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Le dimore filosofali - primo volume
Le dimore filosofali - primo volume
Le dimore filosofali - primo volume
E-book393 pagine5 ore

Le dimore filosofali - primo volume

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La “Grande Opera” spiegata a tutti
Fulcanelli è stato probabilmente il più grande alchimista moderno e, al di là della sua misteriosa identità, uno dei più grandi maestri alchimici di sempre. Ne è una prova questo testo che racchiude un importante insegnamento: spiegare, attraverso il commento dei simboli esoterici presenti in alcune importanti dimore francesi, le fasi della Grande Opera alchemica. Come dice Canseliet nelle prefazioni al testo: “il suo metodo è diverso da quello usato dai suoi predecessori: esso consiste nel descrivere fin nei minimi particolari tutte le operazioni dell’Opera, ma dopo averle suddivise in parecchi frammenti”. Il magistero esoterico di Fulcanelli è di altissimo livello, le interpretazioni fornite sono utilissime per il discepolo che vuole padroneggiare le fasi alchemiche. E tutto questo avviene commentando sculture, disegni, affreschi, costruzioni e altro ancora, contenuti in alcune dimore “filosofali”: dimore che tramandano la tradizione iniziatica e che Fulcanelli offre ai lettori con una gran quantità di informazioni e insegnamenti che, sicuramente, diventeranno utili strumenti per migliorare il proprio cammino di iniziazione all’Opera. Come ripete Fulcanelli: “I nostri libri non sono scritti per tutti, sebbene tutti siano destinati a leggerli”.

L’autore: Fulcanelli è senz’altro il più famoso alchimista del XX secolo; la sua fama leggendaria lo ritrae come il più grande Iniziato del ‘900, autore di due opere fondamentali che, secondo gli Adepti, i cultori e gli specialisti dell’Ars racchiuderebbero il segreto della Grande Opera. Le opere firmate col nome di “Fulcanelli” sono I Misteri delle Cattedrali del 1926 e Le dimore filosofali del 1931, entrambe curate e introdotte dalle prefazioni del più famoso discepolo di Fulcanelli, Eugène Canseliet che non rivelò mai la vera identità del maestro. Una terza opera, pare di Fulcanelli, è Finis Gloriae Mundi, che presto verrà pubblicata.
 
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2017
ISBN9788833260082
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    Le dimore filosofali - primo volume - Fulcanelli

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    Fulcanelli

    Le dimore filosofali

    e l’interpretazione esoterica dei simboli ermetici della Grande Opera

    primo volume

    gli Iniziati

    KKIEN Publishing International

    info@kkienpublishing.it

    www.kkienpublishing.it

    Titolo originale: Les Demeures Philosophales, 1931

    Traduzione dal francese di Alessia Roquette.

    In copertina: capitello Basilica san Nicola, Bari

    Prima edizione digitale: 2017

    ISBN 9788833260082

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    Table Of Contents

    PREFAZIONI

    Prefazione alla prima edizione

    Prefazione alla seconda edizione

    Prefazione alla terza edizione

    LIBRO PRIMO

    Storia e monumento

    Medioevo e rinascimento

    L’alchimia medioevale

    Il laboratorio leggendario

    Chimica e filosofia

    La cabala ermetica

    Alchimia e spagiria

    LIBRO SECONDO

    La salamandra di lisieux

    Il mito alchemico di adamo ed eva

    Louis d’Estissac

    L’uomo dei boschi araldo mistico di Thiers

    TAVOLE

    Tav. I

    Tav. II

    Tav. III

    Tav. IV

    Tav. V

    Tav. VI

    Tav. VII

    Tav. VIII

    Tav. IX

    Tav. X

    Tav. XI

    Tav. XII

    Tav. XIII

    Tav. XIV

    Tav. XV

    Tav. XVI

    Tav. XVII

    Tav. XVIII

    Tav. XIX

    Tav. XX

    Tav. XXI

    Tav. XXII

    Tav. XXIII

    Tav. XXIV

    img2.jpg

    Rouen – Hotel de Bourgtheroulde. Salamandra (sec. 16°)

    Ai Fratelli di Heliopolis

    PREFAZIONI

    Prefazione alla prima edizione

    Dopo essere stata considerata per molto tempo come una chimera, l’alchimia interessa ogni giorno di più gli ambienti scientifici.

    Le ricerche degli scienziati sulla costituzione della materia e le loro recenti scoperte, provano, con grande evidenza, la possibilità di dissociazione degli elementi chimici. Ora non si dubita più che i corpi, una volta creduti semplici siano, in realtà, composti e l’ipotesi dell’indivisibilità dell’atomo non annovera più sostenitori. Dall’Universo sparisce la deludente inerzia e ciò che ieri sembrava un’eresia, oggi è diventato un dogma. Con un’uniformità d’azione impressionante, ma a livelli diversi, la vita si manifesta nei tre regni della natura, un tempo considerati nettamente separati, mentre ora non si fa più una netta distinzione. L’origine e la vitalità sono comuni al triplice gruppo della classificazione antica. La sostanza bruta si rivela animata. Gli esseri e le cose cambiano, progrediscono con trasformazioni e rinnovamenti incessanti. A causa della molteplicità dei loro scambi e delle loro combinazioni, si allontanano dall’unità primitiva, ma solo per riprendere la loro originale semplicità per effetto delle decomposizioni. Sublime armonia del grande Tutto, cerchio immenso percorso dallo Spirito nella sua eterna attività, e che ha per centro l’unica particella vivente emanata dal Verbo creatore.

    E così, la scienza attuale, dopo essersi allontanata dalla retta via, cerca di riprendere, adottandole poco per volta, le antiche concezioni. Come le successive civiltà, anche il progresso umano obbedisce alla legge innegabile del perpetuo ricominciare. La Verità finisce sempre col trionfare, a qualsiasi costo, nonostante la sua marcia faticosa, lenta e tortuosa. Il buon senso e la semplicità hanno ragione presto o tardi dei sofismi e dei pregiudizi. «Perché non c’è nulla di ciò che è nascosto, insegnano le Scritture, che non debba essere scoperto, né nulla di segreto che non debba essere conosciuto». (Matteo, X, 26).

    Eppure non si dovrà, per questo, credere che la scienza tradizionale, che Fulcanelli ha raccolto in quest’opera, sia messa alla portata di tutti. L’autore non ha preteso di fare questo. Colui che spera di capire la dottrina segreta dopo una semplice lettura, s’ingannerebbe molto. «I nostri libri non sono scritti per tutti, ripetono i vecchi maestri, sebbene tutti siano destinati a leggerli». Infatti, ciascuno deve fare uno sforzo personale assolutamente indispensabile se desidera acquisire le nozioni d’una scienza che non ha mai cessato d’essere esoterica. Per questa ragione, i filosofi, allo scopo di nasconderne i principii ai profani, hanno nascosto l’antica scienza col mistero delle parole e col velo delle allegorie.

    La persona ignorante non riesce a perdonare agli alchimisti di mostrarsi tanto fedeli alla rigorosa disciplina, da essi liberamente accettata. Anche il mio maestro, lo so già, non sfuggirà allo stesso rimprovero. Egli ha dovuto rispettare, prima di tutto, la volontà divina, dispensatrice dell’illuminazione e della rivelazione. Ed ha dovuto prestare obbedienza alla regola filosofica, che impone agli iniziati la necessità d’un segreto inviolabile.

    Nell’Antichità, e soprattutto in Egitto, questa sottomissione primordiale si estendeva a tutte le branche della scienza e delle arti industriali. Ceramisti, smaltatori, orefici, fonditori, vetrai lavoravano dentro i templi. Gli operai delle officine e dei laboratori facevano parte della casta sacerdotale e dipendevano direttamente dai preti. Dall’epoca medioevale fino al XIX secolo la storia ci mostra numerosi esempi di organizzazioni simili: la Cavalleria, gli Ordini monastici, la Massoneria, le corporazioni, il compagnonaggio, ecc. Queste svariate associazioni, che conservavano gelosamente i segreti della scienza o quelli dei mestieri, avevano sempre un carattere mistico o simbolico, mantenevano le usanze tradizionali e praticavano una morale religiosa. E ben si conosce quanto grande fosse la stima nella quale erano tenuti i gentiluomini vetrai, presso i monarchi ed i principi e fino a qual punto questi artisti spingevano la cura di evitare la diffusione dei segreti caratteristici della nobile industria del vetro.

    Queste regole esclusive hanno una ragione profonda. Se me la chiedessero, risponderei semplicemente che il privilegio delle scienze dovrebbe restare appannaggio di scienziati scelti fra i migliori. Infatti le più belle scoperte, una volta cadute nel dominio popolare, distribuite senza discernimento fra le masse e sfruttate ciecamente da esse, si rivelano più nocive che utili. La natura dell’uomo lo spinge volontariamente verso il male ed il peggio. Assai spesso quelle cose che potrebbero procurargli il benessere vanno verso il suo svantaggio e, in definitiva, diventano lo strumento della sua rovina. I metodi di guerra moderna sono, ahimè! la più sconcertante e triste prova di questo funesto stato d’animo. Homo homini lupus.

    Non sarebbe, dunque, giusto seppellire la memoria dei nostri grandi antenati sotto un rimprovero che non meritano soltanto perché hanno usato un linguaggio troppo oscuro in vista di cosi grandi pericoli. Dobbiamo condannarli tutti e disprezzarli solo per il fatto che hanno avuto troppe reticenze? Avvolgendo di silenzio i loro lavori e ricoprendo con parabole le loro rivelazioni, i filosofi agiscono con saggezza. Rispettosi delle istituzioni sociali, non nuocciono a nessuno e conseguono la loro propria salvezza.

    A questo proposito, mi si permetta di raccontare un semplice aneddoto. Un ammiratore di Fulcanelli conversava, un giorno, con uno dei nostri migliori chimici e gli chiese la sua opinione sulla trasmutazione dei metalli.

    «Credo che sia possibile, disse lo scienziato, sebbene la realizzazione sia molto dubbia».

    «E se un testimonio sincero vi dimostrasse d’averla veduta, e ve ne portasse la prova formale, replicò l’amico del maestro, cosa pensereste?».

    «Penserei, rispose il chimico, che un uomo simile dovrebbe essere perseguitato senza pietà e soppresso come un bandito pericoloso».

    Quindi, la prudenza, l’estrema riservatezza e l’assoluta discrezione appaiono giustificate. E, dopo questi fatti, chi oserebbe vituperare gli Adepti per lo stile particolare che hanno usato per le loro divulgazioni? Chi, dunque, oserebbe gettare la prima pietra contro l’autore di questo libro?

    Ma non per questo si dovrebbe concludere che non c’è nulla da scoprire nelle opere dei filosofi, idea suggeritaci dal fatto che nel loro insegnamento il linguaggio chiaro è proibito. Anzi, al contrario. Basta essere dotati d’un po’ di sagacia per poterli leggere e comprenderne l’essenziale.

    Tra gli autori antichi e gli scrittori moderni, Fulcanelli è, senza possibilità di contestazione, uno dei più sinceri e dei più convincenti. Egli stabilisce la teoria ermetica su delle basi solide, la comprova con fatti analogici evidenti, poi l’espone con uno stile semplice e preciso. Per scoprire su cosa si basano i principii dell’arte, grazie allo svolgersi delle sue opere in maniera precisa e puntuale, allo studente resta da fare soltanto qualche sforzo. Gli sarà persino possibile accumulare un gran numero di conoscenze necessarie. Cosi rifornito, potrà tentare la grande fatica ed abbandonare l’ambito speculativo per rivolgersi alle realizzazioni positive.

    Da questo momento vedrà alzarsi davanti a sé le prime difficoltà, sorgere i primi numerosi ostacoli, quasi insormontabili. Non esiste ricercatore che non abbia conosciuto questi inciampi, questi limiti invalicabili, contro i quali, parecchie volte, ho corso anch’io il rischio di spezzarmi. E di questo, ancora più di me, il mio maestro conserva l’incancellabile ricordo. Come Basilio Valentino, suo vero iniziatore, fu tenuto in scacco, senza riuscire a trovare una via d’uscita, per più di trent’anni!

    Fulcanelli ha spinto la spiegazione dei particolari della pratica molto più in là di ogni altro, volendo essere, con questo, caritatevole nei riguardi dei ricercatori, suoi fratelli, e per aiutarli a vincere queste faticose cause di forzato arresto. Il suo metodo è diverso da quello usato dai suoi predecessori: esso consiste nel descrivere fin nei minimi particolari tutte le operazioni dell’Opera, ma dopo averle suddivise in parecchi frammenti. Quindi prende in esame ciascuna fase del lavoro, ne inizia la spiegazione in un capitolo, l’interrompe per continuarla in un altro e per terminarla in un terzo. Questa particellizzazione, che trasforma il Magistero in un gioco di pazienza filosofico, non può spaventare il ricercatore istruito, ma scoraggia presto il profano, incapace di dirigersi in questo labirinto di nuovo tipo ed incapace di ristabilire l’ordine delle manipolazioni.

    Questo è l’interesse capitale del libro che Fulcanelli presenta al lettore colto, chiamato a giudicare l’opera secondo il suo valore, secondo la sua originalità o, forse, a stimarla conformemente al suo merito.

    Infine, mi sembrerebbe di non aver detto tutto se omettessi di segnalare i notevoli e splendidi disegni del pittore Julien Champagne. Un eccellente artista merita, anche qui, i più grandi elogi. Sono egualmente felice d’indirizzare i miei più vivi ringraziamenti all’editore, Jean Schemit, il cui gusto sicuro e la cui provata competenza hanno diretto, in modo cosi perfetto, la costruzione della parte materiale delle Dimore Filosofali.

    Eugène CANSELIET

    F.C.H.

    Aprile 1929

    Prefazione alla seconda edizione

    Le Dimore Filosofali, opera per la quale abbiamo l’onore di scrivere la nuova prefazione, non doveva essere l’ultimo libro di Fulcanelli. Col titolo di Finis Gloriae Mundi, esisteva già una terza parte, che fu ripresa dall’autore e che avrebbe elevato l’opera didattica al livello di straordinaria trilogia alchimica. A quell’epoca erano già passati sei anni da quando il nostro vecchio Maestro aveva compiuto l’elaborazione della Pietra Filosofale che è divisa in Medicina universale e in Polvere di trasmutazione, cosa, questa, di solito, ignorata; la Pietra, dunque, assicura all’Adepto il triplo appannaggio Conoscenza, Salute, Ricchezza — ed esalta il soggiorno sulla terra fino al livello di assoluta felicità del Paradiso della Genesi. Seguendo il significato del vocabolo latino adeptus, l’alchimista ha ricevuto il Dono di Dio, o meglio ancora, il Presente, e qui la doppia accezione del vocabolo, col gioco della cabala, è sottolineata dal fatto che egli si trova a godere, ormai, dell’infinita durata, dell’Attuale: Adepto si dice nell’arte chimica, — Adepti dicuniur in arte chimica, — precisa Du Cange che indica anche il sinonimo: Iniziato (Mystae), di coloro che sono giunti alla più alta iniziazione (imo έπόπται).

    «Perché questa materia così ricca, dichiara Henri de Linthaut nel suo Commentaire sur le Trésor des Trésors, contiene in sé il mistero della creazione del Mondo, della grandezza e delle meraviglie di Dio; essendo, certamente, un vero sole, che illumina le tenebre».

    Il cosmopolita ci parla d’uno specchio, che gli fu mostrato da Nettuno, nel Giardino delle Esperidi e nel quale vide tutta la Natura, completamente svelata. Senza dubbio è lo stesso specchio che vediamo presentato da uno dei bei dipinti ermetici che ornano la sagrestia del santuario di Cimiez, e nel quale l’iscrizione latina non fa altro che ricordarci, semplicemente, il leggero velo prodotto dall’alito sull’oggetto comune dei tavolini da toilette.

    FLATUS IRRITUS ODIT: un soffio vano lo appanna.

    Evidentemente lo Specchio della Saggezza non ha nessun rapporto con il soprammobile utilizzato per ottenere la riflessione dell’immagine, che sia fatto di metallo, come nell’antico Egitto, o d’ossidiana, com’era nella Roma dei Cesari; oppure con l’acqua cristallina delle sorgenti, come lo fu all’origine, o che sia del più puro vetro stagnato dei nostri tempi moderni. Eppure la Prudenza, dai due visi opposti, guardiana della tomba di Francesco II, nella cattedrale di Saint-Pierre a Nantes, con le sue tre compagne, la Giustizia, la Forza e la Temperanza, ne tiene in mano proprio uno del terzo tipo, lo specchio moderno, foggiato a forma di lente convessa e tenuto inclinato. Si troverà la riproduzione eccellente di queste quattro magnifiche statue, eseguite durante il primo lustro del XVI secolo, tra le altre tavole che illustrano il presente volume; tavole ricavate dai disegni, fatti con matita Wolff ravvivati con la tempera, dovuti al nostro compianto amico Julien Champagne, morto venticinque anni fa, esattamente il 26 agosto. Era stato allievo di Jean-Léon Gérome ed anche d’un nostro comune amico, il mio povero e caro Mariano Ancon, artista fiero, degno dei tempi antichi, morto di miseria nel 1943, in mezzo alle sue tele ammucchiate a centinaia nel suo piccolo appartamento sito in via della Chapelle a Saint-Ouen, e che fu poco dopo distrutto da un terribile bombardamento.

    Dopo l’avvertimento, ricevuto dall’iscrizione latina che sormonta l’emblema del monastero francescano, abbiamo l’impressione che la bella creatura non si preoccupi del suo volto grave e senile, ma, invece, che trattenga il respiro, mentre esamina attentamente e a lungo qualche strana scena che si offre al suo sguardo.

    «Nel regno dello Zolfo, insiste il cosmopolita, esiste uno Specchio nel quale si vede tutto il Mondo, chiunque guardi in questo Specchio può vedervi ed imparare le tre parti di Saggezza di tutto il Mondo, ed in tal modo diventerà molto sapiente in ognuno di questi tre Regni, come lo furono Aristotele, Avicenna e molti altri, i quali, come tutti gli altri Maestri, videro in questo Specchio in che modo fu creato il mondo». (De Sulphure, Coloniae, 1616, p. 65).

    ***

    Certamente, il duplice segreto della nascita e della morte, impenetrabile ai più grandi scienziati legati alla «insuperabilità» loro secolo, e quello della creazione del Mondo e della sua tragica fine, castigo dell’avidità e dell’orgoglio degli uomini, ambedue segreti egualmente incommensurabili, non sono le rivelazioni visuali più piccole, fornite all’Adepto dallo Specchio dell’Arte. Mercurio risplendente e prezioso nella leggera convessità della superficie, che riflette le vicissitudini della boccia crocifera, vicissitudini presentate in successione, sul plano allegorico, dalle vignette iniziatiche, travestite da deliziose birichinate, incise da Philippe de Mallery con tutta la delicatezza della sua mano, per il piccolo libro dei Rhéteurs du Collège de la Société de Jésus à Anvers. Così traduciamo la nostra interpretazione delle abbreviazioni RR.C.S.I.A. (a Rhetoribus Collegii Societatis Jesu Antverpiae) che accompagnano il «Typus Mundi, in quo eius Calamitates et Perìcula non Divini, humanique Amoris Antipathla, emblematice proponuntur; immagine del Mondo, nella quale sono presentate, emblematicamente, le sue Calamità ed i suoi Pericoli, e poi anche l’Antipatia dell’Amore di Dio e dell’uomo».

    Il primo emblema indica, senza ambagi, la sorgente iniziale, se non unica, di tutti i mali della nostra Umanità. Ed è anche sottolineato dalla leggenda in latino che, tra parentesi, gioca con la cabala fonetica:

    Totus mundus in maligno (mali ligno) positus est; tutto il mondo è basato sul diavolo (sull’albero del male).

    Ecco dunque l’Albero della Scienza del Bene e del Male, quello della Genesi, del quale il Creatore ordinò ad Adamo di non mangiare i frutti, spiegandogli subito le conseguente inevitabili e

    «Effettivamente qualche giorno dopo averne mangiato, morirai di morte; in quocumque enim die comederis ex eo, morte morieris».

    Non ci sorprenderemo nel vedere che qui l’albero paradisiaco e proibito è una quercia, che porta, come frutti, una grande quantità di piccoli mondi che sono attaccati ai rami per mezzo delle loro croci che fanno da peduncoli. Avvinghiata al tronco centrale, con parte inferiore del suo corpo, simile dalla vita in giù ad un serpente, Eva, la seduttrice, dal seno carnoso e provocante, offre una di queste strane mele al suo stupito compagno, che alza la mano destra per prenderla. Non c’è bisogno che tentiamo la benché minima spiegazione per quel che concerne l’essenza alla quale i saggi Padri vollero che appartenesse l’albero centrale del Giardino delle Delizie. Fulcanelli, nel Mistero delle Cattedrali, ha parlato a sufficienza di questa quercia, del suo stretto rapporto, dal punto di vista simbolico, con la materia prima degli alchimisti, cosicché è assolutamente superfluo ripetere quell’insegnamento e soprattutto si deve temere di rendere inintelligibile o di deformare il pensiero dell’Adepto col cercare di farne un riassunto. Ci accontentiamo di segnalare, sulla bella incisione del Typus Mundi, quella lepre per metà nascosta dall’albero e che rosicchia l’erba rara della prateria che si trova in secondo piano. In seguito ci si potrà riferire, tra le dimore filosofali raccolte da Fulcanelli, al camino, sontuosamente ornato, di Louis d’Estissac che fu, assai verosimilmente, allievo di François Rabelais. Si potrà meditare l’impressionante avvicinamento cabalistico stabilito dal nostro Maestro tra la lepre e la materia grezza della Grande Opera, «scagliosa, nera, dura e asciutta», la cui sfera crocifera, che cresce in mezzo al fogliame rivelatore, ricondotta al suo schema lineare, ci dà il simbolo grafico proprio degli antichi trattati. È quindi l’indicazione della Terra, sia che si tratti, l’abbiamo già detto, del Caos primordiale della Creazione alchemica o del globo macrocosmico che fa parte dei sette pianeti del Cielo degli astrologi.

    Capovolta, con la croce in basso, il segno della Terra diventa quella di Venere, di quell’Afrodite che gli Adepti indicano, più precisamente, come il loro soggetto minerale della realizzazione. In questo stesso libro, così strano, intitolato Typus Mundi, la quinta immagine ci mostra l’Amore che fa ruotare, per mezzo d’una frusta di pelle d’anguilla, la sfera del Mondo sul segmento verticale della sua croce che funge, per l’occasione, da asse; Amore è, inoltre, minacciata dalla Discordia, dalla chioma e la frusta costituite da serpenti avvinghiati e torcentisi irritati e pronti a mordere in qualsiasi caso!

    ΤRANSIT ΕΡΩΣ IN EPIΣ

    Avrebbero torto a meravigliarsi coloro che notino quanto caso noi facciamo al rarissimo volumetto che lo stesso Fulcanelli stimava tanto e che ci fornisce, qui, l’occasione di attirare l’attenzione del ricercatore sul capitolo tanto chiaro e relativo a Louis d’Estissac, già nominato; cioè, più esattamente, relativo a quel brano volto a dissipare qualsiasi confusione, quasi inevitabile, con il reuccio della spagiria. E sarà anche bene raccogliere e confrontare quelle indicazioni su ciò che il Maestro osserva circa lo stesso globo, «riflesso e specchio del microcosmo», nel suo studio sul delizioso maniero della Salamandra a Lisieux, che, sfortunatamente, fu distrutto nel 1944.

    * * *

    Diciamolo chiaramente: La materia lavorata dagli alchimisti si mostra, anzi si impone con tanta evidenza, che non esiste neanche un autore, anche il più sincero, che non si sia mostrato «invidioso», a questo proposito, tanto da tacere o nascondere o sbagliare, a bella posta, la scelta da fare; alcuni sono perfino giunti a dire il nome volgare di questo soggetto, realmente predestinato, per poi dichiarare, alla fine, che non era quello il vero soggetto.

    L’alchimista si deve unire con questa Vergine, col corpo e con l’anima, in un matrimonio perfetto ed indissolubile, per riprendere insieme ad essa l’androgenesi primordiale e lo stato d’innocenza.

    «Ora, l’uno e l’altra erano nudi, evidentemente Adamo e la sua sposa: e non arrossivano; Erat autem uterque nudus, Adam scilicet et uxor ejus: et non erubescebant».

    L’artista riceve molto, se non tutto, da questa unione radicale, da questa intima armonia, spirituale e fìsica, con la materia, canonicamente riservata, che lo ispira con degli scambi di fluido che guidano la sua ricerca quando, simile al cavaliere dei romanzi medioevali, si applica al servizio della sua Dama, per essa, si espone ai più grandi pericoli. Passione superiore, contemporaneamente magica e naturale, di cui ci parla il conte de Gabalis; ed è un discorso assai interessante per il neofito quello che il conte pronuncia, pur concedendo tutta intera la sua parte all’iperbole, come è ovvio, per lasciare alla compagna di carne la parte considerevole che le spetta, come è proclamato dalle figure del Mutus Liber.

    «Sì, figlio mio, ammirate fin dove arriva la felicità Filosofica! invece delle donne le cui evanescenti grazie sfioriscono in pochi giorni, e sono seguite da orribili rughe, i Saggi posseggono delle beltà che non invecchiano mai e che essi hanno la gloria di rendere immortali. Giudicate l’amore e la riconoscenza di queste amanti invisibili: e con quale ardore esse cercano di piacere al Filosofo caritatevole che si dedica ad immortalarle.

    «... Rinunciate ai piaceri insipidi ed inutili che si possono trovare con le donne; la più bella di queste è orribile se paragonata alla più piccola Silfide: e nessun disgusto segue mai i nostri saggi abbracci. Miserabili ignoranti, quanto vi si deve compiangere perché non potete godere le voluttà Filosofiche».

    Allontanandosi dall’ambito cabalistico, col quale ha presentato la donna Salamandra come la più bella, perché costituita dal fuoco universale, «principio di tutti i movimenti della Natura» di cui ella abita la sfera elevata, l’abate Montfaucon de Villars espone subito dopo il modo con cui sottomettere questa creatura elementare, per il tramite del matraccio filosofico, sia che si guardi, dall’esterno, la evidente convessità della sua pancia, o che ci si riferisca, all’interno, al mistero della sua concava rotondità:

    «Si deve purificare ed esaltare l’elemento del fuoco, che è in noi, e aumentare il tono di questa corda allentata. Non si deve far altro che concentrare il fuoco del mondo, per mezzo di specchi concavi, dentro un globo di vetro; e qui c’è l’artificio che tutti gli Antichi hanno religiosamente tenuto segreto, e che il divino Teofrasto scoprì. Si forma in questo globo una polvere solare, che poiché si è purificata da sé medesima, con la mescolanza con altri elementi; ed essendo preparata secondo l’arte, diventa, in poco tempo, superlativamente adatta ad esaltare il fuoco che è in noi; ed a farci diventare, per modo di dire, di natura ignea».

    Non mancheremo di sottolineare qui il parallelo, importantissimo, che si deve stabilire tra questo passo degli Entretiens sur les Sciences Secrètes del Conte de Gabalis con un altro passo di L’Autre Monde: Les Etats de la Lune, nel quale Cyrano Bergerac fa parlare il suo Demone protettore, che sia portando due globi di fuoco, mentre i presenti si meravigliano che essi non gli brucino le dita: «Queste torce incombustibili, egli dice, ci serviranno meglio dei vostri palloni di vetro. Sono due raggi di Sole, li ho purgati del loro calore, altrimenti le qualità corrosive del suo fuoco avrebbero ferito la vostra vista abbagliandola, poi ho fissato la luce e l’ho chiusa in questi globi trasparenti che tengo in mano. Ma non dovete essere cosi pieni d’ammirazione, perché non è più difficile per me, che sono nato sul Sole, condensare i raggi di luce, che sono la polvere di questo Mondo, di quanto sia difficile per voi raccogliere la polvere o gli Atomi che non sono altro che la terra polverizzata di questo vostro mondo».

    Quale sconcertante similitudine si è verificata nel destino di questi due autori, ambedue morti prematuramente ed in modo tragico, uno a 35 anni, per una terribile ferita alla testa, causata da una trave lanciata da una finestra, l’altro a 38 anni, assassinato sulla strada di Lione!

    L’Adepto, cioè, come abbiamo già spiegato sopra, l’uomo che possiede la Pietra Filosofale, può prevedere da solo tutto ciò che può minacciare la propria esistenza: le malattie, gli incidenti e, soprattutto, la violenza criminale. Il Filosofo invece che ancora non è riuscito, anche se si trova vicinissimo al traguardo finale, anche se ha raggiunto una certa conoscenza della Grande Opera, e talvolta anche una o parecchie preziose medicine intermediarie, non potrebbe raggiungere, però, in modo così assoluto e sovrano, la facoltà di penetrare l’avvenire e neppure, del resto, quella di leggere nel passato.

    * * *

    Forse uno dei più grandi meriti del nostro maestro Fulcanelli, è quello d’aver svelato, per primo, la vera personalità di Cyrano Bergerac, presentandolo, non senza delle prove concrete, probanti e decisive, come filosofo ermetico di grandissimo valore; tanto che non esito a qualificarlo come il più grande dei tempi moderni. È proprio quello che si ricava, dalle Dimore Filosofali, in tre passi importanti del Libro di magia di Dampierre-sur-Boutonne, in particolare della chiosa di Fulcanelli sull’accanito duello tra la Remora e la Salamandra, descritto da Cyrano che vi assiste in compagnia di un vegliardo. Si tratta d’un combattimento esoterico, che giustifica con la sua realtà fisica, la corona formata da frutta che orna uno dei cassettoni della galleria alta, coperta da una volta a botte ribassata; cassettone che è inquadrato dal motto:

    NEMO ACCIPIT QUI NON LEGITIME CERTAVERIT

    Nessuno la riceve se non ha combattuto secondo le regole

    Se questo non bastasse, insieme al passo che riguarda la Fenice, nella stessa Storia degli Uccelli, ci sarebbe anche, tra le altre cento cose che rivelano chiaramente la pura essenza alchemica di L’Autre Monde, la macchina che rapisce il nostro eroe trasportandolo fino nel Regno del Sole. Il pezzo principale della macchina, ed anche il mezzo di locomozione, è un vaso di cristallo, che ha la forma poliedrica di quel Quadrante solare che si trova nel palazzo Holyrood d’Edimbourg; lo strano edificio scozzese che è l’argomento dell’ultimo capitolo delle Dimore Filosofali:

    «Il vaso era stato costruito apposta con tanti spigoli, ed in forma d’icosaedro, affinché, essendo ciascuna faccia convessa e concava, la mia sfera potesse produrre l’effetto d’uno specchio ustorio».

    Questo passo si accorda perfettamente col testo di Fulcanelli, dimostrando che l’icosaedro simbolico è quel cristallo sconosciuto, chiamato vetriolo dei Filosofi, che è lo spirito o il fuoco incarnato, il quale, come abbiamo già visto, non brucia le mani. Si può giudicare da quella che dice Bergerac che riconosce, in questo elemento celeste, una polvere quasi spirituale:

    «... non ci si meravigli del fatto che io mi avvicinassi al Sole senza essermi bruciato, perché ciò che brucia non è il fuoco, ma la materia sulla quale il fuoco si avvince, e il fuoco del Sole non può essere mescolato con nessuna altra materia».

    Quanto ci appare diverso, Savinien de Cyrano, messo così in piena luce, dal personaggio inconsistente e fantastico, come l’ha impresso la letteratura nell’immaginazione della maggioranza, modellandolo su di una falsa reputazione, nata unicamente dalle esagerazioni della giovinezza, che è contemporaneamente ardente e passeggera.

    Per questa ragione, Fulcanelli volle che questi due aspetti della stesso uomo diventassero nettamente distinti, e, a questo scopo, come sarà possibile constatare, scelse, per l’autore sapiente di L’Autre Monde, il solo veramente degno di gloria e di fama, una disposizione appropriata del nome di famiglia, tale da conciliare sia l’esigenza ufficiale del registro di battesimo sia la fantasia nobiliare del gentiluomo parigino, più ricco di scienza che di beni terreni. Idea eccellente, che anche noi abbiamo seguito e che, tra le varianti utilizzate dallo stesso interessato, fece scegliere la forma di Cyrano Bergerac; eliminando così la particella centrale «de» che ricordava troppo lo spadaccino dallo scilinguagnolo sciolto accoppiato al galante platonico, quale fu reso popolare dalla tragicommedia di Rostand.

    Del resto cosa importa che il Filosofo sia più o meno versatile nella temporanea attività legata alla sua personalità sociale, per la quale Fulcanelli manifestò, a sua volta, una totale indifferenza, perfettamente valida, tanto che, con il suo accesso all’Adeptato, essa non fece che aumentare? Sì, che importanza ha? Siamo quindi d’accordo con Japhet circa lo sfortunato Scarron che non si offese troppo del ritratto fattogli da Saviniano, anche se si trattava d’un ritratto senza pietà né carità:

    «... Dom Zapata Pascal!

    Ou Pascal Zapata: car il n’importe guere

    Que Pascal soit devant ou Pascal soit derrière».{1}

    Il lettore dovrà notare che le Dimore Filosofali iniziano con la Salamandra sul frontespizio e che

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