Stampatori e librai a Padova nella prima metà dell’Ottocento
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Anteprima del libro
Stampatori e librai a Padova nella prima metà dell’Ottocento - Marco Callegari
Capitolo primo
Nicolò Bettoni a Padova (1808-1818)
Nel 1829 come appendice della rivista «La Farfalla», apparve un Catalogo ragionato delle principali edizioni uscite dalle tipografie di Nicolò Bettoni nel corso dei 25 anni di attività. Il compilatore dell’opera vi appose una prefazione, in cui si legge un breve – e nel contempo significativo – giudizio sull’operato dello stesso Bettoni:
attivo e laborioso tipografo, che nel periodo di cinque lustri ha pubblicato più milioni di volumi nelle cinque tipografie da lui erette in Brescia, in Padova, in Alvisopoli, in Portogruaro, e in Milano. Il favore con cui vennero dal pubblico accolte le Bettoniane Edizioni, attesta abbastanza i lor pregi, la loro eleganza, la loro nitidezza e correzione. Pare quindi, che ad un uomo che ha procurato di conservare, e di promuovere il lustro dell’arte tipografica in Italia, che ha ravvivato colle diverse sue imprese un ramo importante nell’esercizio dell’arte sua, debbansi molte lodi, né che possa moversi taccia d’adulazione a chi s’affretti a tribuirgliene alcune.¹
L’autore del catalogo, pur non essendo specificatamente indicato, è sicuramente da identificarsi con lo stesso Bettoni – per inciso anche editore e stampatore della rivista – che in tale occasione espresse pubblicamente il proprio punto di vista sull’attività compiuta fino ad allora. Si tratta ovviamente di un giudizio favorevole, confortato in effetti da una serie di successi di critica per quanto riguarda l’aspetto più strettamente tipografico, perché le sue stampe reggevano effettivamente bene il confronto con quelle del Bodoni, a cui il portogruarese faceva riferimento per tipologia di caratteri, carta e composizione. Qualche sbavatura invece apparve evidente ai contemporanei sul piano delle scelte editoriali, basti pensare alle polemiche intercorse col Foscolo riguardo alla tragedia dell’Alfieri Alcesti seconda o allo scambio di velenosi libelli con la vedova Pomba per la Biblioteca classica italiana. Fu ancora più chiara ai contemporanei la sua scarsa attitudine all’amministrazione della propria azienda, fatto questo che lo portò alla cessione di tutte le tipografie da lui aperte per indebitamenti sproporzionati alle effettive rendite commerciali.
Bettoni tuttavia non aveva iniziato la propria attività sotto il segno del fallimento.² Nato nel 1770, era figlio di Giampietro Bettoni, un benestante possidente di Portogruaro, che aveva perso metà del patrimonio ereditato dal padre notaio in speculazioni commerciali poco avvedute, e di Angela Zanon, figlia di un ricco produttore tessile e autore di scritti d’economia. Dopo gli studi effettuati prima in casa, poi in Seminario e infine presso due zii canonici, venne spedito a Padova ancora diciassettenne a frequentare la facoltà di giurisprudenza. Dopo un anno abbandonò l’Università per intraprendere appena diciottenne la carriera pubblica di piccolo burocrate. Erano gli ultimi anni della Repubblica di Venezia e il giovane Bettoni si trovò impiegato al seguito del podestà prima a Verona, poi a Udine e poi di nuovo nella città scaligera. Con la caduta della Serenissima venne nominato amministratore della provincia di Udine, ma dopo Campoformio e la cessione all’Austria del Friuli e del Veneto, Bettoni divenne Segretario generale del Dipartimento del Mella. Poco soddisfatto del posto di Segretario, incarico troppo burocratico e nel contempo poco dinamico per il suo carattere irrequieto e ambizioso, riuscì a farsi nominare ispettore – ossia direttore – della Tipografia Dipartimentale del Mella, struttura all’epoca languente e dotata di attrezzature antiquate. Nel giro di tre anni Bettoni riuscì a triplicarne i capitali, ammodernando l’officina e aumentando la produzione tipografica, utilizzandola anche per la stampa di edizioni a proprie spese come nel caso di alcune opere di Vittorio Alfieri, o di altri autori di successo, su tutti Ugo Foscolo e Vincenzo Monti.³ Gli apprezzamenti ricevuti fecero sì che Bettoni decidesse di acquistare l’intera tipografia bresciana, riorganizzandola in modo da aumentarne la capacità produttiva, non più limitata alla sola produzione di stampe per gli organi di governo locali.
L’errore di valutazione in cui cadde Bettoni in questa circostanza gli fu fatale per il resto della sua carriera. Pur essendo privo di forti capitali, in quanto le proprietà ereditate a Portogruaro non erano tali da garantirgli l’indipendenza economica, comprò la stamperia al prezzo spropositato richiestogli dal prefetto. Il contratto redatto a Brescia il 16 settembre 1806 indica una cifra d’acquisto pari a 59.372 lire, 15 soldi e 10 denari per l’attrezzatura e la mobilia, 271 lire e 15 soldi per una serie di vecchi rami incisi, oltre a 9.000 lire dovute dal Bettoni in antecedenza, probabilmente per le edizioni stampate per suo conto. Il totale ammontava quindi a 68.634 lire,10 soldi e 10 denari da pagarsi in otto anni con un interesse del 6%, più 1.000 lire annue di affitto del locale. Nell’atto il notaio però scrisse per errore la cifra di 78.634, che venne poi fatta correggere dalla Ragioneria del Regno il 26 febbraio 1807 su istanza dell’acquirente.⁴ Che non fosse stato un buon affare per il Bettoni, risultò immediatamente evidente al prefetto del Mella. Questi in una relazione inviata al Ministro dell’Interno, Arborio Di Breme, aveva commentato che erano stati computati anche i gradini di pietra, le porte, gli infissi e che comunque l’intera operazione si era rivelata estremamente remunerativa per il Dipartimento. Di Breme, che ebbe sempre un atteggiamento favorevole nei riguardi del Bettoni, decise di accogliere la richiesta del tipografo riguardo all’eliminazione totale degli interessi e dell’affitto, ritenendo che non fosse il caso di speculare oltre sulle sue scarse possibilità finanziarie.⁵
Alle spalle del Bettoni non vi era nessun finanziatore o socio e di conseguenza il debito di 8.500 lire annue da versare allo Stato era totalmente a suo carico. Bettoni era sì un entusiasta, in certi momenti anche un ingenuo, ma non un totale sprovveduto. La sua ormai pluriennale esperienza nell’amministrazione statale, lo doveva aver convinto che un gettito continuo di denaro per la sua azienda sarebbe venuto proprio dal Dipartimento del Mella, ovvero dalla condizione di essere l’unico stampatore di tutta la modulistica occorrente a ogni comune del territorio. L’idea non era sbagliata di per sé, anzi. Per tutti i secoli appena trascorsi gli stampatori avevano fatto a gara per accaparrarsi il ruolo di stampatore camerale o ducale, sicura fonte di reddito soprattutto nelle città più importanti. Se la situazione storica fosse stata diversa, probabilmente l’attività di Bettoni si sarebbe potuta basare su una maggiore stabilità economica e quindi avrebbe potuto conseguire esiti diversi. Purtroppo la fortissima pressione fiscale, conseguente alle guerre napoleoniche, prosciugò le casse pubbliche al punto che i comuni non furono in grado di pagare al tipografo le sue continue forniture di stampati. Il problema si evidenziò già due anni dopo l’acquisto della tipografia: Bettoni in crisi di liquidità prima inviò un’istanza al viceré Eugenio Beauharnais per ottenere un prestito, che non gli venne concesso, di 20.000 lire e poi inviò al prefetto del Mella, Giuseppe Tominelli, una lettera in cui gli richiedeva di intervenire presso le amministrazioni locali affinché gli pagassero la somma di cui era creditore, pari a 24.052 lire e 86 soldi.⁶ A differenza di questa cifra assolutamente documentata voce per voce, l’ammontare degli altri crediti che Bettoni affermava di vantare, ossia 18.000 lire da librai e 19.000 lire da privati, non è verificabile e comunque sembra quanto meno esagerata. La passività di cassa dovuta ai mancati pagamenti si rivelò alla lunga fatale. Le amministrazioni locali, sempre più pressate