Il Mare - L'ultima estate con Te
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Anteprima del libro
Il Mare - L'ultima estate con Te - Giuseppe Chiappetta
Mamma.
Questo è il tuo mare, mamma. E’ lo stesso mare che ha visto affacciarti dalla Torretta per guardarlo e temerlo, che ti ha accolto nelle sue tiepide acque azzurrine e sulla cui sabbia, grigia e tersa della sua spiaggia, ti sei asciugata e abbronzata al calore intenso del solleone. Ricordi? E’ rimasto com’era, sarà com’è stato: il tuo mare
.
di Annalisa Scialpi
E’ nella natura umana l’esigenza di narrare, se si considera che ognuno di noi, in fondo, è la sua storia. Raccontare di sé equivale quindi a riconoscersi ed essere riconosciuti nella propria irripetibile unicità. Un modo per non dimenticarsi, dunque, ma anche una ricerca a ritroso del caro tempo perduto
. Perduto nelle maglie della fretta, nel disincantato mondo post-moderno, di un andare avanti spesso vuoto di senso e accettato per meccanica implicazione.
Ecco allora che il diario Il Mare
attinge proprio alla sorgente della memoria per ritrovare affetti (la madre, principalmente), momenti lirici appartenenti a una stagione che non ritorna e nonostante tutto vivi, momenti singolarmente straordinari, delicati palpiti di un’intima, unica gioia che nasce, si desta e si assopisce nello spazio di un attimo, attimo interamente vissuto nella soave e fantastica bellezza della sua realtà, attimo capace di far vibrare e scuotere dal profondo la sensibilità meno vigile e accorta di un’anima
.
Momenti, attimi, ma anche situazioni e personaggi ritrovati e narrati con la meticolosità di chi vuole che nulla vada perduto, e per cui i dettagli divengono punti tutt’altro che marginali di questa esigenza del ritorno
al mare che, proprio come una madre, accoglie tutto in sé senza porre troppe domande, avvolge, protegge, e libera come un gabbiano.
La madre e il mare assurgono così a una simbologia cosmica di fusione con il tutto
in una pace e serenità vagheggiante e finalmente ritrovate, intatte, nella culla del ritorno. Ritornare per ritornare, per ritrovarsi, per Essere. In questo consiste lo scopo del viaggio per un’anima delicata, innamorata e fedele custode delle proprie radici.
Lo dimostra l’intreccio serrato e privo di punti in bianco
di un diario che, ci si auguri, abbia restituito a Pino, oltre ai suoi affetti e alle sue radici, la voglia di continuare un racconto vivente
, rigenerato e colorato da strascichi di luce appartenenti a un volo nel paese della memoria. Nella certezza che il mare è ovunque. Perché il mare, come la vita, è.
P R O L O G O
I nostri amici
Carmela era la figlia primogenita del farmacista del paese. Nei tempi andati, il sindaco, il notaio, il medico, il farmacista, il maresciallo ed il parroco, anche se non stavano sullo stesso piano in quanto ad importanza ed influenza, costituivano il fior fiore della società urbana dei piccoli e grandi comuni.
Il riconoscimento pubblico del rispetto verso costoro, per meriti dinastici o per meriti acquisiti, veniva manifestato nella deferenza del saluto, preceduto dal don
per gli uomini, donna
per le donne, espressione dimessa e tangibile di accettazione d’una non accertata superiorità verso di essi, e con il voi
nei rapporti interpersonali, esteso parallelamente nell’ambito familiare, come riconoscimento di importanza dei ruoli, e di rispetto, in generale, verso le persone anziane.
Le persone ad essere gratificate in vita da questi prefissi, ne beneficiavano anche da morti. Sui manifesti funebri, infatti, il don
era sostituito da NH (=Nobiluomo) e donna
da ND (=Nobildonna).
Negli anni della mia infanzia avevo conosciuto il padre di Carmela; la madre era già deceduta e lei, in seno alla famiglia, (tre fratelli e tre sorelle), ne aveva ricoperto il ruolo lasciato vacante, fino alle nozze.
Era lei, Carmela, la maggiore, la guida per le sorelle, così come lo era per i fratelli, Gustavo, il maggiore dei maschi, farmacista come il padre, al quale era succeduto nell’attività.
In quanto donna, lei e le sorelle avevano frequentato per volere paterno solo le scuole elementari, come mia madre, di qualche anno più piccola.
A quei tempi, per una consuetudine anacronistica, ma ancora ben radicata che lasciava appassire le potenzialità