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La Freccia
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E-book129 pagine1 ora

La Freccia

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Info su questo ebook

"Avrei dovuto prevederlo che non ero tagliato per fare il pendolare. Mica riesco a dormire, io, come tutti gli altri, con le gambe allungate sul futuro e le scarpe appoggiate sul sedile di fronte e la testa reclinata, che si imbernoccola sul vetro, ad ogni increspatura dei binari. A me, appena mi siedo, mi scappa subito da scrivere."

Bizzarro soliloquio epistolare, attraverso il quale ammirare i tasselli delle consapevolezze mentre nascono e si ricompongono nell'animo e nel racconto ad una interlocutrice silenziosa.

Immobile deflagrazione di un sentimento, senza spargimento di sangue.
LinguaItaliano
Data di uscita2 giu 2015
ISBN9786050384543
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    Anteprima del libro

    La Freccia - Andrea Luce

    .

    andrea luce

    LA FRECCIA

    deliri dell’iride

    .

    Andrea Luce

    La freccia

    Diritti d’autore tutelati

    © Andrea Luce 2000 - 2015

    www.andrealuce.blogspot.com

    andrealuce2000@gmail.com

    "la felicità non esiste,

    non ci resta che provare

    ad essere felici senza"

    Jerry Lewis

    Otto novembre, 1 (uno)

    FINALMENTE I PENSIERI TORNANO A RINCORRERSI, MA QUANTO HO DORMITO?

    QUANTI ANNI HO DORMITO?

    Toc toc, posso entrare? Rodolfa ci sei?

    senti quello che sto scrivendo? (ancora no, ancora non l’ho spedita, ancora non l'ho neanche scritta…)

    Ma cosa vuoi che io possa scriverti Rodolfina, con le rotaie che mi scuotono e la musica inossidabile dei Dire Streets infilata nelle mie orecchie tornate ingorde…

    Caterinooooo, mi chiamavi così, con tante o quando sentivi questa canzone.

    Già allora era musica anteriore ma si attualizzava subito nel dondolio dei tuoi fianchi, quando la ascoltavi.

    Ho un tale struggimento alla bocca dello stomaco.

    In questo momento potrei addirittura baciarti con la bocca del mio stomaco.

    L'altro giorno ho trovato una vecchia scatola, che credevo smarrita in qualche armadio di una delle mie precedenti vite e alla quale non pensavo più.

    Ci ho ficcato dentro la testa e ho ritrovato un vecchio nastro che supponevo di non avere più, con i titoli che non ricordavo più, scritti in celeste sbiadito, evoluzione cromatica dell'inchiostro del mio pennarello blu che non possiedo più, con la mia vecchia calligrafia che non adopero più.

    Ho riconosciuto tutto lentamente, come si riconosce la propria fisionomia in una vecchia foto sgualcita, inaspettatamente ritrovata e crudelmente piacevole, che ritrae tempi diversamente vissuti.

    Quel nastro di musica immortale, che ha attraversato indenne tutta la mia vita, era diventato il nostro rituale, come un'antica colonna sonora sui nostri moderni incontri, ormai diventati ricordo anch'essi.

    Solo quattro anni fa, solo quattro millenni fa.

    Quattro anni passati, su trentacinque vissuti sono una consolante percentuale.

    Bene, tento di convertirne la musica in formato digitale con ingenue operazioni chirurgiche, trasferisco gli mp3 riprodotti sulla audiopenna ma il risultato è una schifezza così mostruosa che anche le mie orecchie ammaestrate si rifiutano di ascoltare.

    Ormai divorato dall'ansiosa urgenza della nostalgia, esco, vado al piccolo negozio di musica in angolo con la strada di casa mia, la commessa è carina, la conosco di vista.

    Mentre riordina il bancone, finge di assecondarmi con professionalità ineccepibile, poi davvero capisce il mio stordimento e mi aiuta. Con grata soddisfazione compro il cd scovato non so da dove, spendendo ben più di quanto avevo previsto ma l’entusiasmo è sempre un po’ caro.

    Uscendo, omaggio mentalmente la prospera scollatura della commessa e inciampo sullo scalino della porta del negozio (mentre mai mi capita di inciampare quando le rivolgo pensieri impuri dalla strada).

    Il cd si stacca dalle mie mani, vorrebbe cadere e frantumarsi ma glielo impedisco con una rapida imprecazione efficace e lo riacchiappo al volo con dolorosa torsione del busto, prima che si sbricioli sul marciapiede.

    E finalmente torno a casa e finalmente lo riascolto.

    E ritrovo la mappa di me stesso.

    E mi risveglio.

    E ti telefono per informarti del mio risveglio.

    E tu mi chiedi di scriverti, di aggiornarti su ogni frammento di questi miei giorni infranti, via via che vado vivendoli.

    Io invece voglio scriverti solo per tenere le dita incollate sulla tastiera, così non possono arrivare al telefono e comporre il tuo numero.

    Al contatto con la tua voce, la mia pelle ha avuto un sacco di vibrazioni interessanti, i sintomi che ho provato dopo averti parlato mi hanno fatto sentire vulnerabile, nudo e… stucchevole.

    Sano timor poetico di essere

    s t u c c h e v o l e

    Anche adesso sto scrivendo col fiato corto e le contrazioni addominali, in questi giorni ho alternato insonnia e inappetenza in parti uguali.

    Fisicamente, sto piacevolmente male quindi, disperatamente bene.

    Sto usandoti come una stampella per rialzarmi, col tuo consenso.

    Ti sto ripercorrendo fra reminiscenze vere e falsificate dal ricordo, rievocazioni ingigantite, amnesie idealizzate, tracce anche solo immaginate.

    E mi sento pericoloso come un animale smarrito, affamato della tua stravagante intelligenza comprensiva e mi sento pericoloso come un gattino che fa le fusa alla sua ciotola di latte.

    Ecco, adesso abbandono l’irragionevole rimpianto di te e inizio a raccontarti l’insensato rimpianto di me stesso.

    Ho le natiche ancora intorpidite.

    Due anni seduto sopra un matrimonio ghiacciato, che si è liquefatto per inevitabile combustione spontanea degli sposi; solo adesso allargo gli occhi abbastanza da poterne cogliere gli umidi residui cinerei.

    La frustrazione accumulata in questo tempo, si sta trasformando in fervore volubile e ispirato.

    E finalmente si riaffacciano le mie amate contraddizioni, sventolando gli antichi vessilli del mio libero pensiero.

    Ho sempre voluto bene alle incoerenze dei risvegli emotivi perché sono il segnale stesso del risveglio, della ricerca dell'equilibrio quando la vita appare precaria e zoppicante.

    Il dubbio provoca disordine prima di diradare la sua nebbia, poi però conduce benevolmente e quasi invariabilmente alle proprie verità.

    La mia storia con Sergia volge al termine, lo comprendo.

    Da mesi non parliamo, non facciamo più l’amore, lei mi rifiuta e io non insisto, perché anch’io non la sento più dentro di me.

    Ci rivolgiamo la parola a malapena, giusto per comunicare l'una all'altro il minimo indispensabile, per spartirci la cena di questo frigorifero matrimoniale.

    Resta solo da trovare il coraggio di constatare l’avvenuto decesso del nostro sentimento.

    Come ho potuto farmi questo, chiudermi in questa scatola di parole non dette e non udite? Mesi di implosioni, ogni giorno, ogni notte, ma adesso l'anima inquieta che alberga in me, non riesce più a reprimere la propria

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