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Il richiamo della vita
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E-book214 pagine3 ore

Il richiamo della vita

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Info su questo ebook

La vita ci porta in luoghi ed eventi che non potremmo prevedere. Ma c'è un detto che dice che quando si pianifica, Dio vede e ride.
Giusy aveva una buona gioventù e la speranza di un futuro roseo, una casa calda e un ambiente amorevole. Invece, le tragedie che l'hanno colpita l'hanno portata a un difficile confronto con un mondo di sfruttamento e di sfida. Ogni volta che alzava la testa, e le sembrava che il peggio fosse passato, arrivava una nuova crisi che la fortificava per affrontare la situazione successiva. Quando entrò nella trappola di miele che Rosanna le aveva teso, non immaginava dove l'avrebbe portata.

LinguaItaliano
Data di uscita6 feb 2022
ISBN9781005891534
Il richiamo della vita
Autore

Uri Jerzy Nachimson

Uri Jerzy Nachimson was born in Szczecin, Poland, in 1947. Two years later, his parents emigrated to Israel. In 1966, he served in the Israeli army in the Northern Command for three years. He participated in the Six-Day War as a photographer in combat.As a freelance photographer, he wandered around Prague as crowds demonstrated in front of Soviet tanks. His travels to Egypt are the inspiration for his book, Seeds of Love.In 1990, he returned for the first time to Poland to seek his roots. He was deeply affected by the attitude of the Poles towards the Jews during and after World War II, and he started to research the history of the Jews of Poland. Thus, the trilogy was born: Lilly's Album, The Polish Patriot, and Identity.Uri's grandmother, Ida Friedberg, was the granddaughter of the Jewish writer A.S. Friedberg, editor of the Polish Jewish newspaper Hazefira, and the author of many books.In 2005, Uri moved to Tuscany, Italy, where he lives with his wife. While in Cortona, he wrote Two Margherita, Broken Hearts in Boulevard Unirii, Recalled to Life, Violette and Ginger, The Girl from Haukaloolloo, Isabella, In the Depth of Silence, and others.

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    Anteprima del libro

    Il richiamo della vita - Uri Jerzy Nachimson

    Il Richiamo della Vita

    Un Romanzo

    di

    Uri J. Nachimson

    Il Richiamo della Vita

    Uri J. Nachimsom Copyright ©2021 dell'autore

    Nessuna parte di questo materiale può essere riprodotta, copiata, fotocopiata, registrata, tradotta, memorizzata in archivio, trasmessa o pubblicata con qualsiasi mezzo, elettronico, ottico, meccanico o altro. L'uso commerciale di qualsiasi tipo di materiale contenuto nel libro è strettamente proibito, tranne che con il permesso scritto diretto dell'autore o dell'editore. Tutti i personaggi che appaiono nel libro così come la trama e gli eventi sono frutto dell'immaginazione dell'autore. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Tutti i diritti riservati all'autore © in tutte le lingue. Scritto a Cortona, Toscana, Italia. Originariamente in ebraico nel 2021.

    Copertina: Un'opera d'arte Ritratto di Donna di Giovanni Boldini, 1920 (Museo Boldini)

    Capitolo 1

    Mamma mia, che bella bambina!. L’ostetrica mise la neonata sul seno di Paola e la piccola cominciò subito a cercare il capezzolo. Hai già pensato a un nome?. L'ostetrica guardò la bambina, a cui era stato tagliato da poco il cordone ombelicale. La madre era sudata e sfinita per il parto. Non deve darle un nome; se ne occuperanno all'istituto. Paola guardò le due donne in piedi accanto al suo letto e sussurrò: Voglio che la chiamiate Alba. Stava albeggiando ma fuori pioveva a dirotto, si sentiva il rumore della pioggia contro la finestra. Un fulmine squarciò il cielo, seguito da un tuono tremendo che scosse l'edificio; il rumore fu così terrificante che la bambina scoppiò in lacrime, spaventata.

    Questo fu l’inizio della mia vita: sono passati molti anni da quando sentii per la prima volta la storia della mia famiglia, quando mia madre cercò di spiegarmi le ragioni che l'avevano portata a consegnarmi a degli sconosciuti. Ma vorrei raccontarvi come andarono le cose.

    Ricordo esattamente tutto quello che mi è successo dall'età di cinque anni, ma tutto quello che è successo prima è stato come cancellato, tranne alcuni eventi particolari che mi vengono in mente vagamente. Comunque sia, sono una persona molto disordinata, come tutti sanno. Quindi ci potrà essere un po' di confusione nella mia storia. Questa sono io: troverete un po' di ordine nel disordine.

    Paola è la mia madre biologica, l'avete già capito, famiglia cattolica di dieci fratelli e sorelle del piccolo paese di Scorzarolo, sulle rive del Po, in Emilia-Romagna.

    All'età di tredici anni, mia madre rimase incinta senza sapere di chi. A parte l’insegnante, se la faceva con tutti maschi della classe. Alla fine, scappò di casa con un ragazzo, andando dal paese dove vivevano verso la grande città di Bologna.

    La vita non fu facile per la giovane coppia. All'inizio vivevano nei parchi pubblici, poi iniziarono a rubare; si stabilirono nella stazione ferroviaria e per vivere rubavano i portafogli dei passeggeri, a volte una macchina fotografica o un orologio da polso. Poi rubarono nei negozi e persino nelle case. Quando il ventre di Paola si ingrossò troppo per poter lavorare, lasciò il suo ragazzo e ritornò a casa dei suoi genitori. Suo padre la buttò fuori di casa in una notte di tempesta. I vicini la soccorsero e chiamarono gli assistenti sociali della città vicina che l'accompagnarono in una casa protetta a partorire.

    Sono nata prematuramente, ma sana, con parto naturale. Paola, è mia madre, mi ha allattato per una notte intera. Il giorno seguente sono venuti i due assistenti sociali e da quel momento siamo rimaste separate quarantasei anni.

    Sono cresciuta in una buona famiglia nella città di Bologna. I miei genitori adottivi mi hanno preso dall’istituto il giorno dopo la mia nascita. Mio padre, Antonio, che tutti chiamavano Tonino, era il direttore della filiale di una banca locale. Era un ometto grassoccio, calvo fin da giovane; infatti, lo ricordo sempre con la testa lucida a forma di anguria, sempre sorridente e con le guance rosse per l'eccessivo bere o per la pressione alta. Nemmeno i medici riuscirono a spiegare cosa lo uccise a quarant'anni, il bere o la pressione alta. Mia madre Alice era magra ma tutta curve, una bella donna in tutti i sensi. Per strada, gli uomini affascinati giravano la testa per guardarla, ma lei non li degnava di uno sguardo, specialmente, quando c'era papà.

    Non mi chiamarono Alba come voleva la mia madre biologica, mi chiamarono Graziella come una nonna che non avevo mai conosciuto: il nome non mi piaceva molto, così a quindici anni, quando ebbi la mia prima carta di identità, lo cambiai in Giusy. Mi piaceva il mio cognome Fiordibosco, che suona molto romantico ed è diventato significativo nella mia vita.

    All'epoca vivevamo in un condominio nel centro storico molto vicino alle Due Torri. L'appartamento era enorme e io avevo la mia stanza.

    All'età di cinque anni o poco più, mi innamorai per la prima volta. Era un ragazzo carino che abitava poco lontano, ci conoscemmo all'asilo delle suore dove frequentai i due anni prima delle elementari. Anche se era uno snob, mi piaceva molto, mi parlava solo quando non c'erano altri amici. Nessuno sapeva che ero una bambina adottata, non avevo condiviso il mio segreto con nessuno. Non ricordo precisamente quando lo scoprii, ma venne fuori quando papà lo disse durante una conversazione in una cena di famiglia. Ricordo che parlava di animali che adottano la prole di altri animali che sono stati predati o abbandonati, come la donna che ti ha partorito e non poteva crescerti, così ti abbiamo preso e ora sei nostra. La verità è che all'inizio mi sembrò strano, ma mi dissi che ero fortunata perché forse la mia madre biologica era molto povera, avrei sofferto molto; non avrei avuto bei vestiti e una stanza tutta mia.

    Torniamo a Maurizio, il bambino di cui mi innamorai. Una volta, mentre stavamo giocando da soli, all'improvviso si avvicinò a me e mi baciò sulla bocca e poi sputò: Volevo solo sentire com'era; non avevo nessuna intenzione di diventare il tuo ragazzo, disse. Quindi sì, come capite, l'amore era unilaterale e deludente.

    A sei anni sapevo già scrivere e i miei genitori pensarono di mandarmi a scuola, ma la suora insegnante si oppose e disse che non ero ancora abbastanza grande e matura. Ma cosa poteva capire? Lei stessa non era veramente matura. Una volta le chiesero perché avesse una fede nuziale, rispose: Sono sposata con Dio. Vi sembra una persona matura?

    Una volta, notai una donna che stava fuori dall'asilo per ore e ci guardava giocare; ero sicura che fosse la mia madre biologica che voleva rapirmi. Mi spaventai e lo dissi ai miei genitori. Dopo non la vidi più. Da quando i miei genitori mi dissero che ero stata adottata avevo sempre queste paure, ma le tenni per me.

    Una volta, quando eravamo nel cortile della casa dove abitavo, Maurizio volle fare a gara con me a chi riusciva a urinare più lontano; solo allora mi accorsi che avevamo organi diversi. Era molto curioso di sapere come urinavo e rideva quando mi piegavo per farlo. Lo ammiravo perché era il più intelligente della classe ed ero felice ogni attimo in cui potevo stare da sola con lui; in quel modo, era solo mio: ma l'amore finì quando entrammo in prima elementare in due scuole diverse.

    Capitolo 2

    All'età di sette anni, ero una bambina ben sviluppata per la mia età, più alta della maggior parte delle altre. Cominciai a truccarmi nella camera di mamma, quando usciva per incontrare i suoi amici per la partita di bridge che amava tanto. Papà era completamente preso dal mangiare e dal guardare la TV, non gli interessava quello che facevo.

    L'insegnante d'italiano era un bel tipo, il suo ciuffo svolazzante come quello di Little Tony, il mio cantante preferito. In classe sognavo ad occhi aperti, soprattutto mi piaceva il suo accento napoletano quando ripeteva la frase Tutti Insieme, Uno Due Tre. Quando cominciai a sognarlo di notte, mentre mi accarezzava i capelli e mi portava dei lecca-lecca alla fragola, avevo capito con certezza di essere innamorata di lui. Lui aveva ventisette anni e io sette. E allora? A vent'anni pensavo che ne avrebbe avuti quaranta; suonava già meglio. Volevo scrivergli una lettera e convincerlo ad aspettare che io crescessi, ma avevo paura che mi prendesse in giro davanti a tutti i miei compagni di classe. Una volta durante l'intervallo, Ilia, che era il ragazzo più carino della classe, si avvicinò e mi chiese se volessi essere la sua fidanzata, ma io gli dissi che ero già innamorata e impegnata. Per fortuna non mi aveva chiesto di chi fossi innamorata! Non gli avrei risposto comunque, ma lui era scioccato e offeso: si girò e se ne andò. Dopo quel rifiuto la mia reputazione aumentò molto tra le compagne di classe, che facevano a gara per stare vicino a me.

    La verità però era ben diversa, mi sentivo una stupida per averlo rifiutato: quando annunciò di essersi fidanzato con Mina, la mia compagna di banco, piansi tutta la notte per la gelosia.

    Così passò il mio primo anno scolastico e arrivarono le vacanze estive. Papà e mamma mi portarono al Lago di Garda, in un paesino chiamato Salò, dove sentii per la prima volta il nome Mussolini. Papà mi spiegò che in Italia c’era un re di nome Vittorio Emanuele ma Mussolini lo rovesciò e divenne un leader forte e autoritario. Ci fu una guerra e il popolo non lo voleva come leader. Alcuni soldati lo catturarono e lo imprigionarono sulle montagne, ma i tedeschi lo salvarono e lo lasciarono scappare. Poi i soldati lo catturarono di nuovo e lo uccisero: alla fine lo appesero a testa in giù a Milano e tutti passarono e gli sputarono addosso. Ma questa non è la storia che voglio raccontare; a Salò, passammo tutto il mese di agosto e conobbi anche Roberto.

    Quando andai con papà a fare un giro in barca sul lago di Garda, vidi un ragazzo che era più alto di me, portava un berretto con la visiera che recitava sul davanti Fate l'amore, non la guerra. Al ritorno, lui era con una donna anziana che poi scoprii essere sua nonna. Ci guardammo a vicenda ma nessuno dei due ebbe il coraggio di avvicinarsi e iniziare una conversazione. Tanto per fare qualcosa, lui prese una manciata di sabbia e me la tirò. Invece di urlargli contro, rimasi in piedi e sorrisi come un idiota, poi lui prese un'altra manciata di sabbia e me la tirò di nuovo e questa volta mi colpì. Senza pensarci due volte, feci una palla di sabbia bagnata e gliela tirai, ma lui la schivò e colpì sua nonna facendola cadere. Scoppiammo entrambi a ridere, poi io scappai in albergo.

    Il giorno dopo lo incontrai a colazione. Si trattenne dal ridere quando mi vide; mi avvicinai e gli dissi: Io mi chiamo Graziella; tu come ti chiami? Arrossì e disse sottovoce: Roberto, allora gli chiesi: Cosa vuol dire fate l'amore non la guerra?

    Come dicevo prima, Roberto era timido, ma gli piaceva scherzare e ci siamo veramente divertiti insieme. Passai delle belle vacanze estive. Ricordo che una sera andammo al lago; era già buio, ma la luna piena illuminava la notte di una luce pallida; ci sistemammo tra gli alti cespugli che crescevano vicino all'acqua e sbirciammo una coppia che faceva l'amore sulla spiaggia. Erano completamente nudi, ma non potevamo notare i dettagli; vedemmo che lui era sdraiato sulla schiena e lei era seduta su di lui con il viso rivolto verso le sue gambe mentre le mani di lui le stringevano i seni. Quando cominciò a muovere il corpo e a sospirare, anche noi cominciammo a sospirare, lei si fermò un momento e guardò verso di noi. Probabilmente pensava che ci fosse un'altra coppia nelle vicinanze a fare l'amore, così non ci fece più caso. Dopo un po’cambiarono posizione: lei si sdraiò sulla schiena e lui si mise sopra con i piedi di lei appoggiati sulle sue spalle. Quando ci sembrò che non si accorgessero più dei nostri gemiti, cominciammo a lanciargli palle di sabbia bagnata. All'inizio non risposero, ma quando una palla colpì la schiena dell'uomo, questi smise di muoversi e si sdraiò accanto a lei, alzando la testa per vedere da dove sarebbe arrivato il prossimo colpo. In silenzio ci allontanammo dai cespugli e tornammo all'hotel.

    Lessi un libro sulla riproduzione e capii che la cicogna non aveva nessun ruolo nell'avere figli.

    L'ultima sera del nostro soggiorno a Salò, ci fu un ballo in albergo. I miei genitori si presentarono vestiti con i loro abiti migliori; papà indossava un abito grigio e un papillon bordeaux, che si intonava perfettamente con le sue guance rosse. Mamma sembrava uscita da una rivista di moda parigina, con il viso perfettamente truccato e un vestito che le fasciava il corpo e richiamava l'attenzione sulle sue curve sexy. I genitori di Roberto, che avevano portato con loro la nonna, sembravano molto provinciali e si mescolavano bene con gli altri invitati che non avevano preso molto sul serio la serata di festa. Gli altoparlanti suonavano un tango argentino e lentamente la pista da ballo si riempì di coppie. Alla fine, Roberto ed io capimmo che era il momento di andarcene. Ci alzammo ad intervalli di tempo diversi e uscimmo in giardino. Guardai dietro di me e vidi che nessuno era interessato a noi. Roberto propose di sbirciare le coppie sdraiate sulla riva del lago, ma io gli proposi un gioco in cui avremmo provato su noi stessi tutte le posizioni che avevamo visto durante la settimana. Scegliemmo un posto buio e asciutto, perché non volevo sporcarmi il vestito.

    Tu ti sdraierai sulla schiena e io mi siederò su di te, mi disse.

    No, devi sdraiarti tu e io mi siedo su di te, risposi.

    Perché non posso sdraiarmi?. Chiese innocentemente.

    Mi resi conto che non capiva bene in cosa consistesse il gioco, così accettai la sua offerta. Mi sdraiai e lui si sedette sulle mie ginocchia.

    Fa male; siediti in avanti, gli dissi.

    Allora ci scambieremo, io mi sdraierò e tu ti siederai su di me, rispose lui.

    Ora che eravamo nella posizione giusta, mi sedetti direttamente sulla sua zona inguinale. Lui iniziò a urlare di dolore tenendosi con entrambe le mani mentre si contorceva, calciandomi via da lui. Mi resi conto di avergli schiacciato le palle. Quando si riprese, tornammo in albergo.

    Dopo questo episodio non lo rividi mai più. Nonostante fossimo tornati anche l’anno successivo nell’hotel che i miei genitori e anche Mussolini amavano tanto.

    Il 13 dicembre 1960 compii dieci anni. La vita mi sorrise. Dopo la cerimonia della Prima Comunione in chiesa, feci una festa a casa e ricevetti molti regali. Tuttavia, la sorpresa più grande la ricevetti da papà. Poche ore prima dell'arrivo degli ospiti, trovammo papà disteso sul tappeto nel soggiorno della nostra casa, non respirava più. Corsi come una pazza dal vicino di casa, calciando la porta; spaventato, mi aprì in mutande; lo avevo interrotto mentre stava facendo qualcosa di importante. Non riuscivo a parlare, così lo afferrai per la camicia e lo trascinai nel nostro appartamento. Papà ora aveva il pallore della morte e i suoi occhi erano senza luce. Il vicino si chinò e premette la sua bocca su quella di mio padre come in un bacio, mentre le sue mutande rivelavano un fondoschiena grasso e peloso. Nonostante l'incredibile tensione, scoppiai in una risata nervosa e dovetti correre in bagno a lavarmi la faccia con acqua fredda. Quando tornai nella stanza, papà aveva riaperto gli occhi e borbottava qualcosa di vago.

    Per tutta la notte io e la mamma rimanemmo sedute al suo capezzale in ospedale, il giorno dopo fu dimesso. I medici consigliarono a mia madre di tenerlo a dieta e di impedirgli di usare troppo sale; gli prescrissero anche anticoagulanti e pillole contro l'ipertensione. Purtroppo, non aveva riferito ai medici la sua abitudine di bere alcol.

    Fu un anno felice. Papà ci portò a Parigi, Roma, Napoli e visitammo Pompei. Visitammo molti musei e vedemmo anche un concerto di Luciano Pavarotti all'Arena di Verona. Ogni vacanza e fine settimana era destinata solo al divertimento della famiglia. Papà sentiva che la sua ora era vicina e cercava di trarre il massimo dalla vita. Io ero al settimo cielo. Mamma si rifaceva l’intero guardaroba in ogni grande città in cui andavamo: aveva una cinquantina di paia di scarpe. Poi, proprio a quarant'anni, a meno di due settimane dal diventare vicedirettore di banca a Milano,

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