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Come due mondi
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E-book287 pagine4 ore

Come due mondi

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Info su questo ebook

Nel caos vibrante della Thailandia, Samuel, un'anima libera in cerca dell’amore, incrocia il misterioso David, un attore intrappolato nel suo mondo di fama e incertezze. Tra le riprese di un film e gli incontri casuali, scintille di desiderio accendono una fiamma incontrollabile.
Deciso a chiarire le loro emozioni, Samuel abbandona tutto per raggiungere David, ignaro che il destino abbia in serbo per loro un viaggio fuori e dentro di loro…
Così, in un tempo sospeso e ovattato, Samuel e David si trovano costretti a confrontarsi con le loro paure, scoprendo che l'amore è una forza inarrestabile capace di superare ogni ostacolo. Tra luoghi mozzafiato e momenti di pura magia, la loro storia diventa un inno alla passione, al coraggio e alla bellezza dell'amore vero.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2024
ISBN9791220708104
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    Anteprima del libro

    Come due mondi - Emanuele Boido

    1

    Thailandia del Nord

    Era proprio durante quei particolari pomeriggi in cui il sole batteva più forte che ricordavo, ogni volta in cui chiudevo gli occhi, i motivi per i quali avevo scelto di vivere in quella remota zona del mondo. Giorni in cui il caldo, l’umidità e il profumo dei manghi maturi nell’aria mi facevano sentire parte di una terra che mi aveva accolto senza pretese, domande scomode o complicazioni. Non sapevo ancora quale fosse il mio scopo nella vita. Non sapevo neppure quando e come avevo perso la strada o se l’avessi mai trovata realmente. Mi ero sentito come uno di quei pezzi di legno trascinati al largo. Inerme, abbandonato a correnti che nemmeno provavo a contrastare. Poi, una volta arrivato, mi offrii di aiutare un’amica nel piccolo chiosco che aveva aperto di recente a Chiang Mai, nella zona più a nord della Thailandia. Non si trattava per me di un vero e proprio impiego. Non ci avevo nemmeno riflettuto, in realtà, né le avevo chiesto il permesso per iniziare ad aiutarla. Certe decisioni si prendono d’istinto, senza badare alle formalità.

    Era un piccolo caffè che rispecchiava l’armonia della natura tropicale che lo circondava. Il fitto verde della vegetazione attirava moltissimi turisti in quella cittadina del nord. Uno di quei posti del mondo che sembra rimanere immutato negli anni, come se il tempo scorresse a un ritmo più lento.

    Un luogo senza mezze misure, che ami o odi. E io, ne ero semplicemente affascinato.

    Vivevo in quel paese da qualche tempo ormai, i mesi si erano sovrapposti con dolcezza. Stabilirmi in pianta fissa, in realtà, non rientrava nei miei piani originali. Intanto, ne trascorsero otto, il tempo di un sorriso. Ma la vita, si sa, è ciò che accade mentre si pensa a cosa fare. Per questo motivo non avevo la minima intenzione di andarmene altrove, a meno che qualcosa o qualcuno non mi avesse attirato da un’altra parte. Ero partito con lo spirito di uno che cerca il proprio posto nel mondo. E come trovarlo, se non girovagando in lungo e in largo?

    Oil, la proprietaria del caffè, era una venticinquenne con il coraggio e l’intraprendenza tipiche femminili. Una sorta di anima sorella alla mia, ma dai tratti asiatici. Quando aveva preso in gestione il locale, il suo intento era tanto semplice quanto rispettabile: voleva trasformare quel posto senza futuro in un’attività moderna, di successo, attenta al nuovo mercato e, soprattutto, al turismo internazionale che quella zona ospitava tutto l’anno. Lei conosceva bene il mondo, per questo era certa di poter ottenere grandi risultati. E quando, di punto in bianco, mi aveva visto arrivare lì, aveva pensato che avrei contribuito in modo positivo alla sua causa.

    Sssamuèl, questa è casa tua mi disse subito. Lo strano accento con cui pronunciava il mio nome mi faceva sorridere ogni volta.

    Il nostro era un legame intenso, viscerale. Come quello tra gemelli.

    All’epoca del nostro primo incontro eravamo in Russia per seguire gli studi di lingue. Lei era impressionata da tutto quel bianco, dal ghiaccio, da quelle teste biondissime. Io volevo solo godermi quel periodo lontano da casa. Ci incontrammo in classe, io indossavo una felpa blu con su scritto Sex & Noodles, lei ne indossava una rosa, ampia, con scritto Pad Thai Lover. Da subito era nata una grande amicizia che avevamo coltivato nonostante la distanza geografica che ci divideva.

    È strano come il destino di due persone nate e cresciute in continenti diversi possa intrecciarsi e influenzarsi in questo modo. Erano pensieri che mi suscitavano ogni volta una sorta di grande stupore. Io indisciplinato ed esuberante, lei riflessiva e pacata. Un italiano e una thailandese, due individui diversi, ma legati in modo profondo. Eravamo cresciuti in due mondi culturalmente lontani, ma eravamo entrambi uniti dal profondo e innato amore per la vita, dal senso di uguaglianza. Due sognatori.

    Ero giunto in quella terra gentile dopo una brutta delusione, con le ferite ancora sanguinanti, appena rattoppate. Avevo indossato gli abiti del viaggiatore, qualcuno che ambisce alla scoperta di un nuovo angolo di mondo per trovare, alla fine, se stesso. Poi, una volta lì, mi ero innamorato dei sorrisi delle persone e di quel modo rispettoso di vivere. Senza pensarci troppo o sentire il bisogno di pianificare altro, avevo deciso di fermarmi. In quel momento avevo trovato la mia pace, ed ero felice perché sapevo di essermi impegnato in qualcosa di importante.

    Subito dopo essere arrivato, ero entrato in contatto con una piccola organizzazione che gestiva un paio di strutture impegnate ad accogliere tutti quei bambini che venivano abbandonati. Alcuni erano frutto di relazioni extraconiugali, altri erano affetti da malattie rare, altri semplicemente provenivano dalle famiglie più povere dei villaggi rurali circostanti. I genitori dovevano lasciarli, con la speranza che la vita potesse offrire loro un futuro migliore.

    Una realtà dura di fronte alla quale provavo sempre emozioni contrastanti. Sapevo bene che cambiare il mondo era un’impresa utopica, troppo grande per un ragazzo solo. Ma anche per due. O per tre. Allo stesso tempo, però, mi convincevo dell’idea che bastasse modificare il corso del fiume, deviandolo anche di poco, per provocare un cambiamento fatale alla montagna che lo originava.

    Un cambiamento non è mai negativo. È un’opportunità.

    Ci sarebbero voluti chissà quanti decenni, ma quel piccolo intervento avrebbe portato a qualcos’altro, un giorno.

    È come per le storie d’amore o per i cuori infranti, o le malattie da curare: tutto richiede la giusta dose di tempo. C’è un percorso preciso da seguire prima di approdare alla serenità. Prima di poterne assaporare i risultati.

    Ero felice di poter donare un po’ del mio tempo a quei bambini che, a discapito della loro giovane età, avevano già provato un immenso dolore. Strappare loro un sorriso era il regalo più speciale che potessi ricevere. Forse era grazie alle mie origini, o al mio carattere a volte dolce e socievole altre più sfrontato e deciso, ma avevo capito di essere entrato nel cuore di quelle persone. Così come loro erano entrati nel mio.

    Ci sono cose che non si possono vedere, ma si sentono, si percepiscono. Per questo abbiamo così tanti sensi a disposizione.

    Il piccolo locale di Oil, che per certi versi sentivo come mio, rappresentava una vera e propria oasi di piacere. Oltre alla piccola costruzione che ricordava una capanna nel bel mezzo della giungla, non c’era molto altro. Nemmeno i tavolini. Questo perché Oil aveva insistito per allestirlo con grandi tavoli in legno di mango e bambù, così da poter dare la possibilità alle persone di condividere il pasto e nel frattempo conoscersi, incontrarsi, scambiare qualche parola, creare amicizie. Senza barriere o distanze. Un piccolo gesto che avrebbe avvicinato la gente e magari avrebbe dato vita a nuovi inizi e, chissà, a nuove storie d’amore. D’altronde, gli incontri inaspettati seguono le strade del destino. Si trattava di una piccola rivoluzione pacifica. Il modo di vedere le cose di Samuel e Oil.

    Il senso di tranquillità che si respirava lì veniva apprezzato da tutti. I clienti potevano rimanere per ore, nessuno li avrebbe invitati ad alzarsi.

    Il chiosco era circondato da palme, banani, piante verdissime tutto l’anno che sfoggiavano fiori dai colori irresistibili. Una grande tettoia, poi, come un’ala, riparava i tavoli fornendo l’ombra e un fresco meraviglioso.

    Un luogo suggestivo come ne esistono pochi, sembrava uscito da un lontano mondo delle fiabe. L’aria sembrava vibrare sotto i forti raggi di un sole incandescente.

    Era come se quel locale emanasse un’energia confortante che solo il corpo sapeva percepire. Ero addirittura riuscito a insegnare al padre di Oil, che si occupava della cucina, qualche ricetta tipica della tradizione italiana e il menu era diventato un mix di culture e gusti diversi. Tutto l’insieme, l’arredamento, il cibo, la clientela, rendevano il posto un elaborato micromondo fuori dalle righe.

    Era uno dei giorni più caldi e afosi di maggio, i monsoni sarebbero giunti presto, per questo la strada che costeggiava il locale era stranamente vuota, solo il rumore di qualche scooter rompeva il silenzio della natura.

    Non c’era molto da fare quel pomeriggio, così decisi che avrei passato il tempo a godermi quell’atmosfera tropicale. Mi preparai un frullato di frutta fresca. Amavo il sapore intenso che sprigionava. Ero certo che il segreto di quel gusto saporito fosse proprio il sole.

    Presi posto a uno dei tavoli. Di fronte a me, a riempirmi gli occhi, c’era la natura incontaminata, con i suoi profumi decisi e i colori vigorosi che ammiravo come se fossero gioielli di rara fattura. Sorseggiavo soddisfatto il mio succo, sfogliando le pagine di un libro che avevo acquistato qualche tempo prima e che portavo sempre con me. Era un romanzo d’altri tempi. Una storia d’amore difficile in cui i protagonisti non potevano amarsi liberamente perché provenivano da classi sociali diverse. Una vicenda datata, tanto lontana nel tempo eppure ancora tanto attuale. D’altronde, la storia dell’umanità insegna che le barriere vengono abbattute quando il protagonista è una persona giusta. I muri sono il risultato della paura, di un’idea sbagliata alla base. Per questo si è sempre lottato. Per questo si continua a lottare.

    A volte ci vuole solo la giusta dose di caparbietà e la pazienza di saper aspettare, perché una novità, qualcosa che può sembrare strana in un primo momento, smette di esserlo fino a diventare normale.

    Non ricordo il momento in cui mi sono innamorato dell’amore. Nella sua più profonda e intima definizione. Al contempo, ho imparato presto che il dolore, alla fine di una storia, è proporzionato alla gioia vissuta.

    D’altronde, è così che vanno le cose. Se si accetta di amare e di essere amati, di toccare il cielo con un dito nei giorni felici, si deve accettare anche tutto il resto. Anche lo strazio della fine. È la regola del perverso gioco dei sentimenti.

    Sono cresciuto con l’idea che vivere un sentimento mediocre è innaturale. Non c’è tempo o spazio per limitarsi. Una relazione soggetta a limiti è un legame a metà. Non si può amare un po’. Condividere un po’. Concedersi un po’. L’amore deve travolgere, riempire tutto quanto, come un’onda che ti coglie alla sprovvista. O come un temporale. Ho sempre amato i temporali, soprattutto qui in Thailandia, dove il verde domina la natura e il cielo sembra più alto. Dove gli specchi d’acqua delle risaie riflettono la luce e le palme lunghe, magre, sembrano solleticare le nuvole. Qui, dove cielo e terra sembrano avvicinarsi così tanto da dare l’idea di toccarsi, da qualche parte oltre l’orizzonte.

    I temporali in questa zona si avvicinano veloci, carichi, forti, stravolgono tutto ciò che trovano, sono quasi spaventosi quando si annunciano con quel rumore cupo, quei boati inquietanti e minacciosi. Ma poi, finalmente, arriva quell’inconfondibile odore di pioggia, il vento si alza, l’aria si rinfresca e il cielo si trasforma in una distesa di sfumature plumbee e grigiastre. E ci si gode lo spettacolo della natura, il battente rumore dell’acqua che cade dall’alto. Aspettando l’arcobaleno.

    I miei sentimenti sono sempre stati un gran casino. Qualcosa finiva, qualcosa cambiava, qualcos’altro moriva. E ovviamente ne soffrivo, maledicendo tutto di me.

    Per anni ho pensato di essere io la causa principale. Forse perché davo troppo, senza pretendere nulla. Mostravo le mie sensazioni a una velocità tale da spaventare le persone. Divoravo tutto. Alla fine, però, ciò che rimaneva era tutto al di fuori dei rimpianti. Quelli volevo tenerli lontani dalla mia vita. E così, continuava la mia ricerca di emozioni, in un vagabondare accanito e senza sosta, nella speranza di trovare quell’unica anima destinata alla mia.

    Ero convinto che prima o poi sarebbe successo.

    L’amore vince sempre, no?

    2

    Quel giorno il sole era alto nel cielo, un cielo che ricordava l’orizzonte del mare, chiaro, brillante, pulito. Il caldo era opprimente, tanto che risultava faticoso anche solo camminare. La giornata ideale per i turisti che potevano rimanere a sguazzare nelle piscine dei resort da sogno sorseggiando cocktail alla frutta.

    Oil aveva acceso un numero indefinito di incensi e per qualche secondo l’aria piatta di quel pomeriggio si era trasformata in una nuvola dal profumo inebriante. Un balsamo così ricco e intenso da arrivare fino all’anima.

    Assorto com’ero nei miei pensieri, e stordito da quei fumi al sandalo e cocco, mi misi a riflettere per la prima volta sul mio aspetto. Il tessuto dei pantaloni che indossavo era di un cotone leggerissimo, bianco avorio. Li avevo acquistati al mercato del posto, lo stesso in cui Oil aveva preso la camicia blu con palme verdi e fiori gialli che mi aveva regalato. Diceva sempre che erano l’ideale per rimanere freschi durante i giorni di caldo torrido. E io, poi, mi ci sentivo bene, perfettamente a mio agio. Il blu intenso faceva risaltare l’abbronzatura che il sole tropicale mi aveva donato.

    Non mi ero mai sentito particolarmente bello, o meglio, sapevo bene di non rientrare nella definizione canonica di bellezza. Ma ero consapevole di essere un tipo attraente. Né normale, né strano. A modo mio, sapevo essere magnetico, o comunque, così mi avevano definito in passato.

    Portavo con me i tipici tratti italiani; il calore, la passione del vivere, il tono di voce. Che poi, da quando ero lì, si erano addirittura accentuati. La pelle aveva assunto una luminosità straordinaria. Gli occhi scuri sembravano ancora più brillanti. Così come i denti, che apparivano bianchissimi, e il colore dei capelli che si era schiarito. Erano i raggi del sole gli artefici di tutti quei piccoli dettagli. E così, scoprii che le persone si adattano, anche attraverso i cambiamenti del corpo, e mutano a seconda della direzione che hanno dato alla loro vita.

    Comunque, non mi importava di essere bello, né volevo essere qualcosa di diverso da quello che in realtà ero sempre stato.

    Sapevo bene che a rendere davvero uniche le persone è qualcosa che difficilmente si nota al primo impatto, qualcosa che si trova dentro. La bellezza vera si nasconde, dietro la pelle, dietro la nuca, forse più giù. Rimane rannicchiata nelle ossa, nella pancia, da qualche parte, finché qualcuno non la nota davvero. Finché qualcuno non bada a quella luce che ognuno emana.

    «Samuel…» iniziò Oil da dietro il bancone. «Ti dispiacerebbe badare al caffè per un po’? Ci metterò poco, devo solo fare una commissione,» disse, guardandomi.

    «Ma certo babe, fai con calma! Me la caverò,» scherzai.

    Le sorrisi come sempre, divertito da quello che mi aveva appena detto. Sapevo, in realtà, che quel ci metterò poco non era quantificabile. Il concetto di tempo può essere molto relativo, soprattutto in Asia.

    Tra noi parlavamo per lo più in inglese e sapevo bene che, a volte, la comunicazione non era così naturale. Spesso io intendevo dire una cosa mentre lei ne capiva un’altra. Eravamo sempre stati così e la cosa ci divertiva. Alla fine eravamo d’accordo sul fatto che avevamo sviluppato un modo di parlare tutto nostro, fatto di modi, espressioni, parole nate e cresciute insieme a noi e al rapporto che ci univa. Un linguaggio a cui eravamo terribilmente affezionati.

    Avevo da sempre la passione per le lingue, per questo mi ero deciso a imparare il thai, almeno le basi. Ma più passava il tempo, maggiore era la consapevolezza che non l’avrei mai compreso del tutto. Mi ero scoraggiato, forse per la sua difficoltà, ero certo che nemmeno se fossi rimasto tutta la vita in Thailandia lo avrei reso completamente mio. Certe cose non si possono imparare, a meno che non facciano parte delle proprie radici. Questioni legate all’anima.

    Poco dopo Oil era in sella al suo scooter.

    «Accidenti Oil, vuoi infilare il casco? Mettilo, è fatto apposta!» gridai, consapevole che tanto non mi avrebbe ascoltato.

    Lei mi sorrise in risposta, alzò una mano in segno di saluto e partì rapidamente.

    Avevo imparato a conoscere la sua famiglia e si fidavano ciecamente di me. Mi sentivo uno di loro e mi trattavano, da sempre, come tale.

    Rimasi seduto, i gomiti sul tavolo, le mani sotto il mento. Nella quiete di quel pomeriggio il tempo pareva essersi fermato. Nulla intorno a me pulsava di vita. Tornai alla mia lettura e mi lasciai trasportare ancora nel mondo che si nascondeva al suo interno. Come accadeva di solito, una volta che le mie mani sfioravano la carta e iniziavo a voltare le pagine, non riuscivo più a smettere. Così, con la stessa semplicità, la realtà che mi circondava spariva piano piano, si dissolveva.

    Fu quando alzai gli occhi per caso che vidi, dalla strada, un uomo avvicinarsi a piedi in modo affrettato. Ci impiegai un po’ per metterlo a fuoco tanto la luce era forte. Camminava deciso, anche se era visibilmente provato dal sole. Il rumore dei suoi passi risuonò nell’aria. Intuii che avrebbe cercato ristoro all’ombra del portico del locale. Così mi alzai, senza troppa fretta, e mi diressi verso il retro del bancone, continuando a guardare l’uomo con la coda dell’occhio; aveva il viso nascosto sotto un cappellino nero e grossi occhiali da sole.

    Doveva essere impazzito – o disperato – per scegliere quel momento del giorno per una passeggiata all’aria aperta.

    «Salve straniero, si è perso?» gli chiesi con un sorriso, quando fu più vicino.

    «Ehm… sì, insomma,» farfugliò a voce bassa, per poi fare un respiro profondo.

    Si intravedevano le guance leggermente arrossate.

    «Oggi fa particolarmente caldo,» dissi.

    «Volevo fare due passi ma probabilmente ho sbagliato giorno,» rispose, una volta raggiunta l’ombra. «Posso?» aggiunse in modo gentile, e indicò con la testa uno dei tavoli.

    «Certo, si accomodi dove vuole, c’è posto per tutti.»

    Una volta seduto si liberò velocemente degli occhiali, quasi fossero la causa di tutto quel caldo. Poi sfilò il cappello piegando la testa all’indietro. Appoggiato al bancone, continuavo a guardarlo incuriosito, cercando di non dare troppo nell’occhio. Avevo capito dall’accento che doveva essere americano.

    Indossava una maglia bianca, che il sudore aveva reso quasi trasparente, pantaloni scuri e un paio di scarpe nere.

    Sorrisi, mentre osservavo quel look così poco pratico.

    Prima di chiedergli l’ordinazione lo lasciai riposare in modo che riprendesse le forze. Da quando si era seduto non erano mancati degli sguardi reciproci, a volte avevo la sensazione che mi fissasse non appena abbassavo gli occhi. Ma la cosa non mi turbò più di tanto. C’eravamo solo noi due, nessun altro. Era normale.

    Presi un menu, feci il giro del bancone e mi avvicinai.

    «Le consiglierei un caffè perché l’ho preparato io e le posso assicurare che è davvero buono. Ma data la circostanza forse sarebbe meglio qualcosa di più fresco,» dissi, e gli consegnai la lista. Cercai di essere cordiale ma lui non sorrise.

    Lo sconosciuto alzò gli occhi e per un attimo ci guardammo intensamente, come se ci fossimo già incontrati nel corso della vita ma nessuno dei due ricordasse dove o quando. Stavo per chiedergli qualcosa, le labbra tremarono per un istante ma poi le parole mi si bloccarono in gola.

    Mi ritrovai a fissarlo imbambolato. Qualcosa nei suoi occhi mi aveva pietrificato. Era come scrutare uno scorcio di mare. Non li avevo mai visti prima, eppure sentii qualcosa smuoversi dentro di me. Una vibrazione, così profonda da arrivare all’anima.

    Erano di una tonalità particolare fra l’azzurro, il verde e il grigio, sembravano quasi trasparenti. Erano straordinariamente intensi.

    Per un istante fui invaso dall’assurda consapevolezza che quegli occhi non sarei più stato in grado di dimenticarli. Non mi ero mai sentito così. Da qualche parte dentro di me, dovetti riconoscere l’immensità della solitudine provata fino a quell’istante. Non avevo mai percepito una tale vicinanza spirituale con uno sconosciuto.

    Quelle strane idee erano ridicole, così le scacciai. Forse il caldo aveva rallentato le mie capacità di formulare pensieri razionali.

    «Faccia con calma,» lo rassicurai. «Sono qui dietro, quando deciderà.» Pronunciai quelle parole con un tono vagamente impacciato. La vocetta nasale di un adolescente imbarazzato.

    Sorrisi e me ne andai subito dopo.

    C’era qualcosa di strano, in quell’uomo. Aveva assunto, a sua volta, un’espressione insolita e indefinita, quasi confusa, dopo avermi guardato così da vicino.

    Anche da seduto, capii che era più alto della norma o comunque, più di me. Aveva il corpo asciutto e tonico di chi si allena ma senza risultare esageratamente muscoloso. Era possente e con le spalle larghe. Le fattezze armoniose di chi mantiene uno stile di vita sano, di chi è abituato a non esagerare. Il volto era magro e curato, gli zigomi alti e i lineamenti freddi di chi non sorride molto, la carnagione chiara appariva luminosa. Qualche ruga intorno agli occhi rendeva ancora più profondo lo sguardo. Aveva i capelli corti, con una rasatura alta, leggermente brizzolati sulle tempie. Nonostante la calura, sembrava essere appena uscito da un salone di bellezza.

    Continuai a guardarlo con lo stesso interesse con cui si osserva un animale selvaggio, e calcolai che doveva aver superato i quarant’anni. Aveva raggiunto quella maturità che rende un uomo affascinante. È come un’aurea che circonda l’intero corpo, dovuta,

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