La dolce carezza della vita - Nico -
Di Mario Russo
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Anteprima del libro
La dolce carezza della vita - Nico - - Mario Russo
Capitolo primo
Cuore, Tempo, Mente
Questa è la mia storia e quella di un giovane uomo con il quale ho stretto vera amicizia. Le nostre vite si sono incontrate per caso e insieme abbiamo intrecciato una preziosa tela al telaio della vita.
In questo periodo soggiorno in un paesino sperduto della Calabria, situato sulle alture dell’Aspromonte e addossato al versante orientale del Montalto. Il piccolo agglomerato si trova su un pinnacolo naturale, così alto che sembra toccare il cielo, da lassù, la presenza di Dio si sente più vicina.
È il luogo giusto per ritemprare il fisico e rigenerare la mente, ci vengo spesso, lascio le mie occupazioni e qui trascorro giorni e giorni in completa armonia con me stesso. Sono circondato dal verde, l’aria è pura e frizzante e il silenzio regna incontrastato; nei giorni limpidi e sferzati dai venti di tramontana in lontananza verso levante è facile scorgere lo Ionio e a ponente le coste siciliane.
Di tanto in tanto, lunghi nastri bianchi nel cielo ricordano che da qualche parte c’è un mondo diverso con un modo frenetico di vivere. Quelle scie lasciate dagli aerei, in questo contesto, solcano l’azzurro come gioiose stelle filanti.
Sin da ragazzo ho cercato di perdermi nella grandiosità e nella perfezione della natura e questo luogo appaga ogni mia aspettativa. Passo molto tempo nei boschi e sull’altopiano spesso metto a dura prova il fisico inerpicandomi fino a scorgere una struggente maestosità intorno a me.
Queste emozioni sono linfa vitale per l’anima che è gonfia di sentimenti contrastanti e per la mente che da qualche tempo ormai è in preda a oscuri pensieri.
Un pomeriggio sul tardi, mentre rientro da una lunga escursione, incontro un giovane pastore che ritorna in paese dopo aver lasciato gregge e cani ad altri pastori: loro fanno così, si danno il cambio per trascorrere qualche giorno spensierato.
Facciamo la strada insieme e mentre camminiamo affiancati rifletto su come sia facile nei piccoli centri parlare e intrattenersi con gente che non si è mai vista prima: non ci sono regole e barriere dell’indifferenza che siamo soliti usare in città.
Nico, lo chiamerò così, mi racconta che ha studiato in una cittadina del fondo valle; i risultati sono stati ottimi e si era iscritto al primo anno di agraria ma per far ciò sarebbe stato costretto a trasferirsi nel capoluogo calabrese e cercare una sistemazione presso un centro di accoglienza gestito dai frati cappuccini, la congregazione ospita, dietro piccoli compensi, studenti e ragazzi bisognosi. Cercherà anche un lavoro, qualunque esso sia ma ben remunerato, che gli permetterà di mantenersi agli studi, non poteva certo chiedere alla sua famiglia un sacrificio dispendioso in denaro che tra l’altro non hanno.
Durante la frequenza all’istituto superiore, aveva trovato alloggio in una struttura religiosa, il parroco lo aveva accolto e sistemato in canonica con vitto e alloggio gratuito in cambio di piccoli lavori in muratura. Si cimentava anche in agricoltura nel piccolo appezzamento di terreno limitrofo alla chiesa e serviva anche messa.
Il trasferimento nel grande centro cittadino per il ciclo universitario lo portava ancor più lontano dal suo ambiente e dalle sue radici, ciò non lo confortava e la malinconia lo tormentava. Improvvisamente la grande decisione: tornare al paese e fare una vita più vera e più congeniale al suo sentire: un sentire semplice, un modo quasi mistico di vivere.
Mentre seguiamo con passo spedito lo stretto tratturo che ci porta più in basso, di tanto in tanto, lo guardo attentamente: è alto, fisico atletico, gambe e braccia muscolose e capelli neri che incorniciano il suo viso, cadendo scomposti fino a metà del lungo e possente collo abbronzato.
Dimostra di essere un trentenne o poco più.
Quello che contrasta con il suo aspetto giovane, prestante e disinvolto nell’esprimersi, è la luce spenta che noto nei suoi piccoli occhi, acuti occhi di velluto nero a cui è venuta a mancare la lucentezza, il mio amico sembra non essere felice.
La mia mente è impegnata a districarsi in strani percorsi e mentre lo saluto davanti alla minuscola chiesa del paese, già vaga e valuta quell’evidente contrasto.
A dispetto della differenza d’età, sono in sintonia con quell’uomo. Quello di cui avevamo parlato non erano stati solo scambi di punti di vista o brevi cenni di vita vissuta in contesti diversi, era stato piuttosto, l’incontro di due anime.
Sono interessato a lui e se la scelta di venire in questo luogo è stata per cercare la solitudine e la pace, ora il mio obiettivo è d’incontrarlo e proteggerlo. Sì, è scattato in me un istinto di protezione e non capisco da dove sia scaturito, ma sì, forse sono stati quegli occhi, quei piccoli occhi neri e tristi.
Il caso fece sì che ci incontrassimo ancora. Avevamo dato, entrambi e in tempi diversi, la disponibilità al parroco del paese di collaborare a un progetto di restauro del tetto della vecchia canonica. Io avrei pensato alla parte amministrativa e dato una mano come manovale, mentre Nico e altri giovani avrebbero provveduto ai lavori veri e propri.
In quel breve periodo ci vediamo tutti i giorni, familiarizzo con tutte le persone che collaborano ai lavori, ma, dopo cena, con Nico ci ritroviamo spesso al piccolo chiosco di fronte alla chiesetta nella piazzetta del paese.
Questa piazza è un salotto, curato da tutti e ornato con piante fiorite, vasi decorati e i piccoli sedili sistemati accanto agli usci delle case, sono il posto di ritrovo, ove i paesani s’intrattengono a parlare e i discorsi riguardano il loro tutto e il loro niente: dialoghi antichi che celebrano i rituali della loro condizione sociale e della loro cultura montanara.
In una di quelle sere, improvvisamente, in una pausa innaturale del nostro dialogo, guardando Nico intensamente, mi trovo a domandargli con voce grave: «Come stai?»
Quel che accadde dopo è ancora più inaspettato; Nico, ricambiando il mio sguardo per poi abbassarlo di colpo, in un groviglio di parole buttate fuori tutte insieme, mi dice che sta male: sta attraversando un lungo periodo di sofferenza e non sa come uscirne. Le parole che prima erano un fiume impetuoso, ora sono stentate e soffocate, come se si fosse improvvisamente reso conto che stava realmente parlando di sé: lui che per anni aveva soffocato le emozioni e non aveva mai svelato così intimamente se stesso.
Lo ringrazio per la fiducia dimostratami e lo invito, se lo desiderasse, a parlare delle sue inquietudini.
Un lungo silenzio, poi, leva il capo e con voce ferma e pacata comincia a raccontarsi:
«Mi reputo una persona fortunata, vivo in un luogo incantato e godo intensamente il Creato, lo sento vicino e mi dona sensazioni indescrivibili. Di notte, quando guardo la volta celeste con miriadi di stelle che la illuminano e mi appaiano tanto vicine d’avere la sensazione di toccarle, sembra di vivere una favola, l’intensa luce mi elettrizza, innalza il mio spirito e d’improvviso, parlo con loro e con Dio, il creatore dell’immenso. Che cosa posso chiedere di più? Eppure, qualche volta, capitano eventi che rompono gli equilibri. Molti anni fa, in questo luogo sperduto e sconosciuto, viene a soggiornare una giovane donna, il cui nome è Elba, tra noi nasce una profonda amicizia, poi ci innamoriamo e ci rendiamo conto che stiamo vivendo una storia molto importante. Sono giorni indimenticabili e fantastici, tutto il tempo lo dedichiamo a chiacchierare e a scambiarci sguardi e ad amarci. Questo improvviso, inaspettato e magico momento termina con la conclusione della sua vacanza. Lei parte ed è addolorata, del resto lo sono anch’io, ci scambiamo i numeri di telefono e ci promettiamo di sentirci frequentemente: tra noi è sbocciato l’amore. Per molto tempo le telefonate si susseguono giornalmente, però non basta, ho bisogno di vederla, toccarla e sentirla ancora a me vicina. Decido di raggiungerla e sceso a valle, acquisto un biglietto ferroviario per andare da lei. La chiamo e le comunico quanto sto per fare, immaginavo che la gioia la invadesse e che mi dicesse di essere felice della decisione, invece grossa delusione, è titubante e accampa scuse puerili e senza senso, che terribile sensazione, cade il mondo e i miei sogni svaniscono come neve sciolta al sole. Dice che mi desidera e mi ama, ma non abbastanza da far divenire realtà quel sogno meraviglioso, desidera che tutto rimanga una parentesi lieta e vuole che io continui a essere la parentesi
. Quanto dolore e quanta delusione!
Devi sapere che sono il papà di una bimba di dodici anni, me lo ha rivelato circa un anno dopo la nascita; sono pieno d’amore per quella figlia che mi appartiene e che conosco appena. Undici anni fa, la mia emozione fu immensa e non vedevo l’ora di poterla incontrare, toccare e donarle il mio affetto. Protestai sonoramente con Elba, ero indispettito e non potevo perdonarle quel grave silenzio durato un lungo anno. Desideravo stare vicino alla mia bambina per coccolarla e strapparle affetto, ma Elba mostrava durezza, mi sconcertava e non capivo le riluttanze. Mi diceva senza preamboli che non era favorevole che ciò avvenisse, anche se Ginestra, è il nome di mia figlia, pronunciava continuamente papà
.
Dopo tante insistenze e supplichevoli richieste, Elba decideva di assecondarmi, concedendomi l’incontro tanto atteso e in seguito di poterla vedere sporadicamente.
Sono trascorsi dodici interminabili anni e gli incontri con mia figlia sono rimasti occasionali, una cosa è certa però: il grande amore che ci lega e che rende straziante il separarci.
Elba continua a telefonarmi, non rispondo, non voglio alimentare inutili speranze. Ancora oggi mi chiama, ma sono deciso a non nutrirmi di effimeri sogni. La tristezza è la mia abituale compagna e non mi lascia neanche per un istante.
Sono io che decido quando telefonare e avere notizie della piccola Ginestra, ma spesso è mia figlia che mi chiama, approfittando delle assenze di Elba o sfruttando la complicità dei nonni materni.
In una occasione in cui sono meno determinato, decido di rispondere a una chiamata di Elba, non riesco a spiegarmi questa improvvisa debolezza, a volte si presentano momenti particolari che ti coinvolgono, sono simili a una forza emergente che ti pungola e ti sprona a compiere azioni che mai avresti pensato di mettere in atto.
La dolce voce di lei mi coinvolge e riempie il mio cuore che pulsa con forza: mi rendo conto che sono attratto da lei e l’amore è più vivo che mai. La conversazione è fredda e poco scorrevole, sono esitante e mi trattengo per non farmi trasportare dall’emozione.
Questo è tutto amico mio, il mio cuore è pieno d’amore per Elba e Ginestra, sono il mio mondo e patisco per il distacco e la lontananza.»
Capitolo secondo
Tristezza e Gioia
Un emotivo silenzio fa seguito alle sue esternazioni, lo guardo e capisco che aspetta il mio parere, è convinto che possa lenire le sue sofferenze. Mi concentro, raccolgo i pensieri, lo guardo negli occhi e inizio nel dire che sono storie meste, avvengono con frequenza e fanno soffrire, il dolore è forte, il cuore immalinconisce e lo stomaco diventa il raccoglitore di tutto, è sofferente e i vuoti, i dolori e i crampi lo contraggono di continuo. Solo il tempo attenuerà l’infelice condizione e quando pensi di esserne uscito e il cuore torna pronto e lo stomaco non ha più contrazioni muscolari, ecco la mente che riporta tutto allo stato iniziale.
Proseguo dicendo:
«Ti capisco amico, la tua storia mi addolora a tal punto che proverò a sostenerti. Goditi le meraviglie che hai a portata di mano ogni giorno, vedrai che con l’aiuto del Signore e della forza di volontà, anche la mente dimenticherà; per tua figlia invece, troveremo una soluzione equa che non crei insofferenze e che ti consenta di incontrarla con continuità. Conta su me, sarò sempre al tuo fianco amico mio e ricordati che si soffre ma non si muore per amore: sai, nella nostra perfezione, possediamo le risorse per guarire, dobbiamo solo allenarci.
Spesso, attribuiamo al cuore, questo muscolo involontario, la responsabilità
delle nostre sofferenze, ma ciò che le protrae nel tempo è certamente la mente che ne tiene vivo il ricordo, le rinnova e le perpetua di volta in volta, come se fosse stato solo ieri l’evento devastante. Per fortuna, possediamo un grande alleato: il tempo. Questo è un potente balsamo che riesce a spalmare una patina anestetica sulle ferite, le lava dalle impurità del risentimento e dell’orgoglio, lasciando poi solo le cicatrici che incredibilmente fortificano la nostra resilienza alle vicissitudini della vita.
Ecco, amico mio, ti auguro di stipulare presto quest’alleanza.»
Dicendo ciò, alzo il bicchiere di vino rosso come auspicio alla buona sorte.
Da quando mi ha confidato i suoi tormenti, l’ho sostenuto e sono con lui anche quando gli impegni mi obbligano a rimanergli lontano, spesso lo chiamo e lo raggiungo per infondergli calore, conforto e consigli.
Il cellulare, comprensivo di traffico, è stato il mio primo regalo, altrimenti per le non prosperose risorse economiche, non avrebbe potuto sostenere frequenti contatti con me e la figlia.
È passato un anno dalla sua rivelazione e ad oggi nulla è cambiato, anche se pare che la tristezza e la malinconia si stiano allentando, di certo il mio lavoro, la vicinanza e il continuo infondere coraggio e speranza, favorisce con efficacia l’equilibrio della psiche. Il progressivo miglioramento, di tanto in tanto, rallenta, ciò avviene quando è la mente a prevalere, prende il sopravvento e lo costringe all’oblio infinito. Occorrerebbe più tempo per superare e dimenticare sentimenti così radicati, qualcosa però, giunge inatteso in suo aiuto e l’insperato evento fa svanire il malumore.
Come ogni giorno, Nico è al pascolo con il gregge nelle radure erbose e soleggiate, è assorto nei suoi pensieri che conducono al di là d’infiniti confini, quando un alito di vento ostenta un sentire familiare, una voce dolce e amica