Profilo della libreria bresciana del seicento: Bozzola, Turlino, Tebaldini, Fontana
Di Luca Rivali
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Profilo della libreria bresciana del seicento - Luca Rivali
Libraría
Studi di bibliografia e storia del libro
2
Luca Rivali
Profilo della libreria bresciana del Seicento
Bozzola, Turlino, Tebaldini, Fontana
© copyright Il Prato / settembre 2013
© copyright Luca Rivali / settembre 2013
ISBN 978-88-6336-221-3
ebook by ePubMATIC.com
Sommario
Sigle e abbreviazioni
Introduzione.
Produrre e vendere libri nella Brescia del Seicento
Capitolo primo.
Una lunga tradizione: l’editoria bresciana nel Seicento
Capitolo secondo.
La libreria Bozzola (1613)
Capitolo terzo.
La libreria di Giacinto Turlino (1638)
Capitolo quarto.
La libreria di Francesco Tebaldini (1641)
Capitolo quinto.
La libreria Fontana (1622-1648)
Sigle e abbreviazioni
Archivi
ACBs: Archivio Storico Civico di Brescia
ASBs: Archivio di Stato di Brescia
ASM: Archivio di Stato di Milano
ASRoma: Archivio di Stato di Roma
ASV: Archivio di Stato di Venezia
Biblioteche
BQBs: Biblioteca Civica Queriniana di Brescia
BSC: Biblioteca Statale di Cremona
Abbreviazioni bibliografiche
Ascarelli – Menato: Fernanda Ascarelli – Marco Menato, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze, Olschki, 1989.
DBI: Dizionario biografico degli italiani, 72 volumi pubblicati, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-.
Dizionario dei tipografi: Dizionario dei tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento, a cura di Marco Menato – Ennio Sandal – Giuseppina Zappella, I, Milano, Editrice Bibliografica, 1997.
EB: Antonio Fappani, Enciclopedia Bresciana, 22 volumi, Brescia, La Voce del Popolo, 1978-2007.
Edit16 on-line: http://edit16.iccu.sbn.it/web_iccu/ihome.htm.
Fiore – Lipari: Fiorenzo Fiore – Giuseppe Lipari, Le edizioni del XVII secolo della Provincia dei Cappuccini di Messina, I: La Biblioteca Provinciale, 3 tomi, Messina, Sicania, 2003 e II: Le Biblioteche dei Conventi, 3 tomi, Messina, Sicania, 2002.
Griffante: Le edizioni veneziane del Seicento. Censimento, a cura di Caterina Griffante, 2 volumi, Venezia – Milano, Regione Veneto – Editrice Bibliografica, 2003-2006.
IGI: Indice generale degli Incunaboli delle biblioteche d’Italia, 6 volumi, Roma, La Libreria dello Stato, 1943-1981.
Sandal: Ennio Sandal, La stampa a Brescia nel Cinquecento. Notizie storiche e annali tipografici (1501-1553), Baden-Baden, Koerner, 1999.
SBN: http://www.sbn.it.
SdB: Storia di Brescia, 5 volumi, Brescia, Morcelliana, 1964.
Spini: Le edizioni bresciane del Seicento. Catalogo cronologico delle opere stampate a Brescia e a Salò, a cura di Ugo Spini, Milano, Editrice Bibliografica, 1988.
Zappella: Giuseppina Zappella, Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, Milano, Editrice Bibliografica, 1986.
Introduzione
Produrre e vendere libri nella Brescia del Seicento
L’idea che il Seicento sia, tra quelli della storia moderna, il più disprezzato dagli storici è ormai poco più che un luogo comune. Gli studi recenti hanno infatti dimostrato che è proprio nel Seicento che, si può dire, nasca il mondo moderno e abbia inizio «la cultura europea, in base a un processo avviatosi con l’Umanesimo e il Rinascimento, ma che trova il suo completamento nel corso del XVII secolo, quando l’apogeo della civiltà barocca segna una nuova fase di crescita intellettuale».¹
Già nel corso del Novecento, in Italia, si è assistito a un movimento di riscoperta del secolo del Barocco che trova senza dubbio in Benedetto Croce il suo iniziatore.² Tale fenomeno si inserisce, in realtà, sulla scia di un più ampio ragionamento europeo che parte nell’Ottocento in Germania.³ Senza addentrarsi nel dibattito storiografico basti considerare che è qui in gioco la possibilità di rintracciare nel Barocco le origini di quel tortuoso percorso della cultura (non solo) italiana verso la consapevolezza della fine di un’epoca e l’apertura di una fase di incertezze, di sperimentazioni, l’avvio di una stagione animata da un contraddittorio posizionamento rispetto al passato – che si manifesta nei due opposti atteggiamenti del rifiuto e della nostalgia – ma anche dalla percezione, da parte di alcuni artisti e intellettuali, della necessità di adeguarsi a un contesto di fruizione tanto più ampio rispetto a quello delle epoche precedenti, fortemente legato a un mercato culturale che in questo periodo muove i primi passi.⁴
Tale movimento coinvolge, senza dubbio anche i libri e l’editoria. Dopo l’età degli incunaboli e un Cinquecento in cui il prodotto tipografico definisce in maniera precisa le proprie caratteristiche peculiari, il Seicento è il secolo in cui gli uomini raggiungono un rapporto pieno e quotidiano con il libro stampa e il mondo dell’editoria, che assume un carattere pervasivo, investendo ogni aspetto della vita culturale, politica, religiosa... Infatti pare non si possa considerare altrimenti «il processo, tutto secentesco, di avvio di una serie di fenomeni caratterizzati da un comune e forte legame con una allora nascente industria culturale e con un mercato che – attraverso l’attivazione di articolati e raffinati meccanismi di fruizione e circolazione del prodotto letterario, artistico, musicale – si dimostra già in grado di condizionare il processo di recupero di alcuni generi letterari, promuovere la strutturazione moderna di altri e influire, infine, sulla loro tipologia».⁵
È quello che osserva anche Marco Santoro: «La qualità va misurata e considerata non in merito allo spessore artistico e culturale del documento scritto né in merito ai pregi esterni del prodotto stampato, bensì in riferimento alla accresciuta valenza comunicativa del libro e [...] alla sua ormai consolidata affermazione come oggetto di fruizione, sia pure consumato
da una percentuale ancora molto ridotta della popolazione».⁶ Ed è probabilmente questa la prospettiva da considerare quando si affronta la qualità nell’editoria barocca. Una prospettiva ben presente agli studiosi francesi che da anni si occupano della storia del libro e dell’editoria. Ma non c’è da stupirsi: in Francia il Seicento il Grand Siècle, in cui, parallelamente allo stato assoluto, si afferma anche in modo definitivo il mondo della tipografia, con Parigi che diviene il centro produttivo e commerciale più importante a discapito di altre realtà comunque di rilievo, prima fra tutte Lione. Gli studi francesi sul mondo del libro, e non solo su quello secentesco, devono molto al lungo magistero di Henri-Jean Martin, che applicando il metodo da lui stesso proposto, insieme a Lucien Febvre, nel celebre e fortunatissimo L’apparition du livre,⁷ ha magistralmente tracciato un profilo dettagliatissimo del mondo del libro secentesco nella città di Parigi.⁸
Spetta dunque a Febvre e Martin il merito di aver avviato una riflessione ampia e innovativa sul mondo del libro, non limitata a un’indagine quantitativa sulla produzione editoriale di una determinata officina o di una determinata località, ma che tenesse presente anche gli aspetti della circolazione del libro e l’impatto che questa ha avuto sulla società.
La riflessione sul libro del Seicento, com’è noto, ha riscontrato in Francia un’attenzione decisamente maggiore rispetto ad altri paesi europei, Italia in primis. Infatti, l’unica lucida e importante sintesi sul libro italiano del Seicento la si deve all’opera di Francesco Barberi e data alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso.⁹ Dal punto di vista della storia istituzionale, lo storico Alberto Tenenti ha interpretato lo scarso interesse nei confronti del Seicento, almeno per quanto riguarda l’Italia, attribuendolo a diversi fattori, tra i quali la massiccia dominazione straniera sul territorio italiano e la decadenza
del peso politico e culturale italiano nel contesto internazionale, in particolar modo europeo.¹⁰ Così è anche dal punto di vista della storia del libro, anche se la differenza rispetto alla Francia non è spiegabile solo con l’abbassamento della qualità produttiva. «Se il secolo XVII registra in Francia una decadenza per il fatto della disarmonia tra i caratteri, che sono sempre molto belli, e l’illustrazione in rame che squilibria il libro, produce ancora dei bei esemplari nei grandi caratteristici formati. In Italia il libro è povero. La tipografia non si rinnova, l’illustrazione, più fedele al legno, è spesso mediocre».¹¹
Uno dei limiti della crisi della produzione editoriale del Seicento, almeno in terra veneziana, è proprio da identificare nel mancato rinnovamento e nell’insistenza su un esasperato quanto infruttuoso conservatorismo con obiettivi qualitativi, che limita lo sviluppo di un settore che forse avrebbe potuto, trasformandosi, puntare a risultati di rilievo, come era stato per il Quattro e il Cinquecento.
Dal punto di vista delle qualità materiali del libro italiano del Seicento, le parole di Suzanne Michel sono confermate dalle osservazioni di Sergio Piantanida che, partendo dal presupposto che «la caratteristica essenziale dell’Età moderna è l’avvento della massa
», che comincia a farsi avanti proprio nel Seicento, ha mostrato come anche il libro barocco risponda a questa considerazione: «La caratteristica del libro del ’600 è appunto il piccolo formato, quasi tascabile, che ne permette una facile diffusione fuori delle biblioteche; i libri del ’600 trattano generalmente idee e fatti d’attualità [...]. Nel ’600 ha inizio la stampa dei giornali e dei periodici».¹² Insomma, sulle ceneri di un mondo medioevale e rinascimentale che scompare definitivamente nasce la vera e propria età moderna e anche i libri sono lo specchio di questo passaggio.
Il libro del Seicento, dunque, merita un supplemento d’indagine che lo collochi in una dimensione che gli sia più propria e permetta, anche in Italia, di comprendere meglio quei passaggi culturali che dai fasti del Rinascimento portano poi al secolo dei Lumi. Da questo punto di vista è proprio la circolazione dei libri a fornire importanti e, forse, decisive chiavi di lettura storiche.
*
Per lo studio del mercato librario antico e della circolazione del libro a stampa (ma lo stesso vale per il manoscritto) nell’Europa dell’età moderna esistono differenti tipologie di fonti documentarie. Da tali fonti è possibile trarre numerose informazioni, ma lavorare su di esse può risultare spesso assai complesso, perché presentano in molti casi diversi problemi. Sarà forse questa una delle ragioni per cui il settore del commercio librario, pur avendo vissuto un certo risveglio di interesse negli ultimi anni, risulta, tra quelli delle discipline bibliografiche, uno dei più trascurati, almeno per quanto riguarda l’Italia.
Oltre a tutta una serie di fonti più minute
(se così si possono definire), che vanno dalla documentazione epistolare alle ricevute di vendita, esistono due tipologie documentarie che stanno alla base di tutti gli studi sulle librerie antiche: i cataloghi dei librai (spesso allo stesso tempo anche tipografi e/o editori) e gli inventari delle loro botteghe. Stante che praticamente non si hanno mai a disposizione, per ogni singola figura, documenti di entrambi i tipi, è evidente la necessità di studiare tali oggetti al fine di tracciare il profilo di un libraio e la fisionomia della sua bottega. Purtroppo i casi in cui gli archivi dei tipografi o dei librai di antico regime siano sopravvissuti integralmente sono rarissimi e quindi oggi lo studioso si trova a reperire la scarsa documentazione superstite spesso in modo puramente fortunoso.¹³
I bibliografi sanno che tali tipologie di fonti sono indispensabili anche per lo studio di un altro settore delle scienze del libro: la ricostruzione delle biblioteche antiche, soprattutto di quelle appartenute a singoli individui. Anche in questo caso cataloghi e inventari sono fonti imprescindibili, insieme ad altre, per le ricerche nel settore, ma rispetto agli analoghi documenti riguardanti il mondo del commercio dei libri, esistono alcune differenze, quantomeno nell’approccio dello studioso e nella tipologia informativa, se non nell’aspetto che presentano a chi vi si accosta.
A tal proposito, Edoardo Barbieri ha proposto una riflessione sui criteri da seguire nella pubblicazione di fonti manoscritte redatte nell’epoca del libro tipografico che ricostruiscano la fisionomia di biblioteche.¹⁴ Qui si precisa che quando si parla di tali oggetti non ci si può limitare alle tipologie di cataloghi e inventari perché la ricostruzione di una raccolta libraria antica passa per una serie complessa di fonti comprendente anche gli epistolari,¹⁵ le liste inquisitoriali (di intere biblioteche o di parti di esse),¹⁶ i segni di possesso sugli esemplari… Il discorso, però, come si avrà modo di vedere, vale solo in minima parte per le librerie antiche.
Su tale tema, ovvero sui cataloghi di biblioteche e sulla ricostruzione delle biblioteche private antiche, esistono ormai in Italia diversi e puntuali contributi.¹⁷ Tale settore di ricerca che trova nell’indagine dei segni di provenienza un necessario strumento per passare dalla biblioteca virtuale
, censita dall’inventario, agli esemplari realmente posseduti, anche se non sempre e non necessariamente letti, dai personaggi che di volta si studiano.¹⁸ In Trentino, solo per fare un esempio, gli studi hanno prodotto ricerche all’avanguardia, che hanno consentito, da un lato, tramite la pubblicazione dei cataloghi dei fondi antichi delle biblioteche corredati da puntuali indici delle provenienze, una prima mappatura degli antichi possessori trentini e non, dall’altro, mediante ricerche volte a incrociare i dati degli inventari con il posseduto delle biblioteche, a ricostruire le raccolte librarie personali di personaggi di primo piano della cultura locale specie del XVIII secolo.¹⁹
Certo, è cosa diversa occuparsi di cataloghi o inventari di librerie, anche se alcuni dei problemi relativi all’identificazione bibliografica delle voci sono i medesimi. Rispetto al mondo delle biblioteche gli studi nel settore del mercato librario e delle sue fonti risultano decisamente più scarsi. Purtroppo manca ancora una compiuta riflessione sull’edizione dei cataloghi delle librerie antiche in italiano. Sono da segnalare, tuttavia, le ricerche dello studioso belga Christian Coppens relative al Cinquecento, che hanno tracciato una mappa dei cataloghi di libreria noti e rinvenuti nelle biblioteche e negli archivi.²⁰ In Francia, invece, il recupero di un ampio fondo di cataloghi a stampa di librai databili tra il 1473 e il 1810, conservato presso la Bibliothèque Nationale, e la pubblicazione, in anni recenti, del relativo catalogo, hanno stimolato la riflessione e l’interesse su questo tipo di materiale.²¹
Si deve, però, ad Angela Nuovo la più ampia ricostruzione del commercio librario in Italia, realizzata sfruttando proprio questa tipologia di fonte, impiegata per studiare il fenomeno nel primo secolo e mezzo della stampa.²² I casi più importanti, tra i diversi studiati dalla stessa Nuovo, sono quello del libraio ferrarese Domenico Sivieri, attivo tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento,²³ e quello della bottega libraria del milanese Antonio degli Antoni.²⁴ In realtà la famiglia degli Antoni era di origine bresciana. Il capostipite, Giovanni Antonio (1526/27-1583), di cui Antonio (attivo tra 1581 e 1603) era nipote, era originario di Sabbio Chiese e aveva aperto bottega a Milano intorno alla metà del Cinquecento.²⁵ Si tratta più che altro di «un fondaco dove tenere testi, procurati dall’Italia e dall’Europa, a disposizione di librai milanesi e di altre città limitrofe».²⁶ E in effetti già il 14 agosto 1553 si ha notizia di un accordo tra Giovanni Antonio e il pavese Francesco Negroni, che gli avrebbe procurato libri da Lione. L’Antoni mise in atto anche una significativa politica familiare imparentandosi con i librai editori Somasco: sposò infatti Benedetta Somasco, figlia di Vincenzo, mentre il nipote Antonio sposò Chiara, sorella di Benedetta. Nel 1561 Giovanni Antonio rilevò l’attività di Francesco Moscheni, acquistandola sostanzialmente a peso: «i libri stampati da esso Moscheni gli siano pagati a ragione de libre otto la risma fuor le cose da scola come donati et regole, a libbre quattro per risma».²⁷ L’attività degli Antoni proseguì fino al 1603, quando Antonio, anche questa volta a peso, vendette i propri fondi di magazzino (5.800 titoli per un totale di 11.700 esemplari) a Giacomo Antonio Somasco per 10 soldi e 5 denari la risma.²⁸ Sempre in anni recenti si deve segnalare l’ampio e dettagliato lavoro di Federica Dallasta, riguardo la circolazione del libro nella Parma farnesiana.²⁹ Si tratta di un ampio e dettagliato studio, frutto di un attento e approfondito scavo archivistico, che ha permesso di tracciare un profilo molto preciso del commercio librario nella città emiliana, prendendo in considerazione sia il versante dei librari, sia quello delle biblioteche private.
In anni recenti, per quanto riguarda il Seicento, Sabrina Minuzzi ha ampiamente studiato il caso della bottega veneziana di Antonio Bosio.³⁰ L’attività di quest’ultimo, tuttavia, si colloca nella seconda metà del Seicento e ha caratteristiche del tutto diverse rispetto non solo ai primi secoli della stampa, ma anche alla prima metà del secolo. Nel secondo Seicento, infatti, si diffondono a Venezia due generi editoriali del tutto particolari e tra loro collegati strettamente, che alimenteranno il mercato librario locale indebolito dalle numerose crisi economiche e politiche e dalla concorrenza dei grandi centri d’Oltralpe. Da un lato la stampa periodica e i fogli di informazione in breve tempo modificarono l’approccio e l’attenzione agli eventi europei, generando una vera e propria fame di notizie
.³¹ Dall’altro, una miriade di incisioni e illustrazioni sostituirono i pesanti apparati celebrativi barocchi e si vendevano un po’ dappertutto sciolte oppure accompagnate ad avvisi (manoscritti o a stampa) e a descrizioni delle battaglie veneziane ed europee contro i Turchi. Non si dimentichi, infatti, che si tratta degli anni della lunga e sanguinosa Guerra di Candia e, poi, della Guerra di Morea e dell’assedio di Vienna.³²
Per quanto riguarda il secolo dei Lumi, il mondo del mercato librario è stato indagato soprattutto in uno dei suoi aspetti più interessanti e caratteristici: il cosiddetto colportage, ovvero quel particolare fenomeno che ha come protagonisti librai ambulanti che vendevano, insieme a prodotti di vario tipo, anche libri e librettini in Italia, Francia e Germania. In Italia il caso più noto è quello dell’articolata rete distributiva dei Tesini, il canale principale attraverso cui venivano smerciate le pubblicazioni di larga circolazione dei Remondini di Bassano.³³ Fu proprio grazie al sistema del colportage che, dalla Svizzera, si diffusero in Italia le edizioni della Società dei Tipografi di Neuchâtel e, in modo particolare, le opere proibite.³⁴ Il fenomeno è stato studiato, per l’Italia da Lodovica Braida, per la Francia da Laurence Fontaine.³⁵
Sempre per quanto riguarda il Sei e il Settecento, di un caso particolare, quello degli Ebrei attivi nel commercio librario in Italia, si è occupato infine Luigi Balsamo ormai oltre vent’anni fa.³⁶
Gli studi intorno al mercato librario antico vivono ora una stagione di rinnovato interesse, grazie anche ai fortunati ritrovamenti in biblioteche e archivi.³⁷ Il caso più recente è quello di Padova: un importante fondo di cataloghi di libreria è stato rinvenuto alcuni anni fa nelle biblioteche padovane e studiato da Marco Callegari.³⁸
Un ultimo aspetto che vale la pena di considerare, prima di entrare nel merito della questione, è il rapporto tra cataloghi di librai e bibliografia. Si deve ad Alfredo Serrai un’approfondita descrizione delle caratteristiche dei cataloghi librari antichi individuando in essi, oltre che una preziosa fonte, una vera e propria tipologia bibliografica e un modo di costruire bibliografie.³⁹ Lo stesso vale, per certi versi, anche in epoche più recenti: Si pensi, per esempio, all’uso di cataloghi di librai antiquari come fonte per l’incunabolistica o, più in generale, per lo studio del libro antico. Una risorsa, a dire il vero, le cui potenzialità sono ancora in gran parte da indagare.
Tornando però, ora, più propriamente alle fonti di cui si sta discutendo, cioè ai cataloghi di biblioteca o di libreria, si deve precisare che essi sono quasi sempre conservati in archivio. Trattandosi infatti di documenti redatti nella maggior parte dei casi a scopo patrimoniale, non è infrequente che si trovino inseriti nei fondi notarili. Fatta tale precisazione non sarà inutile evidenziare le differenze tra le tipologie di