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Avrebbe potuto essere
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E-book414 pagine5 ore

Avrebbe potuto essere

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Info su questo ebook

Introduzione

Scrivere racconti è stato il miglior esercizio di scrittura che avrei mai potuto immaginare. Ho imparato di più lottando con i miei personaggi e le loro caratteristiche che da qualsiasi manuale, lezione, o consiglio amichevole incontrato lungo il mio viaggio nella scrittura.

    Stranamente, ho dovuto disimparare qualche brutta abitudine. La prima delle quali era aggrapparmi al concetto ridicolo che sapevo quello che stavo facendo. Ho dovuto accettare il fatto che i miei personaggi erano abbastanza abili da raccontare una buona storia per conto loro, se solo mi fossi tolta dai piedi. La seconda era quella di tacere circa due paragrafi prima che avessi finito.

    La consapevolezza che al lettore non interessano veramente tutti i dettagli (che spiegano perché, per esempio, zia Sarah è una svitata), ma si concentra piuttosto solo sulla storia che sto realmente raccontando, ha portato la mia proverbiale penna in territori meravigliosi e terrificanti. Improvvisamente, non c’erano più parole dietro cui nascondersi. Il significato era ciò che importava. Una straziante realtà e un’intuizione penetrante marciarono sulla pagina e reclamarono il proprio ruolo nel gioco.

    Spesso ho sussultato all’impatto con una storia che non sapevo di avere dentro di me. Forse non lo era. Forse me la portavo sulle spalle ed è piombata sulla pagina quando ho iniziato a battere sulla tastiera. Così mi sentivo gran parte dei giorni…

    Chi sei?

    Sono una storia che sta cercando di essere raccontata. Ti DISPIACE?

    Oh, no, certo che no. Non preoccuparti. Scriverò con solo un paio di dita mentre mangio questi deliziosi (e nutrienti) M&M’s con le noccioline e sto a guardare.

    D’accordo. Tu pensa a te stessa. Solo stai FUORI dai piedi, capisci?

    Piuttosto pietoso essere intimidita dalla mia stessa storia. Ma diamine, fanno loro tutto il lavoro e io mi becco tutti gli M&M’s. E forse, se presto attenzione, potrei imparare come scrivere una buona storia.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita31 ago 2023
ISBN9781667462455
Avrebbe potuto essere

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    Anteprima del libro

    Avrebbe potuto essere - A. K. Frailey

    Gli Scritti di A. K. Frailey

    Books for the Mind and Spirit

    https://akfrailey.com/

    Contatti

    akfrailey@yahoo.com

    Romanzi di Fantascienza Storica

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    Poesia

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    Indice

    Introduzione

    Il Regno di SE

    Senno

    James Milford Parker III

    La chiave

    Ogni parola

    Lillipuziani

    La traduttrice

    Elementi naturali

    Persiana

    La visita

    Decoro

    Dramma trauma

    Visioni di grandezza

    Il guardiano

    Stesso spirito

    Scheletri

    Dipendenza

    Buone azioni

    La sopravvivenza del più forte

    Sballo

    La scelta del mendicante

    Il vecchio Diablo

    Non mi sembri morto

    Non sprecare neanche un giorno

    Il mio amore è forte

    Così cieca

    In due parole

    Universo alternativo

    Illuminata

    Innocenza

    Non con gli occhi

    Impadronirsi del mondo

    Come una ballerina

    Anime gemelle

    Vivi onestamente e segui le tue passioni

    Oltre la cicatrice

    È il tuo lavoro

    Per i vivi e per i morti

    Prima che le luci si spengano

    Lo saprò sempre

    Schiacciata ma non morta

    Con il tuo aiuto

    Oh sorella mia

    Leopold

    Che ne sai?

    Mi serve pratica

    Tutto quel che c’è nel mezzo

    L’ottimismo è duro a morire

    Dov’è la mia speranza ora?

    Come sogni al risveglio

    Per la prima volta da mesi

    Comincia nelle nuvole

    Fa la differenza

    Connessione

    Un corridoio alla volta

    Mirtilli rossi

    Nuova vita nella sua anima

    Anima romantica

    Dichiarazione di argomento

    Se vuoi

    La differenza tra di noi

    Cosa vorresti?

    Nascosto sotto l’ironia

    Inchiostro blu

    Questa volta, un vero sorriso

    Una scelta amorevole

    Penso che sopravvivrò

    Se il mondo fosse migliore

    Non lo faresti?

    Come diceva la mamma

    A meno che non ti arrendi

    Provando a fare l’eroe

    Avrebbe potuto essere

    Introduzione

    Scrivere racconti è stato il miglior esercizio di scrittura che avrei mai potuto immaginare. Ho imparato di più lottando con i miei personaggi e le loro caratteristiche che da qualsiasi manuale, lezione, o consiglio amichevole incontrato lungo il mio viaggio nella scrittura.

    Stranamente, ho dovuto disimparare qualche brutta abitudine. La prima delle quali era aggrapparmi al concetto ridicolo che sapevo quello che stavo facendo. Ho dovuto accettare il fatto che i miei personaggi erano abbastanza abili da raccontare una buona storia per conto loro, se solo mi fossi tolta dai piedi. La seconda era quella di tacere circa due paragrafi prima che avessi finito.

    La consapevolezza che al lettore non interessano veramente tutti i dettagli (che spiegano perché, per esempio, zia Sarah è una svitata), ma si concentra piuttosto solo sulla storia che sto realmente raccontando, ha portato la mia proverbiale penna in territori meravigliosi e terrificanti. Improvvisamente, non c’erano più parole dietro cui nascondersi. Il significato era ciò che importava. Una straziante realtà e un’intuizione penetrante marciarono sulla pagina e reclamarono il proprio ruolo nel gioco.

    Spesso ho sussultato all’impatto con una storia che non sapevo di avere dentro di me. Forse non lo era. Forse me la portavo sulle spalle ed è piombata sulla pagina quando ho iniziato a battere sulla tastiera. Così mi sentivo gran parte dei giorni...

    Chi sei?

    Sono una storia che sta cercando di essere raccontata. Ti DISPIACE?

    Oh, no, certo che no. Non preoccuparti. Scriverò con solo un paio di dita mentre mangio questi deliziosi (e nutrienti) M&M’s con le noccioline e sto a guardare.

    D’accordo. Tu pensa a te stessa. Solo stai FUORI dai piedi, capisci?

    Piuttosto pietoso essere intimidita dalla mia stessa storia. Ma diamine, fanno loro tutto il lavoro e io mi becco tutti gli M&M’s. E forse, se presto attenzione, potrei imparare come scrivere una buona storia.

    Il Regno di SE

    Prima pubblicazione su The Writings of A. K. Frailey

    6/25/2012

    C’era una volta il Regno di SE (Signoria Egualitaria, un po’ un ossimoro ma era così e alla gente piaceva) e le persone di SE avevano un re, Re Oban, che era stato scelto per via della sua grande popolarità, e credevano, come ogni generazione prima di loro, che sarebbe stato il re perfetto.

    Quando ascese al trono, lo acclamarono come eroe e salvatore, e lui credette a ogni parola della loro accorata esultanza. (Anche se rimane un po’ un mistero perché ci credesse dato che anche solo un’infarinatura della storia di SE lo avrebbe avvisato che nessun re usciva indenne dal compito e quasi sempre venivano fatti a pezzi prima ancora di essere deposto in favore di un candidato più promettente.)

    Inizialmente, il regno era partito con sufficiente nobiltà. Infatti, citazioni stimolanti quale io vivrò e morirò per la salvezza di SE erano abbastanza prominenti nella storia antica. I giovani cittadini di SE amavano battere sul petto i loro piccoli pugni con colpi vigorosi e citare i luminari che offrivano le loro vite al servizio di SE, anche se in tempi più moderni, questa usanza era passata di moda poiché tutti sono ben consapevoli che il principale compito di un giovane è vivere e morire unicamente per se stesso.

    Ma il regno di SE affrontava una crisi, diversa da qualsiasi cosa avesse mai affrontato, anche se certamente aveva affrontato e superato molte situazioni disperate durante le sue innumerevoli generazioni di esistenza. Ma ora, il Regno del SE era dolorosamente diviso tra gli Abitanti della Terra e gli Abitanti del Cielo, entrambi i quali rivendicavano il diritto di influenzare il re. Ma, a quanto pare, Re Oban parteggiava pesantemente per gli Abitanti della Terra (poiché la sua trisavola da parte di padre era un’Abitante della Terra di grandissima reputazione e aveva le tasche piene di soldi) e questo lasciava gli Abitanti del Cielo in una prigione celeste, poiché si sentivano esclusi da ogni cosa. Infatti, ogni decisione che il re doveva prendere era valutata da questi due fronti opposti, ma lui favoriva enormemente gli Abitanti della Terra.

    Gli Abitanti della Terra vedevano tutto da un punto di vista personale. È mio diritto! era il loro motto, e Salviamo la Terra! era un altro dei più amati tormentoni. Gli Abitanti del Cielo, d’altra parte, vedevano tutto come una come una questione di lunghe considerazioni in relazione a giusto e sbagliato. Nonostante ci fosse un assortimento di clan diversi nel dominio degli Abitanti del Cielo, essi tendevano a fare fronte comune attorno a una vocazione superiore e questo lasciava gli Abitanti della Terra assolutamente irritati, poiché essi credevano che nessuno avesse il diritto di dire agli altri cosa fare (a eccezione, ovviamente, di quando erano loro a dire agli Abitanti del Cielo dove andare e come seguire le leggi), ma gli Abitanti del Cielo avevano anche l’abitudine di dire alla popolazione come fare le cose nel modo giusto nonostante sostenessero di non predicare una singola dottrina individualista, ma le credenze dei loro antenati che risalivano a un tempo immemore. Il loro motto preferito era Dio governa davvero (anche se c’era un po’ di dibattito su cosa Dio credesse esattamente) e amavano l’antica melodia e ninna nanna La Tradizione Ha Ancora Un Significato Nelle Nostre Vite.

    Ma il vero pericolo per il Regno di SE non era semplicemente la loro natura divisa, poiché stavano sempre a discutere, ma piuttosto che non guardavano molto lontano nel loro futuro. Perché era la volontà del popolo di SE che quando il re aveva scelto una fazione, egli doveva attenersi a essa a tutti i costi e non ascoltare nemmeno una parola dell’altra parte, anche se a questa capitava di avere palesemente ragione.

    Così, la popolazione di SE stava calando in un caos triste. In realtà, riusciva a sopravvivere solo grazie alla carità di pochi che ancora credevano nell’antica profezia che il Regno di SE era il migliore di tutti i regni messi sulla terra.

    Ma c’era un altro pericolo di fronte al regno di cui pochi sembravano rendersi conto. C’era un enorme regno ad est conosciuto come DOOM il cui motto era Conquista senza battaglia. E anche se professavano amore duraturo per la gente di SE, si stavano segretamente sfregando le mani in allegria per tutti i conflitti tra gli Abitanti della Terra e gli Abitanti del Cielo, poiché stavano osservando che tutto il lavoro di distruzione veniva fatto per loro in modo abbastanza efficiente. Inoltre, a bordo campo c’erano anche i tre regni di Kab, Bab e Dan. Anche questi tre regni semi-alleati (sempre insieme tranne quando erano l’uno alla gola dell’altro) professavano un amore duraturo per la gente di SE, anche se avrebbero volentieri cantato Morte al Re di SE ad ogni riunione di famiglia.

    Oltre agli sforzi di re Oban (che era lui stesso un gran lavoratore tranne quando era in vacanza, che era almeno una volta alla settimana o ogni giorno che cominciava con un mal di testa, che diventavano sempre più frequenti), c’era l’organizzazione dell’Ordine Centralizzato con lavoratori-burocrati altamente specializzati che sfacchinavano duramente nelle buie e umide biblioteche della grande saggezza (anche se le loro parole erano più aride della pergamena su cui venivano stese) per mantenere il regno finanziariamente a galla. A quel tempo avevano terminato il volume P delle leggi e delle regole per il regolamento delle tasse e stavano ora lavorando al volume Q, che si era però interrotto quando il presidente/CEO (e DMD, dato che estraeva denti nel tempo libero) dei Custodi delle Regole aveva avuto bisogno di un soggiorno prolungato alla Spa del Sole, dato che i suoi nervi si erano disfatti in tutte le tecnicità per tracciare le contraddittorie leggi, regole e regolamentazioni fino alla loro origine e riscriverle in gergo moderno.

    Ma il popolo di SE non vedeva il pericolo.

    C’era, tuttavia, una bambina che aveva scritto una poesia per sua madre, che sembrava

    comprendere le implicazioni di quei tempi terribili. Aveva imparato a scuola la loro nobile storia, e i suoi amici avevano tutti scelto la loro fazione. Ma un giorno soleggiato il suo fratellino si sedette accanto a lei vicino a un grande e vecchio albero di quercia, e le chiese perché sembrava così triste. Anche se non poteva rispondere alla domanda innocente del fratello, pensò che una poesia avrebbe alleviato i suoi sentimenti repressi, così scrisse questa piccola prosa pittoresca, e la diede a sua madre, che era chiaramente troppo impegnata per leggerla.

    Ma potresti tu trovare del tempo nella tua vita impegnata per leggerla, prima che la pergamena si sbricioli, poiché anche le domande dei giovani sbiadiscono se passa abbastanza tempo, appassiscono e cadono.

    IL REGNO DI SE

    Se solo ricordassimo da dove siamo venuti

    E ci deliziassimo dell’alta bontà.

    Se solo coltivassimo la nostra forza

    Dalla vittoria di un amore duraturo.

    Se solo ci rendessimo conto, che tutto quello che abbiamo è un dono.

    E che i doni possono essere portati via.

    Se solo faticassimo per ciò che è duraturo

    E non tanto per l’oggi.

    Se solo vivessimo vite di speranza e non di

    terribile paura,

    Conosceremmo vite di frutti gioiosi

    E non vivremmo come se fossimo già morti.

    Così, anche se il Regno di SE si regge ancora sul suo maestoso passato, e affronta il suo futuro come bendato, non durerà per sempre, come tutto in questo mondo. Ma c’è una bizzarra piccola supplica nei versi della bambina che colpisce in profondità nel cuore poiché la storia registrerà non solo quanto bene il regno è cresciuto ma quanto male è caduto.

    Ma possa il nostro mondo vivere a lungo, ispirando speranza e fede duratura nell’umanità.

    Se solo...

    Senno

    Prima pubblicazione su The Writings of A. K. Frailey

    2/12/2015

    A mamma piaceva dire: Tutti sono pazzi, tranne te e me. E non sono così sicura di te. Io sapevo che scherzava, anche se c’era sempre un’ombra di dolore nei suoi occhi quando lo diceva. Tuttavia, ridevo. Dovevo farlo.

    Mi alzavo sempre presto, quando il mondo era ancora buio e freddo. Preparavo tutto per la scuola, mangiavo una ciotola di cereali, e magari un toast spalmato di burro. Alle sette in punto, preparavo il suo caffè, con cucchiaiate abbondanti di zucchero e panna. Potevo quasi gustarne l’aroma scuro. Era sempre soddisfatta del mio caffè, il che mi rendeva sempre soddisfatto. La vita era troppo difficile per non rendere felici le persone quando ne avevi l’opportunità.

    Nei giorni di scuola, mi incamminavo fino alla stazione degli autobus e aspettavo, stringendomi nelle braccia, cercando di evitare il freddo mattutino. Cercavo di non pensare troppo alla mamma e ai suoi problemi. Ne avevo già abbastanza di miei.

    Nei fine settimana, assieme al caffè preparavo la colazione alla mamma: di solito solo un uovo e un toast. Aveva gusti semplici. Poi si alzava e faceva le sue cose, e io uscivo a giocare, respirando l’aria fresca e pulita. Non ricordo di aver studiato molto. Forse, se avessi studiato più a fondo, sarei stato meglio in grado di risponderle. Forse avrei capito cosa stesse veramente cercando di dire.

    Doveva essere la Giornata dei Veterani o qualcosa del genere perché avevo il giorno libero, ed ero rimasto dentro per aiutare la mamma a rifare il letto. Era di buon umore; non aveva bevuto ultimamente, e non stava rimuginando poi tanto su papà. È stato bello tirare per bene le lenzuola attorno al materasso e poi stendere la coperta liscia. Ricordo che ero incastrato tra il letto e il muro, la finestra dietro di me, quando la mamma si fermò e fissò un punto alle mie spalle, fuori dalla finestra.

    Non volevo sapere cosa stesse pensando quando puntò il dito e ridacchiò, una risatina inquietante. Sentii solo la mia pelle fredda incresparsi sulle braccia. Parlò in tono sommesso. Bene, ormai è andato e l’ha fatto! Non pensavo che fosse possibile.

    Ricordo il leggero sospiro che mi sfuggì. Non volevo che lo sentisse, ma non potevo farci niente. Mi sfuggì comunque. Lei aspettava che le facessi una domanda. Allora chiesi: Cosa ha fatto?

    Sapevamo entrambi che stavamo parlando di papà, ma sembrava che solo io sapessi che non si trattava veramente di papà. La voce della mamma mostrava una certezza che mi fece guardare fuori dalla finestra. Se n’è andato e si è trasformato in un giapponese. Guarda lì.

    Non ricordo cos’altro abbia detto. Ricordo solo di aver guardato fuori dalla finestra e di non aver visto né papà né un giapponese. Speravo che ci sarebbe stato l’uno o l’altro.

    Una foglia marrone svolazzava per terra, delicata, come la sanità mentale. E non sono così sicura di te.

    James Milford Parker III

    Prima pubblicazione su The Writings of A. K. Frailey

    17/4/2016

    -Morte-

    James Milford Parker III fissò la lapide con il suo nome inciso a caratteri cubitali e capì che non sarebbe mai più stato lo stesso. James aveva già visto delle lapidi. Molte volte, infatti. Ma erano tutte parte di una scenografia. Suo padre era stato un produttore cinematografico e sua madre un’attrice di una certa fama in giovinezza. Ora, erano solo celebrità invecchiate che vivevano una vita tranquilla in un ambiente con meno stress possibile. Meritavano un po’ di riposo e divertimento. Dopo tutto, avevano dato i loro anni migliori al mondo dello spettacolo. Era giusto che tenessero gli anni d’oro per loro stessi.

    James osservava e si chiedeva perché la pietra davanti a lui non sembrasse reale. Si fece avanti e premette le dita contro la lastra di marmo nel tentativo di rimuoverla dalla sua base. Non si mosse. Era certamente di pietra. Riusciva a sentire la base solida e liscia sotto le sue scarpe casual. Dando un colpetto alla pietra, sorrise, come a chiederle se poteva stare allo scherzo. Non ti dispiace, vero? Ho dovuto assicurarmene. Il ricordo di una lapide di plastica che veniva portata via, in una mano a un uomo di scena, trasformò il suo sorriso in una smorfia. È così difficile essere sicuri, sai.

    James si voltò, salì sulla sua auto, e guidò per ventisette miglia verso casa. Viveva in campagna in una vasta tenuta. Non aveva mai saputo perché sua moglie avesse insistito tanto per vivere in un posto così isolato, ma lui rispettava i suoi desideri come rispettava tutto di lei. Era una brava donna, ed è per questo che la sua morte improvvisa lo sconcertava al punto da divenire incomprensibile. Scese dall’auto e si guardò intorno. Tutto era molto tranquillo. Era inizio autunno, ma le giornate erano ancora abbastanza calde. In California le stagioni cambiano quasi impercettibilmente. Era difficile rendersi conto che qualcosa era cambiato. Ma sapeva che la notte avrebbe portato una brezza fredda, e rabbrividì al pensiero.

    Mi servirebbe un drink, borbottò tra sé, ma spazzò via il pensiero con un gesto della mano. Aveva sofferto le pene dell’inferno cercando di tornare sobrio in modo permanente. Non avrebbe rischiato di tornare a quella vita, non senza Cindy. Cindy era stata il fondamento della sua sanità mentale quando l’alcolismo aveva quasi distrutto la sua volontà di vivere. Gli era costato il lavoro alla casa cinematografica e molti dei suoi amici. Anche se il suo nome gli avrebbe sempre garantito un seguito, non gli garantiva sempre degli amici. C’erano pochissime persone che chiamava amici, e aveva appena perso la migliore del gruppo quattro giorni prima. Scuotendo la testa per scongiurare altri pensieri pericolosi, James inserì il suo codice di sicurezza, poi aprì facendo scivolare la porta di vetro ed entrò. Il silenzio echeggiante quasi lo assordava.

    Si grattò la testa e si chiese se forse avrebbe potuto bere solo un bicchiere. Dopo tutto, sua moglie era morta e nessuno lo avrebbe biasimato se si fosse ubriacato. In piedi al centro dell’ingresso, alzò la testa, e il suo sguardo cadde su una piccola statua di marmo della Beata Vergine Maria che Cindy aveva installato in una piccola nicchia all’entrata della casa. Buon Dio, quanto odiava quella cosa! Aveva cercato per settimane di convincere Cindy che li faceva sembrare dei fanatici religiosi, dei veri provinciali, ma lei aveva sorriso appena e aveva risposto che a questo punto della sua vita, non le importava un accidente di cosa pensasse la gente. Maria, la sua domestica, gliel’aveva data poco prima di morire di cancro al fegato, e non aveva intenzione di rimuoverla. Cindy aveva detto che le ricordava qualcosa di importante. Quando James le aveva chiesto cosa fosse così maledettamente importante, lei gli aveva detto che quando fosse cresciuto, l’avrebbe capito. L’aveva detto con un sorriso, così che James non l’aveva preso come un insulto, anche se, riflettendoci ora, si chiedeva se non fosse realmente un insulto, ma lui era troppo infatuato per capirlo.

    Si spostò verso l’ampio soggiorno, tutto fatto in pannelli di legno, tappeti, e temi nativi americani. Lo trovò piuttosto rivoltante. La sua fanciullezza era stata immersa in cromature ultra-moderne e metalli eleganti, e questo ritorno verso la madre-terra gli sembrava un po’ barbaro, ma ancora una volta, questo era ciò che Cindy voleva, e siccome lui aveva un posto suo più vicino al lavoro, aveva permesso ai decoratori di Cindy di fare del loro peggio. E lo hanno fatto. Oh, Signore, eccome se lo hanno fatto!

    James improvvisamente si rese conto che avrebbe dovuto vendere il posto, e che avrebbe avuto bisogno di aiuto. Per un momento considerò diverse opzioni. C’erano così tante ramificazioni della morte di Cindy che gli girò la testa. Troppo a cui pensare. Fin da giovedì mattina, quando si era svegliato e si era reso conto che Cindy, sdraiata accanto a lui, non si muoveva, che era troppo immobile e troppo fredda, aveva vissuto in uno stato di shock. Aveva chiamato un’ambulanza e il suo medico personale, ma a quel punto era troppo tardi. Aveva poi chiamato la sua segretaria, e dopo averle detto la notizia, lei aveva promesso di cancellare i suoi appuntamenti. Tutti i suoi progetti erano stati messi da parte.

    Suo padre aveva detto che sarebbe venuto al funerale, ma dato che sua madre non si sentiva bene, probabilmente lei non ci sarebbe riuscita. James lo sapeva. A sua madre non era mai piaciuta Cindy, e non era nella sua natura fare qualcosa che non volesse fare. Era grato a suo padre, però. Non aveva nessun’altra famiglia da chiamare, e la famiglia di Cindy era sparsa in tutto il mondo. Suo fratello era arrivato dal Texas, ma era stato l’unico. Suo padre era in una casa di riposo e sua madre era morta anni prima. Cindy sarebbe voluta andare al funerale di sua madre, ma erano nel bel mezzo della grande apertura di un film. James aveva insistito sul fatto che non poteva allontanarsi, e poiché la sua sobrietà era non ancora certa, Cindy aveva deciso di rimanere al suo fianco. Più tardi gli aveva detto che si sentiva come se avesse tradito sua madre non andando al funerale, ma James aveva riso.

    Buon Dio, Cindy! La donna è stata cremata! Che razza di funerale può esserci per un mucchietto di polvere? Non aveva capito quanto fosse stato crudele in quel momento. Cindy era uscita dalla stanza. Solo poche settimane prima lei gli aveva ricordato l’incidente e gli aveva chiesto se si ricordasse. Lui aveva detto che non ricordava le sue esatte parole, ma immaginava di aver detto qualcosa di simile. Lei gli aveva chiesto se pensasse ancora la stessa cosa. Lui aveva scrollato le spalle. Non lo so. Non mi piace pensare alla morte. È stato molto tempo fa, Cindy; dimenticatelo. Sembrava che lei avesse dimenticato. Ma ora lo tormentava. Più che tormentarlo. Sembrava un colpo di martello al cuore. Come aveva potuto essere così freddo?

    James si girò e si diresse verso le scale. Beh, se non posso bere, di sicuro non starò qui a pensare al passato. Non posso cambiare nulla. È quello che è. Entrò nel suo studio e accese il grande schermo del televisore. Prese il telecomando e iniziò a scorrere i canali mentre si allentava la cravatta. Si fermò su un canale di notizie, gettò il cellulare sul comò e si levò la camicia. Cominciò a parlare da solo. Perché sono andato oggi? Il funerale è stato ieri. Non c’era bisogno di controllare se avevano messo la lapide. Totalmente nevrotico. Avrei potuto inviare Eduardo. Dannazione, sono talmente...

    James si voltò allo squillo del suo cellulare. Lo agguantò e si avvicinò alla finestra, indossando solo i pantaloni e le scarpe casual. Aveva il petto nudo, e permise alla luce del sole di riscaldarlo attraverso la finestra. Sì?

    Era Dalton, il suo amico e compagno dei giorni passati. Non aveva sentito Dalton per anni. Dalton spiegò che aveva appena saputo della morte di Cindy, ed era in zona. Poteva andar bene se fosse passato per un momento? Stava andando a una proiezione, ma ci teneva a vederlo. James strizzò gli occhi, cercando di ricordare cosa fosse successo al loro ultimo incontro. Aveva la vaga sensazione che la loro ultima conversazione non fosse andata bene, ma non riusciva a ricordare i dettagli.  Nel sole del pomeriggio, alzò le spalle. Sì, certo. Non sto facendo nulla.

    James poteva quasi sentire il sollievo di Dalton. Fissò fuori, oltre la vasta distesa di boscaglia e le colline rocciose, e cercò di non sospirare. Non era sicuro di cosa sarebbe stato peggio. Stare seduti lì da soli o avere un vecchio amico che cercava di confortarlo. Beh, ormai non aveva importanza. Dalton si assicurò dell’indirizzo e lo inserì nel suo telefono. Era come se fosse già nel suo salotto.

    James chiuse la chiamata e gettò di nuovo il telefono sul comò. Beh, addio a immergersi in qualche stupido film. Accigliato, guardò lo schermo. C’erano immagini del volto di sua moglie e poi scene del funerale. Davvero? La gente non poteva lasciarli soli? Guardoni e parassiti! Poi si passò alle più recenti vittime di guerra. Mostrarono le macerie di una scuola bombardata. I corpi erano ovunque. Il volume era a zero quindi James non potè sentire i raccapriccianti dettagli, ma poteva vedere da sé la realtà.

    Cristo! Devono mettere queste cose tutto il tempo? Non c’è mai una buona notizia? James cercò il telecomando, senza riuscire a trovarlo. Cominciò ad agitarsi per la stanza come un pazzo, cercandolo. Voleva spegnere quel dannato arnese, ma nella confusione, sentì la faccia arrossire per la furia. Dove diavolo è andato? Maledizione! Dove... Lo vide sotto la camicia, e afferratolo, premette il pulsante off. Quando lo schermo divenne nero, cadde su una sedia e seppellì la testa nelle mani. Dio, Onnipotente! Non posso sopportare cose del genere. Non oggi.

    James rimase lì seduto per un momento, poi si ricordò che Dalton stava per arrivare. Gettò la camicia usata nel cesto straripante, sollevato dal fatto che la donna delle pulizie sarebbe venuta la mattina successiva. Cercò di ricordare il suo nome. Cindy era quella che assumeva e gestiva il personale. Lui non sapeva nulla di loro, tranne che andavano e venivano come angeli invisibili di misericordia. Pensò che avrebbe dovuto imparare i loro nomi. Aprì l’armadio e tirò fuori una camicia casual. Sentiva un debole odore provenire dall’armadio e si rese conto che Cindy era stata lì l’altra sera, prima di andare a una festa; praticamente era inondata di profumo. È buffo che ora lo senta. Non l’ho notato questa mattina. Non annuso più niente... James si rese conto che tutto ciò non lo aiutava a prepararsi per Dalton, così si precipitò in bagno, si spruzzò il viso di acqua fredda, e tornò al piano terra.

    Vagabondò in cucina e decise che avrebbe preparato qualcosa per il suo vecchio amico. Tirò fuori un pacchetto di patatine senza grassi e un piatto di verdure tagliate che erano avanzate dal funerale, e versò un po’ di salsa in un contenitore. Mise tutto sul tavolo con un po’ di carne fredda e formaggio che erano stati attentamente conservati, nel caso in cui gli fosse venuta fame, aveva detto qualcuno. Chi l’aveva detto? James cercò di ricordare chi ci fosse alla cena del funerale, ma era tutto confuso.

    James stava per aprire il frigorifero quando la sua mano colpì accidentalmente il tavolo e rovesciò la ciotola di patatine. Si chinò di riflesso per recuperarla e sbatté la testa contro il bordo di marmo del tavolo. Il colpo gli fece vedere luci lampeggianti, e scivolò all’indietro per l’acuto dolore. Si portò la mano alla tempia e si rese conto con spavento che stava sanguinando. Sapeva che le ferite alla testa tendono a sanguinare abbondantemente, ma questo non servì ad arginare l’ondata di panico mentre le gocce di sangue gli scivolavano tra le dita. Si precipitò in bagno. Si guardò allo specchio e improvvisamente sentì salire la nausea. Prima ancora che potesse pensare alla prossima mossa, si ritrovò a vomitare nel gabinetto. Srotolando manciate di carta igienica, cercò di pulirsi il viso e la tempia, e arginare il flusso di sangue. Dopo alcuni istanti, il sangue rallentò, e con cautela, si diresse verso il soggiorno. Si sdraiò sul divano e appoggiò la testa all’indietro con un gemito sordo.

    Può andare peggio di così? James chiuse gli occhi e cercò di calmarsi. Il suo stomaco era vuoto ora, e il sangue

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