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Caleidoscopio: Idee - pensieri - fantasie - desideri - viaggi - follie ed emozioni
Caleidoscopio: Idee - pensieri - fantasie - desideri - viaggi - follie ed emozioni
Caleidoscopio: Idee - pensieri - fantasie - desideri - viaggi - follie ed emozioni
E-book456 pagine6 ore

Caleidoscopio: Idee - pensieri - fantasie - desideri - viaggi - follie ed emozioni

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Info su questo ebook

Proprio come un caleidoscopio, ossia quello strumento ottico che si serve di specchi e frammenti di vetro o plastica colorati, per creare una molteplicità di strutture simmetriche e di cui fin da bambino ne sono rimasto affascinato, ho voluto mettere nero su bianco alcuni dei tanti pensieri, idee che mi hanno percorso la mente, ma anche viaggi, pazzie ed emozioni di cui sono stato protagonista.

Come i frammenti del mio caleidoscopio, ho cercato di costruire di volta in volta immagini diverse, quasi cercando di viaggiare sui ricordi e sulle mie fantasie, condivisibili o meno, ma sono il mio pensiero

Un viaggio e un gioco che mi ha appassionato e che voglio dedicare a mia madre che mi ha dato tutto ciò che possedeva, ossia un amore eterno!
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2015
ISBN9788891188717
Caleidoscopio: Idee - pensieri - fantasie - desideri - viaggi - follie ed emozioni

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    Anteprima del libro

    Caleidoscopio - Dante Paolo Ferraris

    idraulico

    Libertà di comunicare

    Tra quanto necessario per la libera circolazione delle idee e delle opinioni, cioè la libertà di comunicare, tre sono gli elementi caratterizzanti di analisi: la libertà di essere informati, la libertà di informare e la libertà dalla paura delle conseguenze spiacevoli per essersi liberamente espressi.

    I sistemi di comunicazione di massa del XX secolo dovettero continuamente combattere per ottenere e garantirsi tali libertà e in alcuni paesi, anche industrializzati, ancora oggi è difficile poter comunicare.

    Le più ovvie limitazioni stanno nel controllo dei mezzi di comunicazione da parte di un numero ristretto di individui o gruppi, ponendosi nella terza condizione cioè di essere perseguiti e forse perseguitati per le proprie opinioni

    Io sostengo Voltaire, che pare disse di un suo avversario (mai fu accertato che lo pronunciò davvero): non condivido le sue idee, ma le difenderò fino alla morte per il suo diritto di esprimerle.

    Uno stimolo poco evidente ma non per questo meno tangibile, è quello sociale al conformismo, mettendo in evidenza ciò che è di moda o in voga (mi scuso verso i più giovani perché non uso termini moderni come very cool, trendy) o ghettizzando chi è fuori , non aderendo così alla massa. L’affermazione di Voltaire definisce meglio di qualunque altra cosa lo spirito di tolleranza necessario a una società che rispetta il diritto di avere opinioni diverse.

    Ma perché questa mia sulle libertà di espressione e sul conformismo?

    Oggi intravedo, nei nuovi sistemi di comunicazione di massa, o meglio, di socializzazione, alcuni spunti di riflessione che voglio condividere con voi, utilizzando il vecchio sistema della scrittura; non più oramai con carta e penna che ancora amo impiegare per fissare parole e frasi, pensieri e sentimenti, ma attraverso quello un po’ più freddino del computer.

    Fino a ieri la comunicazione di massa era mono direzionale: il giornale, la radio, la televisione, fornivano informazioni più o meno libere o volutamente condizionate per creare un’opinione pubblica omogenea.

    Oggi l’avvento fortunoso dei sistemi di comunicazione interattivi come i giornali on line, con la possibilità del lettore di lasciare un commento o un voto, permette di esprime un parere o una condivisione di idee

    Ma anche i blog e tutti i social network (facebook, myspace, ecc…) permettono una comunicazione più rapida, difficilmente condizionabile, largamente usata dalle fasce giovani e giovanili e comunque di alta, media cultura.

    Tutto questo non è sfuggito alla visione calcolatrice di aziende commerciali e di stakeholder o alle campagne elettorali di Obama e del Presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, in cui Facebook ha fatto da padrone, o ancora nel mondo dei personaggi pubblici importanti (V.I.P), che aprono intere pagine con i loro profili, attraverso i Fans club per acquistare consensi e calcolarli, facendosi vedere più vicino all’uomo di strada.

    Ma su questa via sono molte anche le Pubbliche Amministrazioni e il mondo del terzo settore che ormai utilizzano i social network come strumenti per raggiungere migliaia di cittadini, stringendo amicizie e promuovendo se stessi.

    La comunicazione online ormai è uno strumento strategico per migliorare i rapporti con il cittadino: ad esempio il Comune di Genova ha aperto uno spazio su MySpace e la Regione Puglia, la Provincia di Vicenza, il Comune di Torino e Bergamo su Facebook, dove ai propri utenti offrono informazioni immediate e mirate; grazie ai propri profili suggeriscono link, pubblicano foto e video, raggiungendo un vasto pubblico

    Oggi molti Enti ed Associazioni puntano su queste nuove potenzialità offerte dal web di seconda generazione, anche attraverso l’utilizzo di canali di comunicazione alternativi: web tv, condivisione materiale video con il sito Youtube, ambienti virtuali come Second life e altre piattaforme di social network. Una giovane filosofia che in Gran Bretagna è stata utilizzata anche dalle forze dell’ordine (polizia), come quella di Manchester, ha sviluppato un’applicazione per Facebook, consentendo ai cittadini di essere informati sulla sicurezza del proprio distretto e quartiere, raccogliendo così molte informazioni utili al proprio lavoro.

    È il segno dei tempi che cambiano e che oggi l’evoluzione tecnologica è talmente rapida che non riusciamo a starci dietro, tanta è la differenza generazionale da chi, in un tempo neanche troppo lontano, utilizzava appunto carta e penna per comunicare,.

    Dobbiamo affrontare e confrontarci con questo nuovo modo di comunicare, evitando cadute repentine e non facendoci assorbire troppo dalla tecnologia informatica, per usare ancora il nostro cervello in maniera propria e non quale dépendance di quello elettronico.

    Questo mio non è un atto di accusa nei confronti dei nuovi modi di comunicare, tanto meno vuole essere un invito a loggarci tutti o a far parte di comunità virtuali: anzi, è un invito a un confronto affinché davvero questi nuovi sistemi favoriscano la crescita delle nuove generazioni, senza tralasciare quei principi di rispetto, dignità e tolleranza che sono propri nell’educazione.

    Identità e accoglienza

    Nel 2008 si è ricordata la promulgazione della Dichiarazione dei Diritti dell'uomo attraverso cerimonie, talvolta silenziose, che hanno avuto luogo in tutto il mondo.

    La delicata e discussa questione dei Diritti Umani si dispiega in un clima ostico, sia per la gravità del tema, affrontato spesso in lunghissimi trattati, sia per l'importanza e gli impegni che tale sottoscrizione impone.

    Ancora oggi si fa pura tautologia sull'espressione Diritti dell'uomo che trovano spesso diverse enunciazioni: «Diritti dell'uomo sono quelli che spettano all'uomo in quanto uomo» oppure «Diritti dell'uomo sono quelli il cui riconoscimento è condizione necessaria per il perfezionamento della persona umana oppure per lo sviluppo della civiltà» come scriveva Norberto Bobbio in L'età dei diritti nel 1990.

    Questi tentativi di definizione non consentono di elaborare pienamente una categoria dei Diritti dell’ uomo, tantomeno, di individuarne fondamenti assoluti.

    Ciò perché si tratta di un argomento che va modificandosi a seconda delle epoche storiche, dei bisogni, degli interessi, delle trasformazioni socio-culturali.

    In generale possiamo dire che i Diritti dell'uomo sono:

    Fondamentali, in quanto corrispondono ai bisogni vitali, spirituali e materiali della persona;

    Universali, perché appartenenti a ogni essere umano, senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, ecc.;

    Inviolabili, in quanto nessun essere umano può esserne privato;

    Indisponibili, visto che nessuno vi può rinunciare, neppure volontariamente.

    Il primo documento che contiene un elenco di tali diritti risale infatti al 1948 ed è la Convenzione Universale dei Diritti dell'Uomo. Tale documento segna una tappa fondamentale nell'affermazione dei diritti umani. Presentando la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, Eleonora Roosvelt auspicava che il testo diventasse una specie di Magna Charta in grado di difendere gli esseri umani in tutto il mondo: sessant'anni dopo, se il valore morale e anche legale in certi casi del testo è universalmente riconosciuto, nondimeno l'obiettivo non è stato raggiunto.

    Lo spazio protetto dei diritti umani si restringe ormai purtoppo anche nelle democrazie occidentali che stilarono il documento dopo gli orrori del nazismo.

    Occorre prendere coscienza che il rispetto pieno dei diritti umani è, prima di tutto, una nostra responsabilità: purtroppo, però, le violazioni di tali diritti restano all'ordine del giorno e gli strumenti per eliminare o ridurre queste violazioni sono realmente pochi.

    Certo la promulgazione di questo importante documento non fu estemporaneo ma fu il frutto di un lungo e tortuoso percorso storico.

    Non voglio qui, né sono in grado di ripercorrere con Voi le radici del pensiero filosofico dell'intera storia dell'uomo, ove già in testi religiosi di antiche civiltà veniva sottolineata l'importanza e l'imprescindibilità di diritti inerenti l'uguaglianza, l'aiuto reciproco tra gli uomini e la dignità.

    E solo per citarne alcune, sperando di non essere smentito da chi è più illuminato, voglio solo ricordare i testi hindu Veda e Agama, il testo giudaico della Torah, i testi buddisti Anguttara-Nykaya e Tripitaka, il testo confuciano Anaclet e ovviamente il testo cristiano del Nuovo Testamento.

    Ciò dovrebbe farci comprendere come tutte le religioni mettano in primo piano dei Diritti che poi pedissequamente dimentichiamo. E così per tutta la storia dell'uomo fino ad oggi, passando dai testi omerici a quelli di Cicerone, alla Magna Charta, alla dottrina di Rosseau, ecc. fino al 1948 e oltre.

    Questo mio breve excursus storico dell'evoluzione dei Diritti dell'Uomo ci può far comprendere come il contenuto di tali Diritti si sia costantemente e incessantemente modificato nel tempo, in un'evoluzione che non può arrestarsi.

    Ma certamente il 10 dicembre 1948 con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite si cercò di porsi davanti a un primo traguardo, cioè quello di rendere universale ciò che fino allora veniva diversamente enunciato. Al termine del secondo conflitto mondiale, si avvertiva la necessità di vedere garantito il rispetto della Pace e dei diritti dei popoli, e fu su questa speranza che pochi anni prima, nel 1945, fu redatto e firmato lo Statuto ONU, che indicava all'interno del preambolo quale obiettivo fondamentale, quello di salvare le future generazioni dal flagello della guerra che aveva portato indicibili afflizioni all'umanità e riaffermava la fede nei diritti fondamentali della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne, ecc.

    La Commissione per i diritti dell'uomo, creata nel 1946 e presieduta da Eleonor Roosvelt, decise che la Carta Internazionale avrebbe avuto la forma giuridica di risoluzione dell'Assemblea Generale comprendendo una dichiarazione di principi generali con un elevato valore morale e un patto distinto con forza vincolante per gli Stati che l'avessero ratificato. In tempi brevi la Commissione si preoccupò di redigere la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che ha esercitato una grande influenza nel mondo intero ed è stata fonte di ispirazione per Costituzioni, Leggi nazionali e Convenzioni.

    All'atto della stesura ebbe luogo un acceso scontro ideologico tra gli allora 58 membri delle Nazioni Unite che fu definito un vero e proprio pezzo di guerra fredda, tra i diversi schieramenti.

    Nel voler ricordare la sua storia, il suo sviluppo, unitamente alle sue interazioni con la Costituzione Italiana, non si può far correre il pensiero a quanti nel mondo, e anche in Italia sono assoggettati a ogni sopruso e privazione, dalla Libertà al principio di uguaglianza.

    Troppo spesso a oltre 60 anni dalla promulgazione per molti, il principio di identità e di accoglienza è rimasta pura utopia.

    Cosa fare? Lo ignoro. Ma so da che parte sto io.

    Responsabilità e impresa sociale

    Vorrei fare alcune considerazioni sul volontariato e sulla crisi in atto, in particolare, nel Nostro volontariato.

    Fare volontariato oggi è sicuramente un'esperienza facile e difficile da realizzare: facile perché per far parte di un'organizzazione/associazione basta rispondere a un appello o chiamare un centro servizi per il volontariato al suo call center. Dichiari solo la tua disponibilità, competenze e preferenze in merito all'attività ed è quasi tutto fatto; spesso non vengono nemmeno chieste competenze specifiche, ti viene fatta indossare la divisa da volontario e automaticamente aumentano la stima in te stesso, le tue convinzioni morali o le tue credenze religiose. Tutto ciò ti procura considerazione e riconoscenza dalla collettività e ammirazione dei tuoi amici.

    Ci sentiamo, insomma, utili a qualcuno.

    Ma dobbiamo, anche, fare i conti con il tempo da dedicare a questa nuova esperienza rubandolo agli affetti e al proprio lavoro, occorre altresì cercare la capacità di adattamento a ciò che andremo a fare; spesso è difficile affiancarsi alle condizioni di disagio, di miseria, di ammalati o infortunati, senza rimanerne turbati.

    Talvolta, queste esperienze forti, portano molti volontari ad allontanarsi da questo tipo di attività, favorendo una migrazione di volontari tra le associazioni.

    Il volontariato, ormai, nella ricca società italiana è diventato una moda: se non fai volontariato non sei nessuno. I giornali lo celebrano, le pubbliche autorità lo ritengono indispensabile per il funzionamento di una società moderna e solidale. La politica e la chiesa lo promuovono e lo finanziano con soldi pubblici.

    Il volontariato in Italia è ormai una forma istituzionalizzata, raccontata da copiosa pubblicazione, argomento di studio universitario.

    Lo chiamiamo, ormai, terzo settore o No profit.

    È più diffuso delle stesse organizzazioni politiche e sindacali, partecipato da giovani e da meno giovani, da donne e uomini, dal nord al sud della nostra penisola.

    Fare volontariato in Italia costituisce un'esperienza personale e, contemporaneamente, associativa; riguarda la singola persona come individuo, ma anche come gruppo che condivide le stesse scelte.

    Da questa vision non si esclude nessuno, anche se però, in alcune associazioni si pongono molti limiti all'appartenenza (sesso, età, nonché credo religioso).

    In altre associazioni, tuttavia, si chiedono forti motivazioni, molta disponibilità in termini di tempo, formazione al momento dell'accesso e continui aggiornamenti. Il richiamo alla solidarietà è forte, ma è anche grande il turnover del volontario.

    Serietà e abnegazione sono le richieste che si pongono alle persone che si avvicinano alle associazioni, sacrifici è la moneta con cui si pagano le prestazioni offerte, ma corre sempre il dubbio sulla lucrosità dell'attività svolta soprattutto se a pagamento.

    Ma cosa offre la nostra società ai volontari ?

    È questa una domanda che spesso mi pongo e le risposte che mi sono dato sono molteplici, ma una è la certezza: cioè che comunque è sempre troppo poco.

    Le richieste ascoltate dai volontari non sono premi economici o premi in natura, tantomeno medaglie, quanto piuttosto la possibilità di fare volontariato senza troppi problemi e ostacoli all’interno della associazione prescelta.

    Spesso la struttura, a questa semplice richiesta, si richiude accusando il sistema paese di essere un pesante elefante burocratico.

    Non voglio sembrare antitetico, ma tale risposta non mi convince più.

    Per svolgere un'attività semplice di volontariato, purtroppo, è la stessa associazione che crea eccesso di burocrazia: troppa carta e troppe lettere.

    Certo il proliferare di decine e decine di associazioni sul territorio Italiano da un lato permette maggior opportunità di scelta, dall'altro non favorisce un coordinamento sulla risposta al bisogno, ed è anche vero che spesso nascono per fare cassa o interessi di parte, spesso politici.

    Credo che comunque tutto ciò debba aprire un a un'analisi interna alle singole associazioni per capire ove si possa semplificare e dove intervenire perché non si è stati persuadenti o convincenti e in qualche caso, magari, più datori di lavoro che responsabili di un' Associazione.

    Oggi parlare di volontariato vuol dire anche parlare di responsabilità e impresa sociale , ciò ha certamente aspetti positivi, ma rischia di far perdere di vista i valori di condivisione e solidarietà da cui tanti di noi sono partiti.

    Crisi economica e volontariato

    Fin dal V secolo le crisi economiche seguono sempre lo stesso copione: ottimismo e euforia, speculazione, diffusione del credito, indebitamento (a causa della facilità nell’ottenere prestiti), aumento dei prezzi, crisi improvvisa, panico, insolvenza anche bancaria, crisi di liquidità (deflazione) e diminuzione dei prezzi. La storia si ripete come amava ribadire Charles P. Kindleberger, economista del Mit di Bostone studioso di tutti i crac finanziari dal ’700 al ’900 , scomparso nel 2003.

    Storia ignorata, meccanismi ripetuti: l’eccesso di ottimismo e la facilità di concedere prestiti ad alto rischio, il ricorso delle banche centrali a porre rimedio iniettando grandi quantità di denaro con il conseguente rialzo dei prezzi, o addirittura accollandosi i debiti delle aziende.

    La grande recessione, così ribattezzata nella speranza che non si estendesse agli anni a venire, forzando un po’ il concetto di recessione (si ha recessione quando P.I.L., occupazione, ore lavorate e altri indicatori economici sono in calo da almeno 4 trimestri. Se il calo aumenta e prosegue, la recessione si trasforma in depressione spesso caratterizzata da elevata disoccupazione), potrebbe risultare più dura del previsto.

    Oggi anche le Associazioni di volontariato risentono pesantemente di questa grave situazione economica: calano i contributi dallo Stato , non aumentano le entrate dalle Convenzioni con gli Enti locali , mentre accrescono le esigenze di intervento. A differenza di altre organizzazioni o istituti, infatti, davanti alle sedi delle associazioni che si occupano del sociale aumentano le code dei nuovi poveri che si aggiungono alle lunghe file già esistenti per chiedere un sussidio o un pacco di pasta. Non sono solo extracomunitari o provenienti dai nuovi paesi dell’Est recentemente entrati nella Comunità Europea.

    Ciò ci deve far riflettere sul ruolo del volontariato, riscoprendo anche attività che oramai erano relegate in un angolo. Tale impegno coinvolge tutte le Associazioni, ma in modo particolare quelle socio assistenziali che dovranno affrontare maggiori richieste di aiuto economico, ma un onere non secondario grava anche sulle altre, che inevitabilmente si troveranno ad affrontare il tema delle nuove povertà, dell’emarginazione, della conseguente solitudine e di ampie crisi sociali.

    Voglio con questa mia, semplicemente farvi partecipi di mie considerazioni e invitarvi a non sottovalutare il problema, talvolta nascosto da immagini televisive e pubblicità evasiva, ricordando che spesso in sofferenza sono proprio coloro che non si mostrano.

    Cartolina da Cuba

    Calpestare a piedi nudi le bianche spiagge caraibiche, sotto un sole che tenta di rubare il cielo al buio, questo è il mio dream caraibic.

    Un sogno caraibico divenuto realtà, lontano dal frastuono di una civiltà che ormai consuma se stessa, l’infrangere delle onde sulla spiaggia nel silenzio assordante dell’alba, ha il sapore di un concerto.

    Si combina la naturale bellezza delle isole caraibiche con l’atmosfera magica e nostalgica dei tramonti, sulle sue spiagge e dai colori a tempera delle povere case. Questo la rende una meta esotica e incantevole.

    Le profonde acque blu che accolgono l’isola in un anello magico, fa da contraltare alle bianche spiagge che declinano lentamente, colorando le acque da uno azzurro tempera a uno splendido turchese fino a un profondo blu oltremare.

    Lo scroscio delle acque che si infrangono sulle spiagge è ritmato dallo sciacquio dei miei piedi sulla battigia, ove la loro trasparenza rende impossibile non aver voglia di immergersi, sentendoti un novello Nettuno.

    Spiagge deserte, dove l’arena bianca riflette l’intensa luce e le palme che vi si specchiano offrono ombra e riparo.

    Esse raccontano di veri giardini negli scienti fondali, ove i coralli dai colori più sgargianti nascondono pesci multicolore, che per nulla intimoriti dalla presenza umana, si pavoneggiano, mostrando con orgoglio le sfumature dei quali la natura li ha dotati e che il sole rispecchiandosi nel mare accende con maggior enfasi.

    Dal turchese del mare alla coltre smeraldo della giungla, ecco cos’è questa isola delle meraviglie.

    E’ ciò che mi attende alla ricerca dei carabi dei pirati e del loro tesoro nascosto.

    Mi accolgono minuscoli centri abitati, composti da povere case dai colori vivaci. Animali da cortile fanno di ogni piccolo villaggio una grande fattoria, con galline, faraone, maiali, cavalli, mucche e gli immancabili cani che con i loro languidi sguardi raccontano la nostalgia dei luoghi.

    Distese di canne da zucchero, cortei di alberi di mango, pompelmo, lime fanno da corona ai villaggi e alla strada che percorro.

    Nei campi, contadini operosi sono intenti a curare ciò che per loro è il vitale sostentamento. Mucchi di biciclette ai lati della strada segnalano la loro presenza, sempre dotati di un terribile machete, strumento utilizzato per ogni attività agricola.

    Ogni tanto sorpasso una povera giumenta che tira un carretto carico di masserizie e di persone. Invece mi sfreccia accanto in senso opposto una coloratissima Chevrolet, una Pontiac o una Oldsmobile dai colori vivacissimi, appaiono dipinte con il pennello, hanno superato i cinquant’anni di vita e a parte il filo di ferro che le tiene insieme sono strabiliantemente funzionanti e affascinanti.

    La giungla è splendida, arrivo in un pianoro, dopo 20 minuti di barca a motore lungo il Canimar, percorrendo uno slalom tra le radici delle mangrovie che scolpiscono splendidi monumenti dedicati alla natura stessa.

    Supero quasi novello Schumacher le leggere barchette di legno degli indigeni del luogo, intenti a pescare con una locale tirlindana.

    Spiaggio vicino a un piccolo villaggio dai tetti in foglia di palma da cocco, si fanno intorno a me gioiosi e urlanti, un mugolo di bambini pronti a giocare con lo straniero.

    Mi addentro nella giungla accompagnato da un vecchio cacciatore che mi mostra splendidi uccelli, dai piumaggi coloriti, credo che siano parrocchetti, non ci capiamo con il linguaggio ma con i gesti e con gli occhi, tutti e due ammaliati dallo splendore del luogo e dal canto dei volatili che frullano tra le foglie degli alberi.

    Abbracciati alle mangrovie, ficus e le palme reali e nane splendidi scindapsus, alocasie, albizie, dracene ecc.

    Da lontano mi fa vedere un enorme coccodrillo, intento a crogiolarsi al sole in una pozza di fango, insieme ai suoi piccoli che il mio sherpa dice di avere circa quattro mesi, sono ormai protetti come animali in via di estinzione.

    Sono entusiasta, esterrefatto che a pochi chilometri dalle spiagge assolate e stracolme del turismo consumistico esistano ancora dei piccoli paradisi terrestri.

    Tornato al villaggio, trovo una specie di grande roditore che gioca con i bambini, come i nostri fanno con i cagnolini. In effetti mi fa un po’ senso, soprattutto quando me lo mettono in braccio, credo di aver capito si tratti di una Jutia addomesticata che fino a qualche anno fa era oggetto di caccia spietata per la sua carne, soprattutto durante il periodo del più duro embargo al popolo cubano.

    Trinidad, Cienfuegos, città dallo stile di vita un po’ retrò, mi accolgono con i loro edifici coloniali dai colori sbiaditi, i cappelli dalle falde larghe dei cavalieri a spasso per la città, le lunghe vesti bianche o intensamente colorate delle donne campesinos.

    Il fascino dei Caraibi è da ritrovarsi proprio nella sua unicità.

    L’aria è perennemente impregnata dalla musica che accompagna i ritmi cadenzati di un popolo che ha conservato il calore dell’ospitalità.

    Il transito delle vecchie e colorate macchine americane e il rumore degli zoccoli dei cavalli che rimbombano sul selciato, rendono l’atmosfera nostalgica, di un tempo che a noi europei sembra cosi lontano.

    I piccoli e caratteristici bar, servono con il ritmo caraibico di lento lentissimo, magnifici rom che con sapiente maestria sono trasformati nei moderni cubalibre e mojito.

    L’aroma del tabacco dei sigari riempie i locali ed è un tutt’uno con gli odori di vecchi arredi, più un misto tra cambusa di un anticogaleone pirata e una ricercata modernità tra le spillatici di cerveza.

    La salsa, danza tipica cubana domina anche nei movimenti di tutti i giorni.

    Ogni dove, uomini e donne, ragazzi e fanciulli pare abbiano la salsa nel sangue.

    I giovani cubani amano curare molto il proprio aspetto fisico e la salsa insieme allo sport sono molto seguiti. Corpi che sembrano scolpiti da un novello Michelangelo, sono l’affascinante aspetto delle giovani donne e dei glabri uomini dal colore meticcio che rendono ancor più merito a madre natura.

    La capitale, Havana è una delle più vecchie città delle Americhe.

    Mostruosi palazzi circondano ad anello la città Vieja e il Vedado.

    E il tripudio dell’ architettura coloniale, balconi lavorati in stile barocco si alternano a patii andalusi, graziose arcate delle case, strade acciottolate con maestria interrotte da antiche bocche da fuoco che fungono ormai da colonnine paracarro lungo le calle centrali.

    L’Havana non può che far venir alla mente lo scrittore americano Ernest Hemingway che la renderà famosa con il suo più celebre romanzo il vecchio e il mare. Non posso non seguire le orme di Hemingway e non passare al Floridita ove lui soleva andare a bere il suo Daiquiri, non sedermi vicino al vecchio bancone a sorseggiarlo anch’io, immaginando come l’autore, avesse pensato in quel momento, propri lì, alla storia del vecchio pescatore Santiago che insegna l’arte della pesca a Manolo. Ma poi andare sempre nel cuore de l’Avana Vecchia, a due passi da Plaza de La Catedral a visitare La Bodeguita del Medio, sempre affollata da turisti, cubani e musicisti che suonano musica tradizionale.

    Locale tra i più famosi della capitale che deve la sua celebrità a un delizioso cocktail, il mojito, e a lui, suo affezionato cliente Ernest Hemingway. Ma qui si sono incontrati molti altri artisti famosi, tra cui Marlene Dietrich, Gary Cooper e Errol Flynn che lo definì, simpaticamente, uno dei migliori locali to get drunk (per sbronzarsi), celebrità che hanno lascito alla Bodeguita del Medio un ricordo fotografico del loro passaggio e oggi queste fotografie sono affisse alle pareti contribuendo a fare della Bodeguita un locale leggendario. Entrambi ambienti pittoreschi e gradevoli, fanno del luogo un vero e proprio must.

    Tanto si può ancora dire di Cuba e dalle mille piccole e splendide città, delle sue spiagge, della sue foreste, ma soprattutto dalla sua gente, che ama la propria isola in maniera passionale.

    Io devo lasciarla, ma lancio uno sguardo ancora sulla costa, in attesa di quel galeone che sventola la bandiera nera con il teschio che io da sempre cerco, con quell’anima di bambino che spero di avere ancora.

    Dall’aereo un ultimo sguardo all’isola mentre mi risuonano nella mente le note della celebre canzone di Joseíto Fernández, Guantanaera e della sua amata Guajira e un pensiero, non mio ma di quell’americano che ha amato cuba più di tutti. Ernest Hemingway Cuba non sembra solo meravigliosa è semplicemente meravigliosa.

    Fedeltà e cortigianeria

    L’uomo di corte è senza ombra di dubbio il prodotto più bizzarro di cui dispone la specie umana. Così scriveva ancora con la penna d’oca il barone Paul H.D.d’Holbach, ma anche oggi, benché siamo ormai internauti la cortigianeria è più che mai di moda. Ieri come oggi la cortigianeria di Holbach viene anche definita con altri termini, come ciambellani o dignitari, magari li chiamiamo consiglieri particolari, o i più moderni anche preparatori atletici, il popolino continua comunque a chiamarli (uso quelli più gentili), ciarlatani, ruffiani, servi, menestrelli.

    E sempre ieri come oggi, sono i salotti che governano, che siano quelli di casa o quelli privè di un congresso e il mondo del volontariato non è immune. Le atmosfere sono le stesse, il profumo di potere che emanano è sempre ugualè, cartelle di documenti vengono portate da valenti collaboratori, portaborse anche volontari, tenuti al silenzio, ma parte integrante della corte.

    Benché le associazioni di volontari non abbiano bisogno di tali personaggi, dobbiamo essere onesti con noi stessi, tali figuri sempre sono esistiti e sempre esisteranno sia nelle piccole associazioni, come in tutte le grandi organizzazioni . Cosa fare?, come cambiare ? Sono domande che avranno risposta forse nei prossimi anni.

    Oggi la cortigianeria, uso questo termine gentile, ha la faccia di giano, da un lato cerca di mantenere il rapporto con il potere, modificando il suo modo di essere di e fare, proprio come il camaleonte cambia la pelle, con l’altra faccia cerca di mettersi in evidenza come il pavone lo fa per corteggiare la sua bella, non avendo remora alcuna a vendere il suo amico più caro.

    Questi personaggi che certamente ognuno di voi conosce, e individua tra le persone di sua conoscenza, il barone Paul H.D.d’Holbach, nel deprecarli con il suo più sferzante sarcasmo, già ai tempi del Re sole li definiva, animali anfibi dotati di tante anime, ora insolenti e ora vili, avidi e vergognosamente codardi, arroganti e corretti, ma sempre solo in funzione del Monarca che li ripaga con la sua benevolenza e ancora: uomini generosi che pur di garantire il buon umore del sovrano, si votano alla noia, si sacrificano per i suoi capricci, immolano in suo nome onore, onestà, amor proprio, pudore e rimorsi".

    Per quanto impossibile, occorre capire come tanti novelli epigoni moderni si atteggino per dimostrare la propria superiorità.

    Anche qui potremmo fare un analisi, sebbene distorta per semplicità, direi vicino alla realtà.

    Troppo spesso, quando incontro vertici di associazioni e sinceramente non solo quelli, ma anche singoli volontari, lo sport più seguito è quello di cercare spazio tra i cortigiani della corte del potente di turno, o peggio dimostrare che si è amici o conoscenti stretti del politico al potere di turno o della sua famiglia.

    Maestri di Palazzo della seconda Repubblica, tenterei di definirli, ma cosi va il mondo!

    Personaggi che non hanno il timore di essere delatori più o meno conosciuti, spesso i cortigiani utilizzano il gossip per crearsi uno spazio.

    La nobile arte del cortigiano, l’oggetto essenziale della sua cura, consiste nel tenersi informato sulle passioni e i vizi del padrone, per esserne in grado di sfruttarne il punto debole: a questo punto sarà certo di tenere la chiave del suo cuore.

    Andando molte volte ben al di là del gossip, che pur nasce e si configura come elemento tipico anche delle corti.

    La riemersione dei cortigiani è perfino prevedibile, e il descriverli ribaltandone le virtù una tentazione irresistibile, ma lascio a ognuno di voi la ricerca della strategia migliore.

    Spesso i network sono il miglior strumento di incoraggiamento all’adattabilità e all’adulazione, a farsi malleabili come la cera, al culto vero e proprio del sovrano, oppure alla delazione strisciante. Sono i tempi che cambiano e con essi i mezzi ma, non i modi.

    Il mondo del volontariato, bello, gioioso, arcobaleno di stimoli e di idee potrebbe trovarsi soffocato da questi personaggi, se non si ha la capacità di confronto costante, di fare management costruttivo, di isolare tali personaggi e soprattutto di avere progettualità propria.

    Un suggerimento che faccio a tutti quanti è quello di guardarsi intorno, non operare con il paraocchi (come ho fatto io in passato) e di pensare sempre positivo, guardando oltre il proprio naso.

    Riflessioni dentro

    Questa volta mi inoltro con voi in una riflessione tanto semplice quanto complessa.

    All’interno della società moderna, come nelle associazioni di volontariato, sembrano scomparse, o quanto meno fra di loro più lontane, collaborazione e interdipendenza personale e sociale quasi che il rapporto con l’altro (il collega) sia un’azione meccanica più che un complemento di se stessi. Se volete, fatelo entrare in un discorso di etica, anche interna al nostro mondo di volontari ma è valido anche nel mondo profit, io credo che questi comportamenti dovrebbero essere insiti in noi, derivanti dall’impostazione che ciascuno riceve, a partire dalla propria famiglia.

    Per vivere in serenità con se stessi e con gli altri (cosa alquanto difficile), dobbiamo imparare a riuscire a identificarci con le altre persone attraverso la nostra immaginazione e a permettere agli altri di identificarsi con noi, quasi in un processo di osmosi.

    Non sempre è così e ciò trova come primo ostacolo, l’egoismo che ci toglie talvolta anche l’immaginazione e, spesso nelle Associazioni complesse è più che mai frequente.

    Rousseau sosteneva che «prendersi cura degli altri è ciò che ci rende pienamente umani. Dipendiamo gli uni dagli altri non tanto per la nostra sopravvivenza, quanto per il nostro essere vero e proprio».

    Un esempio di come oggi si vive, sta nel fatto che si fa molta resistenza a questo fondamento, come se l’aver bisogno degli altri fosse un atto di debolezza. Solo agli anziani, ai malati, ai bambini, ai feriti, ai diversamente abili è dato il permesso di dipendere dagli altri, come se l’indipendenza dal punto di vista dell’autosufficienza e dell’autonomia fosse una virtù cardinale.

    Ciò porta inevitabilmente all’individualismo e in una società complessa e in perenne competizione non può che produrre egoismi, dimenticando che l’uomo è un animale sociale che ha bisogno di costruire sé e il suo essere, in interdipendenza con altri.

    A tal proposito anche gli storici alfieri della fiducia in se stessi, ammettono che nell’uomo è innato il bisogno delle altre persone, sia per comunicare, che per quegli atti di gentilezza che l’uomo stesso non è in grado d produrre da solo, ma che comunque ha bisogno di ricevere.

    Rapporti interpersonali sviluppati attraverso la comunicazione e il dialogo; la gentilezza nei gesti quotidiani sono atti spontanei e naturali se non combattuti dall’altra faccia della medaglia che è la crudeltà, l’aggressività e l’individualismo.

    Colui che viene sottoposto a pressioni costanti, infatti, si estranea e si isola o reagisce con aggressività: ne sono un esempio tipico i diversi casi di bullismo che tutti i giorni leggiamo sui giornali.

    Chi è stato represso, o crede di essere stato represso o non accettato dal gruppo nelle vicende della sua vita, diventa a suo volta repressore. La paranoia prospera quando si cerca poi dei capri espiatori, auto ingannando se stessi e sacrificando i nostri sentimenti come la gentilezza e l’interdipendenza.

    Tutta questa mia lunga riflessione su qualcosa di difficilmente tangibile, vuole indurre a riflettere su come intendiamo i rapporti con gli altri (soci, colleghi, assistiti ecc). Spesso all’interno dei nostri gruppi sociali, cresce la cultura del cinismo con comportamenti duri, alimentati da falsi miti, spesso creati per emulazione dai media che sembrano far trionfare il duro e puro, ove il comportamento mors tua vita mea tra i quadri dirigenti e i volontari, non sono così infrequenti, ove il mandato affidato dalla base associativa o dalla dirigenza, è visto come a vita o come indispensabile per gli altri – troppo spesso ho sentito dire «ma come faranno senza di me» –, o peggio costruendo un sistema organizzativo e di lavoro ove il proprio ruolo è cardine di funzionamento. In realtà questo spesso può diventare un imbuto che quasi sempre soffoca chi può portare innovazione: si agisce molte volte per gelosia, per poi ipocritamente dichiarare che tali atteggiamenti minano un sistema che funziona.

    Le associazioni non devono essere di carta e di timbri: non critico la burocrazia che, anzi, è funzionale e garante di fronte a tanti di noi che chiedono maggiore trasparenza, ma spesso se ne abusa. C’è sempre qualcuno sopra di noi che ha il potere di vietarci qualcosa, che deve concedere un’autorizzazione o apporre un timbro anche in atti non economici.

    Ora vi domanderete anche chi condivide il mio pensiero: cosa c’entra l’interdipendenza, la gelosia, la gentilezza, l’aggressività con il nostro quotidiano?

    Il vortice delle attività, le difficoltà delle organizzazioni no profit e profit complesse e che si auto avvitano in se stessi per mantenere in vita vecchi stereotipi, trovano spesso alleati in coloro che hanno bisogno di sentirsi qualcuno e che, in talune organizzazioni, intravedono la strada più facile.

    Per mantenere lo status quo, vengono utilizzati proprio i metodi e i mezzi sopra descritti, ove l’individualismo diventa imperante e chi la pensa diversamente viene isolato.

    Quello che manca e di cui dobbiamo riappropriarci è il dialogo, il confronto, la condivisione. Quante volte ho sentito parlare Presidenti e Dirigenti contro volontari e quadri direttivi, e ad aiutare lo scontro è proprio la mancanza

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