Piccoli segreti di un Commissario di Polizia
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Anteprima del libro
Piccoli segreti di un Commissario di Polizia - Gianfranco Pereno
I
All’anagrafe rispondo al nome di Nicole Minnati ed è anche quello che risulta da tutti i miei documenti, ma il mio nome vero in realtà non lo so. Sono stata adottata che ero ancora piccolissima e temo di non averlo mai saputo, comunque Nicole mi piace e in più trovo che sul mio tesserino di Commissario di Polizia, risalti benissimo.
Dirigo ormai da cinque anni uno dei tanti Commissariati della cintura di Torino, e anche se non si tratta della mia città d’origine, tutto sommato ci sto bene.
Nei primi tempi, devo ammettere, ho fatto fatica ad accettare che non ci fosse il mare e, visto che lo sci non è proprio il mio forte, ho barattato la passione per la vela con quella del canottaggio; non è la stessa cosa, ma almeno ho una barca dove a bordo nessuno viene a rompere, solo io, l’acqua, il vento e il Po.
A dirla così sembro scontrosa e scorbutica, ma non è vero, e lo possono testimoniare gli agenti del mio commissariato e i tanti amici che in questi anni mi hanno frequentata, ma ci sono momenti dove adoro essere sola, lontana da tutti, libera di stare zitta ad ascoltare altre voci, altre storie.
All’inizio, quando confidavo queste cose ad un amico o a un collega, immancabilmente sorridevano e mi facevano notare che l’acqua e il fiume sono la stessa cosa.
E così rischiavano di finire nella lista nera.
Ci vuol tanto a intuire che sono due cose completamente distinte e che un fiume, in questo caso il Po, è una cosa a sé?
È innegabile che un fiume senza acqua non possa esistere, ma l’acqua cambia, fugge via e ne arriva sempre di nuova; quindi, se il fiume ha in sé stesso una sua valenza, un suo potere, una sua storia, l’acqua che vi scorre invece, è sempre diversa e trasporta voci sempre nuove.
Ma oggi è tutto diverso, tutto è mutato, e mi sto lasciando trasportare dall’acqua senza fare nulla, a parte alcune piccolissime correzioni di rotta per rimanere allineata con la corrente.
Con la coda dell’occhio noto distrattamente che sto per uscire dalla zona di sicurezza per le canoe, dopo sarà difficile navigare sul fiume, e tutto diventerà pericoloso.
Ma ignoro il tutto volutamente.
L’acqua ha intuito qualche cosa e ha cambiato tono, ora urta lo scafo con una pressione differente, manda vibrazioni allarmate, la sua voce è sempre più acuta metro dopo metro, ma io non la voglio ascoltare.
Rinchiusa in me stessa fisso le mie ginocchia, e attorno a me, i cadaveri che in questi anni abbiamo ripescato dal fiume sembrano voler afferrare lo scafo, muti, ma spietati nella loro determinazione.
Stringo i denti mentre qualcuno di loro inizia ad issarsi a bordo, viscido, molliccio; ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è che il mio segreto, il mio piccolo
segreto non è più tale, e che ora dilagherà per tutta la città, invadendo le scrivanie dei colleghi e le pagine dei giornali.
Chiudo gli occhi e la mia memoria fa un salto indietro, molto indietro, al giorno in cui sono arrivata per la prima volta a Torino.
II
Da anni mio padre e mia sorella mi martellavano perché mi riavvicinassi alla famiglia, la mamma era mancata lo stesso anno in cui mi ero iscritta alla Scuola Superiore di Polizia, ma Serena e mio padre avevano in seguito stretto un legame così solido ed esclusivo che inevitabilmente mi aveva distaccato da loro e volutamente avevo accettato trasferimenti dove nessuno voleva.
Quando venni promossa Commissario invece, si aprì una opportunità su Torino e decisi di afferrarla al volo.
La salute di mio padre lasciava ormai molto a desiderare e il disturbo psichico che aveva colto la mia sorellina appena dopo la pubertà, sembrava essersi accentuato. La mia famiglia aveva bisogno di sostegno e io non potevo ignorarlo.
Quando scesi alla stazione di Porta Nuova, l’unica cosa che vidi furono gli occhi lucidi di mio padre, immediatamente nascosti da un vortice d’aria coloratissimo che mi baciava, mi faceva domande, mi cacciava cose tra le mani per sostituirle subito dopo con altri oggetti impacchettati con carte multicolori.
Solamente in macchina riuscii a fermare quel tornado e a guardare finalmente negli occhi mia sorella, meravigliandomi di quanto fosse cresciuta e quanto fosse diventata bella.
Papà aveva lavorato gli ultimi anni nella sede torinese di una grossa multinazionale e al momento di andare in pensione aveva utilizzato gran parte dei suoi soldi per acquistare una vecchia casetta singola appena fuori città, all’inizio della Val di Susa.
Una casa senza molte pretese ma costruita con il criterio della casa di campagna, dove ogni cosa è essenziale, ma dove non manca nulla.
L’aveva fatta restaurare completamente, realizzando inoltre un minuscolo giardino che le girava tutto attorno, colmo di gerani e rose rampicanti e dallo sdraio in giardino si godeva la vista dell’Abbazia Benedettina della Sacra di San Michele.
Resistetti quattro giorni, poi mi trovai un appartamentino a due passi da Porta Susa, perfetto per andare al lavoro con la Metropolitana e altrettanto perfetto per andare dove volevo salendo su un qualsiasi treno.
Comunque, ero a Torino e per un paio d’anni le cose andarono per il verso migliore, io avevo la mia indipendenza e loro sapevano che in un’ora al massimo potevo essere a casa loro per qualunque evenienza.
Poi mio padre morì e le cose iniziarono a complicarsi.
Mi fu istintivo trasferirmi alcuni giorni da mia sorella, ma certamente quello che non sospettavo affatto, è mi aspettava una sorpresa, una grossa sorpresa alta un metro e ottanta e di quasi 80 chili.
Non la trovai subito in verità, ma solamente sei mesi dopo, quando improvvisamente Serena venne travolta da un’auto e sul lettino dell’ambulanza ebbe appena il tempo di darmi il diario da cui non si separava mai, macchiato ancora del suo sangue, e sussurrarmi:
«Ricordati di portargli da mangiare!»
Ricordo che andai a casa sua distrutta, in pochi mesi avevo perso tutta la mia famiglia e quando mi ritrovai davanti al cancello, intenta a fissare quella casa quasi uscita da un libro di fiabe, l’unico desiderio che mi morse lo stomaco fu quello di bruciare tutto.
Dormii nel suo letto per due giorni, ciondolando per brevi pause tra il letto e il bagno, poi un ricordo si consolidò nella mia mente.
«…ricordati di portargli da mangiare.»
Ad occhi semichiusi mi affacciai alla finestra, scrutando il giardino, poi, scuotendo la testa, iniziai a gironzolare per la casa alla caccia di un gattino affamato o almeno di una ciotola a secco d’acqua. Nulla.
Tornai a ributtarmi sul letto esausta, ma la frase non lasciava la mia mente.
Alla fine riaccesi sia il cervello che il cellulare, e immediatamente venni sommersa da una valanga inarrestabile di messaggi e di cose urgentissime da fare che fui fortemente tentata di spegnere nuovamente tutti e due, ma mi feci forza e iniziai a riordinare le idee.
Al Commissariato mi avevano concesso una settimana di ferie e almeno da quel lato potevo stare tranquilla, ma l’ospedale, le pompe funebri, la banca e un’altra dozzina di solenni rompiture non davano alcun segno di benevolenza e così mi cacciai per un ultimo e breve tentativo di autocommiserazione sotto la doccia, poi mi vestii di tutto punto e affrontai il mondo a muso duro.
Verso sera avevo già depennato dall’agenda un gran numero di voci e tornata a casa mi lasciai cadere sul divano sfinita.
«…ricordati di portargli da mangiare.»
La frase mi colse nuovamente di sprovvista e mi misi seduta disorientata, poi non sapendo bene cosa fare andai in camera da letto a raccogliere il diario di Serena seminascosto sotto il letto, dove l’avevo lasciato cadere, aprendolo alle ultime pagine.
III
…martedì, quando viene Nicole, glielo devo dire, lo deve sapere anche lei. Non è giusto che rimanga all’oscuro di tutto…
…faccio sempre più fatica ad occuparmi di lui, e poi ho il presentimento che debba succedere qualcosa di brutto…
…Nicole è venuta questo martedì, ma non ho avuto il coraggio di dirle nulla, era tesa per il lavoro, ha un caso che la fa impazzire e non me la sono sentita di peggiorare le cose. Le ho dato un appuntamento per sabato in centro, durante la pausa pranzo, forse sarà più facile parlarle…
Scuoto la testa disorientata, non capisco assolutamente nulla di quello che sto leggendo.
È vero che ultimamente sono stata molto assorbita da un caso a dir poco rivoltante e che molte notti le ho trascorse nel mio appartamento in centro, ma mi sono fatta viva sovente con Serena e avrebbe avuto tutto il tempo per parlarmi di cose importanti.
Dondolando la testa sfoglio a ritroso il diario, rimanendo però disorientata su alcuni disegni fatti a biro,