si provasse a non fare quest’altro?. Era questa la mia maniera di pensare. Alla fine arrivai alla conclusione che non c’era alcun bisogno di arare, alcun bisogno di dare i fertilizzanti, alcun bisogno di preparare il composto e irrorare pesticidi. A ben guardare sono poche le pratiche agricole veramente necessarie»¹².

    Quando fece ritorno al frutteto, Fukuoka constatò che gli equilibri naturali erano talmente danneggiati da costringerlo a effettuare molti interventi che più tardi non sarebbero più stati necessari. Per esempio, quando ebbe attecchito la copertura permanente del terreno a base di piante in grado di ripristinare la fertilità naturale, non fu più necessario utilizzare fertilizzanti. Una volta ripristinata la biodiversità vegetale, divenne disponibile un habitat ideale per un’ampia gamma di insetti utili, quindi non servì più preparare e spargere insetticidi biologici. Alla fine si ritrovò a non fare quasi nulla, se non spargere semi, distribuire paglia, tagliare le piante tappezzanti di tanto in tanto e attendere il raccolto.

    Applicò la stessa semplicità ai campi di cereali, dove ogni anno coltivava riso e orzo nello stesso appezzamento. In autunno seminava orzo invernale e trifoglio bianco direttamente tra i filari di riso. Quando il riso veniva raccolto, le giovani piantine di orzo avevano già ricoperto la superficie del suolo, quindi spargeva la paglia di riso sul campo. Il trifoglio, la pacciamatura di paglia e il fatto che non ci fosse uno stacco tra le due coltivazioni rendeva difficile l’insediarsi di infestanti. Poi seminava il riso, utilizzando i semi del raccolto dell’anno precedente, direttamente tra i filari di orzo.

    Coltivando i cereali in successione in questo modo, evitava i tradizionali interventi, quali l’aratura, la cura delle piantine nel semenzaio in primavera e il successivo trapianto, il diserbo, i fertilizzanti e l’irrigazione delle colture. Invece dell’aspetto ordinato e controllato dei campi dei vicini, quelli di Fukuoka mostravano la selvaggia esuberanza della crescita naturale. Il suo terreno migliorava di stagione in stagione e in breve tempo tornò ad assumere le caratteristiche dei suoli delle praterie naturali. Malgrado l’apparenza trasandata, i raccolti di riso nei campi di Fukuoka erano equivalenti o spesso più abbondanti di quelli dei vicini, che usavano sostanze chimiche e le più avanzate tecnologie disponibili.

    Negli anni in cui stava sviluppando il suo metodo di coltivazione, Fukuoka aveva vissuto prevalentemente nel frutteto ma ciò non gli aveva donato la serenità cui aspirava. Descriveva se stesso all’epoca come scostante e di cattivo umore, persino con la sua famiglia¹³. Dal suo ritiro tra le montagne testimoniava, indignato, la degenerazione sia della terra che della società giapponese. I giapponesi seguivano risolutamente il modello americano di sviluppo economico e industriale. L’agricoltura era diventata un business e il cibo una merce. Mano a mano che il lavoro dell’uomo e degli animali veniva sostituito da macchine e sostanze chimiche, la popolazione si spostava dalle campagne dirigendosi nei nascenti centri industriali. Gli agricoltori prestavano sempre meno attenzione alla qualità del cibo che producevano e sempre più attenzione a quanto da esso potevano guadagnare. Insieme a tali cambiamenti, arrivarono l’inquinamento e il disfacimento spirituale. Fukuoka si sentiva frustrato poiché non riusciva a fare di più per fermare questo processo, eppure aveva dimostrato che l’umanità poteva vivere in maniera più armoniosa. Gli era stata data in dono l’intuizione e sentiva che ciò implicava la responsabilità di aiutare gli altri. Era un peso che si portò dietro per tutta la vita.

    Verso la fine degli anni Sessanta, Fukuoka avvertì un nuovo senso d’urgenza. Decise che non poteva, in tutta coscienza, restare ancora in silenzio. Divenne dunque più attivo, espose le sue riflessioni durante forum pubblici, scrisse libri e articoli e si rese protagonista su radio e televisioni. Invitò gli studenti a vivere nel suo frutteto in modo da passare loro la sua conoscenza pratica in agricoltura e sperimentarla insieme, invitò chiunque fosse interessato, inclusi scienziati e rappresentanti del governo, a visitare la sua fattoria e a constatare l’abbondanza dei suoi campi. Eppure, pochissime persone seguirono il suo esempio.

    Poi tutto cambiò con la pubblicazione dell’edizione giapponese di La rivoluzione del filo di paglia nel 1975 e la successiva traduzione in lingua inglese nel 1978. Fukuoka ebbe dunque l’opportunità di compiere numerosi viaggi fuori dal Giappone e ciò che vide lo allarmò. Rimase sconcertato della distesa di pianure senza alberi coperte da erba secca, che gli altri chiamavano con orgoglio le colline dorate della California. Comprese che il clima mediterraneo della California non poteva contare sulle piogge estive del Giappone, ma era anche convinto che l’intervento umano stesse giocando un ruolo ancora più importante nel trasformare il Golden State in un deserto con i metodi dell’agricoltura industriale, la cattiva gestione dell’acqua, lo sfruttamento eccessivo del terreno e il sovrapascolo. Dopo avere visitato altre parti del paese, iniziò a riferirsi alla situazione come al disastro ecologico dell’America. Ciò che vide in Africa e India gli diede un’idea della vastità della crisi ecologica nel mondo. Da quel momento, concentrò tutte le sue energie a risolvere il problema della desertificazione, per capire come rimediarvi usando i metodi dell’agricoltura naturale.

    Fukuoka era convinto che la maggior parte dei deserti nel mondo fosse il risultato dall’attività umana e che gli sforzi fino ad allora messi in atto per recuperare le terre stessero solo peggiorando le cose. Credeva fermamente che i deserti potessero essere rinverditi utilizzando la semina aerea su larga scala. Raccomandava di racchiudere i semi di tutte le specie possibili in palline d’argilla che contenessero anche microrganismi. Se fossero stati disponibili semi di tutte le piante, la natura avrebbe scelto la linea d’azione più appropriata in base alle condizioni esistenti. Si riferiva a questa pratica come alla seconda genesi. E, cosa ancora più importante, le idee e le ipotesi preconcette della gente sarebbero rimaste fuori dal processo decisionale.

    Nel 1985 andò in Somalia con centinaia di chili di semi per sperimentare la sua teoria. La maggior parte dei semi gli era stata spedita da casalinghe giapponesi che avevano risposto al suo appello salvando semi di frutta e verdure durante la preparazione dei pasti. Portò con sé anche diverse centinaia di piantine da frutto. Il piano però non poté essere portato a termine a causa dell’interferenza del governo somalo, quindi ripiegò su un campo di rifugiati in una remota zona dell’Etiopia dove un gruppo di volontari giapponesi stava già fornendo assistenza. Là, comunque, riuscì a mostrare ai rifugiati come piantare e prendersi cura degli alberi e come coltivare gli ortaggi.

    Nel 1987 Fukuoka affrontò il primo dei suoi cinque viaggi in India, dove fu ricevuto come un rishi. Già prima del suo arrivo, La rivoluzione del filo di paglia era stato diffusamente distribuito e letto ed era già stato tradotto in quattro dialetti locali. Circa la metà della popolazione indiana viveva ancora grazie a un’agricoltura di sussistenza, quindi il suo approccio a basso costo e con una base spirituale fu prontamente apprezzato e adottato. Numerose comunità agricole erano già passate al suo metodo di non-lavorazione e non-intervento adattandolo alle loro colture e condizioni locali.

    Parlò di agricoltura naturale come di un metodo simile a quello del Mahatma Gandhi, «un metodo senza metodo, che agisce in una condizione mentale di non-vittoria e non-opposizione»¹⁴, e lodò chi lo seguiva. A Visva Bharati, l’università fondata dal premio Nobel Rabindranath Tagore, ricevette la laurea onoraria, il riconoscimento più importante, dall’ex primo ministro indiano, Rajiv Gandhi. Durante una visita successiva, ebbe una conversazione di un’ora con l’allora primo ministro P.V. Narasimha Rao. Quell’incontro fu ampiamente rilanciato da televisioni e giornali.

    Il 9 ottobre 1997 Fukuoka ebbe l’opportunità di una visita memorabile, insieme a Bhaskar Save, anch’egli votato all’agricoltura naturale, nella sua azienda agricola di cinque ettari e mezzo con frutteto nel Gujarat meridionale, appena a nord di Mumbai (precedentemente nota come Bombay). Là le principali colture da reddito, il cocco e il sapote¹⁵, occupavano circa quattro ettari in vari frutteti naturali, un vivaio di piante di cocco si estendeva per circa un ettaro e un altro ettaro era utilizzato per coltivare cereali, ortaggi e altre colture stagionali per il consumo domestico.

    Save aveva iniziato a praticare l’agricoltura nel 1953, quando l’agrochimica era appena stata introdotta in India, ed era diventato una recluta modello della Rivoluzione Verde. Ma dopo pochi anni aveva cominciato a notare che doveva intervenire sempre di più nei campi e spendere sempre di più per acquistare concimi e pesticidi. Inoltre si era accorto che la condizione del suo terreno e il vigore delle piante si andavano deteriorando. Questo lo indusse a porsi domande sul valore dell’agricoltura convenzionale e a cercare alternative. Le trovò nelle foreste vicino alla sua fattoria, dove alberi, arbusti e sottobosco crescevano indisturbati con abbondanza, senza dissodare, fertilizzare, diserbare e senza alcun altro intervento dell’uomo. Save giunse dunque alla conclusione che il fondamentale abbaglio degli scienziati che si occupavano di agricoltura era rappresentato dal loro tentativo di aumentare la produttività quando la natura era di per se già più che generosa. Nel 1960 iniziò quindi ad applicare queste intuizioni nel suo frutteto.

    Quando Fukuoka fece visita a Save, la fattoria di quest’ultimo era tra le più produttive dell’India, molto di più rispetto a quelle dei vicini che usavano le tecniche dell’agricoltura convenzionale. Era ricoperta da una grande varietà di vegetazione, benché Save, la sua famiglia e le poche donne che lo aiutavano nei lavori facessero ben poco per mantenerla. L’azienda agricola prosperava in fertilità e tratteneva sempre più acqua mano a mano che recuperava la condizione naturale.

    Save non aveva alcuna formazione in agricoltura e ribadiva che non aveva bisogno di una preparazione formale perché «la mia università è la mia fattoria». Fukuoka rimase piacevolmente stupito mentre visitava il frutteto sedendo sul carro trainato dai buoi con accanto Save. E continuava a dire: «Meraviglioso! Meraviglioso!». Quando il gruppo si radunò nuovamente dopo la visita e qualcuno gli chiese cosa pensasse della fattoria, disse: «Ho visto molte fattorie nel mondo, questa è la migliore. È persino meglio della mia!». Oggi l’India può contare su molti più esempi pratici di agricoltura naturale – e molto più interesse verso di essa – di qualsiasi altro posto al mondo.

    La percezione

    La maggior parte delle persone considera l’agricoltura naturale esclusivamente come un metodo agricolo, in realtà è molto di più, è la dimostrazione fisica della visione del mondo di Fukuoka. Le fondamenta dell’agricoltura naturale sono ciò che Fukuoka aveva visto quella mattina a Yokohama. Quella visione ha fornito il contesto per tutto ciò che ne è seguito.

    Quella mattina Fukuoka aveva colto per la prima volta che l’esistenza è un’unità indivisa in cui ogni cosa è interconnessa, organizzata perfettamente e brulicante di forza vitale. E che il tempo esiste come un continuum in evoluzione del momento presente, che incorpora passato e futuro. Come esseri umani siamo parte essenziale di questa unità, ma in genere non riusciamo a percepirci come tali perché ci consideriamo un’entità separata. Quando abbandoniamo l’idea di essere separati, la vera natura si rivela e noi siamo liberi di occupare il nostro giusto posto in essa. Allora non ci sentiremo una parte distinta, come ci percepiamo quando guardiamo da fuori, ma saremo la natura stessa.

    Fukuoka, come altri maestri spirituali orientali, considerava il mondo come qualcosa che costantemente si dispiega e si modifica, un punto di vista differente da quello a cui siamo abituati in Occidente. David Hinton, traduttore di antichi poeti e testi classici cinesi, ha spiegato con queste parole la visione della realtà secondo il pensiero dell’antica Cina in un’intervista alla rivista The Sun:

    «Noi pensiamo al tempo in termini lineari, mentre nell’antica Cina pensavano all’esistenza come ad una espansione in avanti, ad un incessante presente generatore in cui le cose appaiono e scompaiono nel processo del cambiamento. E questa costante nascita prosegue sia nel mondo fisico che nella coscienza umana, poiché la coscienza è quanto mai parte di quel processo, come lo è la spuma dell’onda o il temporale o un fiore che si schiude in un mandorleto... l’esistenza è viva... Le cose si muovono e cambiano perennemente, appaiono e scompaiono. Le nuvole si muovono lentamente. Il vento fa frusciare i fiori di campo e gli alberi. Il giorno sbiadisce nella notte e la notte nel giorno. Le stagioni vanno e vengono, una dopo l’altra. Tu muori. Altre persone nascono. E via così, ancora e ancora. Tutto si muove in ogni momento, senza pause, senza un inizio o una fine... In Occidente noi ci opponiamo a questo continuo cambiamento. Desideriamo stabilità e un’anima immortale che ci permetta di sfuggire la

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