Il dono e la città: Sul futuro del volontariato
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Curare il disagio non è un mestiere esecutivo privo di responsabilità, non è un mestiere operativo senza intelligenza, non è un mestiere che si possa svolgere da soli. Anche per questo il tanto declamato principio di sussidiarietà non deve servire al volontariato come alibi per esautorare la responsabilità pubblica, ma per rimettere al primo posto gli esiti liberanti e socializzanti del welfare.
Se la salute diventa un'azienda, la scuola un’impresa, la gestione dell’ambiente e dell’acqua una questione di mercato, il cosiddetto terzo settore viene messo all’angolo. E le sue anime interne - gestionale, assistenziale, movimentista, imprenditoriale - si differenziano e si distanziano tra loro, andando in conflitto.
Per certi aspetti, il volontariato che gestisce servizi assomiglia oggi, nei metodi, ai servizi del privato for profit. Per questo è necessario che esso torni a imprimere a sé stesso un indirizzo culturale e politico, decidendosi a svolgere un servizio «pubblico» capace di superare la trappola del mero mercato dei servizi sociali.
Le associazioni di volontari non sono destinate a mettere cerotti improvvisati a pubbliche amministrazioni incuranti del welfare e dei diritti di chi ha più bisogno. I corpi intermedi della società non si aggregano per arginare le distrazioni o le malefatte della politica e del mercato. E costituiscono luoghi privilegiati non quando distribuiscono doni consolatori, ma se accompagnano le persone a mettere in moto la solidarietà, la condivisione e l’accoglienza, e quando generano e rigenerano fiducia negli abitanti di un territorio.
Abbiamo bisogno di volontariati diversificati che si rafforzino spingendosi anche oltre l’ambito sociale, dando maggior consistenza anche ad altri settori quali la protezione civile, l’ambiente e l’energia, i beni culturali, gli stili di vita rispettosi della decrescita dei consumi, la cittadinanza partecipata, l’educazione a pratiche civiche costruttive di comunità locali. Perché non solo il volontariato sociale, ma l’intero arcipelago dei volontariati è un potenziale messaggero di legalità e di coesione.
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Anteprima del libro
Il dono e la città - Giacomo Panizza
Sinossi
«Saremo capaci di futuro solo se sapremo assumere uno stile di volontariato adulto
, che non operi solo in risposta
a ciò che vede a occhio nudo, ma indaghi con sguardo critico nel profondo delle cause immediate e remote delle difficoltà e del disagio. Un ruolo politico, dunque».
L’autore
Don Giacomo Panizza
Bresciano, ha fondato nel 1976 a Lamezia Terme Progetto Sud
, una comunità autogestita insieme a persone con disabilità. È nel mirino delle cosche dal 2002, quando ha preso in gestione il palazzo confiscato ai Torcasio. Da allora vive sotto scorta. Tra le sue pubblicazioni: Occhi aperti sul lavoro sociale (Rubbettino, 2004); Io sono un grande sognatore: sfide e opportunità degli stranieri ad una terra accogliente (Laruffa, 2007); Qui ho conosciuto purgatorio, inferno e paradiso. La storia del prete che ha sfidato la ’ndrangheta (con Goffredo Fofi, Feltrinelli, 2011) e Cattivi maestri. La sfida educativa alla pedagogia mafiosa (Edizioni Dehoniane, 2017).
Giacomo Panizza
Il dono e la città
Sul futuro del volontariato
Società
© 2024 Bibliotheka Edizioni
www.bibliotheka.it
I edizione, maggio 2024
Isbn 9788869349034
e-Isbn 9788869349041
È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale, del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.
Immagine di copertina: Kazimir Severinovich Malevich, Paesaggio con una casa bianca, 1930 circa, Museo statale russo.
Tutti i diritti riservati
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Prefazione
Dono e Polis per tracciare nuove vie ai diritti
Dono e Polis esprimono il senso della solidarietà umana e sociale. È umana quando non si è soli. È sociale quando si trasforma in cittadinanza solidale. Giacomo Panizza lo dice con una lingua nuova, diversa dalle culture del Novecento. La cultura liberale ha liberato le individualità, quella socialista ha liberato la socialità.
Ma entrambe non sono riuscite a mantenere le promesse, comporre i diritti con i doveri. Hanno continuato ad agire separatamente, liberalismo e socialismo, due ismi
incapaci di passare da mondi conflittuali a mondi pacificati, dove tutti, anche gli ultimi, possono vivere l’esperienza del dono e della polis.
Giacomo giustamente si chiede e ci chiede: Gratuità, dono, donarsi… ma i diritti?
Il liberalismo può accontentarsi del dono compassionevole e il socialismo può accontentarsi dei diritti disuguali, mentre entrambi valorizzano il volontariato, quello che ammortizza le incapacità istituzionali e non rivendica i diritti sociali dei più deboli.
Il libro parla di volontariati al plurale, per dire che non basta volontariarsi
per mettere in discussione le radici conflittuali della socialità. È ragionevole sostenere che può essere "giusto affidarsi alla bontà di benefattori dediti ad aiutare chi necessita di cure, di lavoro, di casa ma impossibilitati a far fronte a impreviste vulnerabilità?", ma subito dopo è necessario chiedersi se "è realistico?".
Siamo invitati a dire la verità, a non mentire, perché questa domanda "mette alla prova la spiritualità, la contagia con una gratuità esperta di gratitudine e di fiducia. L’azione volontaria personifica il fare con il farsi della vita".
La diversità tra fare e farsi evidenzia il rapporto di potere che separa chi aiuta e chi è aiutato, la forza di chi aiuta e la debolezza di chi è aiutato, finché non accettano la reciprocità del farsi prossimi, aiutandosi in modi giusti e rispettosi, fino a meravigliarsi delle capacità altrui e di quelle proprie rimaste inespresse fino a poco prima
.
Questa meraviglia aiuta a capire l’importanza del termine volontariati spiegando che non tutti gli aiuti e i servizi offerti con gratuità sono di per sé stessi di volontariato. La proposta di fare chiarezza sul rapporto tra volontariato e volontariati può mettere in luce una contraddizione più grande. Nasce dai modi di intendere la democrazia: "Si notava pudore nel volontariato a usare l’espressione ‘più democrazia’, perché alla prova dei fatti, ogni maggioranza usava democraticamente ridurre anno dopo anno i fondi riguardanti i bisogni e i diritti alla minoranza degli italiani ammalati e disagiati. Democraticamente, questa democrazia si è sviluppata nel modo peggiore, generalmente intenta a dare calci alle minoranze e ai diritti dei poveri".
Giacomo ne parla ricordando un compagno di viaggio, Giovanni Nervo che, come lui, provocava le coscienze chiedendo se il consenso democratico rafforza le disuguaglianze. La risposta è sì, quando la maggioranza dei benestanti rivendica i propri diritti e non quelli di tutti. Diventa allora necessario chiedersi perché proprio chi aiuta i più deboli non dedica altrettanto impegno per denunciare questa contraddizione.
A ben vedere, l’entità dei bisogni dei più deboli corrisponde all’entità dei loro diritti disattesi. Se quelli che li aiutano non denunciano questa contraddizione, il loro volontariato finisce per degradare, consapevolmente o inconsapevolmente, nella connivenza e nella collusione. Infatti "la gratuità unidirezionale squilibra relazioni, riproduce sistemi chiusi di benefattori e beneficiati, immobilizza in assistenti e assistiti. È ingiusta perché preordinata da logiche di meritocrazia".
Queste parole esprimono le possibili fragilità della democrazia, quando strumentalizza l’azione volontaria per nascondere le proprie inefficienze. Strano che il dono sociale
possa arrivare a ferire la Costituzione. Il testo riconduce il problema alle responsabilità del terzo settore e non solo del volontariato. Le norme degli anni ‘90 del Novecento e la riforma del 2017 hanno incoraggiato il protagonismo sociale ed economico del terzo settore. Può fortificare il rapporto tra partecipazione e democrazia.
A maggior ragione l’azione volontaria non può indebolire il senso del fare e del farsi dono, confondendo il fare buone azioni
con le garanzie costituzionali di solidarietà. Inevitabile quindi ricordare la lettura di questi problemi emersa dal convegno Evangelizzazione e promozione umana (1976), proponendo: non buone azioni ma testimonianza, profezia, promozione umana.
L’amore può innovare in un inconsistente sistema di welfare? Giacomo lo sostiene ricordando le raccomandazioni di don Giovanni Nervo. L’amore sociale privilegia l’utopia dei diritti, anche dei più deboli, e l’incontro tra diritti e doveri. Insieme concorrono al progresso materiale o spirituale della società
(art. 4 della Costituzione). È una grande opera proposta ai volontariati, può essere descritta così: "Impegnarsi per i diritti è stata la molla scatenante di molte delle esperienze che ora, in gran parte, si sono trasformate in servizi stabili: sociali, sociosanitari, promozionali, di prevenzione, di mediazione e educativi.
Basti dire che non pochi servizi, sperimentati nella stagione di fine anni Settanta, sono stati sentiti come esperienze di vita, anche al punto da sottovalutarne ingenuamente quegli aspetti di programmazione, di organizzazione e di sostenibilità che oggi, nello stesso terzo settore, vengono riconosciuti necessari ex ante".
Nell’azione dei nuovi volontariati c’è molta utopia ma anche razionale accettazione del rischio, è un rischio d’impresa
per unire le solidarietà nei territori, umanizzarli
e democratizzarli
. I mancati traguardi di questa utopia sono attribuiti al volontarismo velleitario e non al volontariato che in passato ha fatto la differenza, animando tante giovani vite e contribuendo all’innovazione del welfare. Lo ha fatto senza la presunzione di assistere senza liberare da condizioni discriminanti. Ha significato incoraggiare modi più solidali di essere società. L’impossibile è diventato possibile con il passaggio da opportunità
a diritti
.
"Purtroppo – scrive Panizza – l’abbandono strisciante, ma crescente delle politiche sociali da parte dello Stato e degli enti locali in generale, faceva il paio con un terzo settore che andava scommettendo più sui propri servizi che su quelli pubblici o su quelli promossi o promuovibili in collaborazione con il pubblico, fornendo così alibi ad un pubblico che stava abdicando al suo ruolo di garante dei diritti".
Giacomo ripropone in questo modo la contraddizione da cui siamo partiti con due culture, liberale e socialista, che hanno liberato i due terzi della popolazione ma non il terzo escluso, mentre le istituzioni privilegiavano interessi settoriali. Il terzo settore è chiamato ieri come oggi a rivendicare condizioni più giuste e solidali, dove tutti possano vivere l’esperienza del dono e della polis.
Servono allora memoria, capacità di prefigurare il futuro e rappresentanze
da ripensare, a partire dalla domanda Chi rappresenta chi?
. Se le soluzioni per rappresentare il terzo settore si rivelano troppo coerenti con la vecchia politica vanno ripensate. Se sono troppo basate sulla delega e poco sulla rappresentanza vanno ripensate per ridurre le attuali debolezze dell’ascoltare, del dialogare, del rappresentare.
Sono giudizi severi, che non condannano, ma invitano ad affrontare queste contraddizioni: "Non dobbiamo sottovalutare il fatto che ad oggi molte sigle di impegno sociale, specialmente quelle storiche di ispirazione cristiana, che hanno contribuito a lanciare in Italia gran parte del movimento da cui è scaturito il terzo settore, non si sono iscritte al Forum, e quindi non sono rappresentate e rappresentabili da esso. Il risultato può rivelarsi
Un immaginario fatto di prestazioni o di organizzazioni di prestazioni, più che di strategie (…) Senza un indirizzo culturale e politico si diventa troppo simili al privato for profit".
E la Chiesa? Il mondo ecclesiale, nella seconda metà del Novecento, è stato un ambiente di ideazione e sviluppo di nuove pratiche sociali. La distinzione tra donare e donarsi ha arricchito l’azione volontaria, il suo essere dono, fraternità, bellezza sociale, incoraggiando la sua rilettura in chiave costituzionale.
Don Giacomo osserva che "la storia della Chiesa è costellata di azioni e di organizzazioni di servizio/dono alle persone. Le cosiddette ‘opere di misericordia’ ispirate alla parabola del giudizio universale (che troviamo nel capitolo 25, 31-46 del vangelo di Matteo) sono state fonte di teorizzazione della gratuità, di promozione di organismi assistenziali, di critica alle politiche sociali che generano classi di poveri o non li assistono o non li includono nelle opportunità della storia".
Questa riflessione ci riporta alle virtù del giudizio universale, quando i benedetti e i maledetti si scoprono separati da un abisso: da una parte i costruttori di carità e giustizia, dall’altra i non credenti nella fraternità umana. I salvati chiedono: "Quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?".
La risposta è lo avete fatto, lo avete testimoniato, rendendo più fraterna la vita umana. Ma i maledetti non si sono resi conto che la quotidiana distanza tra il dire e il fare li condannava, giorno dopo giorno, al distanziamento esistenziale, come il ricco Epulone e il povero Lazzaro. I benedetti sono riusciti a passare per la cruna dell’ago, ma non da soli. Insieme con più deboli hanno aperto nuove vie all’incontro tra dono e polis.
Tiziano Vecchiato – Presidente della Fondazione Zancan
Gratuità? Parliamone!
Senti dire volontariato e subito pensi a gratuità, la parola essenziale, quella che più lo qualifica. Ma da sola quella parola non basta.
Il volontario, la volontaria, un’associazione che fa volontariato aiutano gratuitamente. Regalano qualcosa
ad altre persone, e spesso si
donano. Tuttavia, donare e donarsi non basta per fare volontariato.
È appropriato che singole persone s’impegnino a risolvere a tu per tu determinati problemi di altre nel bisogno? Dipende. Infatti, la stessa domanda e la stessa risposta valgono per i gruppi e le associazioni: basta la gratuità? Dipende. Ad esempio: fare del bene e praticare l’altruismo significa vivere alcune delle innumerevoli forme nobili della gratuità, ma non sono volontariato, anche se sono comportamenti umani pregevoli e rispettati.
In Italia, il volontariato si è caratterizzato in un tempo felicemente condizionato dal periodo storico in cui è stato concepito. Nella repubblica democratica ci
siamo imposti di andare oltre la semplice esecuzione di