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Sin Sentido
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E-book135 pagine1 ora

Sin Sentido

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Info su questo ebook

Estrella è una giovane ebrea nata nella casa del primo Rabbino di Toledo.
Si innamora di un giovane cristiano che frequenta l’Accademia dell’Alcazar, per lui abiura la sua religione e va verso una nuova vita a San Sebastiàn nel Golfo di Biscaglia, terra basca già scossa da moti indipendentisti.
Si troverà coinvolta in una guerra senza senso, una guerra tra fratelli, la Guerra Civile spagnola.
Nel tentativo di sottrarre i figli allo strazio di una guerra fratricida emigrerà in Francia.
L’ineluttabile destino le farà toccare con mano lo scontro ideologico che divide il suo Paese, e lo farà nel modo più crudele , mettendo uno contro l’altro i suoi figli.
Estrella prenderà coscienza della sua esistenza e le darà uno scopo adoperandosi con impegno civile.
Il destino è scritto da che nasciamo e anche per Estrella non c’è scampo, sfuggita ad una guerra senza senso, sarà coinvolta in un’altra guerra, la seconda Guerra Mondiale.
Finirà la sua esistenza lontana dalla terra per cui ha lottato e per la quale ha perso un figlio, ma tornerà a casa sospesa nel vento come cenere uscita da un camino, per posarsi sulla terra che le ha dato la vita.
 
LinguaItaliano
Data di uscita13 mar 2021
ISBN9788869632655
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    Anteprima del libro

    Sin Sentido - Sabrina Tonin

    Sabrina Tonin

    SIN SENTIDO

    Senza senso

    Elison Publishing

    © 2021 Elison Publishing

    Tutti i diritti sono riservati

    www.elisonpublishing.com

    ISBN 9788869632655

    San Sebastiàn, 1936

    los pollitos dicen, pio pio pio

    cuando tienen hambre, cuando tienen frio

    la gallina busca el mais y el trigo

    y le da comida y le presta abrigo

    bajo su dos alas accurucaditos

    hasta el otro dia duermen los pollitos

    cuando se levantan dicen

    mamita tengo mucha hambre, dame lombrisita

    Dormi Cristina, dormi, la mamma è tanto stanca, dormi piccola stella mia, domani al posto del lombrichino troverai una tazza di latte e forse papà tornerà con qualche biscottino.

    Mamma voglio una fetta di pantxineta e poco latte.

    Domani è il 16 febbraio, andrò alle urne di buon mattino, finché Cristina dorme.

    Devo cercare un cappello nell’armadio, fuori fa freddo, le strade sono gelate, anche le onde del mare sono ingrossate, si infrangono sulle ringhiere della passeggiata e l’acqua si ghiaccia, non ci si può nemmeno aggrappare per non farsi portare via dal vento.

    La Concha non si vede, tutta la spiaggia è percossa da alte onde che la coprono e invadono la passeggiata.

    Devo andare a dare il mio voto all’Ayuntamiento e devo passare dal lungomare, forse è meglio se cerco anche degli stivali nell’armadio, dove ho messo la convocazione?

    Sono così disordinata, Luis non è ancora tornato dalle sue solite riunioni politiche ed è già passata la mezzanotte, meglio così.

    Se fosse qui si lamenterebbe del mio disordine, mi metterebbe in agitazione e finirei con il non trovare nulla!

    Oh, eccola qui, sopra il sacco delle patate, ma come ho fatto a metterla qui?

    – Estrella Gomez Mendicutti, anni 34, presentarsi dal 16 al 23 febbraio 1936, Palacio Ayuntamiento.

    Devo scendere in cantina a vedere se abbiamo ancora carbone, con questo freddo si consuma rapidamente, ma perché a queste cose non ci pensa Luis?

    Poi si lamenta che sono disordinata, con tutto quello che ho da fare, trascuro le cose meno importanti e così butto una cosa qui e una cosa là.

    È quasi mezzanotte e Luis non si vede, questa volta mi arrabbio veramente, ha portato con sé Fernando e José, non voglio che due ragazzini di dodici e quattordici anni vadano alle riunioni politiche, e poi è tardi, domattina devono andare a scuola.

    Luis non riesce a dimenticare il suo passato di militare e questi ragazzi me li vuole allevare come soldatini!

    Luis l’ho conosciuto a Toledo, la mia città, è arrivato nel 1916 all’Accademia degli ufficiali di Fanteria dell’esercito, all’Alcazar.

    L’ho incontrato un giorno che era in libera uscita con tre suoi commilitoni, passeggiavano in Callejon de los Jacinto, dove abitavo con i miei, i vicoli sono stretti e non ci si passa spalla a spalla in più di tre.

    Io rientravo a casa da scuola, al mio passaggio non si sono spostati e mi hanno letteralmente sbattuta contro il muro della Sinagoga.

    Si erano messi a ridere, solo Luis mi aveva aiutata a rialzarmi e a raccogliere i libri che mi erano scivolati a terra, ero furente, ma quando avevo alzato gli occhi avevo incrociato quelli di Luis che erano blu’, di un blu’ scuro come le tenebre, arcuati verso l’alto come quelli dei gatti, le sopracciglia nere e folte, i capelli neri e lucidi, la rabbia era di colpo scomparsa.

    Quando finalmente mi ha rimesso in piedi, ho visto che era anche molto alto e con una postura impettita, da vero militare, ha sorriso leggermente, piegando le labbra verso sinistra in una piccola smorfia e non ha detto niente.

    Mi ero sentita avvampare le guance ed avevo preso frettolosamente i libri che mi porgeva abbassando lo sguardo e scappando dentro al mio portone.

    Dopo qualche giorno l’ho incontrato di nuovo, si è accorto di me e mi è venuto incontro, mi ha salutata, aveva uno strano accento, gli ho chiesto da dove venisse, avevo intuito che non era delle mie parti.

    Era un basco, veniva da San Sebastiàn per studiare all’Accademia Militare e fare carriera nell’esercito, profondamente convinto dei suoi credo, Patria, Famiglia, Obbedienza.

    Quel giorno mi ha accompagnata fino a casa e sul portone mi ha preso una mano dicendomi che sarebbe stata la mano che avrebbe portato all’altare.

    Ricordo di aver riso come una pazza, mi conosceva da due giorni e già mi voleva sposare, ho pensato che le storie sulla pazzia dei baschi corrispondevano al vero.

    Mia madre mi aveva vista dal portone e appena le sono stata vicino mi ha raggiunto con uno schiaffo sul viso.

    Non devi fermarti a parlare con i militari, mai e poi mai! Vengono qui per tre anni, cercano le ragazze solo per divertirsi e poi le abbandonano, magari con qualche regalo nel ventre! Tu sei figlia di famiglia onorata, non devi frequentare nessun militare, neanche se è un Generale!

    Sono ebrea e i miei genitori avevano già programmato il mio matrimonio con un ragazzo ebreo di Nambroca.

    Ma io avevo solo sedici anni, non volevo sposarmi e di sicuro non volevo sposarmi con Aaron, l’avevo visto solo una volta al Rosh Hasharà, il nostro Capodanno.

    Non mi piaceva, era basso di statura, aveva le mani sempre sudate e balbettava anche un po’.

    Mio padre diceva che balbettava per l’emozione di vedermi, ma a me sembrava balbuziente davvero.

    E poi non volevo lasciare Toledo, i suoi colori, i suoi vicoli, il Tago, per un paesino della Mancia.

    Volevo diventare un medico, curare la gente, viaggiare e vedere il mondo, non volevo fare la moglie e scodellare una dozzina di piccoli ebrei che corrono nelle strade impolverate di Nambroca.

    Nel corridoio c’era un grande specchio, ero bella, alta, magra, avevo lunghissimi capelli biondi e mossi, non ero proprio il prototipo di una ragazza ebrea, non avevo nemmeno il naso aquilino e le grandi orecchie che avevano tutti in famiglia.

    Ester, la sorella di mio padre, che odiava la mamma, diceva che ero sicuramente il frutto di un tradimento con qualche cristiano, forse un ariano.

    Avevo deciso di supplicare mio padre affinché mi mandasse a Madrid all’Università, per essere lontana da Aaron e dal matrimonio combinato.

    Ne avevo parlato con la mamma, ma lei era contraria, a Madrid non avevamo parenti, era disdicevole che una ragazza da sola stesse in una città così grande, il Rabbino sarebbe stato sicuramente contrario.

    Ma forse con papà sarei riuscita a spuntarla, ero la sua Estrella, la stella più lucente dell’Universo.

    Toledo

    Mamma pensava di vivere ancora prima del 1492, prima della Reconquista e prima che mussulmani ed ebrei venissero cacciati.

    Quando passavamo davanti alla Chiesa del Transito, mormorava sempre sottovoce Non è una Chiesa, è la Sinagoga del Transito!

    Tra mamma e papà era una discussione eterna su come allevare i figli e a quale religione educarli. Sì, perché papà era cristiano, cristianissimo!

    Alla fine avevano deciso di dividere equamente i figli, io sarei stata ebrea e i miei fratelli maschi sarebbero stati cristiani.

    Di ebraico portavano solo il nome, Emanuel e Natan.

    Papà mi aveva raccontato che quando ci fu il mio battesimo, il mio Zeved habat, fu richiamato duramente dall’Arcivescovo.

    L’arcidiocesi di Toledo per tradizione è anche sede primaziale e l’arcivescovo è anche Primate di Spagna.

    L’arcivescovo era furente, un suo fedele pellegrino che aveva sposato un’ebrea ed ora battezzava ebrea la figlia!

    Ben sapeva l’arcivescovo che mamma avrebbe deciso l’educazione dei figli, da noi è così, la donna ha il diritto di scegliere l’educazione dei propri figli.

    La donna è sorgente di forza, è il fulcro dell’identità ebraica, a lei che è madre e dunque legata alla terra, vengono risparmiati certi doveri, come pregare a determinati orari.

    Papà aveva promesso alla mamma che nella loro famiglia sarebbe stato come nella tradizione, mamma avrebbe deciso per noi figli.

    Ma l’intervento dell’arcivescovo lo fece venir meno alla promessa e cominciarono i litigi, che alla fine portarono all’accordo sulla spartizione di noi figli.

    Era una strana famiglia la mia, io onoravo Adonai il sabato ed Emanuel e Natan onoravano Dio la domenica.

    L’unica trasgressione che mamma mi accordava era poter mangiare pane bianco e salato con i miei fratelli invece del pane azzimo che detestavo.

    Papà voleva che Emanuel e Natan una volta diventati grandicelli andassero all’Alcazàr, ma mamma era contraria, ed era così arrabbiata che minacciò papà che se ne sarebbe tornata a Burgos se avesse osato mandare i figli in una Accademia militare.

    Alla fine papà desistette dalla sua intenzione.

    Mamma gli aveva detto quello che diceva il Talmud:

    L’uomo fu creato individuo singolo per insegnare a chiunque che chi distrugge una vita, distrugge il mondo intero, e chiunque salva una vita, salva il mondo intero.

    Glielo aveva detto con le lacrime agli occhi e papà non osò ribellarsi, figuriamoci se mamma avrebbe mai accettato che io parlassi con un allievo dell’Alcazar, mi avrebbe impedito con ogni mezzo di vedere Luis.

    Se non fosse che l’Alcazàr è imponente come il Castello di San Servado e domina tutta la città, e in qualunque posto ti trovi, anche fuori città per chilometri, lo vedi stagliarsi sulla collina; mi avrebbe costretta a percorrere vicoli nascosti e lontani da quella visale a sua detta pericolosa.

    Ovunque mi trovassi, qualsiasi strada percorressi per andare a scuola o in Sinagoga, lo

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