I limoni: Annuario della Poesia in Italia — 2021
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Diretto da Francesco De Nicola e con una redazione di specialisti di sperimentata competenza, l’annuario sarà in libreria e on-line nei primi mesi dell’anno (il primo numero è previsto per maggio 2022).
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Anteprima del libro
I limoni - AA.VV.
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2023 Gammarò edizioni
Oltre S.r.l., via Torino 1 – 16039 Sestri Levante (Ge)
www.librioltre.it
ISBN 979-12-80649-39-3
isbn_9791280649393_EBOOK.jpgTitolo originale dell’opera:
I limoni 2021
di AA.VV.
Collana *
Riviste
*
ISBN formato cartaceo: 979-12-80649-09-6
LA RINASCITA
di Francesco De Nicola
Eravamo ormai nell’ultimo decennio del Novecento e con Giuliano Manacorda, il primo e tuttora fondamentale storico della letteratura italiana del Novecento, e con il comune amico poeta Rodolfo Di Biasio, ci si domandava che cosa sarebbe rimasto nel Duemila della poesia del secolo che stava per finire; non la poesia ufficiale
consacrata nelle antologie, quelle scolastiche soprattutto, compilate spesso con scarsa disponibilità degli autori all’aggiornamento per uscire dalle proprie spesso superate, e talora amichevoli, competenze, ma pensavamo invece a quella poesia esclusa dai grandi giri editoriali e opera dei cosiddetti minori
, spesso nota solo a una piccola cerchia di lettori, ma non per questo meno importante. Naturalmente la prima idea che ci venne fu di fare noi un’antologia, ma i nostri cauti ragionamenti sul come impostarla non ci convinsero mai pienamente e così accantonammo l’impegnativa operazione.
Se il progetto dell’antologia si era arenato, avevamo però compreso quanto fosse necessario uno strumento utile per favorire una maggiore conoscenza di quanto si produceva in Italia nel campo della poesia; sarebbe stata utile una pubblicazione che ne rendesse conto regolarmente e così nacque in noi l’idea di creare un annuario che avesse un duplice obiettivo: ospitare scritti sullo stato e sui problemi della poesia in Italia sotto le più diverse angolazioni e riferire sui libri di questo genere pubblicati nell’arco degli ultimi dodici mesi.
Poste queste premesse, occorreva trovare un titolo per questo annuario e Manacorda propose I limoni per due precise ragioni: l’omonima poesia di Montale indicava che non avremmo seguito la scia dei poeti laureati
, il che implicava una cura rivolta in prevalenza a chi non riceveva troppe attenzioni da parte della critica e dunque ci avviava ad un lavoro di valorizzazione di talenti poco o per nulla conosciuti; ma proprio per evitare una compiacente generosità di giudizi il richiamo ai limoni valeva ad indicare che non ci saremmo risparmiati comunque il gusto aspro e amarognolo che caratterizza quegli agrumi; insomma gli autori dei libri che avremmo segnalati non dovevano aspettarsi necessariamente inni e peana, bensì una non meno importante e opportuna attenzione.
E così nel gennaio del 1994 uscì il primo numero dei Limoni pubblicato dall’editore Caramanica e le accoglienze furono ottime – un altro editore cominciò a stampare un annuario simile al nostro e quando un’idea è copiata è la prova che era molto buona – perché si segnalò da più parti l’utile nascita di un utile strumento di aggiornamento e di dibattito nel campo della poesia. E così, aggiungendo di volta in volta qualche piccola correzione al progetto originale, I limoni, regolarmente presentati ad ogni loro uscita in sale e librerie soprattutto romane, cominciarono il loro viaggio che, dopo sette numeri, si concluse proprio all’inizio del Duemila, quando Manacorda ed io decidemmo che era giunto necessariamente il momento di riprendere il progetto dell’antologia e questo non ci avrebbe permesso di seguire anche I limoni.
In effetti il lavoro dell’antologia si rivelò subito assai impegnativo non solo per la scelta degli autori da inserire, ma anche per trovare gli studiosi qualificati disposti ad occuparsene i quali, a loro volta, dovevano selezionare i testi degli autori assegnatigli entro un numero prestabilito di pagine che veniva regolarmente oltrepassato. E comunque, dopo aver deciso concordemente di inserire solo i poeti nati nei tre decenni centrali del XX secolo, finalmente nel 2006 uscì Tre generazioni di poeti italiani. Una antologia del secondo Novecento presso l’editore Caramanica che da qualche anno, oltre a I limoni, stava pubblicando, sotto la regia soprattutto di Rodolfo Di Biasio, non pochi libri di versi di buona qualità di autori esordienti che presto si sarebbero affermati.
Al sorgere del nuovo secolo I limoni avevano dunque terminato il loro utile percorso e, parlandone con Di Biasio molti anni dopo, nell’ottobre del 2021 quando andai a trovarlo a Formia dopo la dolorosa scomparsa della moglie, lo ricordavamo come una bella esperienza conclusa. Conclusa? E perché conclusa? Ci guardammo negli occhi di vecchi pensionati con la passione dei ventenni per la poesia e scoccò la scintilla: sentiamo il nostro amico Domenico Adriano, compagno di tante passate iniziative nel campo della poesia che trovammo disponibilissimo e decidiamo di far rinascere I limoni: la struttura sarebbe rimasta immutata, con una prima parte formata da saggi su diversi aspetti del mondo della poesia e con uno dedicato ad un grande poeta del Novecento (in questo numero Guido Gozzano) e nella seconda una serie di recensioni dei libri di poesia usciti nel corso dell’annata presa in esame.
E così abbiamo cominciato a parlarne fattivamente, a recuperare antichi contatti e nelle successive telefonate Rodolfo non mi parlava più della sua solitudine, della sua malattia, della mancanza di stimoli, ma era entusiasta di riprendere quel progetto che stava per restituire un senso alla sua vita. Ma questa, neppure un mese dopo il nostro incontro, all’improvviso si concluse, lasciandoci tutti addolorati, attoniti e sgomenti: tutto era finito proprio quando stava per ricominciare; ma davvero tutto doveva finire?
Rodolfo avrebbe voluto che I limoni rinascessero, che si tornasse a scrivere onestamente sulla poesia per esprimere opinioni e per dare informazioni; con Domenico Adriano ci siamo sentiti di nuovo e ci siamo letti lo stesso pensiero: volevamo andare avanti proprio in memoria dell’amico Rodolfo che non c’è più e che ricorderemo con stima e affetto in questo numero che dunque, grazie alla generosa disponibilità del direttore delle Edizioni Oltre e alla collaborazione degli amici che formano il comitato di redazione, esce ora: con rinnovato entusiasmo e nel ricordo di Giuliano Manacorda e di Rodolfo Di Biasio che non ci sono più ma che rivivono in queste pagine nate dal loro amore per la poesia.
I SAGGI
I
NSEGNARE L’ITALIANO AGLI STRANIERI CON LA POESIA:
UNA SFIDA
O UN’OPPORTUNITÀ?
di Maria Teresa Caprile
1. Necessità della poesia
Nel mio pluridecennale lavoro di insegnante d’italiano a stranieri sono stata sempre sostenuta dalla convinzione che la grande letteratura è in grado di motivare e arricchire chi si dedica allo studio di una lingua non materna; infatti, permette di sviluppare non solo le competenze linguistiche, ma anche quelle più personali, emotive e spirituali e contribuisce così a formare persone in grado non soltanto di saper fare
, ma soprattutto di saper essere
. Entrando nello specifico della poesia e per aggiungere ulteriori elementi a supporto di questa mia convinzione, desidero precisare che considero la poesia necessaria e che questa, come già riteneva Ungaretti, sia una delle sue qualità fondamentali:
Si fa poesia perché occorre farla… è poesia quando porta in sé un segreto… ci sono poesie brevissime che mi richiedono sei mesi di lavoro, non sono mai a posto, si seguono con l’orecchio, non si sa poi che cosa sia quest’orecchio, perché l’orecchio poi va dietro al significato, va dietro al suono…insomma, tutto deve finire col combinare e col dare la sensazione che si sia espressa la poesia [anche se] la parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi, ma lo avvicina
¹.
E per dimostrare che a pensarlo non sono solo gli addetti ai lavori, riporto anche, efficacissima nella sua sinteticità, l’affermazione di un astrofisico e cosmologo dei nostri giorni, John David Barrow, che, sostenendo che nessuna descrizione non poetica della realtà potrà essere mai completa
², riconosce che la poesia è anche uno strumento di rappresentazione del mondo e le attribuisce la facoltà di darne una sua interpretazione.
Anche per uno scienziato, dunque, ci vogliono lo sguardo e le parole dei poeti per fare in modo che l’umanità contribuisca alla realtà con una forma di conoscenza alternativa, con un modo soggettivo – ma complementare – di decifrarla, al di là dell’analisi dei puri dati di fatto; ma è ancora un poeta che ci insegna a vedere la realtà e anche al di là di essa:
… né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede³.
Certamente, ricorrendo alle parole di Montale per argomentare quanto vado sostenendo, occorre precisare con Contini che la differenza costitutiva fra Montale e i suoi coetanei sta in ciò che questi sono in pace con la realtà (a più forte ragione col mondo immaginario se il loro è un universo fittizio), mentre Montale non ha la certezza del reale
⁴. Ma è anche vero che Montale, pur persuaso della inconoscibilità e impossibilità di comprendere il reale, ricorse comunque ad una poesia delle cose
(il noto correlativo oggettivo) per rappresentare, attraverso oggetti e situazioni, una minima, parziale interpretazione del mondo nella sua indecifrabilità.
Il poeta, dunque, ogni poeta nella sua unicità, affronta il reale non per spiegarlo in modo definitivo e incontrovertibile, ma per dare ad esso, e alla vita, un senso, un significato, un valore.
Non mi addentrerò dunque in alcun arduo (e presuntuoso) tentativo di definire la poesia, che cosa essa sia al di là della sua evidenza testuale e al di là della sua scansione interna, che impone a chi scrive di interrompere la riga tipografica prima della sua fine naturale. Questo andare a capo, questo tornare indietro della scrittura fa sì che la conseguente frammentazione del verso poetico (versificato, appunto, perché suddiviso in versi) lo distingua da qualsiasi altra forma linguistica scritta
⁵.
In questa rinuncia ad ogni definizione sono giustificata dalle parole stesse di Caproni:
Credo che non lo sappia dire nessuno che cos’è la poesia. Credo che per me sia stata una risorsa sin da ragazzo, di me stesso, della mia identità, cercare di capire chi sono e, attraverso di me, cercare di capire chi sono gli altri
⁶.
Ma quello che mi preme è soprattutto ribadire che la poesia è necessaria, anzi, come testimonia Ungaretti, è mentalmente, antropologicamente, perfino neurologicamente necessaria. […] Negli ultimi decenni la poesia ha perduto parte del suo prestigio, della sua autorità e aureola culturale. Non si vedono più in giro filosofi come Croce o linguisti come Jakobson a definirla, né poeti come Eliot e Montale a difenderla. Eppure tutti credono ancora che scrivere poesie, questa misteriosa attività, così innocua e così tradizionale, forse inutile, sia invece un valore irrinunciabile, una terapia mentale, un mezzo di conoscenza, autocoscienza e difesa della vitalità della lingua
⁷.
E aggiungo: la poesia è necessaria nella sua presunta inutilità. Essere economicamente irrilevante – in Italia è il genere meno venduto nelle librerie, il meno avvicinato dai già scarsi lettori del nostro Paese, semmai sono molti di più quelli che scrivono poesie, a giudicare dai concorsi organizzati e dal numero dei partecipanti che li affolla, ma questo è tutto un altro discorso che ci porterebbe troppo lontano – è paradossalmente il suo punto di forza, perché la colloca fuori del mercato, fuori delle leggi che lo governano e invece dentro a tutto un mondo di valori che restano non monetizzabili, non inclini al compromesso e dunque indispensabili: Caproni probabilmente direbbe che abita un’ "… altra terra: i luoghi / non giurisdizionali⁸".
Proprio in questi termini definendola inutile
, ne aveva parlato Montale in occasione della consegna del Premio Nobel per la letteratura a lui assegnato nel 1975⁹: nel suo discorso non c’era alcuna volontà provocatoria, bensì un’intenzione elogiativa che chiarì affermando che la poesia non è una merce
e dunque non rientra nel circolo di ciò a cui si può assegnare un valore quantificabile in moneta. Come altri valori che sono a loro volta difficilmente definibili – l’amore, l’amicizia, la passione… –, la poesia non ha prezzo e non può essere comprata, ma solo donata da chi sa darle forma – i poeti – a chi è disposto a leggerla¹⁰:
La grande poesia, quella che non è piegata ad alcun potere, quella che supera l’usura del tempo e crea un legame tra generazioni lontane, non è asservita a niente e a nessuno, non è ‘serva’, non è servile e, semmai, ‘serve’ all’uomo per mantenersi tale, per mantenere vive quelle qualità a cui facciamo riferimento quando parliamo di umanità e di esseri umani, non in senso meramente biologico
¹¹.
La poesia così si slancia per dar voce ad ogni sentimento umano fin da quando era affidata alla sola oralità, ha a che fare con quello che tormenta o fa vibrare l’umanità fin dai suoi albori e permette che ci siano contatto e corrispondenza fra generazioni lontanissime nel tempo e nello spazio – al contrario della tecnologia, che rende obsoleta la conoscenza della generazione precedente e oggi scava abissi già tra figli e genitori – ; si rivolge a tutti, ma entra nel cuore e nella mente in modo assolutamente personale e le si può riconoscere una funzione catartica così approfondita e diffusa da raggiungere spesso effetti terapeutici straordinari sul lettore davvero disponibile e coinvolto, in accordo con una felicità mentale e associativa che – muovendo dal negativo della storia, della cronaca, della vita quotidiana – ha saputo raggiungere un approdo di nutrimento spirituale
¹².
Se in qualche modo abbiamo accesso a una soglia di senso, ciò avviene poeticamente
¹³, scrive il filosofo francese Jean-Luc Nancy: quindi l’attribuzione di un significato a ciò che esiste e allo sguardo dell’uomo che vi si posa è affidata alla poesia e questo spiega la sua nascita contemporanea al linguaggio, dunque antichissima:
"Nato nella notte preistorica di un’oralità per così dire ‘pura’, che certo non poteva riconoscere la sua potenzialità – espressa solo qualche decina di millenni dopo! – di consolidamento in scrittura¹⁴, l’uso poetico del linguaggio (assieme ritmato e simbolico, narrativo e rituale) si modula da sempre sui movimenti primari del corpo: il battito del cuore e l’andamento del passo"¹⁵.
Ed ecco la terza caratteristica – dopo la sua necessità
e inutilità
– che fa della poesia un