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Luce e Ombra
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E-book645 pagine10 ore

Luce e Ombra

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Info su questo ebook

G è scrittore che non vorrebbe scrivere, ma non può farne a meno; così continua a creare personaggi che, grazie a P, la sua vicina, scopre essere reali.

Tutti, anche Dimitri: il suo personaggio perfetto, la sua ossessione. Dimitri che aveva letto le ultime righe della sua storia prima del loro compimento ed era impazzito, minacciando G di un'atroce vendetta. Ora però la minaccia è reale e G si trova costretto ad agire contro la sua creatura. Deve creare la sua nemesi, dare vita a un personaggio che abbia in sé qualcosa di così grande e potente da annullare l'ombra in cui Dimitri si è trasformato.

Nessun'arma convenzionale servirebbe con un essere magico, se non la magia stessa; ma nel mondo reale, la magia è stata dimenticata e G deve riportarla con le sue parole. Il racconto che G inizia a scrivere prende lentamente vita, e dalle nebbie della Britannia, dai rituali antichi degli Ordini dei Druidi nasce colei che sfiderà l'Ombra. La vita di G e la sua storia d'amore con P s'intrecciano al romanzo che scrive, le vicende si suggestionano e influenzano fino alla conclusione di tutto quando Dimitri sarà chiamato ad affrontare la più terribile

delle verità, quella nascosta nel suo cuore.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2019
ISBN9788831612203
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    Anteprima del libro

    Luce e Ombra - Elisa Tagliabue

    creare.

    I

    <> chiese silenziosa e timida la voce di Onoir, la giovane Assistente. Sì, riusciva a sentirla, trasportata dalla leggera brezza dell’Oceano. Un voce di donna, soave e leggera. Era certo che si potesse udire ovunque: dal golfo che separa la Britannia a ovest, all’Isola di Smeraldo a est, la fredda aria del mare di fine inverno trasportava parole sussurrate fino al Nord; promesse lontane, profumate di salsedine. Era impossibile non udire quella voce anche se i contorni della parole giungevano sfuocati alle loro orecchie. Era un canto prodigioso e non era un caso che gli incantesimi della magia che la donna praticava fossero canzoni. Quella voce parla agli dei.

    Mentre ascoltava, Áirde si rabbuiò. Erano tempi oscuri quelli in cui vivevano, l’asprezza di quelle terre si era indurita molto nell’ultima decade. Guerre e pestilenze imperversavano senza freno e molti dei loro amici, gnomi che avevano amato come fratelli o gloomy, suoi compatrioti, li avevano ormai abbandonati. Ora poi, voci di guerre devastanti giungevano alle loro orecchie dagli eremiti in viaggio. Il mondo, dopo tanti anni di isolamento, esigeva a gran voce la loro attenzione. La loro amata terra sembrava diventata nuovamente il fulcro di oscure forze, per anni esiliate.

    Il Nord, gli Altopiani regno dei giganti sussultava al ritmo dei tamburi di guerra e dopo anni di pace la bramosia dei signori dei Clan era tornata prepotente a far tremare il suolo. Erano iniziate diverse scorrerie al confine con Éire, l’Isola di Smeraldo, immediatamente dopo la costruzione del ponte che univa le due isole. L’opera imponente era nata come un suggello alla pace tra gli gnomi dell’isola verde e i giganti del Nord, dopo intere decadi di guerre e brigantaggio. Ora la situazione già delicata era sul punto di crollare ancora. Okharahm di Ivencloths, il più potente dei signori dei giganti era riuscito in pochi anni a piegare un buon numero di Clan minori ed era noto a tutti, uomini, gloomy e soprattutto gnomi, che il suo cuore desiderava una sola cosa: conquistare Éire. Lentamente, anno dopo anno, voci sempre più preoccupanti erano giunte fino a loro e ora la tensione era al limite. Se la preparazione alla guerra non fosse accorsa esattamente in quell’anno particolare, esattamente in quel momento tanto atteso, tutti loro si sarebbero adoperati per mantenere la pace nonostante il loro esilio. La loro terra stava morendo; Áirde lo vedeva nel verde che ricordava smagliante nelle sue memorie, ma che ora era spento e fragile. Quando la sera restavano sulla soglia del loro rifugio, il profumo dei boschi, quel misto di legno umido e muschio, non era come lo ricordava. La loro intensa freschezza iniziava a svanire dalle memorie dei vecchi e i giovani mai li avrebbero conosciuti.

    La donna che ora stava facendo ritorno era partita nel silenzio dell’alba, ignorando ogni sua protesta. Il gloomy era pervaso da una terribile ansia ogni volta che una delle due donne si allontanava dal loro rifugio, soprattutto dato che Roma aveva ormai abbandonato da molti anni le terre a confine lasciandole in mano ai briganti. Questa volta non faceva eccezione, anzi, era ancor più teso del solito, la ricerca del presunto druido non lo convinceva affatto.

    Tornò a pensare a Roma e sorrise della cocciutaggine di lei che aveva vissuto nella sua infanzia quegli anni di dominazione e non condivideva affatto la sua simpatia per i romani; ancora si ostinava a lasciare a loro ogni colpa, dall’arrivo del Cristo all’invasione dei Sassoni. Ormai portava troppi anni sulle sue spalle, Áirde ne era ben consapevole, ma nei lustri vissuti non era stata solo la saggezza a crescere, ma anche il dolore per le perdite subite e le scelte fatte. Roma era stata da tempo ricacciata nell’eterna estate dai barbari dell’est, ma altre minacce assediavano ancora le loro amate isole e il cuore dell’anziana donna tremava. Lo stesso astio che la scuoteva quando parlava di Claudius Britannicus, la coglieva ora nell’udire delle scorrerie dei Clan su Éire; la stessa vergogna che viveva nel ricordare il figlio Mordred, assassino del fratello Artù, l’annientava ora nel vedere che il popolo di Britannia abbandonava la Dea per un’altra fede straniera. Erano tempi bui e il presentimento di Áirde era ancor più oscuro. Tutto questo nuovo dolore non poteva essere un caso.

    La sera prima che partisse aveva parlato dei suoi sospetti con entrambe, la Sacerdotessa e l’Assistente avevano ascoltato attentamente. Queste morti, queste violenze... Non puoi non averlo notato, non può essere una coincidenza l’avvicinarsi della profezia e tutta questa oscurità che ci avvolge. I loro sguardi si erano incrociati ripetutamente, scrutando le varie espressioni, cercando di leggerne le opinioni e gli intenti. Alla fine la giovane Onoir aveva trovato la teoria affascinante, ma troppo macchinosa per il suo giovane ingegno, mentre l’anziana Sacerdotessa vi aveva prestato attenzione per poi decidere di ignorarla, anche solo per il momento. Aveva dovuto desistere, conosceva la sua testardaggine.

    C’era stato un tempo in cui avevano avuto la stessa età, e quasi faticava a ricordarlo; un tempo in cui aveva sperato di poter avere con lei una famiglia. Ora sapeva di essere stato uno sciocco, non avrebbe mai potuto amarlo come lui desiderava perché, anche volendo, lei era legata con un voto al suo culto e la sua intera esistenza, l’infinito susseguirsi dei lunghi anni, non avevano intaccato la sua fede. Ci furono anni in cui le loro vite presero strade diverse a causa di quella scelta incrollabile, Áirde però era sempre stato certo di non poter amare nessun’altra donna e anche ora, al suo anziano cuore bastava la sua presenza, più saggio di quello della sua gioventù che bramava la carne. Ricordava ancora con vergogna le notti che aveva trascorso in viaggio accanto a lei, con i sogni tormentati da desideri inconfessabili. Il suo corpo desiderava quello di lei e bruciava frustrato nella consapevolezza di non poterla avere. Sapeva che quel voto non l’avrebbe infranto per lui e solo ora che si vedeva invecchiare velocemente mentre lei, la donna che possedeva ancora il suo cuore persisteva in un’anzianità fissa e immobile, era in grado di accettarlo. Mentre lui ogni mattina faceva sempre più fatica ad alzarsi dal duro giaciglio e compiere i suoi doveri, tra i quali addestrare Onoir; Morgana sembrava perennemente ferma alle stesse rughe del giorno precedente. Áirde era a conoscenza del segreto della sua immortalità eppure, quello che al tempo dell’amore e della giovinezza, non era sembrato un problema, ora, lentamente iniziava a inclinare i loro rapporti. Onoir lo distrasse da quella malinconia.

    La ragazza era intenta a perdersi nelle melodie di quella canzone, senza procedere con il lavoro che stava facendo. Aveva ancora molte cose da imparare certo, ma era sveglia e attenta, sarebbe stata pronta per quando la Dea avesse deciso di richiamarlo a sé, pensò l’Assistente Anziano osservandola con un sorriso paterno. La fanciulla aveva undici o dodici anni al massimo, in realtà nessuno di loro lo sapeva per certo; quando l’aveva comprata tre anni prima, neppure i genitori erano stati in grado di essere più precisi. Non era raro in tempi pericolosi e difficili come quelli, che le famiglie dovessero scendere a patti con l’affetto o con i legami di sangue per sopravvivere. La giovane aveva avuto la sfortuna di essere femmina e non primogenita, diventando solo un peso e un divertimento per il padre. Áirde l’aveva comprata assecondando un moto di gentilezza. In fin dei conti, poteva andarle molto peggio. Non era né affascinante né seducente, aveva i capelli neri e la pelle chiara macchiata dalle lentiggini del freddo, ma non era affatto bella a vedersi. I capelli erano radi e sciupati dalla mancanza di cibo in tenera età, e alcune ciocche erano state sicuramente strappate. La sua pelle era sciupata dalle violenze e dal lavoro nei campi che era stata costretta a sopportare nonostante i pochi anni di vita eppure, il meglio della sua disgrazia appariva nel sorriso. Áirde le aveva strappato due denti che minacciavano una terribile infezione, non appena era giunta al rifugio da Morgana. Il dolore doveva essere stato terribile e anche con una potente dose di pozione di papavero, l’avevano sentita lamentarsi nei due giorni di sonno successivi. Il risultato era un sorriso sghembo e per nulla seducente. Tutto ciò che le mancava in bellezza però, lo compensava col cuore; era attenta, vivace e svelta nell’imparare eppure, Áirde lo sapeva bene e anche Morgana era d’accordo che non sarebbe mai diventata una novizia, come lui non era riuscito a entrare nell’Ordine come druido. Egli non avrebbe mai potuto rinunciare all’amore per Morgana mentre alla giovane contadina mancava una cosa fondamentale: non possedeva nessun personale interesse. Onoir non faceva mai domande, non si incuriosiva a nulla. Imparava velocemente, ma solo le cose che le venivano dette e non chiedeva mai la spiegazione per nessun ordine o nozione; le bastava ciò che Morgana e Áirde decidevano di dirle. Era un aiuto prezioso e solerte, ma null’altro.

    Le sorrise gentile, lo sguardo corrucciato dalla pelle ruvida e lei sorrise di rimando, fissando lo sguardo sul vecchio volto dalle lunghe e ispide sopracciglia. Rimasero lì fermi, in attesa. I loro occhi fissarono poi lo stretto sentiero che saliva dalla valle fino alla loro collina, aspettando di vedere far capolino la curva figura della Sacerdotessa. Il canto era ora più intenso e non avrebbe tardato ancora a lungo.

    Durante i tre giorni di viaggio Morgana aveva spesso pensato con rammarico a quanto il suo popolo fosse stato costretto per anni a soffrire, a quante privazioni era stato spinto e quante vite aveva perso. Nella sua lunga esistenza era sopravvissuta a molte tragedie, alcune tanto personali da toglierle ancora il sonno, altre tanto inevitabili da annientarla al pensiero della sua impotenza. Rifletteva ancora sulle parole di Áirde, forse aveva ragione. Era diverso dalle altre volte in cui aveva dovuto contrastare odio e guerre. Non sembrava più nascere per una qualche ragione politica o di potere, ma soprattutto non si muoveva più nell’ombra, non aveva più timore. Il male non tentava più di nascondersi, ora agiva alla luce del giorno, senza pudore. No, forse ha davvero ragione il vecchio! Giungono infine i giorni della speranza e il male ne percepisce la minaccia…

    Quella mattina prima di riprendere il viaggio e tornare sui suoi passi fino a casa, dopo la colazione frugale con bacche e infuso di camomilla, aveva liberato la sua mente fino ai confini più estremi della sua terra e aveva cantato nella lingua della terra. L’incantesimo le aveva permesso di scrutare ogni angolo, ogni onda, ogni foglia, ogni cuore. Aveva ripetuto spesso questa magia negli ultimi vent’anni, ogni volta si era sentita sempre più debole, e ogni volta aveva riflettuto sul fatto che pagarne il prezzo diventava sempre più arduo. Eppure non vi aveva rinunciato da quando si era ritirata nella solitudine della collina, aveva deciso di lasciare che il suo popolo affrontasse da solo i propri demoni alla caduta degli Ordini, ma non poteva rimanere all’oscuro di tutto, non con la profezia che incalzava.

    Le veniva ancora una stretta allo stomaco ripensando alle notti buie che aveva attraversato aggrappandosi alla sua fede. Il suo Ordine era stato spazzato via da nuovi culti, dall’Olimpo prima e dalla follia cristiana poi; non le era rimasto più nulla se non il rancore verso un mondo che aveva corrotto i cuori delle sue consorelle e dei suo confratelli fino all’annientamento; un mondo che si era voluto separare dal suo credo e che ora pagava col sangue quella scelta. Ora però, tutti i segni la stavano spingendo a rivedere il suo esilio. Non era più in grado di ignorare le voci che di notte la tormentavano affinché tornasse a curare le ferite profonde di un mondo in rovina. Le visioni di Viviana e Merlino erano incessanti e i loro spiriti inquieti. Quella mattina aveva sentito le sue stanche spalle piegarsi sotto il peso di ciò che portava nel cuore; la sua memoria era il tesoro più potente che la Britannia, Éire e il Nord possedevano, per non contare le Isole del Vento, alla cui nascita e ascesa Morgana in persona aveva assistito. Era sulle quelle austere Isole, nate da una tempesta dell’Oceano, che era nato il popolo dei gloomy. Era la terra natia di Áirde. Un sorriso fugace, poi si riscosse. Non voleva perdersi in ricordi di epoche lontane, non ora che il presente la chiamava a gran voce; forse ci sarebbero stati giorni in cui le sarebbe stato concesso ricordare ed essere felice o piangere. Si guardò attorno, il mondo era lo stesso di sempre, immobile nel tempo. Non sanno che l’Ordine può risorgere dalle sue ceneri, fenice nei cuori di chi ha ancora fede. Li vedo allontanarsi dalla magia della natura ogni giorno, finiranno per dimenticarsene, la vedranno come nemica. Si trasformerà in fantasia, la relegheranno nei racconti per fanciulli. Tutti i popoli perderanno la capacità di amare la loro terra, la Dea sarà piegata alla volontà dell’uomo che si farà dio del proprio culto. Erano i colori tenui dell’alba a ispirarle quei pensieri caliginosi. Si scrollò le spalle, sperando così di far scivolare lontano quelle pesanti responsabilità; un respiro profondo e appoggiandosi al vecchio bastone donatale moltissimi decenni addietro dal Primo Albero Custode, si incamminò verso nord.

    Quel viaggio era stato inutile per molti, troppi, versi. Aveva deciso di partire per una speranza, o un timore. Áirde aveva udito numerose voci di un uomo che si faceva chiamare ancora druido, era un titolo che non aveva più l’autorità di un tempo e spesso era stato usato senza ragione, ma ormai erano anni che non udivano quella parola. Inizialmente non vi avevano prestato attenzione eppure un subdolo dubbio continuava a spingere quell’argomento dentro le loro conversazioni. Se fosse stato vero significava che Morgana non era l’unica superstite del culto della Dea e che i fuochi fatui che aveva visto e ignorato pensando a una trappola, forse potevano essere stati invece un tentativo sincero. Quando i sussurri portati dal vento e dagli animali della foresta divennero voci di uomini e gnomi che giungevano da nord, Morgana aveva deciso di indagare più a fondo. Aveva mandato Áirde e Onoir al mercato della marca di Letrock. Mescolandosi tra le persone che giungevano a quell’evento da ogni parte dei regni delle Isole, sarebbe stato facile trovare qualche informazione più precisa. Áirde era un maestro nell’ascoltare discorsi che non volevano essere uditi.

    Morgana, l’ho trovato le aveva detto, urlando, ancora prima di percorrere l’ultimo tratto di sentiero. So dove si nasconde!. Lei aveva sorriso, cercando di controllare tutte le emozioni che la stavano scuotendo. Quando Áirde l’aveva raggiunta con un’ansimante Onoir alle spalle, carica di cianfrusaglie comprate al mercato, Morgana si era seduta in ascolto non prestando attenzione al frastornante tintinnio della merce che veniva scaraventata a terra. Il vecchio si era sistemato la casacca, aveva ripreso fiato e aveva iniziato il suo resoconto, mentre passeggiava avanti e indietro fissando di tanto in tanto la Sacerdotessa.

    Bene… non è stato facile, molte persone al mercato giungevano da così lontano che era impossibile addirittura capirne la lingua. A nord si stanno sviluppando dei dialetti incredibilmente difficili! Così gutturali gli gnomi quanto al limite del canto i giganti, mentre faccio fatica addirittura a capire alcune parlate del mio stesso popolo!. Sarebbe andato avanti per ore se non avesse incrociato lo sguardo duro della donna. Sì certo, ecco, al termine del primo giorno eravamo alquanto scoraggiati, avevamo udito per caso solo una o due volte la parola sacerdote. Ogni volta seguivamo le tracce solo per poi capire che tutti si riferivano a quel nuovo culto; quel Gesù di Nazareth, anche lui ha i suoi sacerdoti. Aveva scosso la testa in un forte diniego. Fatto sta che neanche le taverne sono più quelle di un tempo, la birra è annacquata e ci vogliono molte rupie per far ubriacare gli uomini giusti.

    Gli sguardi di entrambi si erano andati a fissare sul quella che era stata, per pochi istanti, la pila ordinata di stoviglie nuove. Onoir doveva aver incidentalmente sfiorato una delle pentole alla base provocando una rovinosa caduta delle altre. Erano tutti sobbalzati al tuono del ferraccio e del rame che si scontravano, tutti tranne l’alfa-puma che ovviamente era rimasto a guardare la scena con aria annoiata. Quell’animale continuava a stupire Morgana per la sua impassibile calma, dal giorno in cui erano stati adottati dall’immensa bestia non aveva fatto altro che vegliare su di loro, in perenne attesa di qualcosa che fosse all’altezza della sua attenzione.

    La notte non ci ha portato consiglio mentre l’alba, con tutti i suoi postumi, ci ha rivelato la giusta via. Stavamo acquistando un po’ di erbe medicinali da un mercante di Éire, Jhoka Monsil. Lei aveva annuito, Jhoka era uno dei pochi gnomi tra le sue conoscenze, a provocarle puro raccapriccio. Gli gnomi erano solitamente gentili e premurosi anche con gli sconosciuti, perché erano da sempre legati all’onore e al codice d’ospitalità. Jhoka non possedeva nessuna delle qualità di uno gnomo. Se uno gnomo comune taglia ogni mattina i lunghi e irsuti baffi che crescono durante la notte, piega i vestiti di corda di salice ogni sera per trovarli perfettamente inamidati la mattina e cura ogni dettaglio, dalla spilla nei peli del petto, agli artigli perfettamente limati, al cappello di lana sempre impeccabile, Jhoka no. La pelle verdognola della sua razza quasi non si distingueva più sotto la coltre di fitto pelo riccio e grigio, sempre impastato dalla birra e dai resti di svariati pasti, i baffi si confondevano con tutto il resto, i suoi vestiti erano sempre trasandati e sgualciti e il suo capo calvo non vedeva un cappello da tempo immemore. Eppure, non era il suo aspetto a ripugnarla; era la sua voce. Jhoka aveva una voce melliflua, finta e viscida. Sarebbe stato in grado di vendere sua madre o il suo re, per il giusto compenso e lei non si sentiva in animo di escludere che l’avesse già

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